Vai al contenuto

condannato

Consegnò oltre 100 migranti ai libici, condannato comandante della Asso 28

La notizia è una bomba perché conferma che la legge, anche in questa melassa che tutto ottunde in tema di migrazioni, per fortuna esiste ancora e funziona ma soprattutto la notizia è importante perché smentisce per l’ennesima volta tutta la narrazione su cui poggia quasi l’intero arco parlamentare (seppur in modi diametralmente opposti ma coincidenti nelle conclusioni): la Libia non è un porto sicuro, riportare la gente in Libia è un reato e le autorità di Tripoli non sono legittimate a fare razzia di disperati nel Mediterraneo.

Era il 30 luglio del 2018 e la nave “Asso 28” si trovava poco distante dalla piattaforma di Sabratah della “Mellitah Oil & Gas” (una joint venture fra Eni e la compagnia statale petrolifera libica). Il comandante della nave avvista un gommone bianco con a bordo 101 persone. Il rimorchiatore di proprietà della compagnia Augusta, battente bandiera italiana, recupera i naufraghi. Tripoli in quel periodo aveva già registrato la sua zona Sar (l’area di ricerca e soccorso) con l’interessato sostegno del governo italiano. Peccato che nessuna autorità internazionale ritenga la Libia un “porto sicuro” (nonostante l’ostinata tiritera di molti politici dalle nostre parti) e che quindi qualsiasi consegna di naufraghi alla Libia e alla cosiddetta Guardia costiera libica non sia prevista da nessuna norma nonostante torni comodissima ai governi che qui da noi si succedono.

Il comandante della Asso 28 viene contattato dalla nave Open Arms attraverso il capo missione Riccardo Gatti e racconta di avere imbarcato tutti e di essere in viaggio per riportarli a Tripoli avendo ricevuto “ordini dalla Libia”. Quella conversazione (pubblicata da Nello Scavo di Avvenire l’anno scorso) risulterà fondamentale per le indagini: Asso 28 avrebbe dovuto fare riferimento alla giurisdizione italiana e invece decise di puntare verso la Libia. «L’operazione di soccorso è stata gestita interamente dalla Guardia Costiera Libica che ha imposto al comandante dell’Asso 28 di riportare i migranti in Libia», disse al tempo un portavoce dell’ENI. L’armatore (l’Augusta Offshore) raccontò di essersi coordinato con il “Marine department di Sabratah”: peccato che non esista da nessuna parte e che perfino a Tripoli negano di averne mai sentito parlare. In più sulla Asso 28 sarebbe salito un non meglio precisato “funzionario libico” di cui ancora oggi non si conoscono le generalità nonostante le norme costringano il comandante a registrare tutte le persone a bordo.

Ora il Tribunale di Napoli ha condannato a un anno il comandante della nave Asso28 per avere abbandonato i migranti che aveva soccorso e averli riconsegnati alla Libia. La sentenza conferma che le norme internazionali, la Convenzione di Ginevra sui diritti dell’uomo, il Diritto della navigazione e il Testo unico sull’immigrazione in vigore in Italia contano molto di più di ciò che torna comodo far credere. E il fatto che ora le navi civili che aiuteranno i respingimenti potranno essere indagate e sottoposte a processo spiega benissimo perché le Ong del Mediterraneo siano dei testimoni scomodi per tutti. Rimane però un punto sostanziale: se la legge Italiana riconosce illegittimi i respingimenti e le consegne dei naufraghi alla Libia come può lo Stato italiano (lo Stato di quella stessa legge) continuare a fingere di non vedere e spingersi a finanziare l’illegittima Guardia costiera per agevolare il ritorno alla prigionia? Se il comandante della Asso 28 è stato condannato non è evidente il favoreggiamento per lo stesso reato del nostro governo e del Parlamento? Perché le leggi che valgono nei tribunali di Napoli non valgono come direttive per i comportamenti, i finanziamenti e i rapporti del governo? Abbiamo un (presunto, visto che siamo in primo grado di giudizio) esecutore: chi sono i mandanti e i favoreggiatori?

Tra l’altro proprio ieri un gruppo di 32 migranti ha fatto causa allo Stato di Malta: raccontano che nell’aprile del 2020 dopo essere stati salvati da un peschereccio sono stati trattenuti su alcune imbarcazioni turistiche controllate dal governo maltese ma tenute fuori dalle sue acque territoriali senza essere mai stati informati del loro diritto di chiedere asilo, trattenuti su una prigione galleggiante in barba a qualsiasi legge. Anche in questo caso la “libera dimenticanza delle norme” sembra essere il metodo preferito per disfarsi del problema. E ieri si è avuta notizia delle ennesime vittime. Libya Observer ha pubblicato un breve filmato in cui si intravedono i corpi senza vita di 15 persone a bordo di una zattera di legno con a bordo 140 migranti. La cosiddetta Guardia costiera libica afferma di aver soccorso lunedì «una barca di legno rotta che trasportava 140 migranti e ha trovato 15 cadaveri a bordo mentre si dirigevano verso le coste dell’Ue».

L’Unhcr ha confermato che 15 migranti sono annegati nel naufragio di cui ha dato notizia la ong Alarm Phone. «Recuperati i corpi di 15 persone quando 2 imbarcazioni sono arrivate questa sera alla base navale di Tripoli», ha commentato Unchr. «A 177 sopravvissuti sono stati forniti aiuti», viene aggiunto precisando che «alcuni (…) necessitavano di assistenza medica urgente». L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) certifica che sulla «rotta mediterranea centrale», quella che dalla Libia porta all’Italia, quest’anno sono stati contati 474 morti e 689 dispersi a fronte dei 381 decessi e 597 persone scomparse nel 2020. A questi si aggiungono 26.314 migranti riportati in Libia (l’anno scorso sono stati 11.891) in barba a qualsiasi legge nazionale e internazionale. E questa volta non lo scriviamo solo noi, l’ha sentenziato un giudice a Napoli.

L’articolo Consegnò oltre 100 migranti ai libici, condannato comandante della Asso 28 proviene da Il Riformista.

Fonte

Perché è stato condannato Mimmo Lucano, una scandalosa sentenza che criminalizza l’accoglienza

Le sentenze non si commentano ma si rispettano, dicono. Le sentenze non si possono commentare finché non ci sono almeno le motivazioni, dicono ancora. Eppure il processo a Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, è diventato per sua sfortuna il simbolo di un’accoglienza che è stata ritenuta pericolosa per il clima politico che governi diversi (di parti addirittura opposte) hanno instillato gradualmente. La condanna di Mimmo Lucano in primo grado di giudizio inflitta dal tribunale di Locri va commentata eccome, raccontata con cura per filo e per segno e perfino divulgata il più possibile perché siamo solo al primo grado di giudizio ma un giudice che quasi raddoppia la richiesta dell’accusa e riesce a infliggere 13 anni e due mesi a un ex sindaco che durante le sue amministrazioni (dal 2004 al 2018) è riuscito a mettere in piedi un modello di accoglienza studiato e elogiato in tutto il mondo è un fatto “politico” enorme e ci riguarda, riguarda tutti noi.

Mimmo Lucano viene arrestato il 2 ottobre del 2018 dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione Xenia. Quel giorno la Procura della Repubblica del tribunale di Locri scrive un festoso comunicato stampa in cui dice che l’operazione «rappresenta l’epilogo di approfondite indagini (…) svolte in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla prefettura di Reggio Calabria al comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico». Nel corso delle indagini, scrivono i magistrati, sarebbero state raccolte prove che hanno permesso di dimostrare come il sindaco e la compagna «avessero architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia». La Procura accusa il primo cittadino di favoreggiamento all’immigrazione clandestina: avrebbe promosso una associazione per delinquere, allo scopo di catalizzare fondi destinati al finanziamento dei centri Sprar, Msna e Cas per farli arrivare ad associazioni a lui vicine, come Città Futura.

Tutto bene? Non proprio se è vero che le ipotesi della Procura vengono subito stroncate dal gip Domenico Di Croce che nell’ordinanza ha ridotto la presunta associazione a un «diffuso malcostume che non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delineate dagli inquirenti». Addirittura sette reati, relativi alla turbativa dei procedimenti per l’assegnazione dei servizi di accoglienza, sono stati rigettati e sono ben 14 le richieste di arresto che i magistrati non sono riusciti a ottenere. Per il gip, buona parte dell’indagine – che riguarda fatti avvenuti tra il 2014 e il 2017 – era basata su congetture, errori procedurali e inesattezze. Secondo il giudice, infatti, le ipotesi sui servizi di accoglienza sono così «vaghe e generiche» da rendere il capo d’imputazione «inidoneo a rappresentare una contestazione». Per quanto riguarda l’accusa di truffa aggravata il gip scrive che gli inquirenti «sembrano incorsi in un errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio». Di fatto, scrive il gip, viene individuato l’ingiusto profitto nel totale delle somme incassate dalle cooperative, quando invece andava individuato nella differenza tra il totale e le spese realmente sostenute». Non male come inizio, eh?

Nell’aprile 2019 la Cassazione intanto annulla con rinvio il divieto di dimora a Riace di Mimmo Lucano ma nelle motivazioni depositate la Corte emette anche un giudizio di rilevo sull’indagine: i giudici scrivono che mancano indizi di «comportamenti» fraudolenti che Domenico Lucano avrebbe «materialmente posto in essere» per assegnare alcuni servizi, come quello della raccolta di rifiuti, a due cooperative dato che le delibere e gli atti di affidamento sono stati adottati con «collegialità» e con i «prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato». Per quanto riguarda il favorire la permanenza in Italia della sua compagna Lemlem gli “ermellini” scrivono che Lucano ha cercato di aiutare solo Lemlem «tenuto conto del fatto» che il richiamo a «presunti matrimoni di comodo» che sarebbero stati «favoriti» dal sindaco, tra immigrati e concittadini, «poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare».

In un processo che sfinisce per qualità e quantità delle imputazioni accade che i magistrati non riescano a trovare un euro, un solo euro per il presunto arricchimento personale di Mimmo Lucano che nel frattempo perde il comune di cui era sindaco (sostituito da un sindaco ineleggibile che decade poco dopo, giusto il tempo di togliere il nome di Peppino Impastato da una piazza del paese) e vive praticamente in condizioni di povertà. Non trovando i soldi allora l’accusa vira in una tesi piuttosto spericolata: Lucano non avrebbe agito per aiutare i bisognosi ma per un presunto movente politico-elettorale. Già nel novembre 2019 il colonnello Sportelli aveva fatto intendere che l’idea di Lucano fosse quella di candidarsi alle elezioni politiche del 2018. Sentito in aula il colonnello elencò i terribili poteri forti dietro a Lucano: i voti dei Tornese (una famiglia di Riace), dell’associazione Riace Accoglie e della cooperativa sociale Girasole. In effetti se ci pensate tutti voti indispensabili per arrivare in Parlamento. Ma quale sarebbe la “prova”? Una telefonata di Lucano a suo fratello in cui tra le altre cose dice «quasi quasi mi candido».

Capito che diabolico disegno? Ma c’è un altro punto sostanziale: Lucano ha rifiutato candidature alle elezioni europee e alle elezioni politiche e poiché non si possono processare le intenzioni il disegno della Procura è miseramente caduto. Fino allo scorso aprile quando il pubblico ministero Michele Permunian ha un’illuminazione quando legge un’intervista in cui Lucano annuncia la sua candidatura nella lista di De Magistris per le prossime elezioni regionali in Calabria: «L’annunciata candidatura alle regionali di Mimmo Lucano nella lista di Luigi De Magistris confermerebbe le sue reali ambizioni politiche», dice l’accusa. L’avevamo detto noi: si candida. Al giudice è perfino toccato spiegare che la candidatura di Lucano non ha niente a che fare col processo. Anche sui presunti “matrimoni di comodo” il processo ha riservato momenti di grande imbarazzo: nel fascicolo del processo, aprite bene le orecchie, non c’è un solo matrimonio celebrato a Riace. Ce n’è uno bloccato proprio da Lucano.

Un fatto è certo: la criminalizzazione dell’accoglienza è un vento velenoso che attraversa l’Italia e l’Europa e rovescia la realtà. «Ho speso la mia vita per gli ideali, contro le mafie, ho fatto il sindaco, mi sono schierato dalla parte degli ultimi, dei rifugiati che sono arrivati, mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra, è stata un’esperienza indimenticabile, fantastica, però oggi devo prendere atto che per me finisce tutto» ha dichiarato a Lucano subito dopo la notizia della condanna. «È una cosa pesantissima – ha aggiunto -, non so se per i delitti di mafia ci sono queste sentenze così. È un momento difficile, non so cosa farò. Mi aspettavo una formula ampia di assoluzione». La politica intanto fa il suo gioco inevitabile e meschino sventolando la sentenza (di un iter giudiziario ancora lungo) a proprio vantaggio.

Un fatto è certo: il processo a Mimmo Lucano è un processo “politico” come se ne vedono troppi in questo Paese. In attesa delle motivazioni della sentenza non si può registrare che un uomo che ha accolto i migranti per ora ha preso una condanna che supera quella di chi come Traini ai migranti ha sparato. Ma forse più di tutto vale la frase di un’anziana donna di Riace fuori dal tribunale che imbeccata dai giornalisti riesce solo a dire «avreste dovuto vedere Riace prima di Lucano: deserta, non c’era niente, niente». E viene il dubbio che a qualcuno andasse meglio così. C’è un precedente però che lascia uno spiraglio di speranza: in Francia Cédric Herrou fu prima condannato per aver aiutato migranti in difficoltà e poi assolto per la prevalenza del principio di solidarietà: il ritorno della prevalenza del principio di solidarietà sarebbe una buona notizia per tutti.

L’articolo Perché è stato condannato Mimmo Lucano, una scandalosa sentenza che criminalizza l’accoglienza proviene da Il Riformista.

Fonte

Se fa più discutere la Azzolina su Twitter che il vitalizio al condannato Formigoni

Il miracolo dell’ipocrisia e del benaltrismo nel dibattito politico italiano oggi raggiunge vette notevoli con le anime belle dei politici nostrani che sanguinano per un brutto verbo usato da una ex ministra in un tweet. Chissà cosa penseranno di noi tra decenni quando recupereranno le pagine dei nostri giornali e vedranno che, nel giorno in cui il Parlamento ha deciso di riassegnare il vitalizio ai senatori pregiudicati, il dibattito si è spostato sullo “scatarrare” scritto in un singolo post di un singolo personaggio politico.

Il tema di cui ci sarebbe da discutere è quel voto del berlusconiano Vitali, dei leghisti Sepe e Grassi (un ex 5 Stelle, tanto per rimpolpare la farsa) che hanno battuto quelli contrari di Fratelli d’Italia e del Pd, cancellando di fatto la delibera con cui nel 2016 Pietro Grasso aveva eliminato la rendita per i senatori con condanne superiore ai due anni.


Gli inorriditi di queste ore si stracciano le vesti per lo “scatarro” di Azzolina ma trovano del tutto influente la corruzione di Roberto Formigoni, che tolse milioni di euro ai malati lombardi per i suoi sollazzi (lo spiegò bene il pm durante il processo). E, poiché nella stragrande maggioranza soffrono di una codardia cronica, non si assumono la responsabilità di spiegare perché dovrebbe essere un diritto ricevere un vitalizio da uno Stato che si è frodato, ma ci tengono a sottolineare come il problema italiano sia l’ecologia lessicale di Azzolina.

A proposito, osservate: quelli che si allarmano per il verbo “scatarrare” sono gli stessi che dicono che difendono il diritto di dire le peggiori cose sui gay, sono sempre loro.

Qualcuno invece la butta sul diritto: “Perché un operaio detenuto continua a ricevere la pensione (che poi non è esattamente così) e Formigoni no?”, ci chiedono. Benissimo: allora perché Formigoni non restituisce in solido i soldi di cui si è appropriato e che ha fatto perdere allo Stato? Qui non rispondono.

E poi: “Che faranno questi poveri senatori che non hanno soldi per vivere?”, dicono. Semplice: se davvero hanno i requisiti di povertà che sventolano (ma non è quasi mai così) potranno accedere agli strumenti sociali che sono a disposizione per gli altri cittadini, no?

A proposito: è quello stesso reddito di cittadinanza (e altro) contro cui questi stessi politici si scagliano. Ma non sentite l’insopportabile odore di ipocrisia in questa levata di scudi di amici degli amici? Vi rendete conto dell’enorme macchia di cui si dovrebbe parlare? Altro che Azzolina.

L’articolo proviene da TPI.it qui

E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo

Caro Beppe Grillo, ti do una notizia: tutti gli accusati, anche quelli dei crimini peggiori, anche quelli che subiscono processi che durano anni e che poi finiscono in niente, perfino quelli che vengono arrestati e subiscono detenzioni che poi si dimostrano ingiuste, tutti hanno un padre, molti sono padri, esattamente come accade a te con tuo figlio Ciro.

Caro Beppe Grillo, ti do un’altra notizia: in un Paese che avrebbe di che occuparsi per le malefatte compiute personalmente da politici e governano che (con sentenza definitiva) sono stati ritenuti colpevoli di deprecabili azioni che hanno danneggiato l’amministrazione pubblica e quindi il Paese e i cittadini, già da qualche anno si è presa l’abitudine di rovistare anche nelle colpe dei figli, dei genitori e perfino degli amici per reati che non hanno niente a che vedere con il loro ruolo.

Forse di questo te ne ricordi perché, mentre c’erano tutti gli elementi legittimi per costruire una critica (anche feroce) politica contro certi leader di partito, si è preferito invece rovistare nel casellario giudiziario dei loro congiunti.

E guarda, caro Grillo, te lo scrive uno che è tutt’altro che garantista peloso, di quel garantismo che viene troppo spesso sventolato per proteggere i colletti bianchi: eppure ho sempre creduto che ci siano evidenze giudiziarie talmente importanti su un Berlusconi (per dirne uno qualsiasi) che alla fine ho avuto la sensazione che occuparsi dei suoi presunti reati minori (come le sue abitudini sessuali) fosse un favore che gli abbiamo concesso mentre il suo braccio destro è condannato definitivo per mafia.

Io non so se tuo figlio, caro Beppe Grillo, sia innocente o colpevole. Mi auguro che sia innocente e mi auguro che possa risolversi il dolore dei presunti assassini come quello della presunta vittima.

Comprendo anche il tuo dolore da genitore, ma vivo in un Paese in cui credere nella Giustizia è elemento fondante per la tenuta democratica: lo avete ripetuto anche voi per anni, lo scrivono tutti i giorni i giornalisti che ti sono più vicini.

Forse il tema vero su cui varrebbe la pena riflettere è che, prima o poi, nella vita potrebbe capitare di essere sotto accusa o terribilmente fragili e hai ragione quando dici che fa schifo usare tutto questo come clava per fare politica.

Il tuo sfogo è comprensibile, umanissimo ma sei sicuro di non avere contribuito al clima da bastonatori irridenti degli sfoghi degli altri? Non è un’accusa, sia chiaro: è una riflessione politica. Ah, hai ragione, questa speculazione fa schifo.

Leggi anche: Beppe Grillo: “Mio figlio non è uno stupratore. Allora arrestate me”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Effetti collaterali del “Governo di tutti”: la Lega blocca la legge sull’omofobia

Solo a marzo, con un Paese in piena pandemia, il quadro è questo: a Brugherio l’auto di Danilo Tota e del suo compagno Sasha Di Cicco viene vandalizzata, sempre lì a Brugherio Danilo Tota era stato aggredito perché gay al parco cittadino, “checchina” e “feminuccia” gli urlavano addosso; il 14 marzo a Vicenza Andrea C. è stato adescato su Facebook e si è ritrovato di fronte 12 ragazzini che l’hanno preso a calci e pugni, è stato salvato da alcune persone di passaggio; il 15 marzo esce la notizia Thomas racconta di essere stato offeso, circondato e preso a sassate da un branco di 15 persone che l’hanno preso di mira per i suoi capelli tinti di rosa e per il fatto di essere gay.

Thomas racconta che le Forze dell’Ordine gli hanno perfino sconsigliato di sporgere denuncia; il 24 marzo Aurora e Valentina sono in un parco a Voghera vengono aggredite da un uomo che le rimprovera per essersi date un bacio, il video è uno spaccato di omofobia benpensante; il 26 marzo a Asti Nicholas Dimola viene invitato ad andarsene mentre era seduto su una panchina del parco (“sei un travestito di merda, vattene”, gli dicono) perché quella era “una zona per bambini”. È proprio Nicholas che nella sua denuncia pubblica ricorda che a Asti tre suoi amici omosessuali si siano suicidati; nella notte tra il 28 e il 28 marzo a Perugia l’auto di un giovane viene vandalizzata con la scritta “sono gay” durante la notte.

Questi sono solo i casi di cui si ha conoscenza, quelli che sono diventati pubblici in mezzo ai molti episodi che si ripetono tutti i giorni e che per vergogna vengono taciuti e rimangono nascosti. La questione dell’omofobia è una costante nelle cronache locali, con azioni e esiti più o meno gravi, eppure viene derubricata nella categoria delle “ragazzate” dove si infilano spesso i problemi complessi che non si vogliono affrontare.

Per anni si è nascosta sotto il tappeto ma ora quel tappeto è una montagna che incombe sulle responsabilità della classe politica. Eppure il centrodestra compatto ieri ancora una volta ha incagliato il disegno di legge contro l’omotransfobia (la “legge Zan”) con la solita patetica scusa di “altre priorità”. E fa niente che siano gli stessi che presentano proposte di legge sui crocifissi o sulle canzoni di Casadei: il governo Draghi, piaccia o no, tiene insieme una compagine così larga che non riuscirà mai a trovare la quadra per smuovere qualcosa in tema di diritti. Siamo in zona rossa anche per i diritti, sospesi, in attesa che torni la politica. Non è una buona notizia, no.

Leggi anche: 1. Legge contro l’omofobia: no secco della Lega. Ora il ddl è a rischio al Senato /2. Omotransfobia, il difficile cammino e le polemiche sulla legge che vieta l’odio contro omosessuali e trans /3. Caivano, Zan a TPI: “Meloni strumentalizza l’omicidio, ma è la prima a ostacolare la mia legge sull’omotransfobia”

4. Il linguaggio di certi giornali sul caso di Caivano rivela l’arretratezza italiana sull’omofobia (di G. Cavalli) /5. Il senatore della Lega Pillon condannato per aver diffamato un’associazione Lgbt /6. La legge contro l’omofobia? Serve proprio perché c’è chi non la vuole (di Fabio Salamida)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Fa uccidere l’ex moglie e usa la figlia come alibi: l’orrore del femminicidio di Ilenia Fabbri a Faenza

Contiene tutti i caratteri che ci sono in tanti ex mariti assassini e per questo la storia di Ilenia Fabbri, l’ennesimo femminicidio avvenuto a Faenza lo scorso 6 febbraio, va raccontata. Ieri le forze dell’ordine hanno arrestato Claudio Nanni, 53 anni, ex marito di Ilenia ritenuto mandante dell’omicidio e Perluigi Barbieri, 51 anni, un picchiatore conosciuto lì in zona, un professionista di spedizioni punitive e di vigliaccheria che è già stato condannato per atti di violenza contro un disabile.

Negli atti del gip c’è il solito uomo che ritiene sua moglie, anche se ex, una proprietà privata che non ha nessun diritto di sopravvivere alla fine di un rapporto e che deve essere annientata per espiare la sua colpa di essere libera: Nanni dal 2017 aveva continuato a minacciare e aggredire l’ex moglie, era preoccupato per una causa che lei gli aveva intentato per il lavoro che aveva svolto nella sua officina di famiglia senza mai essere pagata, non versava i 500 euro mensili per la figlia Arianna e aveva deciso che l’omicidio sarebbe stato il modo migliore per risolvere il problema.

“Avido, paranoico del controllo, privo di scrupoli”, scrive di lui il gip Corrado Schiaretti che ha ripercorso le tappe dell’omicidio: il 10 dicembre Nanni è rinchiuso in casa per Covid e contatta Barbieri per fare “tutte le cose che bisogna fare”, il 20 e il 29 dicembre i due si incontrano, si scambiano le chiavi di casa, pianificano il percorso del killer nell’abitazione e probabilmente fanno un sopralluogo.

All’alba del 6 febbraio Claudio Nanni passa a prendere la figlia Arianna, 21 anni, al mattino presto, ha intenzione di usarla come alibi mentre il killer le uccide la madre. Barbieri entra in camera da letto ma Ilenia combatte, scappa per le scale, lui la massacra di botte e infine la sgozza.

In casa però c’è la fidanzata di Arianna che sente il trambusto, chiama Arianna, padre e figlia tornano indietro, Arianna chiama la polizia e urla al padre di accelerare. Nanni a quel punto, scrive il gip, piange in maniera incontrollata, consapevole di ciò che sta accadendo invita la fidanzata della figlia a non uscire dalla stanza e nascondersi.

Quando arrivano davanti alla casa, Nanni non scende dall’auto, non ha bisogno di vedere, sa già tutto. Manda la figlia. Un uomo che ha usato la figlia come alibi e che l’ha delegata a vedere il corpo morto di sua madre. La sua messinscena di una rapina andata male è fallita. Ora è in carcere e ancora una volta noi siamo qui a scrivere di una donna che prima di Natale aveva confidato alla sua avvocatessa di volere fare testamento. Ed è finita proprio come temeva. Perché l’assassino delle donne, qui in Italia, ha quasi sempre le chiavi di casa della sua vittima.

Leggi anche: 1. Violenza sulle donne, le scarpe rosse di Loredana Bertè a Sanremo non bastano più /2. Massacrata dall’ex, Clara si era pagata il funerale da sola: già sapeva di morire e nessuno ha fatto niente /3. Tremavo, ero un corpo vuoto: vi racconto cosa si prova durante uno stupro” | VIDEO TPI 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Renzi d’Arabia

Nel mezzo della crisi di governo, il leader di Italia viva è volato a Riad per una conferenza del Fii institute controllato dalla famiglia reale. Pagato da un regime che viola i diritti umani

Dunque il curioso giornalista del quotidiano Domani, Emiliano Fittipaldi, ha scoperto che il prode Matteo Renzi, colui che ha provocato questa crisi di governo in piena pandemia, ha dovuto fare in fretta le valigie per tornare in Italia mentre se ne stava pasciuto in Arabia Saudita, a Riad, per il Fii events, organizzato dall’omonimo istituto voluto dalla famiglia reale, guidata dal re Salman e dal principe ereditario Mohammed bin Salman (detto MbS), leader incontrastato del Paese.

Renzi non era un semplice ospite e nemmeno un banale conferenziere come gli altri 150: il leader di Italia viva (che frequenta i sauditi dal 2017) siede nell’advisory board dell’Fii institute che si occupa di intelligenza artificiale, robotica e cybersicurezza per dare consigli «su come usare la cultura nelle città, che è un possibile driver del cambiamento del Paese mediorentale».

All’uscita della notizia gli scherani di Matteo sono subito accorsi per spiegarci come non ci sia nulla di male se un leader di un partito nazionale, senatore pagato con i soldi degli italiani, nel giorno della crisi che lui stesso ha scatenato (anche se ostinatamente insiste a negarlo come un Fontana qualsiasi), colui che ha accusato Conte di essere “un pericolo per la democrazia” sia pagato (si dice circa 80mila euro all’anno) da un regime che applica la Sharia nella sua forma più rigida, ossia dai governanti di un luogo dove le donne vengono discriminate più che in ogni altro posto al mondo, quella stessa Arabia Saudita che da anni sta devastando lo Yemen uccidendo civili (bambini inclusi) e bombardando ospedali, quella stessa Arabia Saudita che arresta e condanna giornalisti e attivisti e intellettuali per avere espresso delle libere opinioni, quella stessa Arabia Saudita che arbitrariamente ha arrestato i difensori dei diritti delle donne, quella stessa Arabia Saudita che ogni anno emette condanne a morte (anche tramite decapitazioni), quella stessa Arabia Saudita in cui Raif Badawi è stato condannato a 1.000 frustate e 10 anni di carcere semplicemente per aver scritto un blog, quella stessa Arabia Saudita in cui la tortura viene utilizzata come legittimo strumento punitivo, quella stessa Arabia Saudita in cui la discriminazione religiosa della minoranza sciita avviene alla luce del sole, quella stessa Arabia Saudita in cui è stato fatto pezzi il giornalista del Washington post Jamal Khashoggi.

Tutto bene, insomma. Anzi qualcuno ci dice che non essendoci nulla di illegale non se ne dovrebbe nemmeno parlare. Del resto la questione morale, dalle nostre parti, sembra contare ormai molto poco. Quando un anno fa Corrado Formigli gli chiese (dopo che un altro pezzo del Financial Times aveva segnalato la sua partecipazione a un meeting in Arabia) se da «senatore italiano» si ponesse «il problema etico quando tiene conferenze in Paesi che violano i diritti umani come l’Arabia Saudita», Renzi rispose sereno che non c’era alcun conflitto di interesse e che sarebbe sorto solo se lui avesse «fatto parte del governo come ministro o premier». Bei tempi quando in Italia si chiedeva la decadenza della cittadinanza italiana a Sandro Gozi in quanto consulente di Macron.

Intanto qui c’è una crisi di governo da sistemare. Che impiccio, per mister Renzi.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Rendiamoci conto: con questa crisi si torna a parlare di Berlusconi presidente della Repubblica

La prima conseguenza della crisi di governo del Conte bis si annusa nell’aria, si legge sui giornali e circola tra i social: la destra, ringalluzzita dai problemi del governo, si spinge addirittura dove non ha mai osato e Silvio Berlusconi, quello stesso Berlusconi che negli ultimi anni galleggiava nella sua inconsistenza politica e tra i problemi dati dai suoi processi, improvvisamente si ridesta e diventa addirittura papabile per la presidenza della Repubblica.

Un disastroso capolavoro, non c’è che dire, se non fosse che il rischio è molto più concreto di quello che sembra. Matteo Salvini, interpellato sull’argomento a Non è l’Arena su La7, risponde: “Berlusconi candidato a presidente della Repubblica? Se mi chiede il mio parere personale, le dico di sì: secondo me può ambire al Quirinale“.

Con un anno di anticipo il leader leghista avanza la candidatura del leader di Forza Italia al Colle e in mente ha un piano perfetto: togliersi l’impiccio del Cavaliere decaduto in un centrodestra in cui tutti vogliono essere leader, assicurarsi una presidenza della Repubblica rassicurante e amica e spingere Silvio a non cedere a nessuna tentazione di governi di unità nazionale insistendo su nuove elezioni.

Avrebbe potuto essere solo una boutade (una delle tante) del leader leghista, se non fosse che la palla è stata presa subito al balzo dal deputato di Forza Italia Gianfranco Rotondi, che è corso a dichiarare: “Berlusconi è stato il fondatore della Seconda Repubblica, del bipolarismo, del centrodestra”. “In questo momento – ha continuato Rotondi – il centrodestra è maggioranza elettorale nei sondaggi e nel ‘sentiment‘ del Paese. L’elezione di Berlusconi al Quirinale sarebbe naturale, legittima e pacificatrice. Sarebbe, sarà”.

Così l’ex datore di lavoro del mafioso Mangano, l’amico intimo del condannato Marcello Dell’Utri che per conto di Berlusconi faceva da tramite con Cosa Nostra, un condannato in via definitiva per frode fiscale, l’imputato nel processo Ruby ter, l’indagato dalla procura di Firenze come presunto mandante occulto della stragi mafiose del 1993 di Milano, Roma e Firenze, quest’uomo oggi si ritrova tra i papabili presidenti della Repubblica.

Lega e Forza Italia si dicono già d’accordo, Giorgia Meloni per ora osserva e tace in attesa di prendersi la leadership del centrodestra. E nell’Italia del 2021 si discute di qualcosa che sarebbe stato osceno anche solo ipotizzare fino a qualche mese fa. Un altro piccolo capolavoro, sicuro.

Leggi anche:  1. La malattia morale e politica di chi invoca il ritorno di Berlusconi (di Marco Revelli) / 2. Il governissimo con Berlusconi è il simbolo di una politica marcia voluta da certi salotti e certe redazioni (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Leghismo in briciole, a Lodi

Il regolamento del Comune a guida leghista discriminatorio nei confronti dei bambini stranieri, impedendo loro l’accesso a servizi essenziali come la mensa scolastica e lo scuolabus. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano. Che ha anche condannato il Comune a pagare le spese legali sostenute da un comitato di cittadini

Il Canto di Natale quest’anno è stato scritto a Lodi, città incastrata nelle campagne lombarde e che ci porta un dono di fine anno significativo perché rimette i sensi a posto, restituisce alle parole il suo significato e perché racconta una vicenda che è un vocabolario politico per comprendere come il leghismo ma più in generale il cattivismo, la voglia di disgregazione e l’arroccamento ignorante franino di fronte alla realtà degli eventi e delle leggi.

Qui a Lodi nel 2017 la sindaca Sara Casanova aveva pensato di ritagliarsi un po’ di notorietà con un nuovo regolamento comunale che discriminava l’accesso dei bambini stranieri ad alcuni servizi essenziali come la mensa scolastica e lo scuolabus. Aveva pensato, quel gran geniaccio di sindaca, di imporre delle regole apposite per i genitori degli alunni stranieri prevedendo l’accesso alle tariffe agevolate (che in Italia vengono stabilite in base al reddito) richiedendo dei documenti aggiuntivi che certificassero chissà quali ricchezze nascoste nei loro Paesi di origine. Del resto era un ottimo modo per inoculare il dubbio che gli stranieri scappino dalla guerra lasciando enormi ricchezze. Una persona normale ci riderebbe su, i sovranisti invece, poverini, ci scrivono golosi teoremi e profondi editoriali.

La vicenda era odiosa perché metteva di mezzo gli stranieri ma soprattutto perché se la prendeva con i bambini. Del resto è tipico dei leghisti fare i forti con i deboli, loro ci riescono solo così. E si sentono perfino dei condottieri, poveretti, quando sono solo gli scherani di una poraccitudine che affila i denti sulle prede indifese. Era andata a finire che molti genitori avevano chiesto di condividere i pasti dei propri figli con i bambini stranieri. Del resto dividersi il pane dovrebbe essere l’atto politico più alto e nobile. Dovrebbe.

Nel 2018 l’Asgi, associazione degli studi giuridici sull’Immigrazione, e il Naga, associazione volontaria di assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti, presentò un ricorso contro il regolamento del Comune di Lodi. Il 13 dicembre 2018, un’ordinanza del tribunale di Milano stabilì che il regolamento era discriminatorio e chiese il ripristino dei precedenti criteri di accesso alle agevolazioni per le mense e il trasporto scolastico.

La sindaca Casanova insiste, presenta ricorso. Ora la Corte d’appello di Milano ha respinto il ricorso. Nella sentenza si legge: “La differenziazione introdotta dal regolamento del Comune di Lodi introdotto con Dgc 28/2017 in punto di documentazione su redditi/beni posseduti (o non posseduti ) all’estero costituisce una discriminazione diretta nei confronti dei cittadini di Stati extra Ue per ragioni di nazionalità perché di fatto, attraverso i gravosi oneri documentali aggiuntivi richiesti, rende loro difficoltoso concorrere all’accesso alle prestazioni sociali agevolate, così precludendo ai predetti il pieno sviluppo della loro persona e l’integrazione nella comunità di accoglienza; ne consegue il respingimento dell’appello presentato dallo stesso Comune”. Il Comune di Lodi è stato anche condannato a pagare le spese legali sostenute dal Comitato Uguali Doveri, una rete di cittadini che in quei giorni si è costituita per difendere il diritto di essere uguali.

Sconfitti e costosi: eccoli i sindaci leghisti. E quei giorni orrendi sono diventati un manifesto d’umanità.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

A Bari il segretario provinciale di Forza Nuova, fra gli organizzatori della manifestazione di protesta cittadina, ha messo alla gogna una giornalista di Repubblica. Sulla vicenda sta già indagando la Questura. A Palermo il leader locale di Forza Nuova, Massimo Ursino, lancia la manifestazione di oggi con messaggi bellici: “Se questo governo ispirato da poteri anti-popolari ed anti-nazionali come l’Oms, ci trascinerà alla rovina ed alla guerra sociale, sappia che troverà il popolo italiano pronto a combattere strada per strada, piazza per piazza”.

In Piazza del Popolo a Roma Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader nazionale e locale del movimento, erano nel gruppo che ha lanciato bombe carta e che è stato disperso con gli idranti della polizia. A Milano tra i 28 denunciati ci sono persone vicine a Forza Nuova. A Torino si parla di ultrà che il questore definisce sotto la “regia di professionisti della violenza”. A Napoli qualche giorno fa, si sa, Forza Nuova era in piazza e il leader Roberto Fiore ha lanciato l’attacco direttamente dai suoi profili social. Dove le proteste sono sfociate in violenza i militanti di Forza Nuova, come le sue figure apicali territoriali, sono sempre stati presenti e addirittura hanno rivendicato la guerriglia.

Del resto è tipico della loro matrice fascista: rivendicare l’uso della forza è l’unico modo per alzare la voce e farsi notare. Parliamo di un partito che è riuscito a farsi cancellare da Facebook e Instagram perché, lo ha scritto proprio il social network, “le persone e le organizzazioni che diffondono odio” non possono essere presenti sulle sue piattaforme. Parliamo di un segretario di quello che vorrebbe essere un partito, come Roberto Fiore, che è stato condannato per banda armata e associazione sovversiva come capo di Terza posizione, l’organizzazione che alla fine degli anni Settanta ha riunito alcuni dei criminali più violenti della destra eversiva.

Un partito denunciato 240 volte per violenza dal 2011 al 2016. Quattro volte al mese. E allora la domanda è sempre la stessa, in questi giorni ancora di più: ma cosa si aspetta a sciogliere i partiti neofascisti che in Italia sono vietati dalla Costituzione? Cosa si aspetta a prendere l’esempio dalla Grecia con Alba Dorata e dichiarare fuorilegge un partito che in questi giorni sta giocando sulla disperazione con la violenza? Cosa?

Leggi anche: 1. Roma, violenti scontri in piazza del Popolo durante la manifestazione contro il Dpcm | FOTO E VIDEO / 2. Poi però non vi meravigliate se la gente comune impoverita scende in strada a protestare

L’articolo proviene da TPI.it qui