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consumo di suolo

Il federalismo che serve: tornare alle città, ripensare il territorio

Il secolo nuovo, nei suoi primi dieci anni, ha portato una “mistificazione” della questione urbana. Le politiche della sicurezza da una parte e il dibattito sul federalismo municipale, dall’altro, hanno dominato il discorso pubblico e hanno evitato che si affrontassero le questioni urbane entro a un quadro di respiro strategico che ne evidenziasse l’interesse nazionale dinanzi ai cambiamenti che le città hanno registrato nel ventennio a cavallo tra il secolo vecchio e il nuovo. Le città hanno subito cambiamenti profondi, per alcuni versi radicali. 

Pretendiamo che l’affermazione di centralità delle Città nella politica del governo centrale, pur nel rispetto delle competenze e delle attribuzioni che restano alle Regioni, alle Province e ai Comuni, si affermi; pretendiamo che si individui un percorso reale che porti alla costruzione di un vero Piano nazionale per le Città d’Italia. Dobbiamo pretendere, anche in vista dei futuri programmi di governo, che le forze politiche si pongano l’obiettivo di ricostituire in sede nazionale un luogo di elaborazione e di attuazione di queste politiche (meno improvvisato e spartitorio della cabina di regia prevista dal decreto). Sparare sul Piano Città di Monti è come sparare sulla Croce Rossa e ci distoglie dalla questione vera che merita di essere affrontata: se e come le città possono tornare al centro dell’Agenda politica nazionale. 

Lo scrive Giovanni Caudo e pone un tema che non si riesce a prendere in toto. Un po’ perché tutti intimiditi a parlare di federalismo come se ce l’avessero scippato e allora è meglio non lambirlo nemmeno e un po’ perché fa comodo a tutti depotenziare i sindaci per controllare le scelte. Eppure un Piano Nazionale per le città sarebbe una bella pagina dell’agenda politica (anche e soprattutto in Lombardia per praticare federalismo senza appuntarselo al petto) che lambisce consumo di suolo, ambiente e il modo di intendere lo stare insieme.

#nonmifermo oggi pomeriggio a Brescia, per fare sul serio, su ambiente e Lombardia

Oggi con Non Mi Fermo siamo a Brescia. Dalle 14 e 30  presso l’Oratorio S. Maria in Silva (Via Sardegna, 24 – vicino alla stazione ferroviaria). E parliamo di ambiente e di questa Lombardia così inoffensiva nell’imporre una tutela seria del territorio. E proviamo come sempre a farlo fuori dai denti, senza proclami e con il rispetto e la stima per lo studio delle cose già note che ogni tanto la politica finge di reinventare per appropriarsene. E magari proviamo a capire perché il concetto di “densità” di insediamenti (cave e discariche) sembra così poco urgente, partendo proprio da questa Brescia che guardata dall’alto ha la planimetria di un cumulo di nocività. E, magari, fuori dai denti proviamo a chiederci e risponderci sul perché il fantomatico “comitato ristretto sul consumo di suolo” in Regione Lombardia risulti evaporato per (si può scrivere, è su un verbale di commissione, eh) alcune “frizioni” anche dentro una parte del PD.

Perché ci siamo un po’ stancati dei convegni “cogenti” che non hanno riscontro in aula e commissione. E ci siamo stancati delle primarie che si giocano con le opinioni sulle camice di Formigoni, i suoi libri (presunti, alla Dell’Utri) e su giovanilistici liberismi. E di politica ne vogliamo parlare per davvero. Come al solito facciamo da qualche anno in giro per l’Italia. Ascoltando e declinando in atti amministrativi. Proponendo magari anche gli ordini del giorno che dentro SEL abbiamo preparato sul futuro “piano cave” (qui quello per i consigli comunali e qui per i consigli provinciali) o decidendo com’è l’ambiente e il suolo della Lombardia che vogliamo.

Ci si vede lì per chi è da quelle parti. O ci si trova su twitter. L’hashtag è #nonmifermo

#nonmifermo Ripensare il suolo, ripensare il cemento, ripartire dall’analisi

Proprio ieri sera in Feltrinelli a Milano, in occasione della presentazione del libro di Luca Martinelli “La caduta di Stalingrado” su Sesto San Giovanni e l’ex Area Falck che vi consiglio, discutevo con l’amico Mario Portanova e con il rappresentante di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simine, della carente analisi dei numeri: del consumo di suolo in Italia si parla molto, si fa troppo poco e interpreta pochissimo. Per questo credo che la riflessione di Claudio per #nonmifermo possa essere uno strumento da cui partire per le proposte. Per prendere il proprio lavoro sul serio, leggere i numeri per costruire una chiave di lettura e trovare la sintesi dell’agire. Insieme. Politica, insomma.

Sul cemento, invece, vale la pena fare qualche riflessione in più. Anzitutto, sui numeri. Infatti, si potrebbe pensare che l’aumento del numero degli edifici sia proporzionale a quello rilevato per la popolazione italiana. Purtroppo, non è così. All’11% di incremento (pari a oltre 1.500.000 edifici in più rispetto a 10 anni fa), la popolazione italiana è cresciuta solo del 4,3%. Più o meno la stessa proporzione che si rileva considerando un altro denominatore, quello delle abitazioni, cresciuto meno del 6%.

Con ciò l’Istat non fa altro che confermare una condizione allarmante che da molto tempo associazioni e movimenti politici (molti dei quali però fuori dal Parlamento) denunciano instancabilmente. Solo pochi mesi fa, FAI e WWF avevano ricostruito la drammatica situazione del consumo di suolo in un dossier intitolato “Terra Rubata – Viaggio nell’Italia che scompare”. Nel rapporto appare ancora più evidente la gravità delle ripercussioni determinate da politiche pro-cemento; in particolare, attraverso il graduale smantellamento da parte dei governi Berlusconi non solo di auspicate “logiche pianificatorie” (vengono in mente le parole di Adriano Olivetti: “L’urbanistica reclama la pianificazione”), sostituite dal concetto di “mera realizzazione” (alla base della c.d. “Legge Obiettivo” e dei provvedimenti approvati dal 2001 al 2006), ma anche di un rigido sistema di controlli e verifiche. Un’Italia letteralmente erosa, che al ritmo di consumo attuale nei prossimi 20 anni rischia di perdere altri 600mila ettari di suolo. In altre parole, un quadrato di 6.400 Kmq.

Nel post anche le linee guida per le proposte.

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Le formiche svizzere e la difesa del territorio

Poche settimane fa in Svizzera si è votato per alcuni referendum (ce lo racconta Massimo Pillera): …riguarda la limitazione a costruire seconde case o case vacanza. Un vero e proprio limite che impedisce di fatto la costruzione nelle zone di montagna e nelle valli, limitando al 20% di un Comune l’area di potenziali costruzioni. Poiché ogni Comune ha già delle seconde case, le possibilità rimanenti in tutta la Svizzera sono molto limitate. Formiche al lavoro quindi che impediscono la cementificazione del territorio già complicata in quel paese. Pensate che prima di farsi approvare un progetto per edificare, è necessario “piantare i pali”, cioè simulare ciò che verrà costruito, con dei pali che descrivono esattamente larghezza, lunghezza ed altezza del progetto. In questo modo chiunque vive nelle vicinanze può capire se la costruzione simulata da questa leggera impalcatura virtuale, può toglierti panorama, o impedirti di vedere altre case, o limitarti ore di esposizione al sole. Il cittadino quindi può impedire la realizzazione di questo progetto oppure, decidere di non ricorrere se il costruttore risarcisce l’eventuale danno. Possono opporsi naturalmente anche organizzazioni di quartiere o associazioni che abbiano interesse culturale a mantenere un assettopanoramico storico. Insomma una Valutazione di impatto ambientale strategica affidata direttamente ai cittadini ed ai residenti della zona. Solo dopo aver superato questo test, è possibile richiedere al Comune tutte le autorizzazioni a costruire. Grazie a questo sistema, oggi esiste in Europa un territorio come l’Appenzell, che visto dall’alto appare come enorme distesa di verde cangiante inframmezzata da cime e laghi, con qualche villaggio e casette inserite qua e là, collegata da piccole striscioline mai lineari che rappresentano le strade. Una regione dove le case sembrano quelle delle favole, poiché le abitazioni non superano l’altezza di un metro e ottanta centimetri (per esigenze di riscaldamento e non spreco energetico). Un posto dove anni fa il megacampione di Formula 1, Michael Schumacher, voleva costruire una villa con annesso circuito di prova per auto e dopo aver “piantato i pali” fu costretto a scappar via perché altrimenti il popolo li avrebbe piantati chissà dove.

Eppure la costruzione avrebbe comportato interessanti investimenti, indotto turistico, esposizione mediatica (pensate alla villa di Clooney sul lago di Como), a fronte di un raro disagio dal suono “roarr” che il pilota avrebbe provocato durante le sue poche permanenze nel luogo. Invece niente, nonostante il clamore austro-elvetico sulla vicenda il Campione non riuscì ad ottenere alcuna autorizzazione. Gli appenzellesi difesero il silenzio e l’aria pulita di quei luoghi, come i loro antichi parenti. Ancora oggi per tradizione, in Aprile, le votazioni cantonali ed i referendum si tengono nella piazza all’aperto e per alzata di mano, anzi di spadino.

Tanto per dire le differenze. No?

Consumo di suolo e urbanistica liberista

Non avrà la cultura urbanistica ufficiale legittimato, consapevolmente o meno, il modello del neoliberismo? A mio parere sì, in particolare con l’appoggio, o addirittura l’invenzione, di pratiche e di parole d’ordine che hanno legittimato le ideologie da cui ha tratto alimento. Accenno ad alcune espressioni che di queste ideologie sono il risultato operativo: l’”urbanistica contrattata” (o concertata) come strumento per sottrarre il rapporto tra il pubblico (l’ente territoriale elettivo) e il privato (immobiliarista e/o proprietario) alla trasparenza e alla subordinazione del secondo al primo; la perequazione e la compensazione come riconoscimento, premio e incentivo alla formazione di plusvalori fondiari; i “programmi speciali” e gli “accordi di programma” in deroga alla pianificazione ordinaria; e infine i “diritti edificatori”, mera invenzione degli urbanisti (PRG di Roma) e causa del riconoscimento pratico dell’impossibilità di ridurre previsioni eccessive di edificabilità dei piani urbanistici. E vorrei aggiungere anche l’errore culturale e pratico commesso con l’introduzione dell’interesse degli investitori come componente legittimamente riconoscibile nella decisione della quantità dell’espansione urbana, fino a farne una componente del fabbisogno edilizio. La mia ferma opinione è che non sia sufficiente combattere l’espansione edilizia, ma occorra al tempo stesso difendere il territorio rurale dall’urbanizzazione non strettamente necessaria. Ciò significa collegare le mille vertenze aperte per combattere il consumo di suolo urbano con quelle, aperte in tutto il mondo, per la difesa delle utilizzazioni agro-silvo-pastorali d’interesse delle popolazioni insediate, per contrastare sia l’irragionevole espansione della “repellente crosta di cemento e asfalto” sia il land grabbing e la sostituzione di colture basate sul valore di scambio sul mercato internazionale anziché sul valore d’uso dell’alimentazione sana e risparmiatrice di energia. (Edoardo Salzano su Il Giornale dell’Architettura, marzo 2012)

L’antimafia che funziona: la difesa del suolo

Nella medesima sera di martedì 4 ottobre, mentre il Consiglio Comunale di Monza ha adottato la mega variante con i suoi 4 milioni di metri cubi edificabili (qui l’articolo di Vorrei), a Desio l’assessore Daniele Cassanmagnago ha avviato in commissione urbanistica l’iter procedurale di variante al piano vigente, delineando un indirizzo diametralmente opposto.

La variante cancella infatti il 60% della superficie che il piano in vigore, approvato dalla precedente amministrazione Pdl-Lega, destinava ad ulteriore urbanizzazione e restituisce all’agricoltura, al verde pubblico e alla non trasformazione più di 1 milione di metri quadri.

Non ci sono precedenti nella storia urbanistica di Desio: in regione Lombardia un qualcosa di simile era avvenuto nel 1993 a Monza, dove una bozza di piano affidata all’architetto Benevolo prevedeva la cancellazione di 3 milioni di metri cubi edificabili. Questo piano nasceva nel contesto movimentato di tangentopoli, anni in cui finirono sotto inchiesta giudiziaria anche alcuni amministratori monzesi, tra cui l’ex Sindaco Rossella Panzeri.

Come era avvenuto a Monza, anche Desio ha recentemente attraversato un mandato amministrativo movimentato e costellato di inchieste giudiziarie che hanno portato allo scioglimento del Consiglio Comunale. Nella cittadina brianzola si accesero i riflettori delle inchieste giornalistiche e televisive che portarono alla luce evidenti segnali di infiltrazioni mafiose. La città scoprì di avere il territorio decorticato e disseminato di discariche abusive e un Pgt, da poco approvato, con in previsione il 10% di consumo di suolo, un parametro raddoppiato rispetto all’indicazione del piano provinciale (PTCP).

La nuova amministrazione eletta in primavera si è assunta l’impegno di riportare Desio in standard più umani di vivibilità: “Il Piano urbanistico non può essere un patto esclusivo con gli imprenditori immobiliari da cui escludere la grande massa degli altri cittadini, la maggior parte dei quali vuole una città funzionante e vivibile e che mai chiederà un permesso di costruire” Dice Daniele Cassanmagnago. “E’ un’idea che rifiutiamo perché antiliberale, antisociale, in definitiva antiurbana, che pretende di privatizzare scelte che riguardano beni per loro natura “collettivi”.

Qui la presentazione di Daniele. Senza altri orpelli se non la buona politica.

Mantenere le promesse: dopo la legge-legalità, il consumo di suolo

Mentre proseguono i lavori per vigilare l’attuazione della recente legge sull’educazione alla legalità licenziata dal Consiglio pochi giorni fa, tra i punti fondamentali affrontati durante la campagna elettorale c’è il progetto di legge (di iniziativa popolare) presentato da Legambiente Lombardia per normare il contenimento del consumo di suolo e la disciplina della compensazione ecologica preventiva. La legge si propone di limitare il consumo di suolo, riqualificare i suoli non edificati, dare primato alla formazione di natura e paesaggio, compensazione ecologica preventiva, promuovere un’urbanizzazione sostenibile e responsabile: obbiettivi che nella Regione regina della cementificazione sembrerebbero utopia.

Eppure c’è una buona notizia. Piccola ma che accende un lume e intanto pone la questione in termini politici. Elaborare una legge bipartisan che raccolga norme per il contenimento del suolo e fissi regole di mitigazione ambientale per le nuove attivita’ di edificazione è l’orizzonte di lavoro del gruppo tecnico nato all’interno della commissione Territorio e che si riunira’, per la prima volta, giovedi’ prossimo. Un comitato ristretto che ricalca le modalità di lavoro per la “legge-legalità” e che vede al proprio interno un rappresentante per ogni partito (e di cui, ovviamente, faccio parte anch’io) per velocizzare il percorso di analisi e di costruzione.

Un primo passo.

Per approfondire http://it.wikipedia.org/wiki/Consumo_di_suolo

Un impegno per l’ambiente da portare in Regione

Come mi è capitato spesso di ripetere durante questo inizio di campagna elettorale sono convinto che la mia candidatura e il mio eventuale ruolo in Regione Lombardia debbano significare soprattutto l’essere il portatore responsabile delle proposte del mondo dell’associazionismo e della cittadinanza attiva che da anni lavorano per il territorio. Per questo ho studiato con attenzione il progetto di legge degli amici di Legambiente Lombardia e, fin da subito, ho deciso di assumermi l’impegno di garantire il mio personale sostegno perchè possa diventare quanto prima legge a tutela dell’ambiente. della qualità della vita e delle generazioni future della Lombardia. Credo che le associazioni siano l’espressione più democratica delle “primarie” tra i cittadini poichè si costruiscono la propria credibilità solo con il consenso del territorio. Questa sarà la prima di una serie di proposte di legge che annunceremo in campagna perchè sia scritta chiaramente la nostra attività all’interno del Consiglio Regionale, riprendendo l’invito che fece già Micromega di dichiarare fin dalla campagna elettorale i propri obbiettivi senza proclami, slogan o linee guida confuse e inconsistenti.

PROGETTO DI LEGGE N. 0409
di iniziativa di Damiano Di Simine Presidente LegambienteLombardia

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“Norme per il contenimento del consumo di suolo e
la disciplina della compensazione ecologica preventiva”.

Per lungo tempo l’attività edilizia, in un passato ormai lontano, è stata strettamente associata ad una contestuale attività di costruzione di spazi urbani di convivenza e di socialità, nonché di produzione e scambio economico connesso ad una attività agricola e forestale di cura del suolo.

Da tempo questa contestualità è venuta meno: gli edifici spesso si appoggiano alle infrastrutture come oggetti isolati, senza costruire spazi urbani e l’attività edificatoria è ormai totalmente separata dall’attività di cura del suolo. Le stesse infrastrutture si appoggiano alla terra senza che ci si domandi quali rapporti mutano e quali effetti producono.

E’ quindi urgente riattivare un circuito virtuoso tra attività edilizia e ricostruzione della natura, non solo per ragioni ecologiche, di per sé già sufficienti, ma anche perché gli spazi aperti con forte contenuto naturalistico sono oggi più che mai elementi decisivi per definire l’abitabilità, la vivibilità e la qualità di un territorio. Essi, combinandosi con la conduzione agricola nel disegno di un territorio, devono concorrere a ripristinare un paesaggio in cui le comunità ritrovino le coordinate di una identità smarrita nella crescita senza freni degli ultimi decenni.

L’obiettivo di questo progetto di legge è pertanto duplice:

– da un lato limitare l’uso edificatorio del suolo, evitando di produrre in tutto il territorio disponibile livelli di urbanizzazione che in alcune parti della regione hanno già raggiunto la non sostenibilità,

– dall’altro legare ogni attività edificatoria su suolo libero ad una contestuale attività di costruzione di natura e di ambiente negli spazi aperti.

La presente proposta di legge intende informare l’attività edilizia ad un principio di responsabilità: ogni trasformazione territoriale che determini alterazione o copertura permanente di suolo deve farsi carico dell’impatto determinato sull’ambiente in cui viene consumata una quota di risorsa-suolo. Ogni ipotesi di trasformazione si accompagna così ad un processo di valutazione della sostenibilità dell’intervento che la richiama.

Questo processo, riferito al momento della pianificazione, si traduce in una attenta valutazione sulla reale necessità di trasformare irreversibilmente un determinato suolo, anziché localizzare la funzione prevista in aree dismesse o sottoutilizzate.

Quando, alla fine del processo di valutazione, si giunge alla conclusione che l’occupazione di suolo libero sia inevitabile, interviene, nel progetto di legge, l’obbligo a carico del trasformatore di controbilanciare tale impatto a carico del trasformatore (pubblico o privato che sia), cedendo alla collettività – in altri lotti, in un intorno territoriale limitato al Comune – un credito ecologico.

Questo credito ha la funzione di compensare quella sottrazione di valori ambientali e paesaggistici connessi all’esistenza di una data porzione di suolo e che, pur con tutte le soluzioni mitigative poste in essere in fase progettuale, rimane da risarcire.

La compensazione ecologica preventiva agisce su due fronti: da un lato disincentiva il consumo di suolo e dall’altro trasferisce risorse al potenziamento e al consolidamento delle funzioni ambientali dei suoli liberi.

Il processo compensativo appena descritto è assimilabile a quella che fu l’introduzione degli oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei servizi pubblici urbani. Se nel passato vi è stata necessità di condizionare il permesso di costruire alla fornitura di beni sociali (infrastrutture e servizi) necessari per l’abitare, oggi – in un periodo di evidente deficit ambientale ed ecologico e di risorse territoriali in genere – è indispensabile attribuire ad ogni trasformazione di suolo libero una responsabilità ambientale che si traduca in una sorta di onere ecologico, attraverso il quale si possa generare nuova natura, altrove rispetto alla trasformazione, concorrendo a generare una dotazione ambientale.

L’esigenza di minimizzare il consumo di suolo, spesso associata all’idea di migliore utilizzo dell’esistente, è già contenuta in diverse fonti legislative. Non esiste però una norma che, in tal senso, vada oltre il valore di indirizzo o orientamento.

La presente proposta di legge scaturisce dalla necessità di conferire cogenza a idee ormai ampiamente condivise, la cui attuazione pare non più eludibile. Infatti oggigiorno l’espansione urbana avviene a spese di territori che in molte zone della regione sono le ultime aree disponibili e che, più in generale, l’erosione di valori ecologici e identitari, connessa alla compromissione di suolo e paesaggio, genera seri problemi ambientali, ma anche di coesione sociale e riconoscimento comunitario, traducibili anche in un danno economico. Siamo di fronte ad una progressiva perdita di patrimonio comune non ripristinabile, rispetto alla quale il legislatore è chiamato ad introdurre regole nuove, a tutela delle attuali e delle future generazioni.

Trattando di consumo di suolo, appare utile completare questa relazione con una definizione di “suolo”, che tra le tante disponibili, ci sembra la più pertinente: ‘il prodotto della trasformazione di sostanze minerali e organiche, operata da fattori ambientali attivi per un lungo periodo di tempo sulla superficie della Terra, caratterizzato da specifica organizzazione e morfologia, capace di provvedere allo sviluppo delle piante superiori e, pertanto, di assicurare la vita all’uomo e agli animali’. Tale definizione, tratta dalla vasta letteratura di scienze del suolo, ha oggi, nel nostro Paese, rilevanza meramente accademica, in quanto a tutt’oggi la nostra legislazione non attribuisce al suolo uno specifico ‘statuto’, che ne giustifichi una tutela in quanto risorsa ambientale limitata, non rinnovabile e pienamente ascrivibile alla categoria dei beni comuni, e che pertanto informi, tra le altre, la disciplina relativa alle trasformazioni delle superfici fondiarie.

Questa proposta di legge si muove nella direzione di un riconoscimento anche culturale prima che formale del bene suolo, con la consapevolezza che riconoscere a questa risorsa il pieno significato di ‘patrimonio comune’ (in questa sede come appannaggio della comunità regionale ma estendibile all’intera umanità, ferma la definizione di cui sopra) costituisce un imperativo non più rinviabile di riforma legislativa, che deve poggiare su adeguati principi di diritto nazionale e internazionale.

Non si tratta di introdurre nella legislazione lombarda una innovazione assoluta, poiché in Europa operano già da tempo leggi che attuano i medesimi principi, affrontando la tutela del suolo su un piano di regole, azioni e obiettivi, e dove il principio della compensazione ecologica preventiva è già strumento pienamente operativo.

LA PROPOSTA DI LEGGE COMPLETA QUI