Vai al contenuto

cure

Elly Schlein a TPI: “Io segretario Pd? Sto bene dove sto. Sui migranti troppe ambiguità, ci vuole più coraggio”

Vicepresidente della Regione Emilia Romagna ed ex europarlamentare, Elly Schlein fondato le liste “Coraggiosa” hanno corso alle ultime elezioni amministrative con buoni risultati. TPI l’ha intervistata su Ue, politiche migratorie e futuro del governo.
L’Europa dice “superiamo gli accordi di Dublino” e poi esce con questa solidarietà invertita tra stati del Migration Pact. Che ne pensi?
È un errore strategico perché, al di là della dichiarazione del volere abolire il regolamento di Dublino, non risolve il nodo fondamentale che solo la riforma approvata dal parlamento nel 2017 risolveva: cioè un ricollocamento automatico per condividere equamente tra gli stati la responsabilità sull’esame delle richieste di asilo, valorizzando i legami delle persone. Quello è il tema. Mi sembra un piano deludente perché in questo modo mette da parte il lavoro fatto dal parlamento e approvato dalla maggioranza e che poteva essere utilizzato anche per convincere i governi dentro al consiglio a votare, anche a maggioranza qualificata. E invece ripropone l’idea molto vecchia della solidarietà flessibile. Un’operazione culturalmente molto pericolosa è mettere sullo stesso piano i ricollocamenti (e quindi la condivisione dell’accoglienza) e la sponsorizzazione dei rimpatri. Mi sembra che lasci le mani libere a quei governi che si sono dimostrati molto interessati alla solidarietà europea quando vuol dire fondi strutturali e assolutamente indisponibili quando si tratta di un’altra forma di responsabilità europea che è quella che già i trattati chiedono sull’asilo e sull’accoglienza. Mi sembra anche un errore strategico perché anziché farsi forte di una posizione già approvata dal parlamento si riparte da zero con una proposta che non risolve il tema della solidarietà obbligatoria.

L’Europa dice che è solidarietà obbligatoria perché comunque devi dare un contributo…
Cosa sceglieranno i paesi del blocco di Visegrad tra i ricollocamenti e tra il dare un po’ di soldi per fare i rimpatri o dare altro supporto operativo? C’è poi un’altra preoccupazione che sono le procedure accelerate alle frontiere che sembrerebbero aumentare il carico di lavoro ai paesi di confine come l’Italia e soprattutto non si capisce basate su cosa. La convenzione di Ginevra chiede un pieno esame individuale delle domande d’asilo e se tu fai una procedura accelerata – magari basata sul concetto molto discrezionale di paese terzo sicuro – rischi di costituire un filtro d’ingresso che nega il permesso di asilo a seconda del paese da cui provieni. Non mi sembra un passo avanti. Mi sembra un passo indietro. Perfino la commissione Junker, anche se con soglie altissime, faceva scattare un obbligo di ricollocamento per tutti i paesi europei. Al governo italiano spetta un difficile negoziato in cui trovare alleati sui ricollocamenti obbligatori.

In Italia qualche giorno fa hanno bloccato la Mare Jonio ed è la sesta nave ferma in porto per questioni burocratiche anche piuttosto discutibili. I decreti sicurezza rimangono sempre lì e Lamorgese ha parlato di possibili profili penali per le Ong. Come siamo messi qui da noi a criminalizzazione della solidarietà?
Evidentemente male. Mi sembra che ci sia ancora troppa ambiguità in relazione all’obbligo di ricerca e soccorso in mare e non mi sembra che si sia risolto il tema facendo la guerra a coloro che cercano di sopperire alle mancanze istituzionali. Non si sta discutendo di rimettere in mare un’operazione di ricerca e soccorso istituzionale come è stata Mare Nostrum, no, e a fronte di questo a maggior ragione è sbagliato criminalizzare chi si sta occupando di salvare vite in mare che è un obbligo giuridico e morale. Male.

Troppe ambiguità anche da parte di questa maggioranza. Spero possa risolverla in modo diverso anche con la modifica di questi decreti sicurezza che davvero stiamo aspettando da troppo tempo. Era il primo segnale necessario di discontinuità del governo Conte e ne stiamo parlando ancora dopo un anno. È importante che arrivi in fretta e che corregga non solo la criminalizzazione delle Ong ma anche gli altri profili gravissimi come quello che tendeva a smantellare l’unico sistema di buona accoglienza che è quello diffuso, che rifiuta la grande concentrazione di persone dove spariscono i diritti e spesso si infila l’ interesse economico, quello che privilegia le piccole soluzioni abitative distribuite sul territorio con adeguati servizi di inserimento nella società e con adeguati controlli da parte delle amministrazioni locali e con trasparenza sull’utilizzo dei fondi. Chi ha scritto i decreti sicurezza privilegiando le grandi concentrazioni rispetto all’accoglienza diffusa è proprio chi vorrebbe fare dell’accoglienza un business, calpestando i diritti. Con un po’ di coraggio in più questa maggioranza dovrebbe riscrivere complessivamente le leggi sull’immigrazione rimediando ai disastri delle destre che hanno prodotto irregolarità e ingiustizia, non certo inclusione e sicurezza per le comunità.

Molti ti vorrebbero segretaria del Pd ma le tue liste “Coraggiosa” hanno corso alle amministrative ottenendo ottimi risultati. Hai intenzione di continuare su questa linea o pensi che si possa pensare a un partito di centrosinistra che tenga insieme tutto?
Noi stiamo bene dove stiamo. Anzi, in una tornata che ha segnato dei risultati importanti ma non brillanti per le forze progressiste e la sinistra siamo rimasti positivamente sorpresi che le liste di coraggiosa abbiano avuto una crescita significativa. a Faenza abbiamo fatto il 7,22 per cento, a Vignola abbiamo avuto una crescita del 145 per cento rispetto alle regionali di 8 mesi fa. A Imola è andata bene, siamo cresciuti al 5 per cento. Quindi in una tornata in cui il centrosinistra si è difeso bene ma non c’è stata una crescita in valori assoluti, “Coraggiosa” è in controtendenza forse perché stiamo provando a dare una chiarezza di visione che in questo momento a livello nazionale manca. Stiamo cercando, dentro le coalizioni, di contribuire a fermare la destra ma qualificando la nostra proposta sui temi della lotta alle disuguaglianze e alla transizione ecologica, due temi su cui chi si sta mobilitando anche fuori dalla politica è stufo di titubanze e di ambiguità. Questo può essere anche uno spunto importante per le forze che formano questa maggioranza. Sui temi del clima, dell’immigrazione e del lavoro di qualità bisogna che si sblocchi questo governo. Su giustizia sociale e transizione ecologica questo governo può fare fronte comune e fare un balzo in avanti. “Coraggiosa” non ha mai avuto l’ambizione di essere un nuovo partito o una sigla in più, ha sempre avuto l’ambizione di scuotere l’intero campo delle forze ecologiste e progressiste pretendendo chiarezza nella visione condivisa di futuro. Unità sì ma non ha senso se non è accompagnata dalla coerenza di un progetto condiviso. Quindi per ora noi continuiamo a stare dove stiamo e continueremo su questa strada.

Come vedi il futuro del governo?
I risultati elettorali danno un respiro ampio ma non per stare fermi, guai a sedersi sui risultati. Quei risultati consegnano la responsabilità alle forze di governo di rilanciare in avanti. Abbiamo un’occasione straordinaria, le risorse in arrivo vanno utilizzate coinvolgendo i territori e le parti sociali, non è un sfida di governo, è una sfida che riguarda il paese. Quelle risorse ci danno l’occasione di ricostruire il paese su basi nuove, possiamo risolvere alcuni ritardi accumulati nei decenni.
Quali sono le priorità?
Transizione ecologica, su cui bisogna investire il 37 per cento delle risorse del Recovery Fund, la trasformazione digitale, su cui bisogna investire il 20 per cento e la coesione sociale. Le priorità indicate dalla commissione europea centrano proprio la congiunzione tra lotta alle diseguaglianze e transizione ecologica che sono i temi su cui insistiamo da tempo. Se il governo avrà la capacità di progettare il nuovo e non semplicemente aprire cassetti polverosi per accontentare qualcuno, si potranno spendere bene. Nei vecchi cassetti ci sono progetti scritti troppi anni fa per riuscire a interpretare i cambiamenti che servono. Io credo che la tenuta di questo governo si misurerà se le forze che lo compongono, piuttosto che continuare a distinguersi, proveranno a lavorare concretamente sui temi che li uniscono. E questi sono i temi su cui possono provare a fare un passo avanti insieme.

Transizione ecologica significa investire su un nuovo modo di spostarsi, una mobilità dolce e sostenibile puntando su ferro, intermodalità e ciclabili, vuol dire creare occupazione di qualità nelle rinnovabili, nell’efficientamento energetico degli edifici e nella prevenzione del dissesto, perché l’unica grande opera che serve al paese è la cura del territorio così colpito dai cambiamenti climatici. E poi investire sulla trasformazione digitale per rimediare i ritardi enormi che abbiamo a partire dalle pubbliche amministrazioni, ma vuol dire riuscire a governare anche processi di innovazione tecnologica per metterli al servizio delle persone, perché non governati hanno prodotto un’enorme concentrazione di ricchezze e saperi. Si dovrà assicurare pari accesso alla rete per chiudere i divari territoriali, e per il privato investire nel digitale vuol dire innovare e contribuire all’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese.

Coesione sociale significa anche fare un enorme investimento sulla scuola, sul capitale umano, sulla formazione a partire dagli asili nido. Investire sui nidi vuol dire rendere più solidi i percorsi educativi contrastando povertà educative e dispersione scolastica, ma significa anche fare politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro indispensabili per colmare il divario occupazionale delle donne, favorendo una migliore distribuzione del carico di cura. Dopo la crisi del 2008, le ricette hanno reso il lavoro più precario, specie per donne e giovani. Oggi dobbiamo evitare quegli errori e ricostruire su basi diverse. Non abbiamo più scuse, le risorse ci sono.

Leggi anche: TPI intervista Elly Schlein, campionessa di preferenze in Emilia-Romagna: “Vi racconto la nuova sinistra che può battere Salvini”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Dal Conte 1 al 2 la criminalizzazione della solidarietà delle Ong continua a gonfie vele…

Ci sono molti modi per boicottare i salvataggi in mare. Si può fare smargiassando e usandolo come tema di propaganda politica, come fece a suo tempo il ministro dell’interno Salvini che ancora continua sulla stessa lunghezza d’onda ma si può fare anche sotto traccia, in un modo perfino più subdolo, agitando la clava della burocrazia al posto della clava della paura ma ottenendo il medesimo effetto. Nel secondo caso si deve avere anche un bel pezzo del mondo dell’informazione che accetti di farti passare per il buono, perfino per l’avversario politico delle politiche di Salvini e bisogna contare su una buona dosa di indifferenza cosicché i fatti vengano taciuti, tenuti sotto traccia, sminuiti.

Siamo al governo Conte bis, quello che aveva promesso discontinuità con il governo giallo verde proprio sul tema dei diritti umani dell’immigrazione e siamo ancora qui, più di un anno dopo, a osservare un governo che mantiene le stesse politiche (la mancata abolizione dei decreti sicurezza di Salvini di fatto non ha spostato di una virgola le regole, nonostante le tante belle parole) e negli ultimi giorni stiamo assistendo a un’inquietante ascesa di casi di navi che vengono fermate. Badate bene: non ci sono urlati e minacce, no, no. Qui si tratta di carte bollate. Ma il risultato è lo stesso.

Ieri a rimanere bloccata è stata la Mare Jonio, la nave dell’Ong Mediterranea che ha ricevuto un diniego all’imbarco a bordo di due membri: un paramedico soccorritore e un esperto di ricerca e soccorso in mare del Rescue Team di Mediterranea Saving Humans. Secondo Donato Zito, comandante della Capitaneria, «i loro profili non hanno alcuna attinenza con la tipologia di servizio svolto dalla Mare Jonio». È un furbo escamotage di scartoffie: la Mare Jonio (come praticamente tutte le navi umanitarie) è registrata come mercantile con funzioni di cargo, monitoraggio e sorveglianza e il registro navale italiano le ha riconosciuto una notazione in classe come nave attrezzata per la ricerca e il soccorso. Tutto bene, quindi? No, perché la Guardia Costiera invece non riconosce quello status e ecco che la Capitaneria trova il ganglo per bloccare l’imbarco dei due tecnici. «Inoltre – si legge ancora nel provvedimento – l’imbarco dei soggetti sopra menzionati risulta in netto contrasto anche con le precedenti diffide notificate». Sì, perché dal 9 giugno a oggi sono ben quattro le diffide notificate. La Ong Mediterranea non ha dubbi: «Si tratta, evidentemente, di una mirata persecuzione amministrativa e giudiziaria che nasce da una precisa volontà politica del Governo…».

Qualche giorno fa la Capitaneria di Porto di Palermo ha deciso il fermo amministrativo della nave Sea Watch dopo ben 11 ore di accuratissima ispezione a bordo e uno dei motivi avanzati sarebbe stato «l’eccessivo numero di giubbotti di salvataggio a bordo». Anche allora le parole del responsabile affari umanitari di Medici Senza Frontiere Marco Bertotto fu chiaro: «Le autorità italiane – dichiarò – provano a fermare le organizzazioni umanitarie – che cercano solo di salvare vite in mare come richiesto dal diritto marittimo internazionale – mentre disattendono i loro stessi obblighi di soccorso, con l’assenso se non il pieno appoggio degli stati Europei».

Il fermo della Mare Jonio di ieri è il sesto fermo amministrativo negli ultimi cinque mesi da parte delle autorità italiane. Tutto questo mentre dall’inizio del 2020 quasi 8mila rifugiati e migranti sono stati intercettati in mare e riposatamente nelle prigioni libiche dalla Guardia costiera libica, quella che profumatamente paghiamo per fare il lavoro sporco. Ad agosto sono state dichiarate morte e disperse 111 persone, quasi 400 da inizio anno. In tutto questo la ministra Lamorgese nei giorni scorsi ha dichiarato che le sanzioni alle Ong potrebbero “diventare penali”. Tutto questo mentre l’Europa si arrabatta per costruire una solidarietà tra Stati, dimenticandosi delle persone, con il Migration Pact.

Intanto quei torturatori che si fanno chiamare Guardia costiera libica continuano indisturbati il loro lavoro e i lager libici mietono vittime. E allora viene da chiedersi: ma siamo sicuri che il problema fosse solo Salvini? O semplicemente bisognava semplicemente imparare a fare il lavoro sporco in modo pulito, sottovoce, senza social? Una cosa è certa: la criminalizzazione della solidarietà continua a gonfie vele.

L’articolo Dal Conte 1 al 2 la criminalizzazione della solidarietà delle Ong continua a gonfie vele… proviene da Il Riformista.

Fonte

Solidali a respingere

C’era grande attesa per il il nuovo Patto europeo per le migrazioni e l’asilo, il Migration pact che ieri Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, ha presentato in pompa magna. C’era anche molta attesa visto che proprio la presidente nei giorni scorsi aveva annunciato il superamento del Regolamento di Dublino che da tempo rende iniquo l’approccio degli Stati europei nei confronti delle migrazioni.

La presidente ha parlato di “un nuovo inizio” (che è una frase che qui in Italia risuona con l’odore stantio dei decreti sicurezza che continuano a rimanere in vigore) parlando di “solidarietà europea”. In cosa consiste?

Rimane il principio del Paese di primo ingresso che dovrà svolgere tutte le pratiche burocratiche e sanitarie. Dice l’Europa che però nel giro di pochi giorni saranno prese “veloci decisioni di asilo e di rimpatrio”, con l’intento di velocizzare l’esame delle domande d’asilo. Diventa difficile pensare che la ricerca di rapidità non comprima ulteriormente i diritti che già spesso vengono calpestati. Ma tant’è.

E allora dov’è la solidarietà? È una solidarietà al contrario, la solita, dell’Europa che si chiude. Il vicepresidente della Commissione, Schinas, ha ripetuto più volte la definizione di “sponsorship sui rimpatri”. Spiega Schinas: «La nuova idea di sponsorizzazione dei rimpatri servirà a riequilibrare interessi concorrenti: non tutti gli Stati membri accetteranno la ricollocazione dei migranti con questo sistema offriamo un’alternativa percorribile: se non si decide di accogliere si può aiutare nel rimpatrio». In sostanza: se un Paese non vuole accogliere deve aiutare gli altri a rimpatriare. Una nuova solidarietà europea che li vede tutti uniti a respingere. Il piano è sempre lo stesso: solidali tra Stati a contenere gli arrivi e ancora più perfomanti nei respingimenti. I “ricollocamenti”, quelli che dovevano essere “automatici” dopo gli accordi di Malta e che sono rimasti lettera morta, continuano a rimanere un’utopia.

E un programma di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo? Niente. L’apertura di canali umanitari (e legali)? Niente. Interrompere la criminale cooperazione con la Libia? Niente. Collocamenti automatici? Niente. Sanzioni? Niente.

Siamo alle solite: una decisione a respiro cortissimo e una solidarietà che no, non ce la fa proprio a guardare a quelli che vengono dal mare.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lo Ius Soldi

C’è chi deve aspettare anni per ottenere la cittadinanza italiana, e chi 10 minuti

Il calciatore del Barcellona Luis Suarez, l’avrete sentito ieri sicuramente, aveva bisogno della cittadinanza italiana per brigare il suo trasferimento a un’altra squadra e per facilitare la propria carriera. Aveva la parentela giusta ma avrebbe dovuto sostenere l’esame di italiano. Si presenta all’Università per Stranieri di Perugia e ovviamente è un trionfo.

Peccato che secondo la Procura di Perugia l’esame sia stato concordato e addirittura il voto finale fosse stato stabilito prima ancora di sostenere l’esame. Dalle carte dell’inchiesta si legge che «quello non spiaccica ‘na parola, coniuga i verbi all’infinito, ma te pare che lo bocciamo», si dicono i professori, anche perché dicono sempre loro «con 10 milioni a stagione di stipendio, non glieli puoi far saltare perché non ha il B1». Sui social i professori si sono fotografati tutti sorridenti con il celebre studente.

E dov’è lo scandalo?, direte voi. Semplice. In Italia per prendere la cittadinanza ci vogliono fino a quattro anni, normalmente. Merito, neanche a dirlo, anche del decreto sicurezza del fu Salvini che ha allungato da due a quattro anni i tempi del procedimento. Suarez in 15 giorni ha fatto quello che una persona normale riesce, se riesce, a fare in quattro anni con pratiche molto macchinose che spesso richiedono l’ausilio perfino di un avvocato.

Scrive una professoressa: «In qualità di docente di italiano L2 conosco le lungaggini burocratiche, legate alla richiesta della cittadinanza, le quali inducono spesso molti stranieri a evitare di farne richiesta; fatto salvo il caso di taluni che pare godano di corsie preferenziali».

Poi c’è l’esame: quello di Suarez è durato qualche decina di minuti. Un mostro, in pratica. Scrive Gavin Jones, corrispondente Reuters in Italia che l’ha sostenuto: «Leggo che #Suarez ha ottenuto il certificato B1 di conoscenza dell’italiano ieri in mezz’ora. Per caso anch’io ho dato lo stesso esame ieri (per ottenere la cittadinanza). Dura 2 ore e 45’. Farlo in mezz’ora è impossibile – anche per Dante, ma sicuramente per Suarez».

E quindi cosa è successo con Suarez? Semplice: l’attaccante del Barcellona ha ottenuto lo Ius Soldi, ovvero un diritto che, come troppo spesso accade, non viene attribuito per merito ma per interesse economico. E non capita solo agli stranieri, e non capita solo nelle questioni di cittadinanza. E sarebbe interessante aprire un dibattito sulla ricchezza (e la notorietà) che unge i gangli della burocrazia. Siamo sempre lì. Siamo sempre qui.

Buon mercoledì.

(la geniale definizione di Ius Soldi è di Matteo Grandi)

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La classe dirigente sommersa

Insegnanti, bidelli, autisti dei mezzi pubblici. La pandemia ha evidenziato l’importanza del ruolo pubblico di questi ed altri lavoratori. E la loro responsabilità nel dettare la crescita sociale del Paese che verrà

Primo giorno di scuola in buona parte d’Italia. Fioccano i commenti, le interviste a volte un po’ leziose a genitori e ai ragazzi, si moltiplicano i racconti e accade che moltissime scuole in Italia, ancora una volta, si siano arrangiate e abbiano fatto i salti mortali per applicare regole incerte (e piuttosto contestabili) e protocolli che spesso rimangono lettera morta perché si scontrano con una realtà che è spesso molto diversa da quella discussa in certi ambienti ministeriali.

Però è stato il primo giorno di scuola e ieri, nell’aria, si respirava la speranza che la scuola riparta davvero, che un po’ di normalità possano godersela anche i nostri figli, quei giovani che per mesi sono scomparsi dal radar dell’informazione per tornarci solo qualche settimana nella veste degli untori.

Però il primo giorno di scuola ci racconta ancora una volta qualcosa che sembra difficile raccontare: gli insegnanti, gli operatori della scuola, chi si occupa degli spostamenti dei nostri ragazzi, chi si occupa della loro sicurezza (mica solo in tempi di pandemia) e chi si occupa della loro istruzione e della loro formazione culturale (non solo in tempo di pandemia) sono classe dirigente di questo Paese, nel seno pieno del termine, sono quelli che hanno la responsabilità di dettare la crescita sociale (e politica e economica) del Paese che verrà. E ieri, complice il coronavirus, ci si è accorti che un pezzo importante delle famiglie sta negli istituti scolastici, quei palazzotti spesso decadenti a cui si fa sempre troppo poco caso.

Ricordo quando uno dei miei figli andò al suo primo giorno di scuola, lo ricordo perfettamente. Ricordo l’arrivo all’istituto, era il periodo delle minacce, della paura e della scorta e ricordo quei minuti all’ingresso mentre lo tenevo per mano, Ricordo perfettamente che un collaboratore scolastico venne fuori, da me e lui e i carabinieri e prese per mano mio figlio per portare all’interno dell’istituto e mi ricordo di avere pensato che quell’uomo in quel momento era il più importante rappresentante dello Stato che interveniva nella mia vita, una responsabilità enorme. E avrei voluto dirglielo.

Il punto è questo e non vale solo per la scuola: ci ritroviamo nelle nostre funzioni e nelle nostre professioni a avere responsabilità da classe dirigente e non ce ne rendiamo conto, abbiamo un importante ruolo pubblico, ognuno nel suo mestiere e se ce ne assumessimo l’orgoglio e le responsabilità questo sarebbe un Paese sicuramente più solidale e più unito. E la smetteremmo di delegare, e vedremmo anche quanta orgogliosa responsabilità c’è intorno. Nonostante certa classe dirigente.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Scambiare un omicidio per una rissa

Pregiudizi razzisti e agiografia dei violenti: nel raccontare l’uccisione di Willy Monteiro Duarte una parte del giornalismo italiano ha dato di nuovo il peggio di sé

Insuperabile il Corriere della Sera che descrivendo uno degli arrestati per la morte di Willy Monteiro Duarte scrive: «Ma Gabriele Bianchi, uno dei quattro fermati (insieme al fratello Marco e altri due) per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, nei mesi di lockdown si era posto anche un problema più concreto: come tirare avanti, mettere insieme pranzo e cena. Da giovanotto sveglio e concreto lo sapeva: non potevano essere gli sport da combattimento a dargli una sicurezza economica. Così s’era inventato una vita meno bellicosa, quella del fruttivendolo».

Giovanotto sveglio e concreto: l’agiografia dei violenti ultimamente va per la maggiore e ogni dettaglio utile per sminuire l’accaduto sembra ricercatissimo da certi giornalismi per farci un bell’articolo. Eppure si sta parlando di pregiudicati, conosciuti da tutti come violenti, simpatizzanti dell’estrema destra e che si dedicavano volentieri alle risse. Questo piccolo dettaglio viene omesso.

Del resto i fatti raccontano che Willy Monteiro Duarte sia stato ammazzato di calci e di pugni, ovviamente in molti contro uno, come si conviene ai vigliacchi e sia rimasto lì, morto per terra. “Rissa”, scrivono certi giornali: come se fosse una “rissa” massacrare di botte un ragazzetto che pesa la metà di te insieme ai tuoi amici e contro cui usi le tue tecniche di combattimento imparate per diventare ancora più efficace nella tua violenza.

Poi c’è il racconto che ci dice che Willy Monteiro Duarte e la sua famiglia fossero “ben integrati”. Di grazia, qualcuno vorrebbe dirci che informazione è? Se non fossero stati “bene integrati” sarebbe stato più immaginabile un omicidio del genere?

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e aveva proprio ragione.

Infine c’è la narrazione di chi vorrebbe farci credere che Willy si sia trovato “nel posto sbagliato nel momento sbagliato”. Anche questo è un falso: Willy ha ritenuto opportuno difendere un amico dalla foga e dalla violenza di questi picchiatori professionisti. Willy ha deciso di essere altruista e solidale in un territorio in cui evidentemente è un lusso che non ci si può permettere. Willy ha incocciato uno di quei quartieri presidiati dalla violenza di qualche gruppetto di pestatori professionisti che vorrebbero comandare il territorio. Willy ha fatto la cosa giusta. Siamo noi che gli abbiamo fatto trovare il Paese sbagliato.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Chi difende Willy? Se a uccidere un bianco fossero stati 4 neri sarebbe scoppiato il finimondo

Eppure ci sono dentro tutti gli elementi della propaganda salviniana: c’è una zona che, a detta degli stessi abitanti che la abitano, è completamente sfuggita al controllo delle forze dell’ordine, una zona di quartiere e spaccio, una zona dove spesso accadono atti di violenza. Una zona franca, direbbe Matteo Salvini, che è sempre pronto a prendere parola quando accadono cose di questo tipo. Ci sono persone dedite allo spaccio, alla violenza, che fieramente si mostrano in tutta la loro prepotenza sui loro canali social. I due fratelli Marco e Gabriele Bianchi vengono raccontati come ragazzi che sfociavano spesso nell’uso delle mani, forti della loro preparazione sportiva e di un pensiero in cui la forza diventa una virtù da esibire con cura.

Cè tutta la vigliaccheria di chi se la prende con un ragazzo di 21 anni, Willy Monteiro Duarte, che ha avuto la sfortunata idea di provare a difendere un amico, la sua colpa sarebbe tutta qui, ha avuto l’ardire di sedare una rissa che invece era un fiume di violenza inarrestabile e che si sarebbe sfamato solo con la morte. L’hanno ucciso a calci e pugni, a mani nude, come un in brutto video di quelli che circolano in rete. E Willy era un ragazzo come tanti, con il sogno di giocare nella Roma di cui era tifosissimo e con la passione della cucina. Giovani, italiani, spacciatori, picchiatori, pregiudicati. Sono il prototipo dei nemici di Matteo Salvini, solo che quelli contro cui sbraita Salvini ogni volta devono essere neri e invece questi, per sua sfortuna, sono bianchi.

Ora immaginate questa notizia invertita: immaginate gli editoriali, immaginate i politici sbraitare, immaginate l’emergenza sicurezza scritta su qualche prima pagina, immaginate le pelose descrizioni di quello che rischiamo, immaginate il leader leghista accusare il governo, le istituzioni, magari organizzare una bella fiaccolata. E invece sulla tragedia di Willy non si dice niente, non esce niente. Il caso di Colleferro contiene tutti gli ingredienti per raccontare che la violenza non ha un’etnia, non ha un colore e non ha una fede religiosa e notare la differenza di trattamento che questa notizia ha rispetto alle altre simili è una cosa che fa rivoltare lo stomaco. Invocano sicurezza tutti i giorni, ma hanno bisogno che i protagonisti corrispondano ai loro pregiudizi. Altrimenti non se ne fa niente, questa morte non è usabile, è da scartare, da cacciare via.

Leggi anche: 1. “Vi prego basta, non respiro più”: la testimonianza di una donna che ha visto morire Willy / 2. “Sognava di diventare come Totti”: chi era Willy, il 21enne ucciso dal branco a Colleferro / 3. Dal culto per le arti marziali ai precedenti per spaccio: chi sono gli aggressori di Willy Monteiro

L’articolo proviene da TPI.it qui

Cecilia Strada ha ragione: i negazionisti del Covid non si meritano il servizio sanitario nazionale

No, la questione dei negazionisti che manifestano a Roma contro la dittatura sanitaria, la combriccola di quelli che ci dicono insistentemente che il Covid non esiste, che è tutta un’invenzione, il patetico ritrovo di quelli che vorrebbero abolire l’ordine dei medici e poi ne cercano in fretta e furia uno perché un manifestante viene colto da un malore (un contrappasso da film, roba che nemmeno un drammaturgo riuscirebbe a scrivere così tragicamente comica), non è solo questione di virus, di poteri forti e di complotti orditi da un misterioso ordine mondiale.

Si tratta subito di un attacco frontale al sistema sanitario nazionale, quello stesso sistema che garantisce la cura e la salute esattamente anche a loro, indipendentemente dai loro atteggiamenti irresponsabili e dal loro ammassarsi senza mascherine. L’ha scritto lucidamente Cecilia Strada (che di cure e di salute se ne intende, avendoci dedicato una vita intera): “Ho visto la manifestazione dei negazionisti a Roma. Ammassati, senza mascherine. Non ve lo meritate il Sistema sanitario nazionale. Vi cureranno sempre, ogni paziente ‘con eguale scrupolo e impegno, indipendentemente dai sentimenti che esso mi ispira’, ma non ve lo meritate”. E tanto per bloccare qualsiasi mala interpretazione Cecilia Strada ha anche aggiunto: “Oh, chiariamoci, ché forse sono stata ambigua: non dico che non dovrebbero ricevere cure. Chiunque ha diritto alle cure. Anche se non rispetta chi lo cura e la comunità che lo circonda. In questo senso, ‘non se lo meritano’: perché non lo rispettano, né il SSN, né la comunità”·

Se i negazionisti nostrani credono davvero che l’opera di medici e di infermieri in questi ultimi mesi in Italia sia un’orrida messa in scena per controllare il popolo e se davvero credono che le mascherine non siano dispositivi di protezione ma museruole utilizzate per silenziare la libertà dei cittadini allora ci dicano, se ne prendano la responsabilità, che nel caso in cui si ammalano non si consegneranno nelle mani del nemico ma addirittura rifiuteranno le cure. Non accedano al servizio sanitario che con tanta fatica questo Paese e tutti i suoi cittadini tengono in piedi e si affidino alle cure dei loro falsi profeti. Questo sarebbe coerente. Questo sarebbe normale. Senza poi vederli stipare ospedali (spesso di gran lusso) per combattere il male che non avrebbe dovuto esistere.

Leggi anche: Lettera ai negazionisti: “Venite a Lodi a tenere i vostri comizi davanti a orfani del Covid”

L’articolo proviene da TPI.it qui

La deputata Aiello a TPI: “Lascio il M5S, vanno avanti solo i soliti nomi”

La deputata Piera Aiello ha lasciato oggi il Movimento 5 Stelle pur continuando la sua attività di parlamentare. L’abbiamo intervistata per comprendere meglio la sua scelta.

Perché questa decisione di abbandonare il M5S? Quali sono le cose che l’hanno delusa?
Ero partita con un’idea ben precisa: quella di aiutare la categoria a cui appartengo, i testimoni di giustizia ma anche quella dei collaboratori e degli imprenditori vittime di racket e di usura. Quando io ho messo a disposizione la mia esperienza trentennale sono rimasta inascoltata, nessuno mi dava contezza di quello che si stava facendo. Molti testimoni, collaboratori e imprenditori si sono rivolti a me fiduciosi poiché sono nella commissione parlamentare antimafia e pensavano che io avessi il potere di aiutarli. Ma io quel potere non ce l’ho, non l’ho mai avuto e non l’ho cercato. Il potere adesso ce l’ha sicuramente Crimi che ha le deleghe al ministero con la commissione ex articolo 10 e quando io porto avanti le richieste di aiuto non vengo nemmeno sentita. Non mi sento valorizzata. L’ho sempre detto: non ho mai preteso nessun posto apicale ma la cosa che pretendevo di più era quella di essere ascoltata sulla base della mia esperienza. A me interessava poter aiutare le persone che mi chiedevano aiuto. E questa è stata la mia prima delusione. Io non sono un animale politico, sono una persona molto semplice, una donna del popolo cerco di risolvere le problematiche e da quello che ho visto problematiche non si risolvono.

Cosa non è stato fatto per i testimoni di giustizia che invece andava fatto?
I testimoni di giustizia alcuni sono stati auditi ma da quello che mi risulta non è stata risolta nessuna situazione, né economica e né di sicurezza. Andava fatto questo prima di tutto, mettere in sicurezza i testimoni e non fargli correre rischi inutili, come è capitato a Marcello Bruzzese, fratello di un testimone di giustizia, ucciso il 25 dicembre 2018 in una località protetta. Doveva essere una località sicura ma così non è stato. Molti corrono ancora questo rischio. Non è stato fatto nulla, non si sono risolte situazioni che sono incancrenite da moltissimi anni. Tante promesse ma nulla di fatto.

C’è stata un’effettiva involuzione del Movimento in questi anni?
Il movimento è cambiato, non rispecchia più il pensiero di Casaleggio, vedi il terzo mandato per la Raggi, cosa ci si deve aspettare che lo tolgano del tutto per far candidare i soliti?
È pentita della sua scelta della politica?
Non sono pentita della scelta che ho fatto, sono delusa, ma comunque faccio tesoro di tutto, metto un punto e vado avanti.

Ora inevitabilmente partiranno gli attacchi, le richieste di dimissioni, le accuse di tradimento: come risponde?
Si ho visto gli attacchi, me ne farò una ragione. A tutti quelli che pensano che rimango in parlamento dico che prima di entrare in politica ero un’impiegata regionale, la mia famiglia non se la passa poi male perché lavoriamo tutti onestamente, resto per completare il lavoro che ho iniziato in antimafia, resto perché ho depositato due leggi, una su testimoni e collaboratori l’altra su imprenditori vittime di racket ed usura, leggi che ha oggi sono insabbiate, che non vanno avanti, che sarebbero state il fiore all’occhiello. Sinceramente non mi sembra di aver tradito nessuno, direi il contrario, non ho intenzione di abbassare la testa davanti a nessuno, non lo ho fatto trent’anni fa con i mafiosi, non lo faccio adesso. Nella sua vita si è ritrovata sempre a prendere scelte che sono state coraggiose e che le sono costate molto dal punto di vista personale.
Crede che la politica sia pronta per dare il giusto spazio a testimonianze come la sua?
La politica è pronta se fa un programma forte contro le mafie, se tutto questo non viene preso in considerazione non andremo avanti, la criminalità e dappertutto, specialmente dove ci sono i soldi, questo lo abbiamo già costatato e lo costerneremo con l’arrivo dei soldi per l’emergenza Covid.

Ha intenzione di continuare comunque il suo percorso politico? Se sì, come?
Come dicevo prima ultimo i lavori iniziati difendendoli a spada tratta, anche se non ho un simbolo di appartenenza non vuol dire che non posso continuare, anzi direi che non avendo le mani legate, non stando agli ordini di scuderia, posso fare meglio e informare i cittadini di ciò che succede in parlamento.

Leggi anche: 1. Piera Aiello, storia della prima testimone di giustizia italiana, eletta con il M5S / 2. La deputata Piera Aiello dice addio al M5S: “Non mi rappresenta più”

L’articolo proviene da TPI.it qui