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Calabria, tutti attaccano Morra: così, però, non si parla più dell’arresto di Tallini

Possiamo tornare al punto, gentilmente? Perché l’arresto di Mimmo Tallini e il quadro indiziario che emerge dall’ordinanza del gip Giulio De Gregorio (che ha accolto la richiesta della Direzione distruttale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri) disegna un contesto, al di là di quello che dirà l’eventuale processo, su cui varrebbe la pena riflettere. Perché ora sotto la lente dei Ros ci sono anche le comunali di Catanzaro del 2017, le politiche del 2018 e le elezioni regionali del 2020. Nelle carte di legge del Consorzio Farma Italia e della collegata Farmaeko che sono tenute in pugno dalla cosca Grande Aracri di Cutro, nate e subito fallite, come immagine di una regione in cui la malapianta continua a raccogliere frutti.

“Tutto ciò avverrà – scrive il gip De Gregorio – perché l’enorme profittabilità prospettata inizialmente non era riferita a particolari capacità imprenditoriali dei criminali che la dovevano governare, ma allo sfruttamento dei contatti con politica ed economia, all’accesso a risorse finanziarie illecite senza dover corrispondere interessi, alla sostanziale irregolarità delle condizioni di lavoro, ai metodi truffaldini di approvvigionamento”.

C’è un antennista vicino alla cosca come Domenico Scozzafava, legato a Grande Aracri ma anche a Pierino Mellea, il nuovo boss dei Gaglianesi, che votava e faceva votare Domenico Tallini: uno che andava in giro a piazzare bottiglie incendiarie con un pistola con matricola abrasa ed è diventato uomo vicino al presidente del consiglio regionale Tallini. Sono le solite commistioni che raccontano di funzionari in regione che se non eseguono gli ordini del politico di turno vengono rimossi in favore di qualcuno più accondiscendente. L’abbraccio perverso tra economia, politica e ‘ndrangheta è un tema che, al di là degli esiti giudiziari, esce con forza dal punto di vista etico.

Quindi, al di là del caso Morra e della sua infelice uscita, cosa hanno da dire su questo i leader del centrodestra? Oltre alle parole del grillino hanno qualcosa da dirci su un politico già segnalato dalla commissione antimafia diventato così facilmente presidente del consiglio regionale? Salvini che ora lo scarica sa che sono i suoi alleati con cui governa la Calabria? Giorgia Meloni, tutta ordine e disciplina, che ne pensa della fotografia che emerge? Perché tra poco in Calabria si vota e dalle parti del centrodestra qualcuno ha il coraggio di pensare al sindaco di Catanzaro Sergio Abramo come candidato, un uomo vicinissimo proprio a Mimmo Tallini.

Leggi anche: ‘Ndrangheta, arrestato presidente del Consiglio regionale della Calabria, Domenico Tallini

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La ‘ndrangheta, appunto

Vogliamo occuparci di mafie, mica solo in Calabria? Vogliamo che ritornino nell’agenda della politica? O si aspettano sempre gli arresti, sempre

Si è riusciti a parlare per giorni, settimane, di Calabria senza mai pronunciarla. Non so se avete notato ma le mafie sono scomparse dal dibattito pubblico come se fossero qualcosa di non rilevante in tempo di pandemia (mentre per loro è un momento ghiottissimo) e ora se ne torna a parlare a bomba per l’arresto del presidente del Consiglio regionale calabrese Domenico Tallini, per gli amici Mimmo.

Ora sarà il processo a decidere, noi siamo e restiamo garantisti, ma la parabola di Tallini è interessante perché stiamo parlando di uno che era finito nell’elenco degli impresentabili formulato dalla Commissione antimafia guidata da Nicola Morra. Proprio Morra aveva messo in guardia la presidente Jole Santelli nell’affidare compiti di responsabilità a chi era rinviato a giudizio per diversi profili di corruzione. L’hanno nominato presidente del Consiglio regionale, per dire.

Parliamo di un politico che è sulla scena da 40 anni (a proposito del rinnovamento sempre professato e mai praticato) che esce dalle grinfie del vecchio Udeur e si ricicla, come molti altri, in Forza Italia. Le accuse raccontano che «in qualità di assessore regionale fino al 2014 e quindi candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del 2014, e successivamente quale consigliere regionale», Tallini «forniva un contributo concreto, specifico e volontario per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione», si legge nell’ordinanza che ha portato all’arresto del presidente del Consiglio regionale. «In cambio del sostegno elettorale promesso ed attuato da parte del sodalizio», secondo l’accusa il politico di Forza Italia ha garantito alla cosca «le condizioni per l’avvio prima e l’effettivo esercizio poi dell’attività imprenditoriale della distribuzione all’ingrosso dei prodotti farmaceutici».

Tallini, è scritto sempre nell’ordinanza, è intervenuto per «agevolare e accelerare l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del Consorzio Farma Italia e della società Farmaeko Srl». Inoltre, «imponeva l’assunzione e l’ingresso, quale consigliere, del proprio figlio Giuseppe, così da contribuire all’evoluzione dell’attività imprenditoriale del Consorzio farmaceutico, fornendo il suo contributo, nonché le sue competenze e le sue conoscenze anche nel procacciamento di farmacie da consorziare». In tal modo, si legge ancora nell’ordinanza, «rafforzava la capacità operativa del sodalizio nel controllo di attività economiche sul territorio, incrementando la percezione delle capacità di condizionamento e correlativamente di intimidazione del sodalizio, accrescendo la capacità operativa e il prestigio sociale e criminale».

«Insomma… l’investimento è per voi… mica lo facciamo per noi… no? Fino a mo’ ci abbiamo solo rimesso…però nonostante tutto… anche gratis… Mi devi spiegare meglio com’è impostato tutto il ragionamento», diceva a Domenico Scozzafava, «un formidabile portatore di voti» per il politico di Forza Italia finito ai domiciliari, ma anche uno «’ndranghetista fino al midollo», secondo la magistratura.

Ora al di là del profilo processuale rimane però un punto sostanziale: vogliamo occuparci di mafie, mica solo in Calabria? Vogliamo che ritornino nell’agenda della politica? O si aspettano sempre gli arresti, sempre. Anche perché le mafie intanto in questa disperazione stanno prosperando come non mai. E sarebbe il caso di accorgersene prima che ce lo dica la magistratura.

Buon venerdì.

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San Raffaele, visite Covid a pagamento? Peggio di come sembra

Ha fatto molto discutere ieri la notizia che il San Raffaele di Milano ha un vero e proprio servizio, a pagamento, per i pazienti positivi al Covid-19 in isolamento a casa. Il costo di una visita specialistica a domicilio è di 450 euro, mentre per un più semplice e immediato consulto video o telefonico da parte del medico il costo è di 90 euro. 90 euro per un consulto telefonico, avete letto bene.

Ha centrato il punto il consigliere regionale Matteo Piloni che dice: «Sei positivo al Covid e in isolamento? Le Usca non funzionano come dovrebbero? Tranquilli, ci pensa il privato. Se Ats o il vostro medico non vi chiamano o non rispondono, ci pensa il San Raffaele. Con un consulto video o telefonico a 90 euro e, se il medico lo riterrà, con 450 euro per un servizio di diagnostica a domicilio. Il pubblico arranca e il privato ingrassa».

Vale la pena rileggere anche quello che disse Alberto Zangrillo, primario guarda caso proprio al San Raffaele: «È indubbio che la diga del terrorismo ha ceduto e le persone sono disorientate e spaventate. Il malato va seguito a domicilio dall’esordio della prima sintomatologia». La frase, di per sé giusta, risulta un po’ risibile se detta da chi il Covid questa estate lo giudicava “clinicamente morto”, da quello del “sono tutti asintomatici” e dallo stesso che lavora nell’ospedale che lucra proprio sulla paura.

Per inciso l’Ospedale San Raffaele fa parte del Gruppo San Donato, sì sì proprio quello dove lavora Angelino Alfano e dove lavora Roberto Maroni. Incredibile, vero?

Per capire sempre del Gruppo San Donato conviene anche rileggersi una nota del consigliere regionale in Lombardia del M5S Fumagalli che l’8 agosto scrisse: «In data 5 agosto, la Giunta Regionale (con la delibera 3518 dall’anonimo oggetto: (‘Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario e sociosanitario per l’esercizio 2020-1°provvedimento’) stabilisce di farsi carico del 50% dei costi del rinnovo contrattuale della sanità privata con interventi relativi alle tariffe e ai budget nei limiti delle risorse disponibili. Questo significa (come già segnalato sul sito di Business Insider Italia) che, ad esempio, un ospedale come il San Donato che nel 2019 ha fatto un fatturato di 170 milioni di euro con un utile netto di quasi 34 milioni di euro, riceverà dei fondi extra per pagare i propri dipendenti. 5 milioni di euro solo per i mesi restanti del 2020. Se Regione Lombardia ha così a cuore i dipendenti degli Ospedali privati, perché non impone a questi imprenditori (il San Donato è guidato da Angelino Alfano) di applicare il Ccnl della sanità pubblica? Perché non impone di assumere i medici anziché tenerli a partita Iva? Il San Donato ha solo un medico assunto. Perché impegnarsi ad aumenti di tariffa e di budget nei confronti di chi fa già enormi utili per pagare i dipendenti? Non possono usare i margini che hanno per pagare i dipendenti e diminuire gli utili? Ma ai lavoratori delle cooperative che stanno nella sanità con uno sfruttamento enorme, i soldi dell’aumento di stipendio lo passa Regione Lombardia? No, perché in queste cooperative, non ci sono Alfano e Maroni a fare i presidenti».

Insomma, è molto peggio di come sembra.

Buon martedì.

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La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: proprio come Gino Strada

La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: come Gino Strada

Non va proprio giù ai leghisti della Calabria l’ipotesi (che per ora rimane solo un’ipotesi) di Gino Strada commissario straordinario della sanità regionale. Ci mette il carico il presidente ad interim Nino Spirlì, uno che in poche settimane è riuscito nella mirabile impresa di mostrarsi in tutta la sua inadeguatezza, dopo la morte della presidente Jole Santelli, che sul fondatore di Emergency dice: “Gino Strada? Ma cosa c’entra, dobbiamo scavare pozzi? Non abbiamo bisogno di medici missionari africani”. Peccato che Gino Strada non si occupi di pozzi, ma sia un medico chirurgo che è stimato in tutto il mondo, uno che, per dire, ha lavorato nelle università di Stanford e di Pittsburgh e che ha lavorato nel più importante ospedale del Regno Unito (l’Harefield Hospital).

Semplicemente Gino Strada si è innamorato delle vittime della guerra quando ha visto con i suoi occhi quegli orrori e si è dedicato tutta la vita alla cura delle persone senza nessuno scopo di lucro. Che sarebbe, a pensarci bene, proprio quello di cui la Calabria avrebbe bisogno, se ci pensate. Ma su Gino Strada si è espresso anche Domenico Furgiuele che ieri a Montecitorio ha dichiarato: “Nominare un ulteriore commissario rispetto a quello che è stato nominato nel primo governo Conte, con la paventata nomina di Gino Strada, suggerito anche dal movimento delle Sardine, porta soltanto a problemi di ordine pubblico”. Ha parlato proprio di ordine pubblico. Anzi, ha aggiunto: “Volete che scoppino i moti? Accomodatevi, ci saranno i moti della Calabria 2020”.

Domenico Furgiuele è lo stesso deputato di Lamezia Terme indagato dalla Dda di Reggio Calabria per concorso in turbativa d’asta. Domenico Furgiuele e altri imprenditori, infatti, nel maggio 2015, secondo l’accusa, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara d’appalto” indetta dal Comune di Polistena per la realizzazione di un eliporto a supporto dell’ospedale”. In particolare il deputato del Carroccio, legale rappresentante della Terina Costruzioni, avrebbe messo “a disposizione” la sua società “per la presentazione di un’offerta concordata con le altre imprese partecipanti al cartello, al fine di condizionare il risultato della gara in loro favore”. L’inchiesta “Waterfront” in cui risulta indagato Furgiuele ha portato all’arresto di 63 persone tra cui 11 funzionari pubblici e al sequestro di beni per 103 milioni di euro.

Ce ne sarebbero mille di motivi per i moti della Calabria 2020. E forse ci tornerebbe utile, un Gino Strada.

Leggi anche: 1. “Se scoppia la Calabria è la fine. Qui il piano Covid mai attivato: realizzate solo 6 terapie intensive”: il racconto di un medico del 118 / 2. Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori / 3. Esclusivo: Cotticelli a TPI: “Davo fastidio alla massoneria. Volevano eliminarmi, non potendo uccidermi mi hanno screditato” / 4. Calabria, il commissario della Sanità Cotticelli si dimette: “Il piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo” | VIDEO; / 5. Per gestire la Sanità della Calabria ora si fa il nome di Gino Strada / 6. Calabria, il nuovo commissario alla Sanità Zuccatelli: “Le mascherine non servono a un ca**o”

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Sardegna e discoteche dappertutto

Non è un caso da poco quello aperto dalla Procura della Repubblica di Cagliari per epidemia colposa e per altri reati sul Ferragosto vacanziero sardo in cui le discoteche sono rimaste bellamente aperte mentre già arrivavano i primi preoccupanti numeri del virus.

La vicenda intanto. Tutto nasce da un’inchiesta della trasmissione televisiva Report che intervista due consiglieri regionali della maggioranza (nomi di peso: Angelo Cocciu è capogruppo di Forza Italia, Giovanni Satta vicecapogruppo del Partito Sardo d’Azione) mentre confessano «pressioni da parte degli imprenditori del settore». L’ordinanza del presidente della Sardegna Solinas risale all’11 agosto sulla base del parere del Comitato tecnico scientifico regionale. Almeno così dice Solinas. Il parere del Comitato però sembra impossibile da vedere, da leggere e da controllare. «Se c’è – ha intimato Emiliano Deiana, presidente regionale dell’Anci – lo tirino fuori subito. Se non c’è, vuol dire che i soldi di pochi hanno contato più della salute di tutti i sardi». Fonti investigative fanno intendere che forse quel parere sia stato semplicemente “verbale”. Tipo un consiglio al telefono, siamo a questi livelli qui.

Una cosa è certa: quell’ordinanza permise alle discoteche più in voga (come Billionaire, Phi Beach, Just Cavalli, Country Club e Sottovento) di ammassare un bel tot di gente tutti festanti e senza mascherina procurando uno dei più grossi cluster di quei mesi. Tanto per avere un’idea dei numeri: solo nel Lazio sono stati intercettati più di 1200 positivi di rientro dalla Sardegna. 1200.

Solo che la Sardegna e le discoteche sono dappertutto, in tutta Italia, in aperture che sono rimaste aperte (e che sono ancora aperte) e che poiché non hanno nomi e volti noti magari non vengono raccontati e investigati. Non so se avete notato che dalla narrazione generale sembra ad esempio che siano spariti magicamente tutti gli infettati in fabbrica, sui posti di lavoro, negli ospedali (solo negli ospedali di Milano San Carlo e San Paolo nelle prime 3 settimane di ottobre, badate bene, c’erano 80 lavoratori contagiati). Tutto sparito. Si fanno pulci alle scuole (giustamente) ma l’attività produttiva, quella che non si potè toccare nella bergamasca nella prima ondata, continua imperterrita a non esistere. E chissà quante centinaia di inchieste andrebbero aperte. Magari anche senza bisogno del giornalismo investigativo.

Il crinale su salute e lavoro è quello su cui camminiamo in questo tempo buio.

Buon giovedì.

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Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori

Povera Calabria. Povera terra che ostinatamente prova a sopravvivere a una classe dirigente che si occupa soprattutto di essere diligente con i propri padroni piuttosto che con i propri compiti, una terra in cui spesso ciò che è Stato si rivela essere un ostacolo per incompetenza, per tradimento di valori e per servilismo. La Calabria in questi giorni occupa le pagine dei giornali per l’incredibile sequela di figuracce che arrivano da un piano importante, l’ufficio del “commissario straordinario” alla Sanità che dovrebbe essere, per nome e per ruolo, la figura di garanzia in un momento buio che attraversa il mondo.

E invece prima c’è la pessima commedia del generale Saverio Cotticelli, quello che scopre durante un’intervista di essere lui a dover preparare il piano anti-Covid che in Calabria continua a mancare e che poi giusto per peggiorare la sua situazione si inventa un’ospitata da Massimo Giletti per farci sapere che “non era lui”, che forse era “stato drogato” e che non si riconosceva nelle sue stesse azioni. Qui siamo a livelli di insaputismo che supera ogni fantasia.

Poi arriva Giuseppe Zuccatelli, il Governo corre (male) ai ripari e decide di nominare un manager sanitario che in Calabria non ha certo collezionato grandi successi (durante la prima ondata lo scandalo della Rosa di Villa Torano è finita in un’inchiesta ancora in corso) e che sembra avere come merito quello di un’appartenenza politica spiccatissima nelle fila di Leu, con cui si è candidato riuscendo a prendere più o meno i voti di un rappresentante di classe.

È bastato grattare un po’ la superficie per scoprire il nuovo commissario calabrese esprimere fantasiose teorie su mascherine che non servono, sul virus che si prende solo baciandosi per almeno 15 minuti e altre bischerate che l’hanno fatto scaricare persino dal suo compagno di partito Nicola Fratoianni.

Ora gira l’idea di Gino Strada. Ma attenzione: come sub commissario. In sostanza si torna sul nome di chi per il M5S era un papabile presidente della Repubblica e che poi è diventato uno degli amici dei “taxi del mare”. E cosa vorrebbero fare di lui? Nominarlo alle dipendenze di Zuccatelli per lavarsi la faccia e ripulire un po’ tutta questa lordura. E la cosa fa un certo senso: credere che una personalità come Gino Strada possa fare da secondo a Zuccatelli significa avere un’idea distorta del merito e un’impenitente attaccamento ai propri errori. Quindi siamo sicuri che nessuno potrebbe avanzare una proposta così offensiva. Vero? Sì?

Leggi anche: 1. Esclusivo: Cotticelli a TPI: “Davo fastidio alla massoneria. Volevano eliminarmi, non potendo uccidermi mi hanno screditato” / 2. Calabria, il commissario della Sanità Cotticelli si dimette: “Il piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo” | VIDEO; / 3. Per gestire la Sanità della Calabria ora si fa il nome di Gino Strada / 4. Calabria, il nuovo commissario alla Sanità Zuccatelli: “Le mascherine non servono a un ca**o”

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Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo?

“Non lasciamo solo Zuccaro” intitolava il Blog Delle Stelle, sì, proprio lui, il magazine politico del Movimento 5 Stelle che si era schierato a testa bassa al fianco del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nella sua ennesima battaglia contro le Ong. Furono i grillini e furono i salviniani a cadere nel solito giochetto infimo della politica quando si appoggia alla magistratura per annaspare e trovare conferma delle proprie tesi. Il pensiero politico breve e debole ha sempre bisogno di un’indagine, di un rinvio a giudizio, di qualche carta processuale per certificare la propria visione del mondo.

Nel 2017 fu Zuccaro a denunciare il tentativo delle Ong di «destabilizzare l’economia italiana» attraverso il massiccio sbarco di migranti sulle nostre coste al fine di «trarne vantaggi». Zuccaro aveva anche aggiunto che, a suo avviso, «alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti» perché, disse, «so di contatti» e inoltre si tratta di un «traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga». Si alzò un gran polverone e le parole del procuratore vennero agitate come una sciabola per affettare la discussione su diritti e immigrazione, le parole di Zuccaro vennero sventolate ai quattro venti, lui ebbe anche l’onore di essere audito dal Parlamento, i Zuccaro boys infestavano i social tutti fieri di avere scoperto che i “buoni erano cattivi” e quindi, per la proprietà inversa, i presunti “razzisti” sarebbero stati quelli che ci avrebbero salvato. Peccato che di quelle pesantissime affermazioni non rimase niente, non ci fu una controprova, non ci fu niente e tutto finì nel dimenticatoio per un anno, anche se ormai il rumore di fondo era stato generosamente sparpagliato e il governo Conte (il primo Conte, quello che non si era ancora travestito da “buono”) quando salì in carica nel 2018 con la sua formazione gialloverde poté ripetere le tesi di Zuccaro come condimento delle proprie decisioni politiche.

Arriviamo quindi al 2018, marzo, quando Carmelo Zuccaro torna a occuparsi dell’emergenza migranti nel Mediterraneo e lo fa a modo suo: mette sotto indagine il comandante della nave Open Arms, Marc Reig Creus, il capo della missione della Ong, Ana Isabel Montes Mier, e il coordinatore Oscar Camps. L’accusa ovviamente è di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. La Ong Proactiva Open Arms, secondo il teorema Zuccaro, opera nel disprezzo più totale degli accordi internazionali e del codice di comportamento firmato con il governo italiano, cercando in tutti i modi di far sbarcare migranti sulle nostre coste. Open Arms aveva soccorso 218 migranti al largo delle coste della Libia rifiutandosi di consegnarli alla cosiddetta “Guardia costiera libica” per via delle violenze e dei maltrattamenti che avrebbero potuto subire in quello che tutta la comunità internazionale ritiene un porto “non sicuro”. I migranti vennero poi fatti sbarcare nel porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dopo l’autorizzazione da parte del governo italiano.

Cosa accadde poi? Il teorema di Zuccaro venne smontato dal Gip di Catania che nel confermare il sequestro aveva fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere tenendo in piedi l’accusa di immigrazione clandestina e di violenza privata. Il fascicolo passa al Gip di Ragusa per competenza territoriale e viene disposto il dissequestro immediato della nave perché, scrive il Gip, l’Ong aveva agito «in uno stato di necessità» regolato dall’articolo 54 del codice penale (in cui si scrive di chi è «costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave»).

Ben due anni dopo quei fatti ora arriva la decisione del Tribunale di Ragusa che ha deciso il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste per il reato di violenza privata e perché non punibile per stato di necessità per il reato di favoreggiamento. L’ha deciso il Gup al termine dell’udienza preliminare. Open Arms, in una sua nota, scrive che «ancora una volta è stato dimostrato che il nostro agire è sempre stato dettato dal rispetto delle Convenzioni internazionali e dal Diritto del Mare, quello che ci muove è la difesa dei diritti umani e della vita, principi fondativi delle nostre Costituzioni democratiche».

E quindi? Quindi per l’ennesima volta molto rumore per nulla. Per l’ennesima volta sulla pelle dei migranti (e degli elettori e della dignità della politica) si è consumata una battaglia che non aveva basi giuridiche eppure ha dato l’occasione di sentenziare giudizi che si sono rivelati infondati. Ancora una volta è andata male a chi cercava un appiglio per poter essere feroce con il supporto della legge fingendo di non sapere che il gancio non c’è, fingendo di non sapere (come accade tutt’ora) che la “Guardia costiera libica” è il viatico di sofferenze che non hanno nulla a che vedere con i diritti e fingendo di non sapere di avere appaltato proprio a loro quel pezzo di Mediterraneo. La polvere si è posata e non è rimasto niente, niente di più del vociare sconsiderato di cui nessuno pagherà pegno.

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Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Ma esattamente cosa vuole Attilio Fontana? Qualcuno dovrebbe spiegarcelo. L’ideale sarebbe che ce lo spiegasse lui, ma forse è chiedere troppo a qualcuno che ancora ci deve spiegazioni sulle mancate chiusure in Val Seriana, sull’accordo tra Fondazione San Matteo e Diasorin per i test sierologici e il conseguente divieto imposto a tutti i sindaci del territorio, sui vaccini antinfluenzali ordinati poco e male, sui camici acquistati e poi regalati, sulle cose non fatte finora e su tutto il resto.

Eppure Fontana che si schianta contro il governo nazionale perché la sua Regione è infilata fino al collo nella seconda ondata e si lamenta per un lockdown che viene richiesto praticamente da tutta la comunità scientifica è qualcosa che sfocia nell’insondabile, nel magico. Si tratta del presidente di quella stessa Regione che ha ormai perso qualsiasi possibilità di tracciamento, qui dove – come già a marzo – accade che si aspetti un tampone che non arriva mai, qui dove ormai sono saltati anche i tamponi a rapporti stretti di chi è risultato positivo al virus, qui dove anche gli ospedali ormai sono in situazione critiche e lavorano in situazioni critiche, qui dove le RSA sono ancora sotto assedio anche alla seconda ondata.

Esattamente Fontana che vuole? Vorrebbe tenere aperto? No, pare di no, oppure non ha il coraggio di dirlo chiaramente. Vorrebbe, questo l’ha detto bene, che chiudessero anche gli altri. E perché? Anche questo non si capisce, è di difficile comprensione. E perché Fontana non risponde a tutti gli errori commessi fin qui? Perché non ci spiega come abbia potuto accadere che siano state pubblicate solo da pochi giorni le gare per assumere medici e infermieri che mancano? Perché non ci spiega come mai sia saltata la medicina di base che avrebbe dovuto essere il primo argine contro il virus? Perché non ci dice e non ci risponde sulla disastrosa situazione dei mezzi pubblici?

“È un dato di fatto. Ma ciò non toglie che per la Lombardia, dati alla mano, il lockdown deciso ieri dal premier Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Speranza sia necessario. Il problema semmai è che è in ritardo di due settimane”, dice oggi il dirigente dell’Ats Milano Vittorio Demicheli. Fontana era lo stesso che si lamentava con Conte perché non chiudeva. E ora? Cosa è cambiato? Scorrete le sue dichiarazioni e vi accorgerete che il presidente della Lombardia ha un solo interesse: andare contro il governo nazionale. Solo quello. Solo propaganda.

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4. Covid, la sindaca di Roma Virginia Raggi: “Sono positiva ma non ho sintomi” / 5. Covid, zone rosse, arancioni e gialle: cosa si può fare dopo il nuovo Dpcm / 6. Covid, una nuova variante del virus è responsabile della seconda ondata europea: “Partita dalla Spagna in estate”

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Come si dovrebbe dire

Il discorso della cancelliera Merkel nel primo giorno del lockdown leggero in Germania. Un discorso deciso, illuminato, coerente e coraggioso

Sentite qua.

«Oggi cominciano le restrizioni per novembre e colpiscono ogni cittadino, è un giorno importante. Ci sono dubbi, opposizioni ma dobbiamo sapere che la pandemia è una sfida secolare. I pazienti oggi in terapia intensiva rispecchiano dati di circa due settimane fa ci avviciniamo a saturazione. Non riusciamo a rintracciare origine contagi nel 75% dei casi, dobbiamo tornare a una situazione in cui ciò sia possibile. C’è rapporto stretto tra numero contatti e numero infezioni: possibilmente lavorare a casa, viaggiare solo se indispensabile e abbiamo limitato contatti a due famiglie o nuclei conviventi. Abbiamo riflettuto a lungo su misure meno dure ma non abbiamo visto alternative. Meno contatti vuol dire meno contagi. Un mese di lockdown leggero può essere il frangi flutti, può spezzare la seconda ondata».

E ancora.

«Gli scienziati dicono che dobbiamo ridurre i contatti del 75%. Non speculo su cosa accade dopo 1 dicembre prossima tappa importante è 16 novembre, incontro con i governatori per aggiornarsi. I cittadini sono delusi perché la pandemia dura così a lungo. L’estate è stata relativamente spensierata. L’autunno è arrivato con brutalità. La luce in fondo al tunnel è ancora piuttosto lontana ma siamo in una catastrofe naturale. Credo nella forza della ragione e della responsabilità. I risarcimenti sono molto generosi perché lo sforzo richiesto è molto grande. Siamo in crescita esponenziale dei contagi ma per fortuna siamo ancora in grado di aiutare finanziariamente. La libertà non è qualcosa di illimitato, è libertà di prendersi la responsabilità per il prossimo, lo facciamo anche nella tutela dell’ambiente e in altri ambiti. Quella della libertà individuale, anche per me (che sono cresciuta in un regime) è la più grande sfida del dopoguerra. Chiunque conosca funzione esponenziale sa che rt 1,3 o 1,4 non è accettabile. Siamo il continente dell’illuminismo e la matematica è importante. Abbiamo giurato tutti sulla Costituzione che comincia con “la dignità dell’essere umano è intoccabile”: non si può essere superficiali con questo virus, ci sono 34enni in condizioni gravi in ospedale. Siamo paese libero. Che in Usa ci siano molte opinioni e che il Paese sia tutt’altro che unito lo sappiamo ma anche da noi ci sono scettici, fa parte della democrazia».

È il discorso di ieri della Cancelliera Merkel. Si può essere d’accordo o meno ma è un discorso deciso, illuminato, coerente e coraggioso. Come si dovrebbe dire.

(grazie all’inesauribile lavoro di Tonia Mastrobuoni, questo #buongiorno è tutta farina del suo sacco e del suo preziosissimo lavoro)

Buon martedì.

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La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori

 

 

L’errore sta nel ritenerlo un politico, che ragiona da politico, che agisce da politico, mentre Matteo Salvini è solo un influencer, che infila delle serie ragguardevoli di stecche, che annusa il vento e che immagina la sua posizione semplicemente all’opposto rispetto alle decisioni del governo. Come se fare opposizione sia sbattere i piedi, dire no no no e ripetere che il pallone è suo e che alla fine non si gioca, se non si gioca come dice lui.

Così accade che, se lo spazio vuoto diventa quello dei No Mask o dei negazionisti, lui ci si butta subito dentro, analizzando i logaritmi dei social e proponendosi come padre adottivo di temi che infiammano la rete. Non è nemmeno un influencer, a pensarci bene, nemmeno quello: un influencer piazza un prodotto e invece Salvini non ha nemmeno il prodotto. Semplicemente cavalca qualcosa che già c’è sotto traccia e ci si siede sopra per covarlo con l’ambizione di rappresentarlo.

Così si ritrova, confidando nella memoria breve dei suoi elettori, a dire nel giro di qualche ora che non ci sarà nessuna seconda ondata e, quando l’ondata del virus arriva, cambia rotta accusando gli altri di essere irresponsabili, quella stessa irresponsabilità che ha vomitato per mesi. Un marchettaro dalle mille facce che, non avendo idea, deve per forza fotografarsi con i prodotti e con le idee degli altri fingendo che siano sue, come un avvoltoio sempre pronto a fiutare qualche nuovo malcontento per cavalcarlo senza nessun senso di responsabilità.

E le sue figuracce si moltiplicano, a dismisura. Negli ultimi giorni qualcuno sperava che almeno si nascondesse, che chiedesse scusa, che guardasse i numeri della “sua” Lombardia e che ci spiegasse per bene cosa stia avvenendo. E invece eccolo qui, ancora, che prova a dare lezioni mentre sta accadendo per l’ennesima volta l’esatto contrario di quello che aveva previsto.

Ma la parabola di Salvini si potrebbe spiegare con il suo rapporto con il cibo, quello è un manifesto perfetto: ha cominciato fotografando cibo tutti i giorni, si è fatto immortalare mentre sbaffava cibi italiani in nome del  patriottismo culinario e ieri, nel Paese dei cuochi, è riuscito perfino a farsi cacciare dai ristoratori.

Immaginate una Ferragni che viene rincorsa mentre le lanciano dietro le sue scarpe: potrebbe accadere? No, a un influencer no, ma a Salvini sì. E non se ne vergogna nemmeno un po’. Ma, in fondo, i cuochi che cacciano l’aspirante food blogger è l’ennesima fotografia di quello che Salvini vale.

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