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‘Ndrangheta, i De Stefano tornano a piede libero

di AMDuemila – 24 agosto 2015
de-stefano-giuseppe-collageCi sono Orazio, Giovanni e Paolo Rosario, tra meno di due anni toccherà anche a Carmine. Sono i membri della famiglia De Stefano (si legge sulle colonne de L’Espresso) che hanno scontato o sconteranno a breve le rispettive condanne. Giuseppe De Stefano, attualmente dietro le sbarre e figlio del noto capobastone, il defunto don Paolino De Stefano, è insieme ai suoi fratelli principale capo indiscusso della ‘ndrangheta. Ma gli altri pilastri di famiglia che torneranno in libertà non sono certo da meno: Carmine de Stefano, 47 anni e fratello maggiore di Giuseppe (in foto), è tornato in carcere lo scorso febbraio (a causa del ripristino di una precedente carcerazione per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti) per alcuni delitti commessi tra la Calabria e Milano (tra la seconda metà degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta) insieme a Giuseppe ed al suocero Franco Coco Trovato, referente della cosca in terra lombarda. La prima moglie di Carmine è Giusy Coco Trovato, figlia di Franco, che i due fratelli avevano condannato a un colpo in testa e una sepoltura nello Stretto per aver confessato di essere in realtà innamorata di Giuseppe, e non di Carmine De Stefano. Un segreto che divenne di dominio pubblico nel momento in cui la donna fece leggere il proprio diario a Vincenzino Zappia, uno dei luogotenenti del clan ‘ndranghetista. La condanna sfumò solo grazie all’intercessione di Coco Trovato, intervenuto in difesa della figlia.
Orazio De Stefano, zio di Giuseppe, latitante dal 1988 e catturato 16 anni dopo, dopo la morte del fratello Paolo (ucciso in un agguato nel 1985) si era messo a capo della cosca. Proprio l’assassinio di don Paolino aveva dato il via alla guerra di mafia che a Reggio Calabria aveva mietuto fino al ’91 centinaia di vittime tra i clan, compresi due fratelli De Stefano, Giorgio e Giovanni. Orazio era stato scoperto in un appartamento di lusso presso Parco Caserta, un complesso residenziale del capoluogo reggino. Nel momento del suo arresto, eseguito alla squadra mobile di Reggio Calabria, diretta da Salvatore Arena, il boss invece di opporre resistenza si era limitato a dire, stringendo la mano ad Arena: “Sono Orazio De Stefano, sono onorato di fare la vostra conoscenza. State tranquilli, non sono armato. Datemi il tempo di fare le valigie e sono a vostra completa disposizione. Oggi si chiude la lunga parentesi della mia latitanza”. Il boss che era entrato nella “top five” dei latitanti più pericolosi d’Italia è già nuovamente a piede libero. A ottobre, invece, sarà la volta di Paolo Rosario De Stefano, cugino di Giuseppe, arrestato nel 2009 nel suo rifugio di Sant’Alessio Siculo, una villetta vicino al mare a pochi chilometri da Taormina. Per Giuseppe De Stefano, 47 anni, c’è ancora una lunga condanna da scontare (nel 2003 è stato condannato a 18 anni per traffico di droga e a 30 per associazione mafiosa) ma la sua forza e il suo prestigio si stanno via via fortificando: proprio in carcere, a Reggio, il boss ha ricevuto il rango di “Crimine”, il vertice della ‘ndrangheta del quale fanno parte le più importanti famiglie ‘ndranghetiste tra cui, oltre a i De Stefano, i Condello, i Libri e i Tegano. Ma sono i primi, in particolare, ad aver fatto della ‘ndrangheta una vera e propria holding criminale con entrature nell’alta politica e finanza, oltre a vantare una forza economica senza eguali grazie soprattutto ai proventi del traffico di droga, di cui è la mafia calabrese a detenere la quasi totalità del monopolio nel mondo occidentale. Dagli anni della guerra di mafia, a quelli della strategia della tensione, al golpe Borghese, i De Stefano hanno curato canali privilegiati con gli ambienti della massoneria e dei servizi segreti, e tuttavia mantenendo quel basso profilo che ha consentito loro di accedere ai piani più alti.
Emblematici, in questo senso, i legami stabiliti a Milano, una sorta di associazione criminale segreta che avrebbe creato “rapporti criminogeni per milioni di euro creando utili sotto forma di crediti d’imposta per riciclare i soldi sporchi”. Tra le società coinvolte (secondo quanto era stato scoperto durante il blitz scattato nel 2013) la Ficantieri e la multinazionale Siam, la quale vantava contatti preferenziali ai vertici della regione lombarda, con Roberto Formigoni, con Giuseppe Scopelliti invece per la Calabria. Tra gli organizzatori ci sarebbe stato anche Bruno Mafrici, nominato consulente del ministero della Semplificazione da Belsito, che ne era sottosegretario, così da permettere di accedere a bandi e investimenti statali. Mafrici avrebbe curato anche i rapporti con i politici calabresi, tra cui proprio Scopelliti. Secondo il collaboratore di giustizia Nino Fiume, avrebbe inoltre frequentato casa De Stefano a metà degi anni ’90, stringendo legami anche con politici del Nord, come il leghista Francesco Belsito. Voti e consenso, ciò su cui hanno puntato i De Stefano, ma anche colossali investimenti, in Italia come all’estero, nei paradisi fiscali che sono vere e proprie lavatrici di denaro sporco, individuando soggetti esterni all’organizzazione criminale in grado di gestirne il patrimonio. Una linea che ha avuto inizio già dagli anni ’70 con gli storici capibastone, Paolo e Giorgio De Stefano, e che ha permesso alla ‘ndrangheta di avere numerose entrature negli ambienti politici, istituzionali ed economici a livello mondiale.

La sicurezza di Luigi Bonaventura?

Mi ero ripromesso di non parlarne più ma disattendo la promessa per una piccola (per niente) nota di servizio.

Le indagini sulle dichiarazioni del pentito di Luigi Bonaventura sono tutt’ora in corso e non mi sembra opportuno parlarne, certo, se non per le persone che in questa indagine sono coinvolte. I testi ascoltati in questi ultimi mesi (che si sono allargati anche ad altri collaboratori di giustizia) stanno rilasciando dichiarazioni che inevitabilmente determineranno anche il loro futuro: se verranno riconosciuti credibili e riscontrati avranno il peso di essersi esposti su un campo politico mafioso di proporzioni importanti e invece se saranno riconosciuti bugiardi inevitabilmente avranno ripercussioni nel loro programma di protezione. Comunque la si voglia vedere c’è poco da scherzare (e filosofeggiare, eh) sugli esiti dell’indagine.

Luigi Bonaventura, al momento, è in una località protetta che tutti conoscono, celato dietro un falso nome a cui non corrispondono tutti i documenti necessari e con la propria famiglia che deve percorrere curve di minacce e intoppi burocratici.

La sua sicurezza in questo momento è indispensabile, per lui e per chi vicino a lui è chiamato a testimoniare. Su questo non posso fare silenzio. Sul resto, invece, a indagini concluse avrò molto da dire. Molto.

Le intercettazioni dimenticate in traghetto

La ‘ndrangheta non ha bisogno di sparare, no. La ‘ndrangheta sarebbe solo un accolita di stronzi se non succedessero fatti che passano (troppo) in silenzio e che dipingono perfettamente il livello di collusione con ambienti altri che di mafioso non hanno nulla, ad occhi nudi.

Se il faldone delle intercettazioni di uno dei processi chiave in corso in questi giorni a Reggio Calabria viene “ritrovato” dimenticato su un traghetto, aperto, significa che tutto il lavoro della Procura è appeso ad un filo. Eppure il processo “Meta” è fondamentale per dimostrare che le grandi famiglie De Stefano, Tegano, Libri e Condello – messe da parte le rivalità della seconda guerra di mafia – hanno deciso di unirsi in una sorta di “direttorio” per controllare in maniera oppressiva ogni settore cittadino (e non solo).

Il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, all’apertura dell’udienza di ieri del processo “Meta” ne ha dato comunicazione: i quattro plichi “dimenticati” su un traghetto sarebbero stati trovati integri e solamente uno risulterebbe “aperto”. Quelle stesse intercettazioni, tra l’altro, guarda il caso, dovrebbero essere già state trascritte ma, guarda il caso, il compito non è ancora stato svolto nonostante l’incarico sia stato dato diversi mesi fa.

In un Paese curioso una notizia del genere rimbalzerebbe in ogni angolo. In ogni angolo.