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Alla vigilia di Natale, nel silenzio generale, l’Italia ha consegnato una nave militare all’Egitto. Con buona pace di Regeni

Questa volta niente cerimonia strombazzata con foto d’ordinanza e saluto militare. Lo scorso 23 dicembre, presso i cantieri di Muggiano, a La Spezia, mentre tutta l’Italia si affrettava per gli ultimi acquisti di Natale e il governo si concentrava su zone arancioni che sarebbero diventare rosse, Fincantieri ha consegnato agli ufficiali della Marina Militare dell’Egitto la fregata multiruolo Fremm Spartaco Schergat, ora ribattezzata “al-Galala”.

Se cercate in giro non troverete nessun comunicato, niente di niente: l’imbarazzo del governo è evidente e la morte di Giulio Regeni, con l’assurda carcerazione di Patrick Zaki, pesa come un macigno.

La consegna è solo il primo passo della vendita di due fregate Fremì all’Egitto di Al-Sisi che avrebbero dovuto essere destinate originariamente alla Marina Militare italiana e che invece sono state vendute all’Egitto senza nessuna comunicazione ufficiale al Parlamento.

La Rete Italiana Pace e Disarmo parla di una vendita “inammissibile” tenendo conto che è avvenuta “senza alcun dibattito in Parlamento in chiara violazione della legge 185 del 1990”. La legge infatti regolamenta le esportazioni militari e prevede il divieto “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”.

Del resto lo scorso 16 dicembre anche il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che denuncia l’aumento delle esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale e le sistematiche violazioni di libertà. Proprio in quella risoluzione si esortano gli Stati membri dell’Ue a sospendere la vendita di armi all’Egitto.

Consiglio evidentemente inascoltato, se è vero che (lo dice Rete Italiana Pace e Disarmo) le forniture ipotizzate sono “di altre quattro fregate, 20 pattugliatori, unitamente a 24 caccia multiruolo Eurofighter e 20 aerei addestratori M346 ed altro materiale militare del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro”.

Sullo sfondo risuonano le parole di indignazione del ministro Di Maio (“l’Italia è un Paese fondatore dell’Ue e sul tema dei diritti umani non è concesso fare passi indietro”), del presidente Conte e del presidente della Camera Roberto Fico, che parlò di “attuare decisioni dure contro l’Egitto”.

Parole che vengono rovesciate a fiumi sui giornali e che poi scompaiono quando si tratta di consegnare il prossimo armamento. La verità e la giustizia, intanto, attendono.

Leggi anche: 1. La verità su Giulio Regeni è un diritto: l’Italia smetta subito di vendere armi all’Egitto (di Alessandro Di Battista) / 2. Tutti a restituire la Legion d’Onore. Bene, ma l’Italia è ben peggio di Macron se non ferma la vendita delle armi all’Egitto (di G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada è una filantropa e saggista italiana, ex presidente di Emergency e figlia dei fondatori Teresa Sarti Strada e Gino Strada. La guerra la conosce perché l’ha vissuta da sempre in prima persona. L’abbiamo intervistata per TPI.
Cecilia Strada, alla fine l’Italia ha deciso di vendere armi all’Egitto. Come la vede?
Molto molto molto molto male. Sposo in toto la richiesta di Amnesty e di Rete Disarmo che chiedono almeno che se ne parli in parlamento. È una cosa contraria agli interessi dei cittadini italiani, qui si tratta di essere furbi non semplicemente disarmisti. C’è la legge 185/90 che dice che non si vendono armi a chi ha interessi contrari all’Italia e questo è il caso dell’Egitto, poiché in Libia non sostengono la stessa parte in causa: è una cosa poco furba oltre che poco etica. Vendere armi significa sostenere quello che l’Egitto sta facendo al suo interno (torture, ragazzi scomparsi, ammazzati, studenti come Regeni e Zaky). La legge dice che non potresti vendergli armi salvo diversa delibera del Consiglio dei ministri sentite le Camere, quantomeno che se ne parli in parlamento, è la legge, non è un sogno da pacifista. Gli interessi dell’Italia sono maggiori degli interessi delle fabbriche d’armi.

Di Maio ha definito l’Egitto un “partner imprescindibile”…
Partner imprescindibile su cosa? E poi bisogna decidere quali sono gli standard, chiediamo ai nostri partner il rispetto dei diritti umani? C’è un ragazzo italiano morto, le autorità hanno ostacolato le indagini, ridurre tutto al fattore economico è miope, non si fa l’interesse del proprio Paese.
Il pacifismo è sparito dall’agenda politica?
Il pacifismo non occupa spazio se non quando viene usato per dare del sognatore a qualcun altro. Il pacifismo è la non violenza, è riflettere sul modo in cui stiamo insieme, cercare il modo di evitare i conflitti, immaginare delle società alternative. Questo non c’è mai stato ed è un peccato. Sono comunque soldi, si dice, servono per l’economia italiana, ma se si investe nel civile il ritorno è maggiore rispetto al militare: se l’obbiettivo è creare posti di lavoro allora si investano fondi nel civile, come nelle energie alternative, l’investimento dà più posti di lavoro dell’industria bellica.

Intanto rimane in piedi la questione libica e continuano gli sbarchi…
Il Covid faceva paura e non c’era bisogno di inventarsi il nemico, Ong o migrante. Però gli sbarchi sono continuati, in numeri piccoli – poco più di 3mila persone da gennaio a oggi – ma ci sono stati, come anche le segnalazioni di naufragi difficilissimi da verificare perché non ci sono navi in mare che possano testimoniare, ci sono diversi casi di omissione di soccorso e almeno una strage a Pasquetta di una nave lasciata alla deriva con 12 persone morte dopo 5 giorni che chiedevano aiuto. Altri casi di cui non si saprà niente. Ora Mediterranea è tornata in mare, Sea Watch è ripartita poche ore prima con imponenti misure di sicurezza.
L’immigrazione tornerà a essere tema di scontro politico?
Dipende da quanto i politici sentiranno il bisogno di strumentalizzare facendo politica sulla pelle della gente. Io sto ancora aspettando la discontinuità promessa da questo governo, io ero in mezzo al mare sulla Mare Jonio di Mediterranea quando si insediò questo governo. I decreti sicurezza sono ancora lì. Non permetteremmo mai che dei bambini bianchi rimanessero su una nave dopo essere stati torturati, violentati e tenuti prigionieri. Discontinuità vuol dire stracciare gli accordi con la Libia: c’è una gravissima violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, delle leggi, della Costituzione. I lager andrebbero evacuati e il sistema smantellato e bisognerebbe aprire canali d’accesso sicuri e legali sconfiggere il traffico di uomini. Tra l’altro non va bene che il soccorso in mare non venga fatto dagli Stati ma dalle Ong, non è normale.

Però in Parlamento alcuni si sono inginocchiati
Su questo ci penso da qualche giorno. I nostri parlamentari sanno chi è George Floyd, benissimo. Ma cosa sanno di Soumayla Sacko? Cosa sanno delle vittime del razzismo qui? Le vittime del nostro razzismo sistemico qualcuno le conosce? Possiamo interessarci a questo? Se sentiamo questo problema sollevato negli Usa allora dobbiamo guardarci intorno: i neri sono quelli nel Mediterraneo e quelli schiavi delle mafie nei campi a disposizione della grande distribuzione. Altrimenti inginocchiarsi servirà a poco.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni /2. Regeni, Di Maio risponde alle accuse: “La vendita delle armi all’Egitto non è conclusa” /3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia

4. “Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego /5. Torino, aggredita a 15 anni sul bus perché nera: “Il razzismo c’è anche in Italia”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Metti che un giorno l’Italia sia guerrafondaia e filonucleare: giocare d’anticipo, stavolta

Lo scorso ottobre durante una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che trattava di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione L.41,  mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti. La risoluzione votata (la trovate qui) si proponeva di fissare una conferenza programmatica di tutti gli Stati membri per individuare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”.

Il voto contrario dell’Italia (a braccetto con gli USA) scatenò nei mesi scorsi un folto coro di polemiche indignate. Brevi e postume, come al solito. Ovviamente. Fu piuttosto triste assistere anche al malcelato silenzio (o al massimo qualche editorialino sdraiato) da parte di una certa stampa che di quei tempi (era ottobre ma sembra un secolo fa) aveva la preoccupazione di non disturbare il manovratore Renzi.

E non fu un errore o una decisione presa d’improvviso: quel voto è avvenuto dopo una chiara risoluzione del Parlamento Europeo che invitava tutti gli Stati membri Ue a partecipare in modo costruttivo ai negoziati ma nemmeno questo era bastato.

(continua su Left)

L’onta nucleare

(di Giorgio Nebbia, per Ecologiapolitica)

Con mille esplosioni di bombe nucleari nell’atmosfera e altre mille esplosioni di bombe nucleari nel sottosuolo, nella metà del Novecento, Stati Uniti, Unione Sovietica (oggi Russia), Francia, Inghilterra, Russia, Cina, Pakistan e India, si sono dati da fare per assicurare i possibili nemici di possedere le più devastanti armi di distruzione di massa: se un paese avesse aggredito l’altro, sarebbe stato a sua volta distrutto; è la dottrina della “deterrenza”. Al club atomico si è poi aggiunto Israele, forse la Corea del Nord, e altri paesi hanno tentato di costruire le proprie bombe atomiche.

Per indurre i paesi non-nucleari a non dotarsi di armi nucleari e per scoraggiare la circolazione o il furto di uranio e plutonio, nel 1970 è stato proposto e poi firmato e ratificato, da “quasi” tutti i paesi, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, NPT. Era naturale che molti paesi, in questo turbolento mondo, si chiedessero perché alcuni potessero possedere armi nucleari vietate agli altri, per cui nel trattato fu inserito un “Articolo sei” che impegna tutti i firmatari ad avviare in buona fede azioni per l’eliminazione totale di tali armi, in maniera simile a quanto si era fatto con successo per l’eliminazione di altre armi di distruzione di massa, come quelle chimiche e batteriologiche.

Nel corso degli anni sono diminuite e cessate le esplosioni sperimentali nell’atmosfera o nel sottosuolo, ma solo perché sono stati inventati altri sistemi per controllare il “perfetto funzionamento” delle bombe nucleari esistenti. Delle sessantamila bombe nucleari esistenti nel mondo nel 1985 molte sono state eliminate e oggi ne restano “soltanto” circa 15.000, con una potenza distruttiva equivalente a quella di molte centinaia di migliaia di bombe come quelle che spianarono Hiroshima e Nagasaki. Alcune bombe termonucleari B-61 americane sono localizzate anche in Italia a Ghedi (Brescia) e Aviano (Vicenza).

L’esplosione anche solo di alcune bombe nucleari creerebbe sconvolgimenti climatici, desertificazione, avvelenamento e morte su intere regioni; per questo nel 1996 la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha dichiarato illegale anche solo la minaccia dell’uso delle armi nucleari. Intellettuali, premi Nobel e uomini politici (gli americani Kissinger e altri nel 2007; D’Alema, Fini, La Malfa e altri in Italia nel 2008), ma soprattutto movimenti pacifisti ed ambientalisti hanno chiesto ad alta voce, e finora senza successo, “un mondo senza armi nucleari”.

Nel 2014 la piccola Repubblica delle Isole Marshall, 68.000 abitanti di un gruppo di atolli nel Pacifico, in cui gli americani fecero esplodere centinaia di bombe nucleari cinquant’anni fa, ha “fatto causa” agli Stati Uniti e ad altri paesi nucleari che, pur avendo firmato il NPT, hanno sempre evitato di ottemperare agli obblighi dell’”Articolo sei” di tale trattato e anzi hanno continuato a perfezionare i loro arsenali.

Nel 2014 l’Austria ha redatto il testo di un “Impegno” per la totale eliminazione delle armi nucleari dal pianeta. Il disarmo nucleare totale, oltre ad aumentare la sicurezza internazionale e far diminuire i ben noti pericoli di danni ambientali, ha risvolti economici rilevanti. Intanto ogni anno nei soli Stati Uniti vengono spesi centinaia di miliardi di dollari per l’aggiornamento, il perfezionamento e la manutenzione delle bombe nucleari, soldi che il disarmo totale farebbe risparmiare.

Questo certo disturberebbe il vasto e potente complesso militare-industriale delle imprese che traggono profitti dalla produzione dell’uranio arricchito, del plutonio, dei composti di deuterio, gli ingredienti “esplosivi” delle bombe nucleari; simili attività sono fiorenti in tutti i paesi che possiedono armi nucleari e si capisce perché il disarmo incontra tanti ostacoli. D’altra parte l’eliminazione totale delle bombe nucleari, oltre a garantire maggiore sicurezza internazionale e a scongiurare il pericolo di catastrofi umanitarie e ambientali dovute alla stessa esistenza di tali armi, offrirebbe la possibilità di avviare un gigantesco impegno industriale e di ricerca per le operazioni di smantellamento delle bombe esistenti e di messa in sicurezza di migliaia di tonnellate di “esplosivi”, radioattivi e velenosi per millenni, altamente pericolosi da maneggiare; sarebbe la più grande impresa economica, finanziaria e di occupazione di tutti i tempi.

Molte utili informazioni si trovano nel libro, pubblicato dalle edizioni Ediesse a cura di Mario Agostinelli e altri, intitolato: Esigete ! un disarmo nucleare totale. L’11 aprile 1963 Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris” affermava: “Giustizia, saggezza ed umanità domandano che si mettano al bando le armi nucleari e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”. Gli ha fatto eco papa Francesco nell’appassionato messaggio del 7 dicembre 2014 alla conferenza sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari ripetendo: “Un mondo senza armi nucleari è davvero possibile”.

Ebbene un passo verso questo obiettivo sembra sia stato fatto nell’ottobre 2016 quando nella prima commissione dell’assemblea delle Nazioni Unite è stata votata la risoluzione L.41 che chiede che nel 2017 siano avviate trattative per arrivare ad un divieto delle armi nucleari con l’obiettivo della loro totale eliminazione. La risoluzione è stata approvata con 123 voti a favore, 38 voti contrari e 16 astensioni. L’Italia ha votato contro. E’ questa, a mio parere, una vergogna.

La risoluzione L.41 sarà oggetto di ulteriore votazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla fine di autunno 2016. Come elettore di questo Parlamento chiedo che esso dia mandato al suo potere esecutivo di votare a favore dell’inizio di un cammino che porti al divieto totale delle armi nucleari che è un obbligo giuridico, preso dall’Italia firmando il Trattato di non proliferazione NPT, oltre che un dovere umanitario. Siamo ancora in tempo a eliminare le armi nucleari: chiediamolo ad alta voce.

All’Onu 123 Paesi firmano per un Trattato di messa al bando delle armi nucleari, l’Italia vota no.

Le Nazioni Unite hanno adottato a larga maggioranza una Risoluzione politica che chiede di avviare nel 2017 i negoziati per un Trattato internazionale volto a vietare le armi nucleari. Questa decisione storica pone fine a due decenni di paralisi negli sforzi multilaterali per il disarmo nucleare.
Nel corso di una riunione del Primo Comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si occupa di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione, mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti.
Grazie a questa Risoluzione (denominata L.41) viene fissata un Conferenza tematica delle Nazioni Unite a partire dal marzo del prossimo anno: una riunione aperta a tutti gli Stati membri con il fine di negoziare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”. I negoziati a riguardo continueranno poi nel mese di giugno e luglio.
La Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN), coalizione mondiale della società civile attiva in 100 Paesi di cui anche Rete Italiana per il Disarmo è parte, ha salutato l’approvazione della Risoluzione come un importante passo positivo in avanti, che segna un cambiamento fondamentale nel modo in cui il mondo sta cercando di affrontare la minaccia degli ordigni nucleari.
“Per sette decenni l’ONU ha messo in guardia contro i pericoli dell’arma nucleare e tantissime persone ed organizzazioni nel mondo hanno portato avanti campagne per la loro abolizione. Oggi la maggior parte degli Stati ha deliberato di bandire queste armi” ha commentato Beatrice Fihn, Direttore esecutivo di ICAN.
Nonostante un continuo braccio di ferro a riguardo di questo percorso condotto dagli Stati dotati di armi nucleari la Risoluzione è stata adottata con una vasta maggioranza. Un totale di 57 nazioni sono stati co-sponsor (cioè primi firmatari) del testo proposto, con Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sud Africa ad essersi assunti il compito di redigere concretamente la Risoluzione.
Il voto delle Nazioni Unite è avvenuto solo poche ore dopo l’adozione da parte del Parlamento Europeo di una propria risoluzione su questo tema: 415 voti favorevoli (con 124 contro e 74 astensioni) ad un invito verso tutti gli Stati membri dell’Unione europea a “partecipare in modo costruttivo” ai negoziati del prossimo anno. Un invito non raccolto dall’Italia che si è schierata contro la Risoluzione L.41 continuando, come nei passi precedenti di questo percorso, a sostenere la posizione degli Stati Uniti e di tutte le altre potenze nucleari. Ricordiamo che l’Italia è posta sotto “l’ombrello nucleare” della NATO e, a seguito degli accordi di cosiddetto “Nuclear Sharing”, ospita sul proprio territorio ordigni di tale natura.
“Siamo davvero molto contenti del risultato dei due voti, quello all’ONU ma anche quello al Parlamento Europeo” afferma Lisa Clark dei Beati i Costruttori di Pace organismo membro di Rete Disarmo “Davvero grande e prezioso è stato il lavoro di mobilitazione della Campagna ICAN, che ha avuto lo straordinario merito di aver rilanciato il disarmo nucleare a livello di movimento popolare e non solo più come tema di discussione tra pochi addetti ai lavori”.
“Si è riusciti finalmente a formare un fronte unito tra gli Stati che da sempre di impegnano per il disarmo e tutti quelli che finora hanno rispettato il loro impegno di non dotarsi di armi nucleari (impegno presente nel TNP) a condizione che le potenze nucleari smantellassero i propri arsenali” sottolinea Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo “Un risultato ottenuto poiché molti Paesi si sono stancati di non veder realizzata la parte dell’accordo in capo agli Stati nucleari”.
“E’ chiaro però che un Trattato per la messa al bando delle armi nucleari che non veda tra i propri membri le potenze nucleari non sarà sufficiente per realizzare davvero un disarmo pieno” commenta ulteriormente Lisa Clark “Quindi dobbiamo prepararci un nuovo e lungo duplice lavoro. Da un lato portare avanti, a partire dall’anno prossimo, i lavori per il Trattato di messa al bando; dall’altro trasformare questo lavoro in un enorme movimento che entri dentro i meccanismi governativi delle potenze nucleari, facendo loro capire che quelle armi nei loro arsenali non sono il simbolo della loro potenza, ma solo la medaglia della vergogna che contraddistingue gli stati canaglia”.
Le armi nucleari rimangono le uniche armi di distruzione di massa non ancora fuori legge in modo globale e universale nonostante i loro catastrofici impatti ambientali e umanitari, ben chiari e documentati.
“Un Trattato che vieti le armi nucleari rafforzerebbe la norma globale contro l’uso e il possesso di queste armi, già presente nel Trattato di Non Proliferazione, chiudendo le principali lacune del regime giuridico internazionale esistente e stimolando un’azione di disarmo che per molto tempo si è bloccata”, ha aggiunto a margine della riunione del Primo Comitato Beatrice Fihn. “Il voto di oggi dimostra molto chiaramente che la maggior parte delle nazioni del mondo considera necessario, possibile e urgente un divieto chiaro di esistenza e possesso di armi nucleari. Tali Paesi vedono questa come l’opzione più praticabile per ottenere un reale progresso sul disarmo globale”.
Le armi biologiche, armi chimiche, mine antiuomo e bombe a grappolo sono topologie di ordigni tutte esplicitamente proibite dal diritto internazionale. Attualmente per le armi nucleari esistono invece solo divieti parziali. Il disarmo nucleare è stata una delle priorità delle Nazioni Unite sin dalla creazione dell’Organizzazione nel 1945. Gli sforzi per far avanzare questo obiettivo fondamentale si sono fortemente rallentate negli ultimi anni, con le potenze nucleari che hanno deciso di investire pesantemente nella modernizzazione dei propri arsenali.
Venti anni sono passati dalla negoziazione del precedente strumento multilaterale di disarmo nucleare: il Comprehensive Nuclear-test Ban Treaty discusso nel 1996 ma che deve ancora entrare formalmente in vigore per l’opposizione di una manciata di nazioni.
La risoluzione di oggi agisce a partire dalla raccomandazione elaborata da un Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul disarmo nucleare che si è riunito a Ginevra durante quest’anno per valutare il merito di varie proposte avanzate nel consesso internazionale per realizzare un mondo senza armi nucleari.
Il risultato ottenuto deriva anche dalle tre importanti conferenze intergovernative sull’impatto umanitario delle armi nucleari tenute in Norvegia, Messico e Austria tra il 2013 e il 2014. Questi incontri hanno contribuito riformulare il dibattito concentrandosi sul danno che tali armi infliggono sulle persone. Le Conferenze hanno inoltre consentito alle nazioni non nucleari di svolgere un ruolo più assertivo nell’arena del disarmo globale. Con la terza e ultima conferenza di tale serie, che ha avuto luogo a Vienna nel dicembre 2014, la maggior parte dei Governi aveva già segnalato la loro volontà di mettere fuori legge le armi nucleari.
In tutto questo processo, le vittime e i sopravvissuti di detonazioni di armi nucleari, tra cui i test nucleari, hanno contribuito attivamente al percorso. Setsuko Thurlow, una hibakusha (cioè superstite del bombardamento di Hiroshima), ha dichiarato dopo il voto all’ONU: “Questo è un momento davvero storico per il mondo intero. Per quelli di noi che sono sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, è un’occasione molto gioiosa. Abbiamo aspettato così a lungo che questo giorno arrivasse. Le armi nucleari sono assolutamente aberranti e tutte le nazioni dovrebbero partecipare ai negoziati del prossimo anno per metterle fuori legge. Spero di essere io stessa a ricordare ai delegati del indicibili sofferenze che le armi nucleari causano. E quanto sia grande la nostra responsabilità e il nostro compito nel fare in modo che tale sofferenza non accada mai più”.
Ci sono ancora più di 15.000 armi nucleari attualmente nel mondo, in particolare negli arsenali di appena due nazioni: gli Stati Uniti e la Russia. Sette altri Stati possiedono armi nucleari: Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord.

Il risultato del voto.
Il risultato del voto.

La maggior parte delle nove nazioni nucleari hanno votato contro la risoluzione Onu. Molti dei loro alleati, compresa l’Italia e gli altri Paesi in Europa che ospitano armi nucleari sul loro territorio come parte di un accordo NATO, non hanno sostenuto la risoluzione L.41. Ma le nazioni dell’Africa, dell’America Latina, dei Caraibi, del Sud-Est asiatico e del Pacifico hanno votato a grande maggioranza e ritorneranno ad essere protagonisti in occasione della Conferenza di negoziazione a New York il prossimo anno.
Lunedì scorso 15 vincitori del premio Nobel per la Pace hanno esortato le nazioni a sostenere i negoziati auspicando “una conclusione tempestiva e di successo in modo che si possa procedere rapidamente verso l’eliminazione finale di questa minaccia esistenziale per l’Umanità”.
“Questo Trattato non riuscirà ad eliminare istantaneamente e con la bacchetta magica tutte le armi nucleari”, ha concluso Beatrice Fihn. “Ma con esso si stabilirà un nuovo standard giuridico internazionale potente, che andrà a stigmatizzare le armi nucleari spingendo le nazioni ad intervenire con positiva urgenza nei processi di disarmo”. In particolare il Trattato metterà grande pressione sulle nazioni, come l’Italia, che ricevono qualche forma di protezione dalle armi nucleari di un proprio alleato; uno stimolo ulteriore a porre fine a questo tipo di politica, che potrà avere come ulteriore risultato una spinta al disarmo completo degli attuali Paesi nucleari.

(fonte)

Non si festeggiano i rinvii

Sembra che sulla questione della questione degli F35 il PD stia convergendo su un accordo per rinviare la decisione dopo un’indagine conoscitiva (devono scoprire se hanno pale, eliche o reattori, probabilmente).

Mi dice qualche amico che è una vittoria, il rinvio degli F35. Che dobbiamo esserne contenti. E’ una buona mediazione mi dicono. Cioè vogliono convincermi che tenersi il governissimo PD-PDL obbligatorio per le urgenze che decide di rinviare le decisioni faccia bene al paese.

Vi prego: se da anziano comincio a festeggiare anche i rinvii datemi delle gocce per dormire.

F35 e le promesse implose

Alla fine siamo arrivati alla settimana “benedetta” della discussione alla Camera sull’acquisto dei cacciabombardieri F35. La campagna “Taglia le ali alle armi!” ha posto all’attenzione pubblica un tema che avrebbe rischiato di rimanere nascosto tra le pieghe (sempre abbastanza profonde) del bilancio militare. Sono mesi che ne parliamo e ne scriviamo, anche qui, tanto da avere avuto bisogno anche di riordinare le idee su tutti i passaggi della discussione (qui) e le improbabili parole del Ministro Mario Mauro che definisce i caccia “strumenti di pace”.

In campagna elettorale Bersani ha ‘ceduto’ alle richieste del fronte del NO dichiarando che il PD avrebbe distratto quei soldi su altre priorità, e poi sappiamo tutti com’è andata a finire. Certo che la questione degli F35 è uno di quei soliti nodi in cui i democratici (e non solo) si incagliano smentendosi rispetto alla campagna elettorale senza nemmeno la fatica di trovare delle giustificazioni. Allo stato attuale esiste una mozione che chiede di cancellare l’acquisto (firmata da M5S, SEL e una porzione piccola di PD) e esiste un fronte militarista (i soliti noti).

Siamo in molti a ostirnarci a credere che questo Governo possa comunque siglare segnali importanti di cambiamento almeno in piccoli passi e passaggi parlamentari in cui una maggioranza parlamentare è possibile. Ecco: un inciampo benefico sugli F35 sarebbe una buona notizia. Un inciampo come strumento di pace.