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Il fascino della divisa

Ve lo ricordate Sandro Gozi? Un “traditore dello Stato”, un “nemico dell’Italia”, un “meschino”, un “disertore”, “uno a cui bisognerebbe togliere la cittadinanza”: sono solo alcune delle definizioni che sono state usate da esponenti di Lega e Fratelli d’Italia quando l’ex sottosegretario dei governi Renzi e Gentiloni assunse un ruolo politico per Macron in Francia. Sia chiaro: tutto alla luce del sole, al di là dell’opportunità su cui ognuno può avere la sua idea.

Salvini e Meloni sono pronti a individuare “tradimenti dell’Italia” in ogni frangente, soprattutto quando si tratta di nemici politici. In questi giorni in Italia c’è l’ipotesi di un tradimento proprio bello e finito, roba quasi da film, un capitano di fregata, Walter Biot, sorpreso dai Ros a vendere segreti militari ai russi in un parcheggio di Roma: anche se fa piuttosto ridere comunque siamo di fronte a uno dei più gravi episodi di spionaggio degli ultimi anni.

Nessuna parola di Meloni e Salvini, ovviamente. È il fascino della divisa: se scorrete i loro social trovate le solite badilate sugli immigrati, sulla sinistra (più Giorgia Meloni ovviamente, poiché Salvini ora si deve fingere moderato), indignazione per la condanna ridotta a Kabobo ma niente sull’ufficiale. Eppure, oh, se ci pensate è proprio il prototipo del traditore perfetto. Ma niente di niente.

Curiosa anche certa stampa che da giorni ci racconta come Biot avrebbe venduto documenti riservati ai russi per problemi di soldi (la moglie ci dice che hanno “quattro cani da mantenere”, tra le altre cose). Parliamo di un dipendente dell’Esercito, eh. Provate a chiedere in giro per strada alla gente in pandemia, a proposito di povertà. Tutta la pietas che non hanno per i poveri senza divisa è esplosa per il capitano di fregata.

Che ipocrisia, che bassezza, che poca roba. Che peccato.

Buon venerdì.

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Un governo per niente impolitico

Il governo Draghi, quello che fa sognare i portatori d’acqua delle élite e i nuovi feticisti del merito usato come termometro personale per poter giudicare il mondo, ha già fissato un nuovo record: i suoi ministri hanno cominciato a litigare tra di loro quarantotto ore dopo il giuramento, due giorni prima addirittura di ottenere la fiducia, nemmeno il tempo di tornare a casa e svestirsi dei vestiti di ordinanza che erano serviti per apparire sobri. Tolti i vestiti, tolta la sobrietà. Il punto dirimente è stata la chiusura all’ultimo momento delle piste da sci alla luce dei nuovi dati sanitari (tra l’altro l’ennesimo colpo a un’economia che prova faticosamente e costosamente a rialzarsi e poi si ritrova con le gambe spezzate dal virus) ma non preoccupatevi perché sarebbe potuto accadere su un tema qualsiasi e accadrà, vedrete, su un altro milione di punti. Comunque è bastato il decreto firmato dal ministro Speranza (che mica per niente fino all’altro ieri era il capo della “dittatura sanitaria” strillata da destra) per accendere le voci di chi ha corso per scrollarsi di dosso la responsabilità e per apparire critico del governo per sembrare dalla parte dei lavoratori. In prima fila, ovviamente, ci sono stati i leghisti che sono quelli che più di tutti hanno meno da perdere nel fare gli sfascisti dall’interno e continuare a ondeggiare tra l’essere critici e responsabili, sovranisti e europeisti, patrioti e cosmopoliti.

Le bordate di Salvini, dei presidenti di Regione e dello Stato maggiore del partito avevano un unico obiettivo: scaricare su Speranza tutta la responsabilità, promettere che con loro queste cose non sarebbero mai più accadute e lanciare a Draghi il chiaro messaggio che loro no, non staranno tranquilli. Tant’è che proprio Palazzo Chigi (e hanno scritto tutti “Palazzo Chigi” perché gli tremano le dita a scrivere “Draghi”) ha dovuto smentire la fiumana critica che stava montando chiarendo che la decisione era stata condivisa in Consiglio dei ministri. Ovvero: questi fanno finta di non sapere e invece sono responsabili durante le riunioni con la maggioranza e poi si fanno esplodere appena gli capita davanti un microfono. E sarà così, sarà sempre così, sarà sempre di più così. Spiace anche vedere in giro gente che esulta confidando veramente sul fatto che Draghi riesca a tenere a bada i suoi ministri e i suoi sottosegretari: potrà anche accadere (sarà ben difficile, secondo me nemmeno questo accadrà) ma Draghi non potrà mai permettersi di zittire i partiti e sarà proprio dai partiti che arriveranno le bordate e non è un caso che i leader di partito si siano tenuti ben attenti tutti le mani libere. Ora da questo piccolo ma significativo episodio si può subito capire una cosa ben chiara: siamo di fronte a un governo con una connotazione fortemente politica (il “governo di quasi tutti i partiti”, altro che il governo dei tecnici) e noi dobbiamo valutarlo per questo. E allora che governo è il governo Draghi? La squadra di governo statisticamente disegna l’identikit di un maschio 55enne lombardo-veneto con 6 ministri di centrodestra (3 ciascuno per Lega e Forza Italia), 4 del M5s, 3 del Pd, 1 di Leu e 1 di Italia viva. Bastano le statistiche per capire di cosa stiamo parlando? Siamo di fronte a un governo con una maggioranza di ministeri dati al centrodestra (i numeri parlano) con il più promettente partito di destra, Fratelli d’Italia che presto volerà nei sondaggi, a capo dell’opposizione, con tecnici che provengono da una cultura bancaria a occupare le altre caselle, con una forte impronta cattolica (se non addirittura omofobi di derivazione ciellina) e con idee tutte’altro che progressiste in tema di diritti civili. Un governo, per intendersi, che dalle urne sarebbe uscito se la coalizione di Salvini e Berlusconi e Meloni avesse ottenuto la maggioranza dei voti e avesse potuto godere dell’appoggio esterno del presunto centrosinistra.

Questa è l’impronta, questa è la storia delle persone che sono al comando e non si capisce per quale ragione da un composto del genere dovrebbero uscire idee totalmente opposte ai loro curriculum. Allora forse conviene fare un patto, almeno con i lettori, e decidere che sia subito il caso di uscire da questo messianismo che ha immobilizzato un bel pezzo dell’opinione pubblica e che si cominci da subito a valutare il governo Draghi con lo stesso occhio clinico e attento che si userebbe per un governo di cui temiamo le mosse. Questo non per un miope pregiudizio di ideali (chi non si augurerebbe di vivere in un Paese che abbia la fortuna di trovare un ottimo governo?). Ma perché se continuiamo a rimanere imbrigliati nel tranello di considerare questo esecutivo “impolitico” allora saremo sempre pronti a digerire qualsiasi sua azione come “la meno peggio delle mediazioni possibili”. È un governo larghissimo? Sì, è vero, ma la responsabilità di tutta questa ampiezza se la sono presa Draghi e il presidente della Repubblica e se davvero siamo nell’epoca del “merito” allora se ne assumeranno tutte le responsabilità.

L’articolo prosegue su Left del 19-25 febbraio 2021

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Fingeranno sempre di passare lì per caso

Il governo ha deciso di chiudere le piste da sci sulla base dei dati del Cts sui contagi. Apriti cielo. Da Salvini a Zingaretti si levano voci sdegnate. E a parlare così sono i politici di quegli stessi partiti che hanno ministri nell’esecutivo Draghi. Ecco cosa c’e dietro il “governo dei sogni”

Giornata interessante, quella di ieri. Giornata significativa anche per quelli che da qualche giorno sospirano petali di rosa sognanti per un Draghi taumaturgo che avrebbe il potere di cancellare i partiti, la politica, la mediocrità di certi leader e soprattutto i normali meccanismi democratici di un Parlamento.

Accade che il governo decida di chiudere le piste da sci che invece avrebbero dovuto aprire. Accade che lo faccia all’ultimo momento: l’ultimo momento del resto è il primo momento utile con i nuovi dati che arrivano dal Comitato tecnico scientifico e volendo ben vedere anche il primo giorno utile da un governo che è naufragato per regalarci il governo dei sogni, il governo dei migliori, il governo che avrebbe cambiato tutto. Accade che di fronte i dati dei nuovi contagi (perché la curva non si abbassa più e anzi in modo preoccupante tende a rialzarsi probabilmente a causa delle varianti del virus) si decide di tenere chiuse le piste sciistiche. Apriti cielo: ogni volta che qualcuno tocca un settore qualsiasi ovviamente (e giustamente) si levano voci sdegnate. Ma badate bene, qui non si tratta delle voci dei lavoratori, che si sono ritrovati nella pessima situazione di dover cancellare una riapertura programmata che è costata organizzazione, soldi, fatica e che inevitabilmente costa moltissimo in termini economici e di spirito. No, qui si levano le voci sdegnate dei politici.

«I ministri hanno la nostra fiducia. ma serve cambiare qualche tecnico – ha avvertito Salvini – La comunità scientifica è piena di persone in gamba». Il presidente di Regione Lombardia, il leghista Fontana dice: «Trovo assurdo apprendere dalle agenzie di stampa la decisione del ministro della Salute di non riaprire gli impianti sciistici a poche ore dalla scadenza dei divieti fin qui in essere, sapendo che il Cts aveva a disposizione i dati da martedì, salvo poi riunirsi solo sabato». «Sono allibito da questa decisione che giunge a poche ore dalla riapertura», dice il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Piste da sci aperte in Friuli Venezia Giulia dal 19 febbraio anche per gli sciatori amatoriali. Il governatore Massimiliano Fedriga ha firmato l’ordinanza urgente n. 4/2021 con cui apre anche agli sciatori amatoriali, a decorrere dal 19 febbraio e fino al 5 marzo, gli impianti nelle stazioni e nei comprensori sciistici. «Per noi viene prima di tutto la salute dei cittadini ma è raccapricciante e imbarazzante vedere un’ordinanza che proroga la chiusura degli impianti da sci pubblicata 4 ore prima di mezzanotte», dice il presidente veneto Luca Zaia. Ma badate bene, non è mica solo la Lega: «Il danno per l’economia dello #sci e della #montagna è davvero immenso. Il Governo si adoperi subito per indennizzi e ristori a chi è stato colpito. Questa è la priorità assoluta», spara il segretario del Pd Zingaretti. «Non posso non esprimere stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza», dice il presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. Italia Viva (figurarsi) chiede “un cambio di passo”. E via così.

Tant’è che a un certo punto si diffonde l’opinione che la decisione sia stata presa dal ministro Speranza, da solo rinchiuso nella sua stanzetta e che loro non ne sapessero niente. Peccato che a metà giornata Palazzo Chigi (quindi Draghi) fa sapere all’Agi che la decisione sugli impianti sciistici è stata adottata in base alle informazioni fornite dal Cts e condivisa dal governo e dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Cioè la decisione è stata discussa con tutti i ministri e quindi si presume che i ministri abbiano avvisato i segretari del proprio partito e quindi si presume che sia tutta una posa, una finta sorpresa, un giochetto facile facile: questi fingeranno sempre di essere presi alla sprovvista perché appoggeranno il governo nella comoda posizione di chi comunque si sente un battitore libero. E continueranno a sparare cannonate perché Draghi potrà (forse) riuscire a tenere a bada i ministri e non i partiti, com’è normale che sia.

Ora capite perché la favola del “governo tecnico” è una bufala? Questi continueranno a fingere di passare di lì per caso, in Consiglio dei ministri, rimanendo stupiti tutte le volte, ognuno per proprio tornaconto elettorale. Il “governo dei sogni” è un governo che ha messo sul palcoscenico tutte le mediocrità, nessuna esclusa, e che rende facilissima la vita agli “oppositori interni”, quelli che sfasciano tutto per sentirsi vivi. Un capolavoro, insomma.

Buon martedì.

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Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Ma esattamente cosa vuole Attilio Fontana? Qualcuno dovrebbe spiegarcelo. L’ideale sarebbe che ce lo spiegasse lui, ma forse è chiedere troppo a qualcuno che ancora ci deve spiegazioni sulle mancate chiusure in Val Seriana, sull’accordo tra Fondazione San Matteo e Diasorin per i test sierologici e il conseguente divieto imposto a tutti i sindaci del territorio, sui vaccini antinfluenzali ordinati poco e male, sui camici acquistati e poi regalati, sulle cose non fatte finora e su tutto il resto.

Eppure Fontana che si schianta contro il governo nazionale perché la sua Regione è infilata fino al collo nella seconda ondata e si lamenta per un lockdown che viene richiesto praticamente da tutta la comunità scientifica è qualcosa che sfocia nell’insondabile, nel magico. Si tratta del presidente di quella stessa Regione che ha ormai perso qualsiasi possibilità di tracciamento, qui dove – come già a marzo – accade che si aspetti un tampone che non arriva mai, qui dove ormai sono saltati anche i tamponi a rapporti stretti di chi è risultato positivo al virus, qui dove anche gli ospedali ormai sono in situazione critiche e lavorano in situazioni critiche, qui dove le RSA sono ancora sotto assedio anche alla seconda ondata.

Esattamente Fontana che vuole? Vorrebbe tenere aperto? No, pare di no, oppure non ha il coraggio di dirlo chiaramente. Vorrebbe, questo l’ha detto bene, che chiudessero anche gli altri. E perché? Anche questo non si capisce, è di difficile comprensione. E perché Fontana non risponde a tutti gli errori commessi fin qui? Perché non ci spiega come abbia potuto accadere che siano state pubblicate solo da pochi giorni le gare per assumere medici e infermieri che mancano? Perché non ci spiega come mai sia saltata la medicina di base che avrebbe dovuto essere il primo argine contro il virus? Perché non ci dice e non ci risponde sulla disastrosa situazione dei mezzi pubblici?

“È un dato di fatto. Ma ciò non toglie che per la Lombardia, dati alla mano, il lockdown deciso ieri dal premier Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Speranza sia necessario. Il problema semmai è che è in ritardo di due settimane”, dice oggi il dirigente dell’Ats Milano Vittorio Demicheli. Fontana era lo stesso che si lamentava con Conte perché non chiudeva. E ora? Cosa è cambiato? Scorrete le sue dichiarazioni e vi accorgerete che il presidente della Lombardia ha un solo interesse: andare contro il governo nazionale. Solo quello. Solo propaganda.

Leggi anche: 1. Il Covid e lo spaventoso aumento dei casi di usura: quel dramma nascosto di cui nessuno parla / 2. Dpcm, ecco la suddivisione delle Regioni in zona rossa, arancione e gialla / 3. Nuovo Dpcm, Conte: “Il virus corre forte, dobbiamo intervenire. Italia divisa in tre aree di rischio, regole in vigore da venerdì”

4. Covid, la sindaca di Roma Virginia Raggi: “Sono positiva ma non ho sintomi” / 5. Covid, zone rosse, arancioni e gialle: cosa si può fare dopo il nuovo Dpcm / 6. Covid, una nuova variante del virus è responsabile della seconda ondata europea: “Partita dalla Spagna in estate”

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Lombardia, M5s-PD a TPI: “Coprifuoco? Il Covid si diffonde in famiglia perché la Regione non sa dove mettere i positivi”

La Lombardia prepara le nuove restrizioni in accordo con il governo: “coprifuoco” a partire dalle 23 alle 5 del mattino. La misura è stata condivisa all’unanimità dai sindaci di tutti i Comuni capoluogo della Lombardia, dal presidente dell’Anci, Mauro Guerra, dai capigruppo di maggioranza e di opposizione e dal governatore Fontana. Per l’opposizione in Consiglio Regionale però si potrebbe e si dovrebbe fare di più: “La crescita dei contagi – dice a TPI Massimo De Rosa, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Lombardia – impone una seria riflessione sulla peculiarità della Lombardia nell’affrontare il virus, anche alla luce delle sollecitazioni del comitato tecnico scientifico locale. Un maggior sforzo oggi tutelerà il tessuto economico e lo sviluppo di domani. Pretendiamo che questa volta la Regione non si faccia cogliere impreparata e abbia il coraggio di prendere decisione chiare e immediate. Decisioni attraverso le quali dare certezze ai cittadini, garantire l’agibilità per le imprese, e ridurre il numero di contagi”.

“Le soluzioni non per forza devono penalizzare la socialità e il commercio. Le istituzioni hanno il dovere di garantire mirate tutele ai commercianti e, più in generale, a chi ha compiuto sforzi, anche economici, per lavorare in sicurezza. Il Movimento Cinque Stelle insiste da tempo sulla necessità di test diagnostici rapidi per l’immediato tracciamento dei casi ed eventuali chiusure mirate. Auspichiamo che il dialogo, che sembra essersi instaurato, con la maggioranza riesca a portare a risultati, attraverso i quali arginare l’andamento esponenziale della curva dei contagi. I cittadini sono pronti a fare la loro parte”.

Critica invece Carmela Rozza, del Partito Democratico, che a TPI sul coprifuoco dice: “È una misura necessaria e spero utile. Ma non basta. La Regione continua a fare finta che non esistano le infezioni familiari e spesso i positivi si ritrovano in isolamento in appartamenti non adeguati. E noi non abbiamo più delle strutture dove poter isolare delle persone che non si possono isolare a casa. La Regione ha mollato il tema all’ATS, che fa gare in cui non si riescono a trovare alberghi adeguati come invece accadeva in primavera, ma ci deve essere la politica e devi convincere il proprietario dell’albergo del fatto che non avrà ricadute. Invece la Regione Lombardia ha affidato tutto alla burocrazia. Ma se tu mandi la gente a casa e la lasci infettare senza isolarla, succederà quello che è successo a Bergamo con la gente che muore dentro casa”.

Anche Carlo Borghetti, consigliere regionale del Partito Democratico, si augura che questa mossa non sia un alibi: “Chiamiamolo lockdown notturno dalle 23, non coprifuoco – dice a TPI – Utile, vista la crescita del contagio in Lombardia, ma non sia un alibi per Fontana e soci. La Regione è colpevole di averci portato fin qui senza aver potenziato davvero la sanità territoriale, strategica per arginare il contagio: sostegno ai medici di famiglia, tracciamento, USCA, alloggi di sorveglianza… Tutto rimasto al palo da 8 mesi. Per non parlare dell’errore drammatico già visto a marzo: stanno mischiando pazienti Covid e non-Covid negli ospedali lombardi. Hanno avuto soldi e autonomia da Roma, ora si diano una mossa”.

Leggi anche: 1. Coprifuoco in Lombardia: cosa cambia adesso / 2. Lombardia, i numeri che hanno deciso il coprifuoco: “600 persone in rianimazione entro fine mese e 4 mila ricoverati” / 3. Covid, l’allarme dell’Ats Milano: “Non riusciamo più a tracciare i contagi e a isolare i positivi”

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Elly Schlein a TPI: “Io segretario Pd? Sto bene dove sto. Sui migranti troppe ambiguità, ci vuole più coraggio”

Vicepresidente della Regione Emilia Romagna ed ex europarlamentare, Elly Schlein fondato le liste “Coraggiosa” hanno corso alle ultime elezioni amministrative con buoni risultati. TPI l’ha intervistata su Ue, politiche migratorie e futuro del governo.
L’Europa dice “superiamo gli accordi di Dublino” e poi esce con questa solidarietà invertita tra stati del Migration Pact. Che ne pensi?
È un errore strategico perché, al di là della dichiarazione del volere abolire il regolamento di Dublino, non risolve il nodo fondamentale che solo la riforma approvata dal parlamento nel 2017 risolveva: cioè un ricollocamento automatico per condividere equamente tra gli stati la responsabilità sull’esame delle richieste di asilo, valorizzando i legami delle persone. Quello è il tema. Mi sembra un piano deludente perché in questo modo mette da parte il lavoro fatto dal parlamento e approvato dalla maggioranza e che poteva essere utilizzato anche per convincere i governi dentro al consiglio a votare, anche a maggioranza qualificata. E invece ripropone l’idea molto vecchia della solidarietà flessibile. Un’operazione culturalmente molto pericolosa è mettere sullo stesso piano i ricollocamenti (e quindi la condivisione dell’accoglienza) e la sponsorizzazione dei rimpatri. Mi sembra che lasci le mani libere a quei governi che si sono dimostrati molto interessati alla solidarietà europea quando vuol dire fondi strutturali e assolutamente indisponibili quando si tratta di un’altra forma di responsabilità europea che è quella che già i trattati chiedono sull’asilo e sull’accoglienza. Mi sembra anche un errore strategico perché anziché farsi forte di una posizione già approvata dal parlamento si riparte da zero con una proposta che non risolve il tema della solidarietà obbligatoria.

L’Europa dice che è solidarietà obbligatoria perché comunque devi dare un contributo…
Cosa sceglieranno i paesi del blocco di Visegrad tra i ricollocamenti e tra il dare un po’ di soldi per fare i rimpatri o dare altro supporto operativo? C’è poi un’altra preoccupazione che sono le procedure accelerate alle frontiere che sembrerebbero aumentare il carico di lavoro ai paesi di confine come l’Italia e soprattutto non si capisce basate su cosa. La convenzione di Ginevra chiede un pieno esame individuale delle domande d’asilo e se tu fai una procedura accelerata – magari basata sul concetto molto discrezionale di paese terzo sicuro – rischi di costituire un filtro d’ingresso che nega il permesso di asilo a seconda del paese da cui provieni. Non mi sembra un passo avanti. Mi sembra un passo indietro. Perfino la commissione Junker, anche se con soglie altissime, faceva scattare un obbligo di ricollocamento per tutti i paesi europei. Al governo italiano spetta un difficile negoziato in cui trovare alleati sui ricollocamenti obbligatori.

In Italia qualche giorno fa hanno bloccato la Mare Jonio ed è la sesta nave ferma in porto per questioni burocratiche anche piuttosto discutibili. I decreti sicurezza rimangono sempre lì e Lamorgese ha parlato di possibili profili penali per le Ong. Come siamo messi qui da noi a criminalizzazione della solidarietà?
Evidentemente male. Mi sembra che ci sia ancora troppa ambiguità in relazione all’obbligo di ricerca e soccorso in mare e non mi sembra che si sia risolto il tema facendo la guerra a coloro che cercano di sopperire alle mancanze istituzionali. Non si sta discutendo di rimettere in mare un’operazione di ricerca e soccorso istituzionale come è stata Mare Nostrum, no, e a fronte di questo a maggior ragione è sbagliato criminalizzare chi si sta occupando di salvare vite in mare che è un obbligo giuridico e morale. Male.

Troppe ambiguità anche da parte di questa maggioranza. Spero possa risolverla in modo diverso anche con la modifica di questi decreti sicurezza che davvero stiamo aspettando da troppo tempo. Era il primo segnale necessario di discontinuità del governo Conte e ne stiamo parlando ancora dopo un anno. È importante che arrivi in fretta e che corregga non solo la criminalizzazione delle Ong ma anche gli altri profili gravissimi come quello che tendeva a smantellare l’unico sistema di buona accoglienza che è quello diffuso, che rifiuta la grande concentrazione di persone dove spariscono i diritti e spesso si infila l’ interesse economico, quello che privilegia le piccole soluzioni abitative distribuite sul territorio con adeguati servizi di inserimento nella società e con adeguati controlli da parte delle amministrazioni locali e con trasparenza sull’utilizzo dei fondi. Chi ha scritto i decreti sicurezza privilegiando le grandi concentrazioni rispetto all’accoglienza diffusa è proprio chi vorrebbe fare dell’accoglienza un business, calpestando i diritti. Con un po’ di coraggio in più questa maggioranza dovrebbe riscrivere complessivamente le leggi sull’immigrazione rimediando ai disastri delle destre che hanno prodotto irregolarità e ingiustizia, non certo inclusione e sicurezza per le comunità.

Molti ti vorrebbero segretaria del Pd ma le tue liste “Coraggiosa” hanno corso alle amministrative ottenendo ottimi risultati. Hai intenzione di continuare su questa linea o pensi che si possa pensare a un partito di centrosinistra che tenga insieme tutto?
Noi stiamo bene dove stiamo. Anzi, in una tornata che ha segnato dei risultati importanti ma non brillanti per le forze progressiste e la sinistra siamo rimasti positivamente sorpresi che le liste di coraggiosa abbiano avuto una crescita significativa. a Faenza abbiamo fatto il 7,22 per cento, a Vignola abbiamo avuto una crescita del 145 per cento rispetto alle regionali di 8 mesi fa. A Imola è andata bene, siamo cresciuti al 5 per cento. Quindi in una tornata in cui il centrosinistra si è difeso bene ma non c’è stata una crescita in valori assoluti, “Coraggiosa” è in controtendenza forse perché stiamo provando a dare una chiarezza di visione che in questo momento a livello nazionale manca. Stiamo cercando, dentro le coalizioni, di contribuire a fermare la destra ma qualificando la nostra proposta sui temi della lotta alle disuguaglianze e alla transizione ecologica, due temi su cui chi si sta mobilitando anche fuori dalla politica è stufo di titubanze e di ambiguità. Questo può essere anche uno spunto importante per le forze che formano questa maggioranza. Sui temi del clima, dell’immigrazione e del lavoro di qualità bisogna che si sblocchi questo governo. Su giustizia sociale e transizione ecologica questo governo può fare fronte comune e fare un balzo in avanti. “Coraggiosa” non ha mai avuto l’ambizione di essere un nuovo partito o una sigla in più, ha sempre avuto l’ambizione di scuotere l’intero campo delle forze ecologiste e progressiste pretendendo chiarezza nella visione condivisa di futuro. Unità sì ma non ha senso se non è accompagnata dalla coerenza di un progetto condiviso. Quindi per ora noi continuiamo a stare dove stiamo e continueremo su questa strada.

Come vedi il futuro del governo?
I risultati elettorali danno un respiro ampio ma non per stare fermi, guai a sedersi sui risultati. Quei risultati consegnano la responsabilità alle forze di governo di rilanciare in avanti. Abbiamo un’occasione straordinaria, le risorse in arrivo vanno utilizzate coinvolgendo i territori e le parti sociali, non è un sfida di governo, è una sfida che riguarda il paese. Quelle risorse ci danno l’occasione di ricostruire il paese su basi nuove, possiamo risolvere alcuni ritardi accumulati nei decenni.
Quali sono le priorità?
Transizione ecologica, su cui bisogna investire il 37 per cento delle risorse del Recovery Fund, la trasformazione digitale, su cui bisogna investire il 20 per cento e la coesione sociale. Le priorità indicate dalla commissione europea centrano proprio la congiunzione tra lotta alle diseguaglianze e transizione ecologica che sono i temi su cui insistiamo da tempo. Se il governo avrà la capacità di progettare il nuovo e non semplicemente aprire cassetti polverosi per accontentare qualcuno, si potranno spendere bene. Nei vecchi cassetti ci sono progetti scritti troppi anni fa per riuscire a interpretare i cambiamenti che servono. Io credo che la tenuta di questo governo si misurerà se le forze che lo compongono, piuttosto che continuare a distinguersi, proveranno a lavorare concretamente sui temi che li uniscono. E questi sono i temi su cui possono provare a fare un passo avanti insieme.

Transizione ecologica significa investire su un nuovo modo di spostarsi, una mobilità dolce e sostenibile puntando su ferro, intermodalità e ciclabili, vuol dire creare occupazione di qualità nelle rinnovabili, nell’efficientamento energetico degli edifici e nella prevenzione del dissesto, perché l’unica grande opera che serve al paese è la cura del territorio così colpito dai cambiamenti climatici. E poi investire sulla trasformazione digitale per rimediare i ritardi enormi che abbiamo a partire dalle pubbliche amministrazioni, ma vuol dire riuscire a governare anche processi di innovazione tecnologica per metterli al servizio delle persone, perché non governati hanno prodotto un’enorme concentrazione di ricchezze e saperi. Si dovrà assicurare pari accesso alla rete per chiudere i divari territoriali, e per il privato investire nel digitale vuol dire innovare e contribuire all’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese.

Coesione sociale significa anche fare un enorme investimento sulla scuola, sul capitale umano, sulla formazione a partire dagli asili nido. Investire sui nidi vuol dire rendere più solidi i percorsi educativi contrastando povertà educative e dispersione scolastica, ma significa anche fare politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro indispensabili per colmare il divario occupazionale delle donne, favorendo una migliore distribuzione del carico di cura. Dopo la crisi del 2008, le ricette hanno reso il lavoro più precario, specie per donne e giovani. Oggi dobbiamo evitare quegli errori e ricostruire su basi diverse. Non abbiamo più scuse, le risorse ci sono.

Leggi anche: TPI intervista Elly Schlein, campionessa di preferenze in Emilia-Romagna: “Vi racconto la nuova sinistra che può battere Salvini”

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I buoni e i cattivi

A Piacenza per la prima volta in Italia è stata posta sotto sequestro una caserma dei carabinieri. Un fatto che rompe il giochetto della narrazione dei “buoni” e dei “cattivi” 

Immaginate che qualcuno compia un reato, che ne so, che rubi due mele da un fruttivendolo. Accade tutti i giorni, accade un po’ dappertutto. Quello che ruba le mele è un ragioniere e un minuto dopo il suo arresto l’associazione nazionale dei ragionieri finisce dappertutto per dire che i ragionieri non sono tutti dei ladri di mele, di non permettersi nemmeno di pensarlo e tantomeno scriverlo.

Oppure immaginatevi un idraulico che uccida una persona. Immaginate un ex ministro dell’Interno che come prima reazione rilascia una bella intervista augurandosi che l’idraulico possa dimostrare la propria innocenza ma soprattutto che ringrazi la categoria degli idraulici per tutte le volte che sono stati ingiustamente accusati.

A Piacenza per la prima volta in Italia è stata posta sotto sequestro una caserma dei carabinieri, la caserma “Levante” in centro città, e i magistrati hanno raccontato di 18 persone coinvolte nell’inchiesta con rapporti molto stretti nei confronti di alcuni spacciatori (una sorta di onorata società che vede guardie e ladri mettersi in affari) contestando una caterva di reati: traffico e spaccio di stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falso ideologico. Una roba enorme. E ogni volta che si parla di carabinieri esce questo corporativismo che risulta petulante e fastidioso: se si accusa un carabiniere sembra obbligatorio doversi quasi scusare con tutti gli altri. Non conta che una persona che debba garantire la legalità abbia molte più responsabilità sociali proprio per la divisa che porta, no: accusare un carabiniere per molti significa porsi immediatamente nella parte di quelli che odiano i carabinieri, con buona pace della complessità e della percezione della realtà.

Ma c’è una spiegazione semplice semplice: i fatti come quelli di Piacenza rompono il giochetto della narrazione dei buoni e dei cattivi con cui certi superficiali propagandisti dividono il mondo. Sono gli stessi che vorrebbero classificare le persone per l’etichetta che gli si appiccica addosso e non per quello che fanno e per quello che sono. Sono gli stessi che hanno bisogno di banalizzare la realtà perché si riconoscono incapaci di coglierne le sfumature e ancora di più governarle.

Così se uno dei sicuramente buoni improvvisamente diventa cattivo credono che anche gli altri, quelli che invece sono ben consapevoli della moltitudine di sfumature della realtà, ragionino come loro e categorizzino il resto del mondo.

Buoni o cattivi. Bianco o nero. Deve apparire ben facile governare un mondo così.

Buon venerdì.

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19 anni dopo, i temi del G8 di Genova sono più attuali che mai

Chissà quando avremo gli occhi per rivederlo, quel G8 a Genova, quella manifestazione che certa retorica squadrista continua a raccontare come un’orrida sequela di tafferugli (dimenticandone chirurgicamente le responsabilità), raccontando di una città messa a ferro e a fuoco e proiettando un film che non rispetta la realtà. Andrebbe rivisto, quel G8, per raccontare come una grave sospensione della democrazia (parole usate dall’Onu e riprese da importanti organizzazioni internazionali) possa passare sotto traccia ed essere normalizzata negli anni successivi.

Ma, no, questo non vuole essere un pezzo sui picchiatori seriali ben ammaestrati in divisa e nemmeno sulle forze di pubblica sicurezza che fabbricano prove false per giustificare la propria violenza. Dico, ve li ricordate i temi di quel G8? C’erano qualcosa come 300mila persone (che non sono i like su Facebook) che avevano preso i mezzi da tutto il mondo per arrivare a Genova a evidenziare una serie di problemi che per loro sarebbero stati lo scacco matto del futuro del mondo.

A Genova si contestavano il neoliberismo furioso, la concessione di veri e propri paradisi fiscali, la vittoria della finanza sull’economia, l’aumento della disuguaglianza sociale e soprattutto dell’ingiustizia sociale, l’impoverimento irrefrenabile delle classi medie, la sbagliata e ingiusta distribuzione di ricchezze nel mondo, la visione privatistica del mondo al danno del pubblico, il consolidamento delle lobby di potere e delle grandi multinazionali come inquinamento delle decisioni politiche, la redditizia instabilità del mondo mediorientale. Si parlava dell’ambiente prostituito al profitto e delle enormi conseguenze che ci sarebbero state a livello planetario, si parlava dell’aumento della diffusione di xenofobia e di razzismo.

Avevamo ragione noi, a Genova. Aveva ragione quel documento finale del Social Forum di Porto Alegre (lo trovate qui) del 2002 che oggi risuona ancora come agenda assolutamente contemporanea del mondo in cui siamo. Sono passati quasi 20 anni e i mali del mondo sono ancora gli stessi.

Quei temi non sono stati sfondati dai manganelli (a differenza delle teste e dei denti) e dimostrano che, no, non era violenza sistematica per zittire qualche contestazione ma era un pugno di ferro contro un cambiamento di un mondo che non vuole cambiare e che continua a crollare ogni giorno dei medesimi mali. Avevamo ragione noi, a Genova, in piazza, e oggi i grandi del mondo parlano quella stessa lingua. Solo che qualcuno ci ha rimesso qualche osso.

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Il razzismo in divisa ha ammazzato ancora: e ora, caro Trump, è il momento di provare vergogna

È successo ancora. Succederà ancora. Come quando accade un incidente, che ne so, di un treno e tutti i giornali si mettono a scovare i più piccoli disguidi dei viaggi dei treni, così negli USA si moltiplicano le segnalazioni e le notizie delle violenze della polizia sua afroamericani. Solo che in questo caso Manuel Ellis è morto, a soli 33 anni, dopo un pestaggio violento in cui la divisa è solo un elemento scenografico di un pestaggio della peggior specie, niente a che vedere con il ruolo pubblico e la responsabilità che ci si aspetterebbe da un tutore della legge. È morto perché, dicono i poliziotti, ha aggredito lui per primo, come nelle risse fuori da scuola in cui la legge del taglione o l’abuso di una difesa sia una cosuccia normale da giustificare come un incidente di percorso.

Eppure che Manuel Ellis sia stato ammazzato lo dice chiaramente il medico legale e ora altri quattro poliziotti, dopo il caso Floyd, si ritrovano sotto i riflettori per l’uso sconsiderato della forza. Se sei nero, dalle parti degli USA, rischi di essere processato per direttissima dalle suole delle scarpe di chi dovrebbe garantirti giustizia.Il video rimbalzato sulle pagine del New York Times lascia poco spazio ai dubbi e infervora ancora di più una protesta che ha assunto proporzioni più ampie del solo sdegno per una morte. Oggi negli USA si critica uno sdoganamento della violenza come mezzo per controllare l’ordine pubblico e che la violenza chiami solo violenza è uno di quegli insegnamenti che di solito vengono dati fin da bambini e che hanno chiaro quasi tutti, escluso il presidente del Paese più potente del mondo.

Ora il giochetto sarà sempre lo stesso, quello che non è solo americano: lamentarsi per lo spirito poliziottofobico dell’opinione pubblica e per il troppo spirito indagatore dei media. Di solito quando un potere non riesce a fare smettere che accada una vergogna si concentra sul non farla raccontare, come se potesse funzionare un silenzio omeopatico che vorrebbe fare sparire i fatti. Di certo Manuel Ellis è morto e anche di questo cadavere qualcuno dovrà rispondere. Tra l’altro Trump ha anche la sfortuna che l’omicidio sia avvenuto ben prima delle proteste (sarebbe stato fin troppo facile dare la colpa ai contestatori) e ora dovrà inventarsi qualcosa di nuovo, probabilmente di stupido. E l’aspetto peggiore di tutta la vicenda è che probabilmente lo farà presto e senza nemmeno troppa fatica e troppa vergogna.

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