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editoria

La figuraccia sui libri

Io non so se sia più appassionante il duello Letta-Renzi fatto sulla radura dei voti che avevano deciso di volere tutt’altro e non so nemmeno se possa interessare che la “ripresa” di cui parla il Presidente del Consiglio stia assomigliando sempre di più ai “ristoranti sempre pieni” di Silvio Berlusconi, certo è che tra le mille incertezze di questa politica la figuraccia rimediata dallo stravolgimento della legge sulla detraibilità dei libri ancora una volta ci dice quanto la cultura sia una pezza da piedi da citare solo in campagna elettorale o al massimo alla cerimonia di insediamento. Perché non penso che vi sia sfuggito che quella che poteva essere una buona legge sia diventata carta straccia. Se vi è sfuggito non fatevene un colpa: ne hanno parlato solo i soliti noti e se volete farvene un’idea potete leggere qui:

Sembrava, prima di Natale, che questo appello fosse stato accolto, che la lunga noncuranza della politica italiana verso la cultura si stesse incrinando: il ministro Zanonato aveva proposto una legge che permetteva di detrarre il 19% sui libri acquistati fino a un massimo di duemila euro all’anno, di cui mille per i libri in generale e mille per i testi scolastici, legge approvata dal Consiglio dei Ministri, annunciata dal Presidente del Consiglio e definita dal ministro Bray una “decisione storica”. Copertura, 50 milioni (di fondi europei).

Era un primo segno, e aveva oltre al valore economico e simbolico, anche quello di accomunare nel libro tutti quelli che lavorano per crearlo, produrlo, stamparlo e venderlo. Perché quando un libro si vende, se ne avvantaggiano il lettore, il libraio, l’editore, lo stampatore e l’autore, tutti uniti in una catena che in nessun punto si può spezzare (parliamo del libro cartaceo, cui questa legge si riferiva). I lettori hanno cominciato a tesaurizzare gli scontrini, i librai a organizzarsi. Ma…

Ma il decreto, che ieri è stato incardinato in commissione Cultura dalla Camera dei deputati, da ieri è al senato e deve diventare legge entro il 21 febbraio, è stato depauperato e stravolto: modificata la destinazione dal lettore generico allo studente delle scuole superiori, ridotta la copertura economica a circa 17 milioni e la detraibilità da 2000 a 1000 euro, e identificato il libro come strumento scolastico. Infine sostituite le persone fisiche (i lettori) con gli ‘esercizi commerciali’, cioè i librai (per la sola vendita di libri scolastici).

Ancora una volta lo Stato italiano ha mostrato la propria indifferenza alla cultura, ai cittadini, alla parola data. Tre cose, il rispetto delle quali, mi sembra, formerebbe l’onore di una classe dirigente.

Tre proposte per mangiare i libri

Alessio Aringoli ne parla sull’Huffington Post. Personalmente credo che siano semplici semplici e attuabili per parlarne:

Primo. Consentire e sostenere un rapporto diretto fra scuole ed editori. Non gli editori scolastici (che si rivolgono agli insegnanti), ma tutti gli editori: grandi, piccoli e medi. C’è spazio e lavoro per tutti, visto che, a proposito di spread con la Germania, abbiamo 34 punti di gap da recuperare sull’indice di lettura (46 contro 80). E li possiamo recuperare, se lo vogliamo davvero. I ragazzi dai 14 ai 19 anni (l’età decisiva per stabilire se sarai un lettore) devono poter accedere ai cataloghi e comprare i libri facilmente, scegliendoli con libertà, anche a prescindere dal programma, con sconti molto alti e condizioni di favore. Le scuole non solo possono essere uno spazio d’incontro tra libri e lettori, ma sono il solo luogo in cui si può dare ossigeno ed energia realmente nuova a tutta l’editoria, e di riflesso a tutta la cultura (chi legge poi di solito va anche a visitare i musei, a teatro, ecc.).

Secondo. Nelle periferie e nei quartieri popolari della grandi città si devono costruire Case della Lettura, che siano dei veri e propri centri sociali pubblici, in sinergia con associazioni, comitati, cittadini.

Terzo. Ogni Regione italiana dovrebbe organizzare annualmente una Festa della Lettura, coinvolgendo nell’organizzazione editori, librai, realtà culturali del territorio. Eventi di forte impatto, a costi bassissimi (che si potrebbero pagare con il contributo di sponsor e degli operatori).

Se queste proposte (tra cui quella sulle scuole è la più importante) non si discutono ancora (nonostante tutto il settore editoriale sia in una situazione per molti versi disastrosa, e nonostante nel Paese ci siano centinaia di migliaia di disoccupati o sotto-occupati intellettualmente qualificati per i quali l’editoria sarebbe uno sbocco naturale, se non l’unico possibile) è perché – va detto con franchezza – poche realtà relativamente più forti preferiscono mantenere in piedi un sistema vecchio, chiuso e inadeguato (che, peraltro, presto o tardi verrà travolto da Amazon), nel quadro di un Paese in cui si legge pochissimo, pur di esercitare una posizione di oligopolio.

Si preferisce, insomma, detta brutalmente, un Paese ignorante e un’editoria povera, ma in cui si conservano posizioni di rendita più o meno durature, rispetto ad un’apertura alle possibilità di sviluppo
esistenti.

L’articolo completo è qui.

Accreditarsi con un libro

La seconda cosa che Luca dimentica nel suo post è che in moltissimi casi scrivere un libro, un saggio qualsiasi, qualcosa che a malapena arriverà negli scaffali e che venderà forse qualche centinaia di copie per scomparire dopo pochi mesi, è una forma di accreditamento indispensabile in un numero molto ampio di ambienti culturali e professionali. Moltissimi oggi scrivono libri con questo unico pensiero e tutto sommato fanno benissimo a farlo. C’è un provincialismo formidabile in questo, non tanto dello scrittore in sé ma dei moltissimi che ti accreditano in società in quanto scrittore pubblicato. Con un tomo. Di carta. Nessuna pagina digitale, nessun ebook anche magnifico ti darà accesso ai piani bassi (e talvolta a quelli medi e perfino in qualche caso a quelli alti) del palcoscenico culturale nostrano. Se poi sei uno di quei pazzi che si autopubblicano in formato digitale allora passi direttamente nel girone degli sfigati per definizione. La targhetta scrittore (anche se il tuo libro non l’ha mai letto nessuno), quella di una volta, la mano che regge il mento nella terza di copertina e lo sguardo pensoso, sono il bagaglio minimo per essere accettato in società. Forse anche questo non durerà per molto ma per ora di sicuro un po’ funziona.

Mantellini in un suo post dimostra di essere avanti in un argomento che l’editoria non ha ancora intravisto.

Se chiude Charta

Ho appreso con ritardo della chiusura della casa editrice indipendente Charta di Giuseppe Liverani e Silvia Palombi. Charta è un pezzo di intelligenza e di eleganza dell’editoria made in Italy (ne racconta la storia Gianni Barbacetto su Il Fatto Quotidiano qui) che ancora una volta non riesce a galleggiare in un mercato (e, se concesso, in un Paese) che non sembra più capace a vendere qualità. E la notizia è pessima: se in crisi economica nemmeno la qualità riesce a vedere la luce allora le strade possibili si riducono drasticamente perché con la chiusura di Charta non si acutizza semplicemente il già difficile mercato dell’editoria ma soprattutto “perde” un modo di intendere il lavoro. Basta leggere la lettera aperta di Giuseppe Liverani sul sito per capirlo:

head_italianCHARTA CHIUDE

Lettera aperta dell’Editore

Alla fine di dicembre, dopo 21 anni e mezzo Charta, casa editrice indipendente, verrà messa in liquidazione.

Potevamo trovare un modo più delicato per dirlo, più diplomatico, metaforico, girarci un po’ intorno, forse, ma è la verità nuda e cruda o, se preferite, pura e semplice, né più né meno.

Siamo sereni perché abbiamo fatto bene il nostro lavoro, eticamente e professionalmente; malgrado la crisi abbiamo accettato con coraggio la sfida della concorrenza radicandoci sul mercato internazionale senza ritagliarci piccoli spazi in patria, andando controcorrente. Abbiamo capito fin dal primo giorno che pensare in piccolo non sarebbe servito a nessuno.

Fino all’ultimo abbiamo difeso e esportato in tutto il mondo un autentico Made in Italy, un mestiere prezioso, un’eccellenza tutta italiana, un prodotto fatto di idee e qualità che dura nel tempo senza inseguire le mode.

Tutto senza aiuti istituzionali, peraltro -è bene dirlo- mai richiesti, e con le banche sempre più impegnate a tagliare finanziamenti, essenziali per produrre e continuare a esportare. Non solo, ma applicando interessi a volte da usura, come ormai non è più un mistero per nessuno. Senza contare i livelli di tassazione ormai asfissianti.

In questi giorni il ‘fuori tutto’ (la vendita speciale di libri a prezzi imbattibili riservata alla community di Charta) sta rendendo più lieve un momento decisamente difficile: la gioia di centinaia di persone, dagli adolescenti agli ultraottantenni, che affollano il magazzino per scegliere e portarsi via pile di libri ci irradia di energia e conferma che il nostro catalogo è estremamente vitale e pieno di long sellers in ottima salute.

Siamo contenti come bambini, forse come solo ai tempi della prima donazione a Cuba (Centro Wifredo Lam di L’Avana, 2008) quando i nostri libri diventarono una mostra itinerante che attraversando tutta l’isola ha reso felici migliaia di giovani che li hanno sfogliati, ammirati e attentissimi.

Non vi sarà difficile immaginare quindi con quale stato d’animo andiamo verso la fine di quest’anno.

Non ci lamentiamo per partito preso, siamo però consapevoli che aver prodotto ostinatamente i nostri libri in Italia, e nel rispetto della legge, ha impoverito le casse di Charta.

Non ci riconosciamo più in un mondo dove trionfa la finanza invece del lavoro e la competizione sconfina sempre di più nella concorrenza sleale e nel conflitto di interesse, come sempre più spesso avviene in Italia.

Non ci piace questo mercato sempre più distorto, diseguale, ingiusto e corrotto, in un Paese dove vivere e lavorare nella legalità sembra quasi un lusso per pochi utopisti, una fissazione romantico-sentimentale.

Non siamo rassegnati, siamo rattristati perché lasciamo questo mestiere, un’arte, in una situazione a dir poco imbarazzante.

Oggi affermo, senza rischiare di essere considerato un demagogo, che la nostra serietà e la nostra etica ci hanno lentamente ma inesorabilmente buttato fuori dal mercato.

Quasi tutti quelli che costituiscono la community di Charta saranno dispiaciuti, chi non ha letto dentro e in mezzo alle righe che da tempo lanciamo da questa e-mail si sorprenderà. Eppure più di una volta ci è sembrato di essere stati fin troppo espliciti.

Dal 14 luglio 1992 sono un bel po’ di numeri: anni, mesi, giorni, ore, artisti, autori, redattori, grafici, traduttori, correttori, litografi, cartai, tipografi, legatori, magazzinieri, corrieri, camion, treni, aerei, navi che hanno contribuito alla bellezza dei nostri 917 titoli (il 90% dei quali in inglese!) per centinaia di migliaia di pagine tradotte in quasi tutte le lingue del mondo e distribuite in tutti i continenti, dall’Irlanda al Sudafrica, dalla Cina alla Nuova Zelanda, dagli USA al Cile.

Doveroso ringraziare tutti, dai soci attuali a quelli di un tempo, dai dipendenti ai collaboratori di Charta, quelli che si sono avvicendati in questi anni e quelli che hanno vissuto tutta la nostra avventura.

Doveroso ringraziare New York e gli americani tutti, che hanno creduto in noi, ci hanno accolto e riconosciuto per il nostro valore, mai come stranieri, in una terra piena di contraddizioni difficili da digerire ma con un’incessante voglia di fare e riuscire senza avere o pretendere santi protettori.

È la nostra buona reputazione, conquistata nel corso degli anni, che ha portato all’acquisizione entusiastica, da parte di svariate istituzioni culturali americane, delle donazioni di nostri libri, prima fra tutte la Library of Congress di Washington dove sta trovando casa l’intero nostro catalogo.

Charta Books non è stata una sigla di comodo ma una società sana e attiva che è cresciuta sui mercati internazionali fino ad approdare in Cina, lungo la via della seta… attirando, anno dopo anno, ingenti investimenti stranieri verso il nostro Paese.

Prima di salutarvi ci teniamo a dirvi due o tre cose: stiamo lavorando ad alcuni titoli nuovi che usciranno nel corso dei primi mesi del 2014; le donazioni a istituzioni culturali proseguiranno anche nell’anno nuovo; un container con diecimila volumi partirà alla volta di Cuba; il ‘fuori tutto’ proseguirà nella nostra libreria Charta Books di via della Moscova 27 fino a tutto febbraio.

Infine è di questi giorni un riconoscimento importantissimo che ci onora e riempie di orgoglio, e che forse ci siamo meritati col nostro impegno editoriale senza confini: l’acquisizione dell’intero catalogo da parte dell’Archivio Storico della Biennale di Venezia.

Charta è una bella storia scritta a più mani che come tutte le storie ha un inizio e una fine, i nostri libri continueranno a raccontarla.

Giuseppe Liverani

Tre leggi per cambiare l’Italia

Le propone MoveOn Italia

COSTRUIRE uniti la realizzazione di un assetto democratico del nostro Paese da votare nel prossimo Parlamento per non subire mai più.

MoveOn Italia – Muoviti Italia, insieme ai cittadini, spinge perché il prossimo Parlamento approvi 3 Leggi per rendere più libera l’Italia:
– Riforma “La Rai ai cittadini”
– Legge Conflitto di Interessi
– Antitrust

La Riforma “La Rai ai cittadini” nasce perché la TV condiziona e manipola il mondo, la pubblicità muove le volontà della maggioranza dei cittadini e la loro apparente soddisfazione. Una ricerca Istituzionale ha dimostrato che, nonostante la diffusione di Internet,  il tg1 e il tg5 condizionano il voto del 60% della popolazione italiana.

L’impegno è di far aderire alla proposta i cittadini, i movimenti, le associazioni! Pierluigi Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola hanno già aderito, facendo in modo di non trovarsi di nuovo nella follia dei progressisti divisi alle prossime elezioni. Noi cittadini possiamo dare un obiettivo unitario su una proposta che dia più senso alla politica del bene comune.
‎- Far partecipare i cittadini per avvicinare lo Stato e le Istituzioni alla vita sociale
– Impegnare la politica a rispondere con i fatti
– Rinnovare le idee e la politica

Incredibilmente in Italia si andrà alle prossime elezioni politiche, ancora una volta, con un’informazione da Paese semi democratico. L’unica condizione possibile per noi cittadini questa volta dovrà essere l’inderogabile impegno da prendere da parte della politica nel far approvare in tempi brevi, non appena sarà costituito il prossimo Parlamento, queste tre leggi basilari in un sistema democratico.

LIBERIAMO LA RAI DAL TOTALE CONTROLLO DEI PARTITI

“Gli utenti del servizio pubblico, in quanto veri proprietari di un’azienda che finanziano tramite il canone, eleggono direttamente alcuni componenti nel Consiglio per le Comunicazioni audiovisive”

Hanno aderito:
Giulio Cavalli, Tana De Zulueta, Moni Ovadia, Loris Mazzetti, Sabina Guzzanti, Ugo Mattei, Corrado Guzzanti, Francesca Fornario, Carlo Freccero, Lidia Ravera, Corradino Mineo, Lorella Zanardo, Giulia Innocenzi, Roberto Zaccaria, Udo Gumpel, Giovanni Anversa, Michele Gambino, Roberto Natale, Massimo Marnetto, Arturo Di Corinto, Santo Della Volpe, Silvia Bencivelli, Nicola D’Angelo, Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario, Wolfgang Achtner, Carmine Fotia, Vittoria Iacovella, Giuseppe De Marzo, Fabrizio Federici,Sergio Bellucci, Gianni Orlandi, Giulietto Chiesa, Simona Coppini, Federico Lunadei, Grazia Di Michele, Simona Sala, Giuliana Sgrena, Antonella Marrone, Giovanni Mangano, Lorenzo Marsili, Carlo Verna, Giuseppe Giulietti, Vincenzo Vita, Claudio Fava, Carlo Rognoni, Antonello Falomi, Fabio Granata, Giorgio Merlo, Niccolò Rinaldi,Angelo Bonelli, Nichi Vendola, Antonio Di Pietro

Condividono il precorso:
Articolo 21, Usigrai, Libertà e Giustizia, A Sud, Rete Viola, Liberacittadinanza,IndigneRai, Il Popolo Viola, TILT, Alternativa, Il Teatro Valle Occupato, Errori di Stampa, Il Comitato del Sole, Libertà e partecipazione, European Alternatives, Slow Music

Sostiene l’iniziativa:
Stefano Rodotà

QUI TUTTE LE INFORMAZIONI
La Riforma “La Rai ai Cittadini” da spingere nel prossimo Parlamento

http://www.facebook.com/events/410098389007354/

LA RAI AI CITTADINI
5 punti per garantire un bene pubblico

Prendendo ad esempio i modelli di gestione più avanzati in Europa, ma anche le proposte di riforma della Rai tendenti a garantire qualità e autonomia proponiamo in 5 punti una riforma che assicuri non solo la necessaria efficienza aziendale, ma anche l’assoluta indipendenza editoriale del servizio pubblico.

1. Chiediamo il superamento dell’anomalia per la quale l’azionista del servizio pubblico è il Ministero dell’Economia.

2. Al posto della Commissione parlamentare di Vigilanza, chiediamo la costituzione di un Consiglio per le Comunicazioni audiovisive, i cui membri dovrebbero essere in maggioranza nominati dalla società civile (11 su 20). Gli utenti del servizio pubblico, in quanto veri proprietari di un’azienda che finanziano tramite il canone, eleggono direttamente 6 componenti (*). Cinque sono nominati da rappresentanti di settore (sindacati, artisti, autori, accademici, fornitori di contenuti). Dei rimanenti 9 membri, 3 verrebbero eletti dagli enti locali (Regioni-conferenza permanente stati regioni, Province-l’Upi e Comuni-Anci) e 6 nominati dal Parlamento (**).

3. Il Consiglio nomina i vertici della concessionaria del servizio pubblico (il CdA Rai), selezionati mediante concorsi pubblici in base a criteri di professionalità, competenza nel campo radiotelevisivo ed indipendenza. Ad esso sono attribuite competenze di indirizzo e vigilanza.

4. Il Consiglio nomina altresì i componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, assicurando, anche in questo caso, i criteri della selezione trasparente, dell’indipendenza e del massimo di qualificazione.

5. Il Consiglio si pone al servizio degli utenti Rai, facilitando modalità interattive di controllo e di valutazione e garantendo ai cittadini un uso consapevole e attivo di tutti i media gestiti dal servizio pubblico.

* (Secondo le modalità proposte da Zaccaria, AC 4559)
** (Ipotesi de Zulueta-Giulietti, AC 1460)

Conflitto di Interessi e Antitrust
Congiuntamente e in continuità con la proposta “La RAI ai cittadini”, MoveOn Italia è impegnata nella definizione delle linee guida per iniziative che incidano su due ulteriori temi di vitale importanza democratica:  il conflitto di interessi e l’antitrust. Per garantire la libertà e il pluralismo dell’informazione questa riforma non può infatti prescindere da una netta e chiara separazione, definita per legge, tra l’esercizio del potere politico e la proprietà o la capacità di influenzare i media. E’ altresì necessario fissare limiti di concentrazione che un’unica società dei media sia autorizzata a controllare in uno o più mercati rilevanti.

Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono” Malcom X”

Cambiamo tutti il modo di pensare, proponiamo dal basso con grande entusiasmo e senza interessi personali. I cittadini propongono, le Istituzioni possono diventare aperte. Trasformiamo anche la Tv in un bene comune di tutti. Stiamo invitando i cittadini, i movimenti, le associazioni, i giornalisti e i Parlamentari a confrontarsi e a partecipare.
Inviteremo a seguire e ad impegnarsi in questo percorso riformatore dei cittadini anche dopo l‘incontro del 23 Marzo anche Bersani, Vendola, Di Pietro e i diversi leader.
Ci rivolgeremo anche a Monti e al suo Governo provando inoltre a fare una proposta agli organismi europei sul coinvolgimento degli utenti nel servizio pubblico.

Il MoveOn americano spinse e fece approvare in parlamento la Riforma Sanitaria Pubblica, noi spingiamo la Riforma della Tv Pubblica

Lìberos.

Domenica sarò a Gavoi, in Sardegna, per il IX festival della Letteratura. Ma non è questo il punto. In Sardegna l’infaticabile Michela Murgia ha deciso di uscire dalla penna e costruire relazioni che pensino a un mercato più etico, più responsabilizzante e sicuramente più consono alle parole che ci stanno dentro ai libri, piuttosto che intorno. Ed è un passo che parte dalla scrittura (da dove altrimenti, se non nella piazza dei narratori?) ma sicuramente si allargherà (e in molti si stanno già ripensando). La crisi in tutte le sue forme non sarà passeggera. Non solo quella finanziaria e lavorativa. La crisi nella cultura dà l’occasione di accendere la fantasia. E provare ad osare sul serio, perché quello che credevamo certo e vero forse non lo è. Qui un estratto del pezzo di Michela Murgia per Repubblica:

Il festival di Gavoi, che in questi giorni celebra nel cuore dell’isola la sua nona edizione con nomi come Chiara Valerio, Giulio Cavalli e David Riondino, è l’esempio di come in Sardegna il movimento culturale intorno ai libri non accenni a fermarsi, nemmeno ora che i rivoli del denaro pubblico vanno assottigliandosi fino all’aridità.

Il salto di qualità non può che essere quello di prendersi sul serio, riconoscendo le proprie sane condizioni relazionali e provando a farle diventare un sistema; la Sardegna lo ha fatto e il nome di questo sistema è Lìberos, parola sarda che significa sia libri che liberi. Lìberos è un network che mette insieme i lettori e tutti gli attori della filiera editoriale: dai librai ai bibliotecari, dagli editori agli scrittori, fino alle associazioni culturali e agli agenti letterari. L’atto fondativo di Lìberos è un codice etico, espressione di decine di confronti con tutte le categorie coinvolte, limato fino a trovare l’equilibrio che garantisse condizioni di vantaggio sia sociale

che commerciale, ma comunque collettivo. Il patto è fatto di pochi, chiari punti: gli editori che non smettono di investire sulle scritture giovani, rischiose per definizione, potranno contare sugli autori affermati, che garantiscono azioni di maternage nei confronti degli esordi. I librai che offrono iniziative dedicate ad autori ed editori del circuito ottengono speciali condizioni economiche e presenze autoriali più frequenti. I bibliotecari che aprono ancora di più le porte al territorio beneficiano delle stesse dinamiche, diventando riferimento per i movimenti che ruotano intorno alla lettura, ma che finora hanno faticato a riconoscere nelle biblioteche il loro crocevia naturale. I lettori, vero cardine del sistema Lìberos, attraverso un apposito social network ricevono un riconoscimento ogni volta che movimentano il circuito, collezionando non punti da supermercato, ma “crediti di relazione” che possono essere escussi in forma di esperienza (e mai di sconto): posti riservati agli incontri più ambiti, anteprime dei libri, giornate in casa editrice per vederne il backstage e contatti diretti con gli autori. Se funziona, potrebbe essere una piccola controrivoluzione relazionale in un momento in cui i grossi soggetti del sistema editoriale vanno in direzione contraria e cercano in ogni modo la disintermediazione. Esperienze come Lìberos dimostrano che le relazioni non sono il problema, ma la soluzione. Perché sia chiaro, il social network di Lìberos viene presentato oggi per la prima volta proprio al  festival di Gavoi (e dove altro?).    

Quanto sono pubblici i libri

Nel caso dei libri (e più in generale della cultura) la domanda è se la sopravvivenza di culture, informazioni, opinioni minoritarie e meno popolari – e quindi commercialmente a rischio – meriti essere difesa con interventi artificiali che creino degli handicap per i più forti e di fatto limitino la libera concorrenza, principio che suona bene ma che spesso implica la vittoria del più forte sul piano commerciale, che non è sempre quella della qualità culturale del prodotto. Un po’ quello che avviene con le famigerate norme sui finanziamenti ai giornali, difficilissime da applicare efficacemente ma fondate su ottime ragioni: ovvero che una società libera e democratica debba avere a disposizione non solo le informazioni delle maggioranze, politiche, sociali o intellettuali che siano. Luca scrive di un bel dibattito su libri e librerie.