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L’educazione camorrista

Un articolo da tenere di Giovanna Sorrentino per “Il Mattino”:

Torre Annunziata. «Se non stai zitto ti sparo al petto», si sente urlare per gioco da un bambino al suo cuginetto. Parole dette a gran voce nel cortile interno di Palazzo Fienga, torre di guardia del clan Gionta a torre Annunziata. Tre bambini giocano con pistole e mitra giocattolo, seduti sulle scale situate di fronte all’entrata principale. Francesco prende in giro Nicola chiamandolo «femminuccia» perché ha paura di un cane. Nicola risponde all’offesa puntandogli la pistola contro. «Stai zitto, o ti sparo».

Tutti i bambini del mondo giocano con le armi per imitare le scene dei film. Pochi però, hanno visto davvero un adulto puntare una pistola contro qualcuno. E loro, i piccoli che vivono a Palazzo Fienga, sono tristemente abituati a queste scene di violenza. Crescono nei rioni dimenticati, dove spaccio e cultura del crimine sono la faccia della camorra vera, chiusa nelle quattro mura di una roccaforte pericolante.

A raccontare le loro storie sono i volontari dell’oratorio dei Salesiani, ad sempre in trincea per strapparli in tempo alla morsa della malavita. Babypusher, vedette della droga: queste le loro mansioni. Fin dai primi anni di età vengono portati sui luoghi degli agguati perché devono abituarsi alla violenza.

Di notte spesso si svegliano di soprassalto perché i militari fanno irruzione nelle loro case: gli portano via i genitori, perché accusati di essere camorristi. «È capitato che le forze dell’ordine siano entrati nelle loro stanze mentre dormivano, rovistando sotto i loro cuscini alla ricerca di armi o droga. Per loro questo diventa un trauma – racconta Luciano Donadio, coordinatore dell’oratorio dei Salesiani nella Basilica della Madonna della Neve, a pochi metri da Palazzo Fienga.

Verso i sette anni arriva la prima responsabilità: devono girare per i quartieri dello spaccio a controllare se arrivano le “guardie”. Non possono avvicinarsi alle forze dell’ordine per accettare regali, altrimenti vengono etichettati come “venduti” dai più grandi. Verso i 14 anni imparano a sparare dove nessuno li vede».

Scegliere la cattiva strada però, spetta a loro. «I genitori non li obbligano a prendere quella sbagliata – prosegue Donadio – se la trovano davanti e non hanno niente da perdere, perché hanno perso già tutto. Devono solo conquistare qualcosa: il bene o il male». I soldi facili, la sensazione di «grandezza» che si prova quando il rispetto è dovuto perché si è figlio o il nipote del boss: questi i motivi che portano i ragazzi a seguire la via della criminalità, nei quartieri senza futuro.

Chiedere scusa

Insegnerò ai miei figli la virtù di chiedere scusa. Non so se ci riesco. Figurati. Con tutto questo poco tempo che rimane tra le fessure delle esaltazioni e delle cadute. Se mi guardo le ferite (non le lecco, le leggo nei miei limiti possibili) penso al dolore che mi ha lasciato una scusa non detta e poi subito il tempo e l’occasione che mi è mancata per sempre. Una scusa rimandata è l’atto più codardo dopo la minaccia.

Vorrei non lasciare nemmeno una scusa intentata. Così. Come un fioretto prima di dormire.