Vai al contenuto

eni

“A Beirut, come a Damasco, è morta la speranza”: parla lo scrittore siriano Shady Hamadi

Shady Hamadi è uno scrittore di origine siriana e da sempre è un attento osservatore del Medio Oriente. Esilio dalla Siria. Una lotta contro lindifferenza”, edito da Add Editore è il suo ultimo libro.

Lesplosione a Beirut ha acceso le voci di solidarietà falsi cortesi degli esponenti politici con strafalcioni come quello di Manlio Di Stefano. Che sensazione ti provoca la superficialità della politica italiana sul Medio Oriente?
Mi provoca delusione perché l’Italia ha, geograficamente e storicamente, un ruolo di primo piano nei rapporti con il Medio Oriente. Geograficamente perché siamo la porta verso l’Europa; storicamente a causa della presenza araba, durata secoli, nel sud Italia. Gli sbagli eclatanti, come quello di Di Stefano, stanno diventando una prassi (a destra e a sinistra) che non solleva neanche più l’indignazione. Ricordo gli elogi di Renzi al suo “amico”Al Sisi, poco prima della morte di Regeni. O, ancora prima, nel 2011 Franco Frattini che elogiava la Siria per la sua stabilità durante l’ondata delle primavere arabe. Il risultato è davanti a tutti noi.

Come valuti la politica estera del governo italiano?
Sclerotica perché c’è incoerenza nelle azioni della Farnesina a causa della nostra instabilità politica. Prendiamo l’Egitto. Con Renzi, prima dell’uccisione di Regeni, i rapporti erano idilliaci. Ucciso il ricercatore, abbiamo virato completamente. Salvo poi rimandare l’ambasciatore al Cairo. Oggi che cosa rimane del nostro approccio verso l’Egitto, la questione della tutela dei diritti umani? Nulla, a parte la vicenda di Patrick Zaki che non cade nel dimenticatoio grazie all’attenzione di alcuni movimenti di sinistra e Amnesty.

Come valuti lattenzione della politica occidentale sul Medio Oriente?
Dovevamo accompagnare i paesi arabi verso una transizione, sostenendo quel corpo sociale che si chiama società civile ma non lo abbiamo fatto. Preferiamo ancora oggi sostenere militari che con la forza riportano lo status quo antecedente. Guardiamo alla Libia. Parte della comunità internazionale sostiene Haftar; altri Sarraj. All’interno dell’Unione Europea ci sono Stati che, seguendo il proprio interesse nazionale, sostengono gruppi differenti.

Cosa bisognerebbe avere il coraggio di dire/fare?
Abbiamo sbagliato. L’ammissione di colpa dovrebbe arrivare da chi si è seduto in parlamento in Italia come nella Ue. Hanno sbagliato nel guardare al Medio Oriente con i soliti preconcetti: se non c’è un dittatore c’è il fondamentalismo. Come se questi arabi non fossero capaci di emanciparsi da questi due mali, creando una terza via che li conduca verso la democrazia. Il male assoluto, secondo questa vulgata alla Magdi Allam, sarebbe l’Islam. Semplicisticamente sarebbe la religione a bloccare ogni trasformazione.

Da scrittore, con la tua storia, come valuti questo momento internazionale?
É una restaurazione. A Beirut come a Damasco manca la speranza. Sto parlando proprio del sentimento. Sperare di cambiare, di migliorare vita… la gioventù vive nel pessimismo. Questo stato di cose ha prodotto un aumento vertiginoso dei suicidi. Decine di giovani si tolgono la vita esausti non solo di vivere nella miseria ma di non vedere mai un cambiamento. Di chi è la responsabilità di queste morti?

Che ne pensi del rifinanziamento italiano alla Libia?
Abbiamo Salvini che grida contro gli sbarchi. Vuole che si fermino ma lui ed altri hanno firmato per il rifinanziamento della guardia costiera libica da più parti accusata di gestire il traffico di migranti con le mafie locali. Diamo soldi ai trafficanti. Ho idea che chi grida alla chiusura dei porti voglia il contrario. I migranti servono come merce di scambio elettorale, in barba alla sofferenza di quei nei lager.

In Italia haisentito” razzismo?
Personalmente no. Mi definisco da sempre sirio-brianzolo anche se ultimamente mi sento solo brianzolo. Penso che gli italiani non siano razzisti. Credo esista molta ignoranza. Molti politici la sfruttano perché viviamo in una epoca di slogan e non di discorsi culturali. Vede, oggi non vogliamo prenderci la briga di capire perché un nigeriano scappa da Lagos o un siriano da Aleppo. Vogliamo tutto subito, anche le spiegazioni. Il politico improvvisato che ormai dilaga nei talk show e nelle aule un tempo frequentate da Berlinguer, regala slogan. È un ignorante, che non sa che i libici abitano in Libia e che Pinochet non era il dittatore del Venezuela. Non è umile. Infatti non chiede scusa. Dobbiamo ripartire dalla cultura.

Leggi anche: 1. Libano: devastante esplosione al porto di Beirut. Le impressionanti immagini della deflagrazione / 2. Libano, ferito un militare italiano in un’esplosione al porto di Beirut / 3. Libano, esplosione al porto di Beirut: incidente o attentato? Tutte le ipotesi

L’articolo proviene da TPI.it qui

La soluzione apparente

La prevenzione anti-Covid 19 e i treni: si decide una data di scadenza per i viaggi con distanziamento, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata

Ogni volta che si tratta di qualche misura di prevenzione per il Covid-19 in Italia (ma accade così purtroppo in tutto il mondo) ci si schianta contro una realtà difficile da commentare. Si pensava che almeno il dolore lasciasse ferite abbastanza profonde per non permettersi di non essere seri, si pensava che i morti e il dolore non passassero come ci si dimentica di un raffreddore e invece ci si inchioda sempre, tutte le volte.

La questione dei treni, a esempio, è qualcosa degna di una sceneggiatura di teatro dell’assurdo: si decide una data di scadenza per i viaggi distanziati sui treni a lunga percorrenza, e questo è abbastanza normale visto che i decreti devono avere delle scadenze, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata. Decine di esperti, di task force, di funzionari, di protocolli e di raccomandazioni e poi questo agire da scavezzacollo che si sbuccia le ginocchia in discesa. A posto così.

Il fatto è che una decisione andrebbe spiegata per bene, bisognerebbe avere la forza e la credibilità (anche politica) di argomentarla almeno per non dare voce ai fiotti di complottisti che sbucano ovunque e invece ogni volta si tratta di una soluzione apparente, come i banchi con le ruote delle scuole che hanno monopolizzato un dibattito che invece è ampio e denso, una soluzione appoggiata come pezza e che mostra tutto il buco.

Perché se io rischio di ammalarmi su un treno (e non ho motivo per dubitarne) mi sfugge il motivo per cui la durata del viaggio (che è la stessa da Milano a Bologna sulle linee a alta velocità, come qualche traiettoria pendolare regionale) non capisco perché quello stesso rischio poi non lo corro in altri luoghi in cui evidentemente si è deciso di lasciare correre.

E in tutto questo fa sorridere che Regione Lombardia, non contenta dei lutti e delle figuracce fatte fin qui (in attesa degli sviluppi giudiziari) ancora giochi al trucco di mettersi contro il governo.

Oppure c’è una spiegazione un po’ più semplice e banale: tra un mese bisogna riaprire uffici, fabbriche e scuole e tocca allentare senza volerlo dire e apparentemente occuparsene in modo che poi appaia tutto normale. Che è l’interesse di molti, molto ricchi, molto potenti.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La parità degenere

In Puglia l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia ha impedito che la doppia preferenza di genere fosse inserita nella legge elettorale, come previsto da una norma nazionale del 2016. Così il governo ha dovuto metterci una pezza

Che gran brutta figura che ha rimediato il Consiglio regionale della Puglia. La notizia è passata sottobraccio eppure è una notizia di portata storica perché vede il governo, con il presidente Conte, intervenire per decreto lì dove i consiglieri regionali sono riusciti a dare il peggio di se stessi.

Partiamo dall’inizio: il Consiglio regionale pugliese nell’ultima occasione utile non riesce a introdurre la doppia preferenze di genere così come stabilito dalla legge nazionale, la n.20 del 2016, riuscendo addirittura a farsi bloccare da qualche migliaio di emendamenti da parte di Fratelli d’Italia, quelli della famiglia tradizionale che evidentemente le donne le vorrebbero vedere solo a casa a stirare e accudire i bambini. Che una Regione non riesca a mettersi in regola, dopo oltre quattro anni, con una legge così importante e non riesca a garantire la parità di genere e soprattutto per fare qualcosa di concreto per la partecipazione politica delle donne è la fotografia di un Paese in cui l’autopreservazione (degli uomini) è e rimane uno degli ostacoli principali.

Il governo ha provato a richiamare i consiglieri regionali alle loro responsabilità ma l’invito è caduto nel vuoto: la brama di qualche maschietto di non perdere il posto alle prossime elezioni evidentemente ha contato di più di principi che vengono annunciati e poi mai messi in pratica. Così alla fine è dovuto intervenire il presidente Conte con una mossa che ha qualcosa di storico: il governo ha nominato il prefetto di Bari Antonia Bellomo commissario straordinario con la funzione di provvedere «agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia». Poche ore dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge.

Ha ragione la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti quando scrive: «Affermiamo così che la parità di genere è un principio da tutelare in tutto il Paese, in maniera uniforme, perché in maniera uniforme va tutelato il diritto alle pari opportunità. Avevo anticipato negli scorsi giorni la volontà di utilizzare questo strumento inusuale, sperando tuttavia che le istituzioni pugliesi si adeguassero autonomamente. Non avendolo fatto, non abbiamo avuto altra scelta che questa per garantire i diritti e la legalità. Ho chiesto e insistito per un commissario straordinario che sia garante della piena applicazione del decreto e lo abbiamo individuato nella persona del Prefetto di Bari».

È un gesto enorme. E giusto. E dimostra invece la parità degenere della politica quando si occupa solo di sopravvivere.

Ben fatto.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il virus in Lombardia è l’amministrazione di Attilio Fontana

Nuova puntata delle incredibili avventure del signor Fontana che sta piano piano logorando la Lombardia seduto sul trono di presidente di Regione e del suo compagno di brigata Matteo Salvini che ormai rimpiange quelle belle estati in cui l’errore era semplicemente quello di bere troppo Mojito sulla spiaggia del Papeete.

Mettere in fila tutte le bugie della storia dei camici che non lo erano, che erano una donazione che non lo era, di cui sapeva e che non sapeva è qualcosa che provoca le vertigini. In piena emergenza Covid Regione Lombardia acquista mezzo milione di euro di camici da una società che appartiene alla famiglia della moglie di Fontana. La cosa, scoperta dalla trasmissione Report, risulta piuttosto inopportuna poiché l’acquisto di quei camici non avviene con una normale gara pubblica ma con una trattativa privata: viene quasi il dubbio che gli affari della Regione, per di più nel drammatico momento della pandemia, avvenissero nel salotto di casa.

Il cognato di Fontana, raggiunto dai giornalisti, dichiara di avere commesso un errore formale e che quella fornitura di camici era semplicemente una donazione. Toh, guarda che bravo, che cuore d’oro. Accade anche che venga emesso uno storno della fattura prodotta dall’azienda (in effetti era strano il modo di regalare fatturando, in effetti) e si pensa che la storia finisca lì. E invece la Procura decide di volerci vedere chiaro.

E Fontana? “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”, disse lo scorso 7 giugno in un’intervista del Corriere della Sera. E invece mentiva. Eh, sì. Fontana con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome (nel 2015 aveva “scudato” 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas) il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, proprio nei giorni della famosa intervista di Report, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta. Il bonifico viene bloccato per le norme antiriciclaggio e così viene scoperto.

Questa è la storia. Quella stessa storia che Salvini vuole derubricare come inchiesta a orologeria (ha imparato la frasetta dal suo padrone Berlusconi). Poi, volendo andare a parlare di politica sarebbe anche curioso sapere cosa siano quei 5,3 milioni di euro nascosti nelle Bahamas e recuperati con lo scudo fiscale.  Insomma tutta la storia fa acqua da tutte le parti.

Ma davvero in Lombardia ce lo meritiamo, Fontana?

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

A volte ritornano

Dove vuole arrivare Prodi quando strizza l’occhiolino al suo acerrimo nemico? Come mai il Pd non si scompone più di tanto di fronte all’ipotesi di una “alleanza” di governo con Berlusconi? Ecco perché le manfrine di Palazzo di queste settimane sono un (brutto) film già visto

Lo sapete cosa accade quando partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 17 luglio

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Fare come i razzisti, ma al contrario

È una storia che va raccontata quella dell’aggressione a Beatrice Ion, atleta della nazionale italiana paralimpica di basket e di origine rumena. Bisogna raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza

«Vivo in Italia da 16 anni, ho la cittadinanza italiana e ho fatto qui tutte le scuole. Sto continuando gli studi all’Università, gioco a basket in carrozzina con la Nazionale italiana e mi considero in tutto e per tutto italiana. Eppure sono stata aggredita. Mio papà è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo stranieri del ca**o che devono tornare al loro paese. Tralascio le offese che mi sono presa perché sono disabile. Io e mamma eravamo dentro e un tipo ci urlava di uscire. Papà stava tornando dalla sua consueta passeggiata e non è riuscito quasi a parlare, colpito da una testata e altro. Urlava anche davanti ai carabinieri: ho un curriculum criminale, a tua figlia handicappata la becco per strada e mi faccio fare un lavoretto… Sono stati davvero brutti momenti. E non mi dite che il razzismo in Italia non esiste. L’ho vissuto oggi dopo 16 anni che vivo qui e fa molto male. A chi ci ha aggredito dico di vergognarsi, saremo anche stranieri ma abbiamo più dignità di loro e chi ha guardato tutto senza fare nulla si dovrebbe vergognare ancor di più».

A raccontare questa storia è Beatrice Ion, stella della nazionale italiana paralimpica di basket, italiana da ben 16 anni e di origine rumena. Beatrice ha incontrato il modello di razzista perfetto: quello che odia gli stranieri, odia i disabili e che riesce addirittura a vedere dei privilegi riservati ai deboli che lui non riesce a sopportare. È una storia significativa perché di fronte al razzismo e alla ferocia ci racconta che non basta nemmeno l’intervento di un genitore, della famiglia ma il razzismo è un liquido velenoso che ha bisogno che tutti si facciano argine per non permettergli di infilarsi dappertutto.

Ma è una storia che va raccontata. Ci ho pensato, mi sono detto che forse era una storia ormai vecchia di qualche giorno e che forse era un caso isolato e poco paradigmatico poi ho pensato che invece queste storie andrebbero raccontate tutte, una per una, tutti i giorni, tutte le volte, ripeterle sui giornali, per strada, al bar, con la stessa ostinazione con cui i razzisti giocano perfidi al sottile gioco di ripetere una bugia per farla diventare parvente verità.

Bisogna fare come loro, al contrario: raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza, qualcosa di cui ci stanchiamo di parlare e di sentire parlare, un atteggiamento troppo ripetuto per poter essere sostenibile. Una cosa così.

E allora, cara Beatrice, sappi che sono in molti a difenderti, moltissimi.

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Si vergognano di essere fascisti

Non capisco quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo…

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Se la Corte Costituzionale arriva prima del Pd a bocciare i decreti sicurezza di Salvini

Alla fine è dovuta arrivare la Consulta a dire quello che tutti sapevano, che in molti ripetevano da tempo e che perfino il semplice cittadino aveva capito senza bisogno di studi costituzionali: il primo decreto sicurezza voluto dall’ex ministro Salvini, quello salutato come se fosse una rivoluzione epocale anche dall’attuale presidente del consiglio Giuseppe Conte e da Luigi Di Maio quando era capo politico del Movimento 5 Stelle, è una boiata pazzesca per impostazione, per tutela dei diritti e perfino per la sicurezza nazionale che veniva tanto decantata dalle parti in commedia.

“La Corte ne ha dichiarato l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”, scrive nella sua nota stampa la Corte Costituzionale, dando una martellata a chi davvero pensava che rendere invisibili le persone fosse un metodo valido perché non esistessero, una martellata a questa sedicente sinistra che ha dovuto aspettare i tempi biblici della giustizia prima di dare un cenno di vita e una martellata a chi è caduto nel tranello di un decreto che fingendo di garantire sicurezza in realtà non ha fatto altro che aumentare l’incertezza legislativa (e quindi proprio il controllo di cui andavano riempiendosi la bocca).

Ora, ad aggiungere pochezza a questo pochissimo spettacolo, si aggiungono anche i membri della maggioranza, quelli stessi che stanno nello stesso governo che avrebbe potuto abolire i decreti prima che si pronunciasse un tribunale, a spiegarci che loro lo sapevano, che era chiaro che fosse così e a esultare per un’iniziativa che la politica (cioè: loro) non ha avuto il coraggio di prendere in nome della vigliacca timidezza che continuano a portarsi dietro. “La Corte costituzionale conferma l’assurdità di alcune delle scelte propagandistiche volute dall’ex ministro Salvini, i cui decreti hanno prodotto molti effetti negativi per tutti”, dice il viceministro dell’Interno Matteo Mauri, il viceministro in persona, quello che avrebbe dovuto fare qualcosa e invece oggi legge comodamente la sentenza scritta dagli altri che gli ha tolto le castagne dal fuoco.

Leggi anche: “Fermate il Decreto Salvini: 18mila licenziamenti tra noi operatori dei Cas, migranti in mano alle mafie” 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Amate smisuratamente

Cosa ci colpisce e ci affonda dei bambini quando si buttano in tutto quello che fanno, quando stritolano per il volere bene il collo di qualcuno, quando si incaponiscono su inezie che non si riescono a pesare, quando gioiscono come se soffiassero da tutti i pori, quando si lamentano con lamenti lamentosi che sembrano la fine del mondo? È il loro senso della dismisura, quel vivere ogni sensazione senza paracadute, senza nient’altro tutto intorno.

Ogni tanto mi viene da pensare che poi, con gli anni, tutti noi a quell’essere a dismisura ci aggiungiamo il controllo e la patina della paura di tutte le botte che abbiamo preso, delle ferite che ci sono rimaste addosso, dell’incriocchiarsi dei sentimenti come se dovessero essere tenuti a bada e della buona educazione che ci viene imposta come limitazione di ciò che sentiamo e di ciò che siamo in nome di una rotondità sentimentale sociale che è quasi un annilichimento.

Pensate agli adulti con la dismisura dei bambini che difendono i diritti, che lottano per ciò che è giusto, che non lesinano energie per ciò in cui credono e che non accettano la realtà smussata di chi ci racconta che le cose vadano così perché devono andare così perché non c’è alternativa di come potrebbero andare. Pensate all’amare a dismisura le ingiustizie, quelle piccole e quelle grandi, e battersi smisuratamente per curarle e smisurata,ente prendersi cura di quelli che abbiamo vicino e che abbiamo lontano.

Perché poi in fondo tutti gli eroi sono smisurati: è smisurato il modo in cui ci hanno creduto, è smisurato il modo in cui hanno tenacemente tenuto la posizione quando non conveniva e è smisurato il modo in cui poi vengono seguiti dopo essere stati derisi.

Ecco, se ci fosse un augurio da farci per questa estate che percorriamo sulle macerie e sui muri sfranti che ci ritroveremo a percorrere, l’augurio che ci farei è quello di amare smisuratamente, di scrollarci dalle spalle questa misura che è un fardello e cominciare a pensare che ci siano motivi validi per essere smisurati. E fa niente quello che ci dicono intorno.

Amate smisuratamente, vi darà nuove misure.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Decidere di non decidere

Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare

Blocchiamo subito tutti quelli che ci dicono che con quegli altri (Salvini e compagnia cantante) sarebbe stato molto peggio: lo sappiamo, lo sappiamo benissimo ma non ci basta per stare zitti e non vogliamo stare zitti. Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità e ci incagliamo di nuovo: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare.

Decidere di non decidere è comodissimo, mica solo in politica, proprio nella vita: c’è gente che decide di non decidere, di rompere amicizie che andrebbero rotte e se le trascina per anni e ogni volta che accade qualcosa ritira fuori dal cilindro tutte le colpe degli anni precedenti. Accade anche nei rapporti di coppia. È il metodo perfetto per incancrenire le relazioni e per distruggere chirurgicamente tutto quello che è stato. Non si decide di prendersi le proprie responsabilità ma si rimane comodamente nella posizione di chi può in qualsiasi momento recriminare. Bello comodo, eh?

Sul decidere di non decidere poi, se ci pensate, si gioca anche la vita di molti incompiuti: sono quelli che per non fare accadere le cose, perché non ne hanno il fegato, fanno in modo che le facciano accadere gli altri. In pratica: non faccio succedere qualcosa ma faccio di tutto perché succeda ma non se ne possa dare a me la responsabilità.

Sul ponte di Genova è accaduto lo stesso: mentre quelli costruivano il ponte si diceva che i Benetton erano sporchi e cattivi ma nel frattempo nessuno si dedicava a sistemare le carte e le regole perché le cose cambiassero.

Così ci ritroviamo qui: il ponte di Genova, il nuovo ponte, è finito e i concessionari sono ancora gli stessi ritenuti colpevoli del disastro. Sappiano i nostri politici che possono fare tutto il chiasso che vogliono ma qui da fuori tutto risulta goffo, inutile e piuttosto ridicolo.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.