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Lo schiaffo della Lega al popolo bielorusso: si astiene su Lukashenko per non scontentare Putin

Tanto tuonò che finalmente piovve. Il Parlamento Europeo “non riconosce il risultato delle elezioni presidenziali tenute in Bielorussia il 9 agosto” perché portate avanti “in palese violazione degli standard riconosciuti a livello internazionale” e non riconoscerà Lukashenko presidente “una volta che il suo mandato corrente sarà giunto al termine”, cioè dopo il 5 novembre. È il testo della risoluzione che è stata votata ieri con 574 sì, 37 no e 82 astensioni. La protesta bielorussa, del resto, continua a essere viva e forte in tutto il Paese e la presa di posizione dell’Europa finalmente indica una netta scelta di campo che ci si aspettava da giorni.

Ursula von Der Leyen ha detto nettamente che “i cittadini devono essere liberi di decidere il futuro da soli. Non sono pedine sulla scacchiera di qualcun altro”, rinforzano le richieste di chi chiede delle liberi elezioni che si svolgano in maniera democratica. In Bielorussa continua a essere detenuta Maria Kolesnikova, che aveva strappato il proprio passaporto per evitare di essere deportata in Ucraina. Del resto il senso dell’Europa è tutto qui (quando funziona): ciò che accade agli altri ci deve interessare, la difesa dei diritti degli altri è un nostro dovere.

Spicca, al solito, la vigliaccheria dell’astensione della Lega di Matteo Salvini, che per non scontentare il suo amico Putin invece ha deciso di non decidere, come spesso gli accade quando c’è da difendere qualche prepotente del mondo. Ed è il solito Salvini che mostra un’irrefrenabile affetto per i tiranni, per l’amore dei “pieni poteri” che non sempre vengono esercitati secondo le regole. Lo fa con Orban (in numerosi occasioni la Lega in Europa si è schierata in difesa del dittatore ungherese) e continua con Lukashenko. Ed è un segnale politico che deve essere preso terribilmente sul serio perché dimostra un certo modo di intendere il potere che non è di destra o di sinistra (il partito di Giorgia Meloni ha votato compatta per la risoluzione) e perché ancora una volta rinsalda l’asse delle personalità peggiori del mondo.

In tutto questo, ovviamente, non è nemmeno stata data una giustificazione politica dalla Lega. Silenzio e petto in fuori. E se è vero che un politico si giudica dalle sue frequentazioni allora il quadro è chiaro, chiarissimo e sconfortante. L’aggressione per politica, per qualcuno, continua a essere una modalità di governo. E tutto questo è assolutamente inaccettabile.

Leggi anche: 1. “Torturato da forze russe pro-Lukashenko in un campo di concentramento”: la denuncia di un attivista bielorusso a TPI / 2. Bielorussia, la dissidente Tarasevich a TPI: “Lukashenko usa il Covid per violare i diritti umani. Vuole annetterci alla Russia” / 3. Quei ragazzi che (grazie a Internet) possono svegliare la Bielorussia dalla dittatura dopo 30 anni

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Non c’è un giudice a Strasburgo?

Tocca parlare ancora di Turchia, perché i diritti sono sempre quelli degli altri e perché la finta contrizione per la morte di Ebru Timtik sembra non avere insegnato nulla, niente.

L’avvocato Aytaç Ünsal, collega di Ebru Timtik e anche lui al suo 214° giorno di sciopero della fame, anche lui condannato per terrorismo e ovviamente sottoposto a un processo farsa, ha rischiato di fare la stessa fine della sua collega e di altri che in questi mesi stanno protestando contro il governo di Erdogan e che sono accusati in modo strumentale per essere messo fuori gioco.

Nelle scorse ore, fortunatamente, la Corte di Cassazione di Ankara ha deciso la sua immediata scarcerazione per motivi di salute. I giudici hanno stabilito che l’avvocato 32enne debba essere “immediatamente liberato” a causa del “pericolo che rappresenta per la sua vita la permanenza in prigione”. Nei giorni scorsi, i sanitari avevano lanciato l’allarme sul deterioramento delle sue condizioni di salute.

Ma solamente due giorni fa, il 2 settembre, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) aveva bocciato il ricorso per la scarcerazione di Ünsal confermando la decisione della Corte costituzionale turca dello scorso 14 agosto. E già questo dovrebbe porre delle domande poiché giuristi di tutta Europa stavano sottolineando l’iniquità della giustizia turca nei confronti degli avvocati. Giusto per capire a che punto siamo arrivati basti pensare che il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu, ha definito una «terrorista» l’avvocata morta, e ha denunciato l’ordine degli avvocati di Istanbul per averla commemorata. In Turchia sono vietate anche le lacrime.

Ma non è tutto, no: il presidente della Cedu, Robert Spano, è in questi giorni in Turchia per ricevere una Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza a Istanbul e poi tenere, ad Ankara, una Lectio Magistralis presso l’Accademia di Giustizia turca. L’Università statale di Istanbul è stata al centro di una massiccia epurazione dopo il fallito “colpo di Stato” del 2016: furono licenziati 192 accademici. Quell’università è il simbolo dell’opera di pulizia da parte di Erdogan e che un giudice super partes decida di esserne ospite accende più di qualche dubbio.

Lo scrittore Mehmet Altan ha scritto a Spano: «Non so come si possa essere fieri di essere membri onorari di una università che condanna alla disoccupazione, alla povertà e al carcere centinaia di docenti solo per il loro pensiero e i loro scritti». Altan è un accademico di fama mondiale ed era stato espulso da quella università per le sue idee e fu tra i primi intellettuali arrestati nella repressione post-golpe. L’accusa, tanto per chiarire di cosa stiamo parlando, sarebbe quella di avere mandato “messaggi subliminali” durante un programma televisivo. Altan è stato poi prosciolto ma non è mai stato reintegrato all’università, marchiato come traditore.

In tutta la Turchia pendono qualcosa come 60mila richieste di reintegro da parte di lavoratori che hanno perso il proprio lavoro per le loro idee politiche. E sapete chi vaglierà quelle richieste? Robert Spano, quello che in questi giorni è in gita d’onore proprio in Turchia.

E questo per oggi è tutto.

Buon venerdì.

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Caso Navalny: la lezione della Merkel al mondo e l’imbarazzante silenzio del Governo italiano

Che brutto silenzio che tira dalle parti del governo italiano sulla vicenda di Alexei Navalny, l’oppositore russo di Putin che secondo gli esperti militati tedeschi sarebbe stato avvelenato da Novichok, un veleno che vale come una firma e che è legato alla storia della Russia quando ancora era Unione Sovietica. Il governo tedesco (che dopo un lungo tira e molla è riuscito a fare trasferire Navalny in Germania) ha confermato “senza alcun dubbio” che il leader dell’opposizione russa è stato avvelenato e Angela Merkel ha usato parole durissime: “È chiaro che Navalny è vittima di un crimine ed è stato messo a tacere”, ha detto, condannando con “la massima fermezza possibile” quanto accaduto e auspicando “una reazione congiunta appropriata” nei confronti della Russia in accordo con Nato e Unione Europea.

Sempre a proposito di reazioni, leggetevi le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Un atto spregevole e codardo. I responsabili devono essere assicurati alla giustizia”. Addirittura anche la Casa Bianca parla di “riprovevole avvelenamento” senza dubbi. Una bella fetta di mondo insomma parla, prende posizione, critica, accusa, pretende spiegazioni e richiama il presidente Putin alle sue responsabilità chiedendo che venga fatta il prima possibile luce sull’accaduto. Da lontano, flebile, arriva invece la voce del governo italiano: l’unica nota ufficiale sta malinconicamente scritta in cinque righe sul sito del ministero degli Esteri, in cui si esprime “profonda inquietudine ed indignazione” e si chiede “che la Federazione Russa chiarisca con rapidità e trasparenza le responsabilità dell’accaduto”.

Avete visto una dura presa di posizione del ministro Luigi Di Maio? Qualche frase di circostanza, obbligatoria, e poco altro. Per non parlare del centrodestra, che con Putin gozzoviglia da anni, che sembra non essersi nemmeno accordo dell’accaduto. Però su proposta di Di Maio, intanto l’Italia ha insignito dell’Onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della ”Stella d’Italia” il primo ministro di Putin Mikhail Mishustin, proprio uno degli esponenti politici messo sotto accusa da Alexei Navalny per gli eccessivi guadagni non giustificati (790 milioni di rubli guadagnati dalla moglie solo negli ultimi 9 anni). Il premier Conte invece ha avuto una conversazione telefonica con Putin in cui il presidente russo aveva parlato di “inammissibilità di accuse frettolose e infondate”. E l’Italia inchinata alla Russia sembra qualcosa di più di una semplice sensazione.

Leggi anche: 1. Berlino: “Navalny avvelenato, prove inconfutabili. Mosca spieghi” / 2. Novichok: cos’è, e che effetti ha sul corpo, l’agente nervino usato per uccidere l’ex spia russa Skripal / 3. Russia, il video in aereo dell’oppositore di Putin che grida di dolore: “L’hanno avvelenato” / 4. Russia, approvata la riforma della Costituzione: Putin potrà governare fino al 2036 / 5. L’ascesa della Russia di Putin non passa solo dalla Siria

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Maltempo? No, si chiamano cambiamenti climatici: così in Italia muoiono bambini e sprofondano città

In Liguria ci sono state città attraversate da fiumi d’acqua. Verona è stata martoriata. Su Milano circolano le foto degli alberi caduti per il forte maltempo, una RSA è stata scoperchiata, il tetto è volato via come uno straccio e tutti gli ospiti sono stati trasferiti d’urgenza. Nel cremonese la grandine ha devastato il territorio e si sta facendo ancora la conta dei danni. Moltissime le strade bloccate. E poi la notizia di ieri di due sorelle morte per un pioppo alto quattro metri sradicato dal fortissimo vento che le ha schiacciate mentre dormivano nella loro tenda, una tromba d’aria atipica l’hanno definita gli esperti, a Marina di Massa.

Sembrano incidenti, scherzi della natura e del destino, finiscono nelle discussione e nella cronaca come se fossero sfortunati episodi eppure i numeri dicono altro, lo dicono da tempo e lo dicono in modo chiarissimo: gli eventi meteorologici estremi nel 1999 in Italia sono stati in tutto 17, nel 2019 abbiamo avuto 1668 casi (fonte l’European Severe Weather Database) e probabilmente questo 2020 segnerà un altro record. Continuare a credere (e raccontare) che ciò che accade sia frutto di casualità senza vederne invece la sistematicità causata dal cambiamento climatico è l’atteggiamento più vigliacco e pericoloso.

Un’inchiesta dello European Data Journalism Network diffusa da stopglobalwarming.eu racconta che l’Italia potrebbe perdere qualcosa come 1.030,5 chilometri di spiagge nei prossimi 80 anni. Spiegato semplice: se si continua così da qui al 2100 una spiaggia su tre non esisterà più, non ci sarà la spiaggia di San Teodoro in Sardegna e nemmeno quella di Lignano Sabbiadoro nella laguna di Venezia, nella zona di Rimini le spiagge arretrerebbero di almeno 40 metri, solo per far qualche esempio.

Eppure un sondaggio realizzato da Ipsos qualche settimana fa dice che il 72% degli italiani è convinto che il cambiamento climatico sia addirittura un problema più serio della pandemia e l’80% ritiene che il governo dovrebbe ripartire proprio da qui anche per rilanciare l’economia della Paese. Otto italiani su dieci sono convinti che il cambiamento climatico sia dovuto alle attività umane e che si prospetti un disastro ambientale se non ci sarà un cambiamento di abitudini. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che no, che non si tratta di sfortuna, che non serve più la solidarietà dopo una tromba d’aria e un acquazzone: ci sono responsabilità precise, nomi e cognomi, comportamenti che valgono come soluzioni e decisioni che devono essere messi in cima all’agenda. Intervenire in tempo è impegnativo ma non provarci sarebbe un suicidio.

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“A Beirut, come a Damasco, è morta la speranza”: parla lo scrittore siriano Shady Hamadi

Shady Hamadi è uno scrittore di origine siriana e da sempre è un attento osservatore del Medio Oriente. Esilio dalla Siria. Una lotta contro lindifferenza”, edito da Add Editore è il suo ultimo libro.

Lesplosione a Beirut ha acceso le voci di solidarietà falsi cortesi degli esponenti politici con strafalcioni come quello di Manlio Di Stefano. Che sensazione ti provoca la superficialità della politica italiana sul Medio Oriente?
Mi provoca delusione perché l’Italia ha, geograficamente e storicamente, un ruolo di primo piano nei rapporti con il Medio Oriente. Geograficamente perché siamo la porta verso l’Europa; storicamente a causa della presenza araba, durata secoli, nel sud Italia. Gli sbagli eclatanti, come quello di Di Stefano, stanno diventando una prassi (a destra e a sinistra) che non solleva neanche più l’indignazione. Ricordo gli elogi di Renzi al suo “amico”Al Sisi, poco prima della morte di Regeni. O, ancora prima, nel 2011 Franco Frattini che elogiava la Siria per la sua stabilità durante l’ondata delle primavere arabe. Il risultato è davanti a tutti noi.

Come valuti la politica estera del governo italiano?
Sclerotica perché c’è incoerenza nelle azioni della Farnesina a causa della nostra instabilità politica. Prendiamo l’Egitto. Con Renzi, prima dell’uccisione di Regeni, i rapporti erano idilliaci. Ucciso il ricercatore, abbiamo virato completamente. Salvo poi rimandare l’ambasciatore al Cairo. Oggi che cosa rimane del nostro approccio verso l’Egitto, la questione della tutela dei diritti umani? Nulla, a parte la vicenda di Patrick Zaki che non cade nel dimenticatoio grazie all’attenzione di alcuni movimenti di sinistra e Amnesty.

Come valuti lattenzione della politica occidentale sul Medio Oriente?
Dovevamo accompagnare i paesi arabi verso una transizione, sostenendo quel corpo sociale che si chiama società civile ma non lo abbiamo fatto. Preferiamo ancora oggi sostenere militari che con la forza riportano lo status quo antecedente. Guardiamo alla Libia. Parte della comunità internazionale sostiene Haftar; altri Sarraj. All’interno dell’Unione Europea ci sono Stati che, seguendo il proprio interesse nazionale, sostengono gruppi differenti.

Cosa bisognerebbe avere il coraggio di dire/fare?
Abbiamo sbagliato. L’ammissione di colpa dovrebbe arrivare da chi si è seduto in parlamento in Italia come nella Ue. Hanno sbagliato nel guardare al Medio Oriente con i soliti preconcetti: se non c’è un dittatore c’è il fondamentalismo. Come se questi arabi non fossero capaci di emanciparsi da questi due mali, creando una terza via che li conduca verso la democrazia. Il male assoluto, secondo questa vulgata alla Magdi Allam, sarebbe l’Islam. Semplicisticamente sarebbe la religione a bloccare ogni trasformazione.

Da scrittore, con la tua storia, come valuti questo momento internazionale?
É una restaurazione. A Beirut come a Damasco manca la speranza. Sto parlando proprio del sentimento. Sperare di cambiare, di migliorare vita… la gioventù vive nel pessimismo. Questo stato di cose ha prodotto un aumento vertiginoso dei suicidi. Decine di giovani si tolgono la vita esausti non solo di vivere nella miseria ma di non vedere mai un cambiamento. Di chi è la responsabilità di queste morti?

Che ne pensi del rifinanziamento italiano alla Libia?
Abbiamo Salvini che grida contro gli sbarchi. Vuole che si fermino ma lui ed altri hanno firmato per il rifinanziamento della guardia costiera libica da più parti accusata di gestire il traffico di migranti con le mafie locali. Diamo soldi ai trafficanti. Ho idea che chi grida alla chiusura dei porti voglia il contrario. I migranti servono come merce di scambio elettorale, in barba alla sofferenza di quei nei lager.

In Italia haisentito” razzismo?
Personalmente no. Mi definisco da sempre sirio-brianzolo anche se ultimamente mi sento solo brianzolo. Penso che gli italiani non siano razzisti. Credo esista molta ignoranza. Molti politici la sfruttano perché viviamo in una epoca di slogan e non di discorsi culturali. Vede, oggi non vogliamo prenderci la briga di capire perché un nigeriano scappa da Lagos o un siriano da Aleppo. Vogliamo tutto subito, anche le spiegazioni. Il politico improvvisato che ormai dilaga nei talk show e nelle aule un tempo frequentate da Berlinguer, regala slogan. È un ignorante, che non sa che i libici abitano in Libia e che Pinochet non era il dittatore del Venezuela. Non è umile. Infatti non chiede scusa. Dobbiamo ripartire dalla cultura.

Leggi anche: 1. Libano: devastante esplosione al porto di Beirut. Le impressionanti immagini della deflagrazione / 2. Libano, ferito un militare italiano in un’esplosione al porto di Beirut / 3. Libano, esplosione al porto di Beirut: incidente o attentato? Tutte le ipotesi

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Filippo Sensi a TPI: “Abbiamo combattuto Berlusconi per anni, ma oggi il mondo è cambiato”

Filippo Sensi è un giornalista, blogger, esperto di comunicazione politica e dal 2018 deputato per il Partito Democratico. Qualche giorno fa alla Camera ha fatto memoria leggendo l’elenco dei medici morti di Covid. Tutta la sua esperienza è improntata su un umanesimo ben lontano dai toni e dai modi generali della politica.
Qualche giorno fa alla Camera ha letto l’elenco dei 173 medici morti di Covid in Italia, perché? 
Sono partito da un senso di inadeguatezza, la mia. L’occasione era l’istituzione di una giornata di memoria per le vittime della pandemia, e ho pensato che l’unico modo possibile – parlo per me, ovviamente – per fare memoria di questa assenza fossero i nomi. Ho scelto i medici, non potendo leggere migliaia di nomi, come pietre di inciampo di questo cammino dentro la malattia nel quale siamo ancora dentro.

Qualcuno dice che il suo sia stato un gesto simbolico inutile in un luogo come il Parlamento, come risponde?
Penso che averlo fatto in Parlamento sia stato un modo per dare dignità anche all’aula che, right or wrong, è un luogo fisico e simbolico della comunità democratica che siamo. Chiamarli, uno per uno, per rifarli presenti. A maggior ragione adesso che ci vogliamo sentire fuori da quella memoria, dalla memoria del lockdown, quando la malattia infuriava e sembrava senza scampo.
Secondo lei quanta memoria abbiamo di quel periodo buio, è già in atto una rimozione?
Non so se sia in atto una rimozione, non credo, ma qualora pensassimo di esserne usciti, chiamare gli assenti è un modo, forse l’unico, per restituirci un senso di noi, e anche di futuro.

A proposito, anche quando si è parlato di bullismo alla Camera lei ha portato la sua esperienza personale parlando dei suoi problemi con il peso. Ma l’umanità in parlamento “funziona”?
Penso di sì. E che quando balla qualcosa di noi stessi nelle cose che diciamo – perché poi diciamo cose – secondo me quelle cose prendono peso, volume, colore, luce. Parlano di noi. Perché poi cosa altro dovrebbe fare la politica se non parlare di noi, dire di noi? Quando succede, secondo me, si sente. Quando sporge qualcosa dell’umanità e della storia personale dentro un provvedimento o un intervento certo espone, evidenzia fragilità. Ma perché mai la politica dovrebbe essere il luogo e la lingua di ciò che è inumano, della anestesia dei sentimenti e delle passioni? Non ridurrei la politica a una pappa del cuore, ma una politica dimentica della sua dimensione umana e personale sarebbe non un errore, ma la negazione di sé.

Arrivano i soldi dell’Europa. Quali dovrebbero essere le priorità per il governo?
Vado in controtendenza: non penso che a questo punto ci manchi la visione, come dicono molti. Adesso abbiamo bisogno non tanto di effetti speciali, o di vasti programmi, ma di persone esperte nei gabinetti del governo che siano in grado di scrivere i nostri programmi in maniera efficace, come si fa quando si cerca di accedere ai fondi europei. Persone di qualità – e ce ne sono, task force e non task force – che sappiano cosa chiedere e come si chiede e come si ottiene. Non interminabili liste della spesa o Costituzioni repubblicane: progetti concreti e puntuali, che non si facciano bocciare. Evitiamo la retorica dei grandi principi che poi si trasforma in piagnisteo quando la banca ti chiede di rientrare: tocca a noi lavorare con competenza, umiltà, determinazione: ci sono tutti gli elementi per farlo, e farlo come si deve.

Si parla molto, e con molta preoccupazione, della scuola. Al momento sembra difficile riuscire a trovare una soluzione che risulti soddisfacente per tutti. È ottimista?
Non è un fatto di ottimismo o meno. Credo che a settembre, in un modo o nell’altro, la scuola ripartirà. Il dibattito continuerà, tra scambi di accuse e tutto quello che segue. Ma riaprirà. E confido che lo farà in sicurezza e nel rispetto di tutti i player della scuola: dei docenti, del personale, dei dirigenti, delle famiglie, e soprattutto dei ragazzi. Che hanno bisogno di andare a scuola in sicurezza e con fiducia.

C’è in corso una sotterranea (nemmeno troppo) voglia di restaurazione che passa addirittura dalla riabilitazione di Berlusconi, da Prodi a De Benedetti: cosa ne pensa?
Ho combattuto Berlusconi per buona parte della mia esperienza di comunicazione politica. Lo ricordo bene, ricordo bene cosa è stato nel 2001 fare una campagna elettorale nazionale contro Berlusconi, un uomo che ha segnato la vita politica di un ventennio in Italia. Quella stagione non si dimentica e credo che non sia stato ancora capito a fondo cosa sia stato il berlusconismo in Italia. Credo altrettanto che oggi siamo in una stagione molto differente, e non solo perché sono passati molti anni, ma perché è cambiato il panorama politico in tutto il mondo. Questo non vuol dire necessariamente cambiare atteggiamento o giudizio politico, ma certo – parlo per me – approfondirlo, renderlo contemporaneo, con un senso della realtà che valeva ieri come vale oggi.

Che valutazione dà, finora, alla sua esperienza politica? 
Provo a occuparmi delle cose che mi competono. Sono molto ammirato dai miei colleghi, vedo tanta passione e competenza, dalla quale provo a rubare esperienza. Se ne dicono di ogni sui parlamentari e sulla qualità della politica, ma lavorando in commissione o partecipando ai lavori di aula vedo tante persone dalle quali imparare, e tanto.
Quali sono state le più grandi soddisfazioni e le più grandi delusioni?
Sono stato orgoglioso di vari provvedimenti, meno, molto meno di altri. Ho visto approvare le leggi vergogna sulla sicurezza, ho provato molta rabbia. Vedo l’aula troppo vuota, sono stato molto criticato su questo punto, ma non mi ci rassegno, mi dispiace. Penso, in genere, che quando il Parlamento – non succede sempre, purtroppo – fa i compiti a casa, fa il suo lavoro quotidiano, la fatica della democrazia, ne trae giovamento tutto il Paese, come fossero i polmoni di questa Repubblica.

Leggi anche: 1. Il governissimo con Berlusconi è il simbolo di una politica marcia voluta da certi salotti e certe redazioni (di Luca Telese) / 2. Revelli a TPI: “Governissimo con Berlusconi? Certi potentati vogliono la restaurazione per mettere le mani sui fondi europei” / 3. Da Prodi a De Benedetti: tutti quelli che rivogliono Berlusconi al governo

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A volte ritornano

Dove vuole arrivare Prodi quando strizza l’occhiolino al suo acerrimo nemico? Come mai il Pd non si scompone più di tanto di fronte all’ipotesi di una “alleanza” di governo con Berlusconi? Ecco perché le manfrine di Palazzo di queste settimane sono un (brutto) film già visto

Lo sapete cosa accade quando partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Paragone: “Non illudetevi, Grillo e Di Battista hanno visioni diverse per M5S. Io ora mi faccio un partito”

Gianluigi Paragone: “Grillo e Di Battista hanno visioni diverse per il M5S”

Gianluigi Paragone è stato eletto senatore con il Movimento 5 Stelle ma il 1 gennaio di quest’anno è stato espulso dal collegio dei probiviri per avere votato contro la legge di bilancio. L’abbiamo intervistato per TPI sull’attuale momento del M5S.

Paragone, partiamo dallo scontro Grillo-Di Battista: che succede?
Facile: Alessandro (Di Battista nda) ha ancora dentro il dna del movimento antisistema, Grillo invece ha completamente maturato la scelta di portare il Movimento dentro al sistema. Uno scontro tra due visioni: una forse onirica e l’altra più politicante.

Appare chiaro però che il famoso “uno vale uno” ormai valga poco…
Grillo è sempre stato il padre padrone del Movimento. C’è stato un momento in cui, forse più per esigenza personale, ha fatto un passo di lato però nel momento in cui il Movimento doveva andare là dove aveva deciso che andasse ha esercitato quello che esercitava prima, il diritto divino, il diritto del signore feudale. È un partito che nasce grillino.

Alcune voci dentro il Movimento 5 Stelle dicono che Di Battista vorrebbe vincere il congresso con i voti di quelli che ormai sono tutti fuori…
Se “quelli fuori” sono quelli che sono stati espulsi, quelli che se ne sono andati e quelli che non votano più il Movimento stiamo parlando di circa la metà del patrimonio elettorale del Movimento, questo la dice lunga sulle capacità di analisi di alcuni dentro il M5S. Queste non sono malelingue, sono lingue che ormai parlano il linguaggio del palazzo.

Ma secondo lei c’è lo spazio perché il M5S recuperi lo spirito originario oppure ormai la strada verso la maturità politica è segnata?
A me non fa paura una grammatica politica-partitica. Mi fa paura la tesi che sfugge. Cosa succederà non lo so e onestamente non me ne frega più nulla, non sono qui a sfogliare l’album dei ricordi. Qualcuno ha visto nascere il Movimento e quindi è mosso da un afflato di questo tipo però a me interessa dare una soluzione a dei problemi reali, poi ognuno la questione sociale la poggia sulla propria tesi politica. A me interessa lo spaccato sociale.

Secondo lei la rovina del M5S è stato l’accordo con il PD?
La rovina è non avere avuto una struttura politica in grado di fare maturare delle sensazioni, vale per l’economia e per la giustizia. Siccome non avevano una tesi politica hanno sfruttato delle figure che erano figurine ma il Movimento viveva di suggestione, che non è per forza negativo, ma quelle suggestioni dovevano trasformarsi in tesi politiche. Questo passaggio non è stato compiuto, e forse avevano paura di compierlo, si sono poggiati su figurine che dessero sostanza alla suggestione e le hanno prese dalla società civile, come il sottoscritto, Freccero, Di Matteo.

Però poi quando ognuno di costoro ha continuato a dire le cose che ha sempre detto allora è diventato un problema: io ho sempre detto che non ero europeista e ho rivendicato questa scelta anche successivamente e nel programma elettorale del Movimento il karma era antieuropeista. A Nino Di Matteo non puoi chiedere di stare zitto quando vede cose che configgono con l’azione antimafia.

Il suo futuro politico?
Il mio futuro è teso a costruire una forza totalmente antisistema e antieuropeista.

Il Movimento 5 Stelle si spaccherà?
Io non lavoro per fare del male al Movimento, anche perché è un esercizio che gli riesce benissimo. Io lavoro per dare concretezza politica a chi pensa che quello che io ho raccontato e ho scritto debba avere un riscontro nell’azione politica. Per questo mi voglio impegnare questa volta costruendo un soggetto mio così nessuno può sbattermi fuori.

Leggi anche: 1. Paragone a TPI: “I dirigenti M5S cadono a ogni mia provocazione, me li sto bevendo. Mi espellano, il Movimento è morto” / 2. Paragone a TPI: “Mi cacciano dal M5S? Vediamo, ma io non faccio nessuna scissione. Di Maio non deluda le aspettative” / 3. Il M5S è un fantasma che cammina sulle sue gambe

4. Grillo: “Assemblea M5S? Senso del tempo come nel film Il giorno della marmotta” / 5. Conte leader del M5S? È scontro tra il fondatore Beppe Grillo e “il ribelle” Alessandro Di Battista / 6. Il quotidiano spagnolo Abc: “Nel 2010 il Venezuela di Chavez finanziò il M5S con 3,5 milioni di dollari”. Caracas smentisce

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Preparatevi: Salvini e Meloni per il 2 giugno faranno qualcosa di grosso per farsi notare a tutti i costi

Preparatevi perché domani il duo Salvini-Meloni proverà a fare più schizzi possibile per farsi notare e per ricordarci che esistono ancora. Scomparsi dal radar dell’agenda politica, infilati nella guerra al’Europa che invece ha dimostrato di esistere nel sostegno economico all’Italia, rinchiusi nella guerra agli Stati che non vogliono italiani in vacanza dimenticandosi del loro rincorrere chiusure e frontiere e ora balbettanti di fronte a una Festa della Repubblica che vorrebbero usare per racimolare qualche minuto di attenzione. Forti Meloni e Salvini, festeggiano il 2 giugno senza sapere che non ci sarebbe stato nessun 2 giugno senza il 25 aprile. E per farsi notare un centimetro in più avevano deciso di farsi un bel video deponendo una corona d’alloro ai piedi del Milite Ignoto, sostituendosi al Presidente della Repubblica per fare una foto spalmare sui social.

Simpatica la Meloni che si dichiara inorridita per non avere ricevuto l’autorizzazione di fare la controfigura, la brutta copia, del Presidente Mattarella. Ora dovrà inventarsi in tempi brevi qualche altra sceneggiata. E forte anche Salvini che al 2 giugno non si è mai fatto vedere (l’anno scorso lo festeggiava in Polonia camuffandosi da provincialissimo uomo internazionale) e che ora si dimostra fieramente innamorato di quella stessa bandiera italiana su cui ha sputato per anni. Visti da lontano i due sono un indecente spettacolo di quello che diventa la politica quando ha bisogno di trasformarsi in recita pur di farsi notare: spettacoli che durano solo il tempo di qualche articolo su qualche giornale mentre si consuma una guerra fratricida. Eh sì, perché nel centrodestra italiano tira anche una brutta arietta mica male con gli uomini di Forza Italia europeisti che stonano con gli altri due, con Salvini terrorizzato da Giorgia Meloni lanciata nei sondaggi e pronta a oscurarlo e Fratelli d’Italia che si sforza di essere di destra senza farsi superare a destra dai partitini di destra ma che deve essere moderata per andarsi a prendere i voti dei moderati. Sullo sfondo, come sempre, i fascisti in piazza rinchiusi nelle loro piccole sigle da prefisso telefonico per risultati elettorali.

Preparatevi perché la pandemia e la politica europea richiedono ai due commedianti di fare qualcosa di grosso, di dire qualcosa di forte per rubare qualche inquadratura: sarà il solito indecente spettacolo. Sarà l’ennesima festa nazionale usata per scopi di propaganda. Pronti a tutto e al contrario di tutto.

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