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Ma dai? Si torna a scuola?

Eccoci qua. Mi era capitato qualche settimana fa, eravamo ancora in pieno periodo vacanziero a ricordarmi che saremmo arrivati in ritardo con le aperture delle scuole. Era scritto, del resto: nei molti mesi che ci sono stati a disposizione per ripensare la scuola e per programmarne la riapertura ci si è consumati tra le piccole guerre tra Stato e regioni e a discutere di banchi con rotelle, di plexiglas e di indecenti attacchi sessisti alla ministra. Rimanere sul punto evidentemente era troppo difficile.

Così ora si scopre che anche i professori si ammalano (i primi risultati dicono 16 professori positivi in Veneto, 12 in Lombardia tra Varese e Como, 20 in Umbria, 4 in Trentino) e che come avviene in qualsiasi luogo di lavoro forse è il caso di fare i test. A proposito di test: si rilancia la notizia che un terzo dei professori non vorrebbe sottoporsi a tampone (che il governo ha, chissà perché, reso volontario) e ovviamente tutti ora giocano al massacro: peccato che l’indagine abbia ben poco valore statistico (si sa di interviste telefoniche a qualche centinaio di insegnanti e non si sa di che regione siano) e peccato che siano moltissimi gli insegnati che invece lamentano addirittura l’impossibilità di accedere al tampone. Tra l’altro in alcune regioni il test è gratuito e in altre no, così a caso. Sia chiaro: tutto questo a pochi giorni dall’inizio della scuola.

Ma non è tutto: ora ci si accorge che i ragazzi a scuola ci devono andare e che molti ci vanno in autobus e indovina un po’? Gli autobus sono strapieni. Eh, già. Non era difficile immaginarlo, basterebbe sostare davanti a una scuola qualsiasi per accorgersene in una città qualsiasi. Fenomenale il presidente delle Marche Ceriscioli che a Repubblica dice che Burioni ha trovato la soluzione: i ragazzi nel bus devono indossare la mascherina e restare in silenzio, senza parlare. Sembra uno scherzo e invece è drammatico.

Poi ci sono i banchi: il pessimo commissario Arcuri ora parla di alcune consegne a fine ottobre e il bando di gara era talmente scritto male da dover essere corretto un paio di volte. Giunge notizia che ora il commissario stia facendo ordine a aziende extra bando. Qualcuno dice che ci vorrebbe vedere chiaro ma i costi e i contratti sono secretati “per evitare polemiche politiche” dice Arcuri, come se avesse l’autorità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no.

Poi ci sono gli spazi: garantire distanziamento sociale in edifici che avevano già problemi di cubature in epoca pre Covid diventa una missione quasi impossibile. A tutto questo aggiungeteci il caos di un’opposizione che soffia sul fuoco piuttosto che proporre soluzioni.

Eppure proprio sulla scuola si misurerà molta della capacità di questo governo di affrontare la pandemia. Per questo vale la pena approfondire. Per questo se ne parla nel numero di Left in edicola e in digitale.

Buon venerdì.

Left del 28 agosto – 3 settembre 2020

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Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

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Sardegna, mentre i contagi aumentano Solinas fa lo scaricabarile col governo (in stile Fontana)

Ricomincia lo scaricabarile e sarà un storia che durerà ancora per molto: mentre in Italia destano preoccupazione i casi di importazione di Covid che stanno facendo alzare il numero dei contagi giornalieri, ora le Regioni partono all’attacco del governo lamentando ritardi e incomprensioni. Sembra di essere tornati ai tempi dello scontro tra governo e Lombardia, quando il presidente Fontana chiudeva qualcosa in meno rispetto ai decreti governativi o apriva qualcosa in più tanto per farsi notare, giusto per chiarire che esistono anche loro.

L’ultimo attacco arriva dalla Sardegna e diventa ancora più incomprensibile alla luce delle testimonianze che arrivano dall’isola, dove al di là delle discoteche ormai chiuse si nota una movida (come in quasi tutte le località vacanziere) assolutamente fuori controllo. Il governatore della Sardegna, Christian Solinas, in un’intervista al Corriere della Sera chiarisce che “la Sardegna non ha mai avuto una circolazione virale autoctona”. “Tutti i casi – dice – sono di importazione o di ritorno, persone già positive testate una volta giunte in Sardegna o sardi infettati durante le vacanze all’estero”.

Come se ancora una volta il punto centrale sia quello di trovare un untore piuttosto che governare una situazione con cui si dovrà convivere probabilmente ancora a lungo, almeno fino all’arrivo del vaccino. Solinas rimarca la sua ostilità al governo: “Se il governo – dice – avesse accolto il modello che avevo proposto già mesi fa per accompagnare l’ingresso sull’isola di ciascun passeggero con un certificato che attestasse l’esito negativo del tampone, oggi non ci sarebbe la recrudescenza del virus”.

E, quando gli si fa notare che i controlli sono partiti solo ad agosto inoltrato, il governatore risponde: “Questo deve chiederlo a Roma. Quando noi lo abbiamo proposto a maggio, tutti si sono stracciati le vesti, attaccandomi con una violenza inaudita da tutti i fronti: politico, mediatico e scientifico”. E siamo al punto di partenza, ancora una volta, dopo tutti questi mesi: nonostante il ministro Boccia insista nel dire che il grado di collaborazione tra governo e Regioni è alto, continuiamo ad assistere al sovranismo del contagio, alla rivendicazione dell’uno contro l’altro come in una brutta operetta con tutti gli attori in commedia, con strali lanciati sui giornali piuttosto che nelle sedi opportune. Con la politica che diventa solo polemica. E mentre la polemica infiamma le diverse fazioni il virus gira, continua a girare.

Leggi anche: 1. Dopo i runner e i migranti, tocca alla discoteche: perché siamo sempre a caccia dell’untore? (di G. Cavalli) / 2. Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro? (di G. Cavalli)

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Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento

Guardare il dito e la luna. È una storia che comincia come una barzelletta: ci sono tre leghisti, c’è un Cinque Stelle e uno di Italia Viva, la caccia ai nomi sarà lo sport della giornata e forse anche dei prossimi giorni. Che in mezzo ai richiedenti ci siano anche presidenti di regioni (che certo non hanno stipendi inferiori ai parlamentari) sembra essere sfuggito ai più. L’importante sono i parlamentari, gli obiettivi sono i parlamentari, tutti addosso ai parlamentari. Sia chiaro: che i cinque siano l’antitesi di quella disciplina e di quell’onore che sono richiesti dalla Costituzione a chi si ritrova a governare la cosa pubblica è fuori da ogni dubbio.

Chiedere 600 euro nella comodissima posizione dell’essere parlamentare è un gesto infimo, siamo d’accordo ma una riflessione ragionata e ampia dovrebbe spingerci a porci domande e allargare la discussione. Una norma, ad esempio, che prevede un contributo a pioggia, senza limiti di reddito, a tutti è politicamente sbagliata e praticamente inutile ai fini dell’uguaglianza sociale: i parlamentari hanno sfruttato una falla nella legge (e fanno schifo anche per questo) che ha permesso a molti benestanti di usufruire di un bonus di cui non avevano bisogno. Diciamolo: dare 600 euro a tutti è stata una pessima idea, forse dettata dall’emergenza, ma una pessima idea. Il buon legislatore scrive le leggi (e i decreti) perché siano funzionali ai più bisognosi e perché sbarrino la strada ai furbi. In questo caso non è successo, diciamolo chiaramente.

Poi dell’epoca Covid sarebbe da raccontare anche quella parte di imprenditori che hanno usufruito della cassa integrazione senza avere nessuna riduzione di fatturato, sarebbe da parlare dei cassintegrati che hanno continuato a lavorare normalmente per qualche imprenditori che si ritene particolarmente furbo, sarebbe da parlare di chi in nome dell’emergenza si è addirittura arricchito usufruendo comunque degli aiuti di Stato. Facendo due conti siamo di fronte a un dissanguamento di denaro pubblico enormemente più grave di quel gruzzolo di 600 euro. Sarebbe bello che l’INPS ci parlasse anche di questo, no?

E infine un punto strettamente politico: quanto comodo fa all’antipolitica (quell’antipolitica che ci ha trascinati in questo gretto populismo) che dei parlamentari vengano sventolati come prova della fallacia di una legge che invece ha favorito una platea ben più vasta? Quanto gioca tutto questo per il prossimo referendum (populista) che ancora una volta punta sulla quantità e non sulla qualità? E soprattutto: ma chi ha scelto quei parlamentari, quelli che dovrebbero formare la classe dirigente di questo Paese, non ha nulla da dirci? Perché quei nomi li sappiamo già: Matteo Salvini, Gianroberto Casaleggio e Matteo Renzi. Loro non hanno nulla da dirci?

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Ti conosciamo, mascherina

L’andare controcorrente per il semplice gusto di farsi notare è qualcosa che funziona per breve tempo. E scimmiottare Trump che si sta schiantando sul Covid-19 e sul negazionismo, come sta facendo il capitano leghista, non è una gran strategia. Ma tant’è

Eccolo qui, Matteo Salvini, in tutto il suo splendore di vittima sacrificale che si offre ai suoi elettori e che prepara la propaganda per i prossimi mesi sperando di passare incolume questa estate senza ripetere gli errori dell’anno scorso. L’uomo che voleva “tutti i poteri” l’anno scorso mentre ballava a torso nudo sulla spiaggia del Papeete quest’anno ha deciso di rivendersi come l’uomo che va a processo per le sue idee e che vuole essere il martire del difensore dei confini italiani. Peccato che la narrazione, per quanto rivenduta con una certa alchimia, non stia per niente in piedi proprio per tutta la fatica che ci ha messo brigando per farsi salvare dai suoi amici (e dai suoi finti nemici) in Parlamento: se avesse voluto fare l’eroe avrebbe dovuto avere il fisico per farlo fino in fondo e invece si ritrova a essere quello che prova prima a scappare dal processo e infine, quando non ha avuto più armi a disposizione per evitarlo, ce lo vuole rivendere come una medaglia che si porta al petto. Prima frigna e poi lo rivendica: dispiace ma l’atteggiamento bambinesco depotenzierà non poco il suo messaggio e difficilmente la parte dell’eroe nazionale gli si confà. Resta anche da vedere che ne faranno i suoi alleati: Silvio Berlusconi ha usato il rinvio a giudizio semplicemente per rivendicare la propria storia da pluricondannato, sostanzialmente parlando di se stesso più che di quello che potrebbe accadere all’ex ministro dell’Interno; Giorgia Meloni ha avanzato una difesa di facciata che è risultata poco convincente e non bisogna essere fini analisti per capire che proprio sul processo potrebbe avvenire il sorpasso che porterebbe la leader di Fratelli d’Italia a tenere in mano le redini di tutto il centrodestra. «Tornerò l’anno prossimo da presidente del Consiglio» ha detto Salvini a Milano Marittima qualche giorno fa, ovviamente sulla spiaggia che è luogo a lui consono, e che non si sia sentita la fragorosa risata di risposta che si sono fatti dalle parti del Parlamento è solo dovuto a una forma di buona educazione. Il governo rimarrà in piedi, eccome, e se c’è un rischio per la montagna di soldi che arriverà dall’Europa sarà piuttosto un tentativo di restaurazione di antichi poteri, gli stessi che già digeriscono poco un accrocchino di governo con Conte e M5S e centrosinistra, figurarsi se metterebbero in mano tutto il malloppo a chi, come Salvini, viene giudicato troppo inaffidabile per operazioni politiche di rilevanza internazionale.
A proposito di politica internazionale: gli ultimi fatti avvenuti in Europa hanno dato un duro colpo alla narrazione sovranista del leader della Lega e ora dalle parti di via Bellerio si cerca di capire la strategia per riuscire a trascinarsi nei prossimi mesi: copiare da Trump rimane sempre la poco…

L’articolo prosegue su Left che esce il 7 agosto

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Fratoianni a TPI: “Governissimo con Berlusconi? Non con noi. Ci sono interessi economici dietro”

Il rifinanziamento della Guardia Costiera libica ha spaccato il governo. Sono in molti a lamentare un cambio di rotta sull’immigrazione. Ne abbiamo parlato con il deputato Nicola Fratoianni di Leu, per TPI.it.

Fratoianni, ancora una volta l’Italia finanzia quelli che sono considerati quasi universalmente dei veri e propri aguzzini. Non le sembra che la gestione di questo Governo, in tema di immigrazione, non si discosti molto dalla gestione con Salvini al ministero dell’interno?
Per la verità non è cambiato molto nemmeno con quello che è successo con i governi precedenti al primo governo Conte: sono stati loro ad avviare la collaborazione con le autorità libiche. Piuttosto la votazione di ieri, con i voti contrari di 14 senatori e 23 parlamentari, indica che i numeri di chi si oppone a questa politica in campo migratorio sono decisamente più alti. Il rifinanziamento è passato con un voto trasversale che ha coinvolto anche i partiti all’opposizione.

E intanto rimangono lì anche i decreti sicurezza…
La discussione sui decreti sicurezza si sta svolgendo con un altro tratto e alla luce del lavoro che stiamo facendo mi sento di dare un giudizio prudentemente positivo perché da quel che vedo credo sia possibile ottenere un risultato assai significativo rispetto all’obiettivo che ci eravamo dati, ossia cancellare gli aspetti più regressivi che quei decreti avevano introdotto in materia di immigrazione.

Cosa ha pensato quando ha letto la notizia di quel cadavere rimasto per 15 giorni in acqua, avvistato ben 4 volte e con nessuna autorità che si è mossa?
Ho pensato che che il comportamento dell’Europa di fronte alla vicenda migratoria che ormai da troppi anni investe il Mediterraneo centrale resta un comportamento ipocrita e troppo spesso indifferente. Io sono stato in quel mare più di una volta, su diverse navi, e so che significa stare su una barca, in condizioni precarie, quando si ha l’impressione che non ci sia nessuna possibilità di arrivare sull’altra sponda.

Possiamo però dire che gli elettori che hanno a cuore la solidarietà possono essere ben poco soddisfatti di questo governo?
Certo non possono essere soddisfatti fino in fondo perché io credo che affrontare in modo radicalmente diverso le politiche migratorie sia la strada migliore per sconfiggere la destra peggiore di questo Paese. Serve un’alternativa radicale molto maggiore di oggi. Nello stesso tempo non sono tra quelli che pensa che le politiche migratorie siano le stesse del governo precedente: non lo sono nelle scelte concrete, nel rapporto con le ONG e nella gestione di porti. E spero di poter dire ben presto, forse a settembre, che non lo sarà più neanche sul terreno della legislazione.

Prodi e De Benedetti invocano addirittura Berlusconi. Che ne pensa?
Il rientro di Berlusconi è una vecchia tentazione che torna in alcuni momenti della politica italiana, la tentazione della trasversalità dell’unità nazionale intesa però come trasversalità di interessi. Penso che sarebbe un errore strategico e per quanto mi riguarda incompatibile con la nostra presenza.

Leggi anche: Rifinanziamento Guardia costiera libica, 23 dissidenti Pd e LeU votano contro il governo; 2. [Retroscena] – Nel Pd è saltato l’asse Zingaretti-Franceschini: ora il governo rischia davvero (di Luca Telese)

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Gli eroi sono stanchi

«Dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid, mi trovo a piangere lacrime di rabbia», ci scrive un’infermiera in una lettera-denuncia

Ricevo e pubblico la lettera di un’infermiera. C’è dentro tutto: questo tempo, quello passato e un suggerimento per il futuro.

Oggi vorrei parlarvi di quegli eroi di cui molte persone si sono riempite la bocca qualche mese fa: gli infermieri ai tempi del Covid-19.

Ho odiato il termine eroi dal primo momento in cui è stato utilizzato, perché non abbiamo fatto niente di straordinario, è il nostro lavoro. Eroico è più che altro il modo in cui l’abbiamo fatto, cioè sbattuti dai piani alti in prima linea (altro termine molto usato, ma che non amo) senza formazione e – soprattutto – senza risorse sufficienti, sia in termini di materiale che di personale. Abbiamo dovuto far fronte ad una situazione in continua evoluzione e senza l’appoggio dei superiori, avendo un coordinatore che si è eclissato misteriosamente il giorno in cui il reparto è stato adibito ai pazienti Covid.

Ma questo è il passato e speriamo che rimanga tale. Non voglio ripetere le condizioni in cui abbiamo lavorato perché ne hanno già parlato tanti altri prima di me.

Ma come stanno gli eroi oggi? Perché nessuno ne parla più, come volevasi dimostrare.

Qualcuno penserà che abbiamo tirato un sospiro di sollievo, che abbiamo ricominciato a respirare. Nì. Sicuramente siamo felici di non vedere più gente morire ogni giorno e sentirci totalmente impotenti davanti a tanto dolore e solitudine.

Ma nessuno, dall’alto, ha pensato minimamente che abbiamo bisogno di rallentare. Veniamo da un periodo di alto stress e in tutta risposta ci sono stati intensificati i turni, arrivando a 7 giorni consecutivi di lavoro, più notti consecutive, poco riposo. Ci siamo visti totalmente modificati i turni il 29 del mese per il 1° del mese dopo.

Perché per loro (quelli che io chiamo piani alti, i potenti, quelli che non hanno un contatto col paziente) non siamo persone, siamo solo numeri di matricola usati per coprire i buchi sul foglio dei turni. Non abbiamo famiglie, impegni, passioni al di fuori del lavoro. Dobbiamo essere pronti in ogni momento a rispondere alla chiamata dell’azienda. Cene con gli amici, week end al mare, visite mediche dei figli. Non esiste niente di certo per noi.

In più, nel mio reparto il lavoro si sta facendo sempre più difficile e intenso, perché il nostro coordinatore, che ha da poco ripreso a venire in reparto, è presente solo 15 ore a settimana, quindi per le restanti 153 ore passiamo buona parte del turno a dover risolvere problemi burocratici che non ci competono, sottraendo tempo necessario all’assistenza dei pazienti.

Se un collega si ammala, il responsabile che deve occuparsi di sostituirlo fa metodicamente spallucce, quindi dobbiamo telefonare a una marea di reparti facendoci dare i numeri di colleghi che sono a casa di riposo e pregarli di venire a darci il cambio. Altrimenti, si fa doppio turno. 12 ore e passa la paura.

Personalmente, dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid (causata dalla mancanza di dpi), mi trovo a piangere lacrime di rabbia. Non abbiamo sofferto abbastanza? Ho la gastrite da stress, alti livelli di glicemia, ormoni ballerini, non dormo bene e ci sono giorni in cui la stanchezza mi fa a malapena reggere in piedi. Sono esausta, incazzata, delusa.

Ho sempre amato il mio lavoro, ora vado in reparto con la nausea. Vorrei abbandonare tutto e fare altro, ma al momento non me lo posso permettere. Mi hanno fatto odiare un lavoro che ho sempre fatto con passione, responsabilità e competenza.

E tutto ciò, dalla disorganizzazione del reparto, l’aumentato carico di lavoro, fino all’esaurimento psicofisico del personale (pardon, dei numeri di matricola) va a discapito del paziente. E ciò mi fa davvero male. Perché vorrei fare sempre del mio meglio, ma in certi momenti è dura avere un sorriso per gli altri quando non ne hai più nemmeno per te. È difficile fare bene le cose quando nello stesso tempo di sempre devi farne il doppio. Sacrifici, solo sacrifici.

E questa è solo la situazione nel mio piccolo reparto. L’argomento potrebbe andare avanti parlando di contratto nazionale, di ferie non godute, stipendi bassi, mobilità bloccate, competenze non riconosciute, eccetera.

Gli eroi sono stanchi. Gli eroi non erano quelli del Covid, siamo sempre stati eroi, se lo volete sapere. Solo che ve ne siete resi conto solo poco tempo fa (e forse ve ne siete anche già dimenticati).

Siamo stanchi.

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Non ne indovina una: eterofobia

Per Matteo Salvini se si vota una legge contro l’omofobia allora bisogna pure fare una legge contro l’odio verso gli eterosessuali. Una cretinata talmente colossale che fa tremare le vene e i polsi solo a commentarla

Quel gran geniaccio di Salvini si vergogna di dire che vuole prendersi i voti di quelli che odiano i gay e allora ha studiato un’incredibile invenzione per dichiararsi quel poco che è facendo un giro larghissimo: dice che se si vota una legge contro l’omofobia allora bisogna anche correre subito a scrivere una legge contro l’eterofobia. Ci deve avere messo ore a imparare una parola nuova ma alla fine ci è riuscito, innanzitutto.

Del resto a chi di noi non è mai capitato di essere insultato perché eterosessuale, mano nella mano del marito o della compagna, mentre cammina in una via del centro dove ci sono cartelli con scritto “non si affitta agli eterosessuali” oppure a chi di noi non è mai capitato di avere un amico che è stato disconosciuto dalla famiglia o ghettizzato sul lavoro per avere detto di essere eterosessuale. È una cretinata talmente colossale che fa tremare le vene e i polsi solo a commentarla.

Poi ci sono quelli che la buttano sulla “libertà di pensiero”: sono quelli che vogliono esercitare il diritto di offendere un gay in quanto gay e non sanno che si può liberamente esprimere la propria opinione senza grossi rischi. Per me, ad esempio, quelli che hanno paura di perdere il diritto di urlare in mezzo alla strada “fai schifo, gay!” sono degli emeriti imbecilli e mi prendo anche la briga di difendermi nel caso in cui mi quereli qualcuno. Scambiare la libertà di espressione con la libertà di essere cretini va parecchio di moda, di questi tempi.

Infine c’è la chicca delle chicche: una legge che punisce chi discrimina in base all’orientamento sessuale in realtà difende anche qualcuno che viene pestato in quanto etero. Quindi la legge che vorrebbe scrivere Salvini è proprio quella in discussione, non deve nemmeno fare fatica.

Ben fatto, Matteo!

Buon venerdì.

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In Lombardia i contagi si impennano di nuovo. Ma nessuno ne parla, tantomeno Fontana e Gallera

Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che si adagia sulle diverse fasi, cambia registro ogni volta che bisogna spingere ad aprire tutto prima e chiudere tutto poi. Ora provate a chiudere gli occhi e tornate con la mente al periodo della quarantena nazionale, quando tutti rimasero al guinzaglio del terrore rinchiusi in casa mentre ogni giorno si svolgeva la messa laica della Protezione Civile che snocciolava dati, infetti, decessi e guariti. Immaginate lì, in uno a caso di quei giorni, una Lombardia con un nuovo picco dei contagi che contiene il 66,4% dei nuovi contagiati totali su tutto il territorio nazionale, immaginate di sapere (perché è così) che solo oggi stanno facendo tamponi a persone che si sono ammalate talmente tanto tempo fa che sono già guarite (o morte) e che hanno dovuto affidarsi al proprio buonsenso per non infettare gli altri e per rimanere chiusi in casa senza essere registrati, tracciati e seguiti da nessuna Ats.

Immaginate un sindaco di una città importante come Bergamo, come Giorgio Gori, che scriva quello che ha scritto ieri quando ha dichiarato senza mezzi termini: “Leggo che in Lombardia ieri ci sono stati 32 decessi per Covid. Non si sa però dove, in quale provincia, perché la Regione non comunica più i dati divisi. Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molti dpiù di quelli ‘ufficiali’, hanno secretato i dati per provincia” e che “neppure i dati sui guariti vengono più comunicati, e sì che sarebbero importanti per capire che oggi le persone ammalate sono poche” e che “non vengono comunicati neanche i dati dei positivi Covid divisi per singolo comune”.

Tutto questo mentre diverse Procure indagano sulla mancata istituzione della zona rossa tra Alzano e Nembro e sulle troppe morti all’interno delle RSA lombarde. Immaginate quei numeri se fossero serviti per giustificare una chiusura totale e osservateli oggi come vengono bisbigliati per non disturbare l’apertura e l’operosità che non si può fermare: i numeri possono diventare opinioni quando serve. E notate, tanto che ci siete, il silenzio dei virologi, l’attenzione caduta delle trasmissioni televisive e la mancanza dei grandi pareri di opinionisti di ogni sorta. Il virus è finito, hanno deciso così, e per finirlo basta smettere di raccontarlo e fare passare tutto come una semplice naturale lunga coda. I morti di questi giorni sono morti accidentali, i contagiati sono laterali. Stiamo a posto così. Che strano animale è questa narrazione tossica del Covid che riesce sempre a essere perfetta per il duo Fontana e Gallera.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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