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Sbattuto in carcere per la macchina del fango grillino-leghista, Uggetti assolto dopo 5 anni

Mi sono detto che forse il fatto di essere lodigiano avrebbe potuto condizionare il mio ruolo da giornalista. Anzi, a pensarci bene, ho anche l’onta di essere cresciuto e di avere passato parecchi anni della mia vita fianco a fianco con Simone Uggetti, l’ex sindaco Pd di Lodi che fino a 48 ore fa era uno dei criminali, bocconi sempre ghiotti, da usare come clava contro gli avversari politici e ora è improvvisamente santo. «Non mi sento per niente riabilitato, non ho nessun senso di colpa perché non ho mai fatto nulla di male e oggi sono altri a dover riflettere sui propri errori» mi ha detto ieri al telefono senza nemmeno avere quella naturale voglia di rivalsa che sarebbe perfino una debolezza perdonabile. Poi mi sono detto che forse proprio perché sono “dentro” a questa vicenda questo pezzo sarebbe stato ancora più leale, anche perché ho passato anni a leggere pessimi editoriali di esimi colleghi e direttori che hanno raccontato l’arresto di Uggetti più per confermare se stessi che per analizzare i fatti.

Uggetti finisce in carcere a maggio del 2016. «Quando sono arrivati gli uomini della Guardia di Finanza ho sentito che parlavano di custodia cautelare e ho visto nero. Non avevo minimamente idea per cosa mi stessero arrestando», racconta. L’arresto è perfetto per le telecamere e per i taccuini: prelevato in casa lo hanno portato nel piazzale della Polizia di Stato sfilando davanti a 30/40 poliziotti, poi viene portato in Comune in gran parata nella piazza principale della città mentre si svolgeva il mercato settimanale e infine tradotto nel carcere di San Vittore. L’accusa? Turbativa d’asta. E qui qualcuno si immagina un ricchissimo appalto con chissà quali oscuri interessi: si parla della gestione delle piscine comunali per un valore di 5mila euro. Avete capito bene: 5mila euro. L’inchiesta era partita dalla denuncia di una dipendente comunale, Caterina Uggè, tra le altre cose sorella della presidente di una società sportiva che fino a quel momento era sempre rimasta fuori dalla gestione delle piscine lodigiane.

Secondo la tesi dell’accusa il sindaco di Lodi avrebbe brigato un bando ad hoc per favorire la società a maggioranza pubblica Sporting Lodi per permetterle di compensare le perdite che aveva nella gestione di un’altra piscina. Non c’è nemmeno un centesimo promesso, non ci sono privati pronti ad arricchirsi, niente di niente. C’è la scelta del Comune di affidare la gestione di una piscina comunale a una società di cui il Comune possiede la maggioranza. Un osservatore allora si potrebbe chiedere: perché il carcere? Per il gip di Lodi, Uggetti è «soggetto autoritario che riesce a imporsi su coloro che gli ruotano intorno, ponendoli in soggezione, il che rende oltremodo realistica la capacità di questi di subornare e intimidire i testimoni». Gli indagati «con assoluta spregiudicatezza portano avanti con protervia i loro fini, ma anche attività volte a distruggere le tracce del loro accordo […] manifestando apertamente il fastidio derivante da chi denuncia a gran voce le loro condotte nefaste e contrarie alla legge».

Uggetti avrebbe personalità «negativa e abietta» porta a ritenere «con decisa verosimiglianza» che gli imputati «abbiano potuto sistematicamente gestire la cosa pubblica con modalità illecite, commettendo reati contro la pubblica amministrazione». Racconta Uggetti che durante l’interrogatorio con la Gip lei parla di un appalto da 100mila euro. Lui non capisce, chiede dove abbia letto quella cifra. «Sul giornale locale», risponde lei. In carcere finisce anche un avvocato, Cristiano Marini, che ha compiuto il terribile reato di essere stato generoso: Uggetti si era rivolto a lui per un consulto gratuito, per non spendere soldi pubblici. Quando Marini viene portato in carcere la moglie è incinta al sesto mese.

Il ministro Di Maio si fionda a Lodi per denunciare una città ostaggio del malaffare. Anche la Lega decide di manifestare ma Salvini annusando l’aria all’ultimo momento spedisce al suo posto Calderoli. È il tempo del fango: editoriali, servizi, gogna sui social. Uggetti in primo grado viene condannato a 10 mesi di reclusione e 300 euro di multa. Perfino la condanna sembrava risibile per una vicenda che è stata sulle prime pagine di certi quotidiani per giorni. Ovviamente per Uggetti la carriera politica è finita e intanto a Lodi arriva un commissario e poi alle successive elezioni vince il centrodestra. «Quell’arresto ha cambiato il corso della mia vita e ha stravolto il percorso istituzionale di un’intera comunità». Pochi scrivono che persino nella sentenza della condanna i giudici riconoscono che il sindaco ha agito «per il bene pubblico».

Ora è arrivata l’assoluzione ma come capita sempre ormai chi poteva cogliere l’occasione di quell’arresto ormai ha già raccolto i frutti mediatici e politici. Assoluzione perché “il fatto non sussiste”, assolti anche gli altri coimputati. Eppure al di là dell’assoluzione che questa inchiesta fosse mostruosa era visibile fin dall’inizio. «Io non devo riabilitarmi in niente», dice Uggetti. Altri probabilmente invece sì ma non accadrà come sempre.

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Gli Schwazer dimenticati: ogni anno in Italia distrutta la vita a mille innocenti

Tra le vittorie di Alex Schwazer, il marciatore italiano che stava sulla cima del mondo ed è rotolato nel fango per un reato che non ha mai commesso, ce n’è una che non gli garantirà nessuna medaglia ma che potrebbe essere una lezione universale. Essere prosciolti da un’accusa ingiusta costa: costa in termini economici, costa per i traguardi bruciati, pesa per tutto il vilipendio feroce che si scatena ogni volta già nel momento dell’accusa ma soprattutto ferisce per il tempo. Sanguinano quei cinque anni che Schwazer ha passato per ottenere giustizia e che non gli verranno restituiti, mai. Forse potrebbero anche essere risarciti: ma voi fareste cambio per soldi del vostro tempo che non avete vissuto, della fama rovinata?

Sui giornali di ieri, nelle trasmissioni e sui social è un coro unanime di sdegno misto a vergogna in soccorso del marciatore altoatesino e rimbomba l’invocazione “giustizia” in modo bipartisan, ci sono dentro quelli considerati troppo garantisti e ci sono dentro anche quelli che solitamente agitano il cappio e invece questa volta si sciolgono di fronte allo sportivo che rende la vicenda fascinosamente epica, pronta per farci un editoriale cardiaco e per coniugare le fatiche della marcia, la linea del traguardo, la fatica di una rincorsa lunga: una narrazione troppo golosa per non buttarcisi a pesce.

Solo che in Italia siamo pieni di Schwazer. Non indossano divise e non finiscono sui quotidiani sportivi, hanno compiuto imprese senza il riconoscimento del podio e le loro marce contro la giustizia hanno gli stessi relitti: famiglie distrutte, rapporti professionali perduti, carriere che sono deragliate e poi non sono più ripartite, piccole gogne locali che hanno la stessa bile di quelle grandi e nazionali, la sensazione inumana di subire un’ingiustizia e di non trovare il modo per dirlo, lo stesso meccanismo turpemente lunghissimo per riuscire ad ottenere una sentenza che riabilita sulla carta ma che non riesce a rimetterti in piedi, la consapevolezza che la giustizia che deraglia sia il più grosso crimine che si possa vivere in un Paese democratico.

Per gli Schwazer senza scarpe da corsa la proclamazione della loro innocenza è un pacca sulla spalla che rimbomba per il vuoto che si è creato intorno, spesso non finisce nemmeno su quegli stessi giornali che li hanno crocifissi ed è una misera consolazione che non si riesce a condividere. Nemmeno da assolti spesso si riesce a urlare la propria innocenza. I dati delle vittime di ingiusta detenzione e di chi subisce un errore giudiziario sono mostruosi: dal 1991 al 31 dicembre 2019 sono 28.893 persone, 996 all’anno. E il costo di questa pandemia sotterranea che si fatica a proporre al dibattito pubblico non è solo sociale e umano ma è costato in 28 anni 823.691.326,45 euro: sono circa 28 milioni e 400mila euro all’anno.

La stragrande maggioranza di loro tra l’altro ha dovuto sopportare molto di più di un processo in giusto e della gogna: dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2019 28.702 persone sono finite in custodia cautelare da innocenti, 1025 innocenti ingiustamente detenuti ogni anno, quasi tre al giorno.

Allora forse varrebbe la pena trasformare in un’occasione tutta questa giusta indignazione per il caso Schwazer in una riflessione generale, nell’impegno dello Stato di garantire il margine minimo di errore ma soprattutto in un principio di cautela (sprezzantemente chiamato “garantismo”) che dovrebbe indurci a riflettere su quante volte i carnefici siano quelli che stigmatizzano qualsiasi dubbio in un giudizio.

A Schwazer sono in molti a dover chiedere scusa, non solo i tribunali, per il marchio a fuoco che gli hanno impresso addosso e che ora in modo un po’ patetico cercano di spolverargli via. Siamo pieni di Schwazer in giro per strada, persone che incrociamo indifferenti convinti che non ci possa capitare. E quando capita si finisce dentro il buco. Questa sarebbe la medaglia da perseguire.

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La folle tesi di Salvini su Lamorgese “colpevole” per l’attentato di Nizza

Ecco che tornano a grandi falcate gli sciacalli, Salvini e Meloni, che vanno a braccetto su ciò che è accaduto a Nizza. Salvini ovviamente svetta e chiede le dimissioni della ministra Lamorgese perché, a suo dire, sarebbe colpevole del fatto che l’assassino di Nizza sarebbe sbarcato a Lampedusa e sarebbe stato identificato a Bari e poi non rimpatriato. La banalizzazione ovviamente in qualche modo funziona e così è tutto un rimbalzare di questa nuova trovata per cui addirittura l’ex ministro dell’Interno, senza nemmeno un briciolo di imbarazzo, si ritrova a chiedere scusa alla Francia gettando fango sul suo Paese (quello che da patriota vorrebbe difendere) per un’accusa che ha dell’incredibile.

Ora proviamo a ribaltare il giochetto, che tanto viene facile facile: Matteo Salvini dunque, da ministro dell’Interno, è colpevole del minimo storico di rimpatri con la Tunisia (lui che li aveva promessi e non è stato nemmeno capace di fare meglio dei ministri precedenti) e quindi anche dell’omicidio di don Malgesini, visto che il prete è stato ucciso da un uomo non rimpatriato proprio sotto l’epoca Salvini? Oppure, sempre continuando sulla falsariga del giochetto retorico di Salvini: Anis Amri, autore della strage al mercatino di Natale a Berlino nel 2016, sbarcò nel 2011 e venne trattenuto in Italia con Berlusconi presidente del consiglio e Maroni ministro agli Interni, quindi sarebbe colpa loro, evidentemente?

Il tema è sempre lo stesso: banalizzare questioni complesse per un po’ di propaganda è l’unico esercizio retorico che riesce a questa destra che è la peggiore destra di sempre. E ci sono pure quelli che abboccano e riescono a esultare per l’acutezza dell’osservazione dei due sovranisti. Ah: ovviamente Salvini ci ha messo dentro anche il suo processo, è riuscito perfino a fare anche questo, poiché per lui il mondo si riduce a se stesso, i suoi (pochi) pensieri e i suoi problemi. Tutto così, sempre così.

Leggi anche: 1. La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori / 2. Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

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De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

Sì, fa un sacco ridere Vincenzo De Luca e tutta la rete è inondata dei suoi video che ormai funzionano come passatempo e sfogatoio. Quello in cui definisce più volte “Neanderthal” Salvini e lo apostrofa con “ha la faccia come il suo fondo schiena per altro usurato” ha fatto il giro del mondo. Bravo De Luca: ottimi tempi teatrali, ottima mimica del disgusto, ottima finzione di non essere volgare pur riuscendo a essere volgare e tutta quella posa da attore consumato di chi sa benissimo che la sua conferenza stampa è il cartoccio in cui infilarci quel minuto buono per essere ritagliato e diventare terribilmente popolare.

Dall’altra parte quell’altro, Salvini, ovviamente si butta nel fango e risponde colpo su colpo, la guerra di bassezze è il suo habitat naturale, l’ha reinventato lui in questi ultimi anni di social come ring e quindi non serve nemmeno citare il fatto che l’ex ministro dell’interno contrapponendo i “napoletani” agli “italiani” e a suo seguito Giorgia Meloni che risponde con un agguerittisimo “vispa Teresa” ai danni di De Luca. Sì, fa un sacco ridere da fuori vedere questi leader che si comportano come la gente della strada (che è la formula magica con cui in questi anni si giustifica la merda verbale che siamo costretti a sopportare) ma se gratti sotto sotto ai siparietti di De Luca, se gli togli i suoi “cinghialoni” e i “lanciafiamme” che vorrebbe usare per difendersi dal virus (con le solite iperboli guerresche di matrice trumpiana che solleticano meravigliosamente gli intestini degli incazzati), scopri che al di là della simpatia manca la politica.

Che manchi la politica, pensandoci bene, è anche uno degli aspetti secondari: intossicare e abbassare il livello di ecologia lessicale significa soprattutto costruire l’ambiente perfetto perché certa politica continui a essere così bassa, così fetida, così vuota da continuare a allevare tutto il veleno che continua a colarci addosso. De Luca è il prototipo perfetto di nemico di Salvini perché Salvini continui a esistere e prosperare e soprattutto perché il salvinismo possa trovare sfogo in tutte le sue diverse declinazioni (più forbito quello di De Luca, più crasso quello di Matteo) annullando di fatto il dibattito leale e pulito che dovrebbe concorrere a migliorare la vita dei cittadini, al di là degli slogan. E quindi un bravo a De Luca, lanciato nella sua seconda carriera di influencer. Chissà se si rende conto di quanto costino in termini di vivibilità del dibattito politico le sue bravate lessicali.

Leggi anche: 1. Calenda a TPI: “Gli Stati Generali sono inutili. Il piano Colao era buono, il governo l’ha svalutato senza motivo” (di Luca Telese) / 2. Mancata zona rossa, Crisanti sarà il super consulente della procura di Bergamo: “Ora voglio scoprire la verità” (di Francesca Nava e Veronica Di Benedetto Montaccini) / 3. Esclusivo TPI: Fontana e Gallera in centro a Roma senza mascherina. “Cancellate quelle foto” (di Selvaggia Lucarelli)

4. Nelle acque di scarico di Milano e Torino c’erano già tracce del Coronavirus a dicembre 2019: lo studio dell’Iss / 5.  I pronto soccorso in Sicilia? Da oggi li gestisce la Lombardia. Alla faccia del flop sul Covid / 6. Esclusivo: per un vuoto normativo il Governo ha “regalato” 1.800 euro di bonus ad arbitri volontari non professionisti

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Anche le accuse contro Open Arms sono cadute: restano fango e macerie sulle ONG


Alla fine l’inchiesta su Open Arms si chiude con la richiesta di archiviazione e un nulla di fatto. Eppure su quella nave per giorni si sono costruite tutte le teorie complottiste di chi vorrebbe convincerci che la vera emergenza sono quelli che salvano, mica quelli che muoiono. E le macerie che si lascia indietro questa storia sono troppe per essere rimosse semplicemente con l’ultima mossa della Procura.
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Un granello tra il ginocchio e il naso

Sto scrivendo il mio nuovo romanzo. E faccio una fatica blu. Un po’ perché dentro dovrei parlare di me, o almeno di quello che mi sono visto fare, e un po’ perché mi sanguinano gli occhi ogni volta che mi ci metto a pensare. C’è un lato della mia vita che ho sempre trovato indicibile. Mi hanno detto che è perfetto per scriverci una storia. Così navigo in acque melmose costretto a separare l’acqua dal fango. Io credo di fare un lavoro bellissimo, di essere sfacciatamente fortunato nel raccontare storie che siano lette e ascoltate ma ho creduto sempre, sempre, di avere il dovere di scendere nei miei inferi per rispettare questo privilegio. Alla fine mi ritrovo a visitare le mie stanze disabitate, quelle che non ho avuto nemmeno il coraggio di chiudere per davvero a chiave.

E quando scrivo in testa, correggo ma poi non riesco a scrivere con le dita mi sembra di avere in circolo qualcosa, piccolo, come un calcolo, un granello, che mi nuota tra le ginocchia su per il naso fino alle molle delle dita e mi tiene bloccato come quelle patetiche macchine enormi industriali che si fermano per un po’ di polvere. E alla fine lo amo anche tantissimo il granello. Davvero. Perché è quello che sto impazzendo a trovare. Cerco lui, il granello. Ed è lui che vorrei riuscire a scrivere.