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La mattanza non percepita

Provate a immaginare cosa scriverebbero certi giornali se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia…

Provate a immaginare se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia. Ogni 5 giorni esce una notizia sulle pagine di cronaca contro questa violenza che, sono sicuro lo scriverebbero così, “mette in pericolo il nostro Paese”. Oppure immaginate un’etnia, preferibilmente nera ché funziona meglio, che ogni 5 giorni uccida una donna, una “nostra” donna come scriverebbero sicuramente certi giornali e provate a prevedere cosa direbbe la politica, certa politica. Oppure immaginate di mettere certe morti tutte in fila, una dopo l’altra. Così:

11 gennaio: Sharon ha 18 mesi e vive a Cabiate, in provincia di Como. Muore per una stufa che le cade addosso in casa. La Procura di Como scopre che la bimba però era stata maltrattata e violentata e ha disposto l’arresto del compagno della madre, Gabrile Robert Marincat, che ora si trova in carcere. La madre nutriva dei sospetti.

16 gennaio: Victoria Osagie, 34 anni, è stata uccisa dal marito nel tardo pomeriggio all’interno della propria abitazione a Concordia Sagittaria in provincia di Venezia. L’uomo l’ha colpita più volte con un coltello al termine di un litigio. I tre figli hanno assistito alla scena.

24 gennaio: Roberta Siragusa. Il corpo della diciassettenne al momento del rinvenimento si presentava parzialmente carbonizzato e nudo nella parte alta, con i pantaloni abbassati, il volto tumefatto, il cranio ferito e parte dei capelli rasati (da stabilire se di proposito o a causa delle bruciature).‍ Per recuperare i resti della ragazza sono dovuti intervenire sul posto i Vigili del fuoco. È stato arrestato Pietro Morreale, 19 anni, fidanzato della vittima. I due litigavano spesso: un mese prima la vittima aveva un occhio tumefatto.

29 gennaio: Teodora Casasanta, 39 anni e il figlio Ludovico di 5 anni sono stati uccisi dal marito e padre Alexandro Vito Riccio a Carmagnola. Il gesto sarebbe stato premeditato, poiché sul posto è stato ritrovato un biglietto su cui il trentanovenne avrebbe espresso l’intenzione di togliere la vita alla coniuge e al bambino. Lei aveva espresso la volontà di separarsi. L’esame autoptico ha rilevato circa 15 fendenti sul corpo della moglie e 8 su quello del figlio. L’aggressore avrebbe prima accoltellato le vittime nel letto, poi si sarebbe accanito su di loro pestandoli con diversi oggetti presenti in casa, tra cui il televisore.‍

1 febbraio: Sonia Di Maggio, 29 anni, è stata uccisa a Minervino di Lecce. La vittima si trovava in strada, nella frazione di Specchia Gallone, insieme al fidanzato quando all’improvviso è stata aggredita da un individuo: era Salvatore Carfora, 39 anni, ex compagno della giovane. Armato di coltello, ha sferrato numerosi fendenti alla ventinovenne. Il fidanzato ha tentato di difenderla, ma nulla ha potuto contro la furia dell’aggressore. Sonia si è accasciata al suolo in un lago di sangue. Vani i tentativi dei sanitari giunti sul posto che hanno provato a rianimarla, ma le lesioni erano troppo gravi.

7 febbraio: Piera Napoli, cantante di 32 anni e madre di tre figli, è stata uccisa la mattina del 7 febbraio 2021 all’interno dell’abitazione in cui risiedeva a Palermo, nel quartiere Cruillas. Il marito della donna, Salvatore Baglione, 37 anni, dipendente di una ditta che trasporta carni, intorno alle ore 13.00 si è costituito dai Carabinieri alla caserma dell’Uditore per confessare il delitto. Circa un mese prima la donna aveva richiesto l’intervento della Polizia dopo un’ennesima lite in casa con il coniuge, ma alla fine non se l’era sentita di sporgere denuncia.

7 febbraio: Luljeta Heshta, 47 anni, è una donna originaria dell’Albania, da 10 anni in Italia e regolare sul territorio, morta nel pomeriggio del 7 febbraio 2021 all’ospedale Humanitas di Rozzano in provincia di Milano. È stato arrestato il convivente della donna. Il gesto sarebbe stato compiuto a causa della presenza di un presunto amante nella vita della donna. La stessa nei giorni precedenti avrebbe lasciato l’abitazione che condivideva con il compagno per separarsi da lui.

12 febbraio: Lidia Peschechera, 49 anni, è stata trovata morta durante il pomeriggio del 17 febbraio 2021 all’interno della sua abitazione in zona Ticinello a Pavia. In carcere c’è il suo ex convivente Alessio Nigro. Il ventottenne, senza fissa dimora, si definiva un clochard e aveva problemi legati alla dipendenza dall’alcol. La donna si era offerta di aiutarlo, ospitandolo anche in casa, ma l’individuo non aveva fornito segnali di ripresa, anzi, in un’occasione lei aveva anche dovuto chiamare la Polizia per sedare una lite, al termine della quale non se l’era sentita di denunciare. Successivamente però la stessa aveva intimato al giovane l’intenzione di volerlo mandare fuori dall’abitazione a causa dei suoi comportamenti violenti, sfociati poi nell’omicidio.

19 febbraio: Genova. Clara Ceccarelli, 69 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Renato Scapusi, 59 anni. Si parla di circa 100 coltellate. La donna è stata uccisa al termine del proprio turno di lavoro. All’inizio del 2020 si erano lasciati e da quel frangente sarebbero iniziate una lunga serie di aggressioni e persecuzioni messe in atto dall’uomo. La donna da giorni si era pagata il funerale e aveva provveduto a organizzare l’assistenza per il padre anziano e il figlio disabile. Sapeva di morire.

Ieri, 22 febbraio: Deborah Saltori, 42 anni, è stata uccisa in località Maso Saracini a Cortesano, frazione della città di Trento. La vittima sarebbe stata colpita con un’accetta dall’ex marito Lorenzo Cattoni, 39 anni, in una zona di campagna dove lui stava lavorando. Ad allertare i soccorsi sarebbe stato un passante che, durante il pomeriggio, ha notato i corpi esanimi dei due ex coniugi, riversi al suolo (l’uomo avrebbe infatti tentato di togliersi la vita). Secondo le prime ricostruzioni, Cattoni era già stato ammonito due volte dal questore della città per violenza domestica, anche verso la sua precedente compagna. Lo stesso era sottoposto agli arresti domiciliari a casa dei genitori nel comune di Terre d’Adige (Trento) perché, nel corso degli ultimi anni, era ricorso più volte a violenze fisiche e psicologiche nei confronti della vittima.

Sempre ieri, 22 febbraio: Rossella Placati, 51 anni, è stata trovata morta e sanguinante nel suo appartamento di Bondeno, Ferrara. Per ora non ci son arresti ma il suo compagno si è presentato in caserma raccontando di una discussione avvenuta la sera precedente e di essersi allontanato.

Questo è il punto in cui siamo.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Per il Vescovo di Ferrara la crisi è colpa dell’aborto

A proposito di laicità:

Luigi Negri
Luigi Negri

È scoppiata la polemica a Ferrara per alcune parole, sulla legge sull’omofobia e sull’aborto, del vescovo Luigi Negri. «La legge contro l’omofobia – ha detto il prelato, vicino a Cl – è un delitto contro Dio e contro l’umanità. La legge sull’aborto invece non ha consentito di venire al mondo ad oltre sei milioni di italiani e la scarsità di figli ci ha fatto sprofondare in questa crisi economica».

Frasi che hanno fatto arrabbiare i Giovani Democratici che, con una lunga lettera pubblicata dalla «Nuova Ferrara», hanno definito «intellettualmente disonesto» il sostenere la tesi «che l’aborto sia responsabile della crisi così come lo è il cercare consensi in materia utilizzando un nervo scoperto come le difficoltà economiche delle famiglie». Contro Negri anche Sel. «Comprendo – ha detto il consigliere comunale Gianluca Fiorentini – che il Vescovo di Ferrara debba coltivarsi il proprio orticello nell’ultradestra cattolica, continuando a contrapporre, in una rinnovata crociata, la sua visione assolutistica a quello Stato laico nato dal Risorgimento e dalla Resistenza. Faccio un po’ più fatica a capire come tutto questo possa aiutare la comunità cattolica ferrarese».

Nell’agosto scorso, il vescovo aveva affisso fuori dalla sua casa una bandiera con il simbolo dei cristiani iracheni perseguitati dalle milizie dell’Isis.

(fonte)

Un giullare nel Paese degli indifferenti (da Estense.com)

L’articolo uscito su estense.com:

Schermata 2014-08-01 alle 09.54.35di Silvia Franzoni

Giulio Cavalli arriva sotto scorta alla terza serata di ‘Autori a Corte’, prende posto a fianco del direttore di estense.com Marco Zavagli, moderatore dell’incontro, e tira fuori una pipa. “Dal 2006 hai il triste primato di essere l’unico attore europeo a vivere sotto scorta”, comincia Zavagli presentando l’ospite al pubblico, ma prima che qualunque domanda fosse formulata, Giulio Cavalli sorride, arrendendosi al dover raccontare “le origini del mio vivere sotto scorta, che poi nulla c’è di poetico nell’essere scortati, non in un Paese che si innamora degli eroi ed è incapace di esercitarne la memoria”.

Inizia così un flashback scanzonato che dal 2005-06, dall’amicizia dell’autore e attore di teatro con l’allora sindaco di Gela Rosario Crocetta, giunge a raccontare la realizzazione di ‘Do ut des’, lo spettacolo teatrale che ha portato in scena una mafia ridicolizzata, “seppellendola con una risata”. Così il ‘giullare’ Cavalli (“io sono un arlechino, un giullare”, sono le uniche etichette che si concede), presa la realtà, l’ha portata “in scena stropicciandola, per permettere di vederla da uno spigolo inaspettato e mostrarne la meraviglia”: non è forse meraviglioso scoprire di non aver ragione di temere Riina, “uno sfigato che nel silenzio del suo covo tra le montagne ascolta la colonna sonora dei Puffi?”. Tra un applauso e l’altro, è chiaro, Giulio Cavalli “così come Brecht nella sua Resistibile ascesa di Arturo Ui e come Peppino Impastato con Radio Aut ha normalizzato il terrore – precisa il direttore di estense.com – con la satira ha ridicolizzato il potere”: così iniziano le minacce, le lettere anonime, “le bare spedite per corriere”. Ma il guaio è un altro, sottolinea l’attore, è il “Paese che delinea il giusto e lo sbagliato in base alla presenza o meno del reato, senza occuparsi di etica e di morale, io sono sotto scorta perché voi siete troppo poco cittadini”. Il pubblico cade nel silenzio proprio dell’esame di coscienza: “bisogna avere il coraggio – lo esorta allora Cavalli – e dire, denunciare quando i comandanti delle stazioni dei Carabinieri, spesso parafascisti sottopagati, non hanno alcuna professionalità; quando i Prefetti narcotizzano la Provincia e i capi degli Uffici Tecnici sono corrotti; quando i segretari comunali sono notai senza responsabilità; del tacerlo, di questo dovete avere paura, non della criminalità organizzata”.

“E tu, Giulio, non hai mai avuto paura?” L’attore si sistema i capelli, un tiro di pipa, e “sì – comincia a raccontare – nel 2011, quando fu chiaro che chi decideva della mia scorta fosse vicino ai calabresi: fa più paura lo Stato convergente con l’anti-stato che l’essere faccia a faccia con un mafioso”. La continua volontà di sviscerare il vero ha portato Giulio Cavalli a scrivere del “virus dell’andreottismo”, a raccontare (ne L’innocenza di Giulio, Chiarelettere, 2012) “la pietà ignorante che ha deciso l’innocenza di un uomo mafioso fino alla primavera del 1980”: se riportare infinite volte una bugia la rende verità, allora forse i “veri colpevoli del processo Andreotti sono i suoi elettori”. E allora, oggi, qual è l’eredità (a)politica del “banale malfattore, chi sono – chiede Zavagli – i nuovi Andreotti?”. “Le mafie non corrompono più i parlamentari – risponde Cavalli –, ora creano parlamentari, e gli Andreotti d’oggi sono tutti coloro che a danno della comunità perseguono benefici personali, facendo attività di lobby mentre gli onesti continuano a parlare incomprensibilmente”.

La più alta tra le arti, la politica, si inabissa davanti all’indifferenza, la stessa che ha “permesso di avere inetti ai vertici delle nostre istituzioni, una classe dirigente che spesso stringe la mano alla mafia, mentre noi restiamo nel silenzio acritico”, e i nomi a farne da esempio sono molti, a partire da Dell’Utri. A quest’ultimo è dedicato il nuovo spettacolo teatrale dell’autore, ‘L’amico degli eroi’, un progetto autofinanziato (attraverso un’operazione di crowdfunding) sviluppato mentre è in corso la stesura di un “romanzo d’amore, perché serve anche questo per mettere la mafia al muro”.

L’intervista-racconto di Giulio Cavalli finisce come era cominciato, tra risate (amare) e sonori applausi, poi le domande del pubblico permettono un’ultima riflessione: “tagli ai costi della politica, meno politici, tutto giusto, ma la prima necessità è un elettorato più consapevole che recuperi il dovere della parola”.

«Le parole servono a responsabilizzare chi ne fa uso»: una mia intervista

La mia intervista per Matteo Bianchi de La Nuova Ferrara:

Schermata 2014-07-31 alle 17.38.30di Matteo Bianchi

L’autore forestiero che questa sera, alle 21.30, incontrerà il pubblico di una favoleggiata corte estense dentro il Giardino delle Duchesse, è di punta fine. Il milanese Giulio Cavalli, infatti, parlerà dei libri . L’innocenza di Giulio(Chiarelettere) e Fronte del palco (Editori Riuniti). E si sa, quando la penna è raffinata, ciò che ne risulta è altrettanto, o quantomeno si difende. Cavalli si difende senza abbassare la guardia dal mondo. E pur essendo costretto a vivere sotto scorta e a recitare “sotto tiro”, non ha rinunciato alla cultura, certo a quella personale, ma di più a quella potabile da tutti.

Cosa significa vivere sotto scorta?

«In Italia abbiamo tantissime persone sotto tutela: gli ultimi dati ufficiali ne indicano circa 800. E questo “grande fratello” degli scortati non fa bene, né all’antimafia, né alla cultura. Perciò, piuttosto che parlare della mia situazione, mi sento di chiedere maggiore attenzione sui testimoni di giustizia, su tutti coloro che hanno assai più difficoltà a raccontare la loro storia. Il fatto che la parola faccia paura, indipendentemente da chi ne sia il portatore, credo sia una responsabilizzazione nei confronti di chi ne fa uso».

“Fronte del palco” è un’intervista che inquadra l’attenzione della mafia per l’eco del palcoscenico. Perché?

«Negli ultimi anni si è scoperto che la criminalità può avere paura anche di altre forme che non siano militari o giudiziarie. Non teme più solo carabinieri e magistrati, ma teme anche la società civile quando si organizza. E questo è un buon segno. Il titolo è stato scelto dall’autore per mettere a fuoco la “parte” di chi sta fuori dal palco. La mia è una situazione che dipende sì da ciò che scrivo, ma soprattutto da chi viene a vedermi. Il mio pubblico non è immune da responsabilità».

In che modo è cresciuto in lei il legame tra politica e teatro?

«Il problema nostro sono le dinamiche partitiche, più che politiche. E faccio un lavoro profondamente politico, al di là che io fossi dentro a un’istituzione. Quando interpreto a teatro un fatto di cronaca, o un male contemporaneo, prendo posizione. Non faccio spettacoli per informare sulla criminalità organizzata, li faccio contro».

Ma il rapporto col partito?

«Mi impegnerei molto poco nel congresso di un partito; l’affiancamento della recitazione all’attività politica, nel caso della Regione Lombardia, è stata una prosecuzione naturale. Vedo uno spesso filo rosso tra le due attitudini nel momento in cui si ha la possibilità di invocare a gran voce una legge e di lavorarci nelle stanze idonee».

Sebbene lei abbia lo stesso nome, “L’innocenza di Giulio” è un titolo assolutamente sarcastico, vero?

«Cosa vuoi farci… scavando, ognugno di noi troverebbe degli omonimi di cui non andare fiero. Certamente, la grande colpa del nostro paese e della generazione dei nostri padri, è stata di avere permesso non solo ad Andreotti di fare ciò che ha fatto e di non parlarne, ma di accettare la costruzione dell’enorme bugia del “Giulio perseguitato”.

E si è instaurato un meccanismo diabolico…

«È un meccanismo a cui fare attenzione, perché passa Andreotti, poi l’ “andreottismo” come metodo d’intendere la politica , e l’innocenza quale bugia ripetuta mille volte fino a diventare verità. E mi preoccupa specialmente per la generazione dei miei figli, essendo un modello molto attuale, soltanto perpetrato con un po’ più di eleganza».

Salutiamoci con la lettera del grande Fortini che ho letto sul suo blog. Anche se Fortini ringhia che mai avrebbe stretto la mano a uno come Sgarbi. Condivide? 

«Fortini era un poeta “di” Sinistra e oggi siamo abituati a intellettuali “della” Sinistra. A libro paga. E sono estremamente d’accordo, perché l’intellettuale dovrebbe essere chi ha gli occhi più acuti e allenati per distinguere una mediazione da un compromesso».