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Caso Navalny: la lezione della Merkel al mondo e l’imbarazzante silenzio del Governo italiano

Che brutto silenzio che tira dalle parti del governo italiano sulla vicenda di Alexei Navalny, l’oppositore russo di Putin che secondo gli esperti militati tedeschi sarebbe stato avvelenato da Novichok, un veleno che vale come una firma e che è legato alla storia della Russia quando ancora era Unione Sovietica. Il governo tedesco (che dopo un lungo tira e molla è riuscito a fare trasferire Navalny in Germania) ha confermato “senza alcun dubbio” che il leader dell’opposizione russa è stato avvelenato e Angela Merkel ha usato parole durissime: “È chiaro che Navalny è vittima di un crimine ed è stato messo a tacere”, ha detto, condannando con “la massima fermezza possibile” quanto accaduto e auspicando “una reazione congiunta appropriata” nei confronti della Russia in accordo con Nato e Unione Europea.

Sempre a proposito di reazioni, leggetevi le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Un atto spregevole e codardo. I responsabili devono essere assicurati alla giustizia”. Addirittura anche la Casa Bianca parla di “riprovevole avvelenamento” senza dubbi. Una bella fetta di mondo insomma parla, prende posizione, critica, accusa, pretende spiegazioni e richiama il presidente Putin alle sue responsabilità chiedendo che venga fatta il prima possibile luce sull’accaduto. Da lontano, flebile, arriva invece la voce del governo italiano: l’unica nota ufficiale sta malinconicamente scritta in cinque righe sul sito del ministero degli Esteri, in cui si esprime “profonda inquietudine ed indignazione” e si chiede “che la Federazione Russa chiarisca con rapidità e trasparenza le responsabilità dell’accaduto”.

Avete visto una dura presa di posizione del ministro Luigi Di Maio? Qualche frase di circostanza, obbligatoria, e poco altro. Per non parlare del centrodestra, che con Putin gozzoviglia da anni, che sembra non essersi nemmeno accordo dell’accaduto. Però su proposta di Di Maio, intanto l’Italia ha insignito dell’Onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della ”Stella d’Italia” il primo ministro di Putin Mikhail Mishustin, proprio uno degli esponenti politici messo sotto accusa da Alexei Navalny per gli eccessivi guadagni non giustificati (790 milioni di rubli guadagnati dalla moglie solo negli ultimi 9 anni). Il premier Conte invece ha avuto una conversazione telefonica con Putin in cui il presidente russo aveva parlato di “inammissibilità di accuse frettolose e infondate”. E l’Italia inchinata alla Russia sembra qualcosa di più di una semplice sensazione.

Leggi anche: 1. Berlino: “Navalny avvelenato, prove inconfutabili. Mosca spieghi” / 2. Novichok: cos’è, e che effetti ha sul corpo, l’agente nervino usato per uccidere l’ex spia russa Skripal / 3. Russia, il video in aereo dell’oppositore di Putin che grida di dolore: “L’hanno avvelenato” / 4. Russia, approvata la riforma della Costituzione: Putin potrà governare fino al 2036 / 5. L’ascesa della Russia di Putin non passa solo dalla Siria

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Salvini diceva: “Lei spaccia?” al tunisino. Perché oggi non lo chiede al suo candidato in Emilia?

Ora Salvini può riattaccarsi al citofono. Ci ricordiamo tutti quando, con uno strano senso del garantismo, che come al solito dalle sue parti funziona a fasi alterne secondo la convenienza, andò a scampanellare all’abitazione di un presunto spacciatore mandando le sue generalità in diretta Facebook in giro per tutta l’Italia, tutta merce buona per il suo refrain che “la droga uccide” e che a portare la droga sarebbero solo gli stranieri.

Questa volta tra l’altro Salvini non ha nemmeno bisogno di chiedere informazioni in giro nel quartiere perché in questo caso nome e cognome è scritto a chiare lettere nell’ordinanza cautelare firmata dal gip Sandro Pecorella. Luca Cavazza ha 27 anni ed è un tesserato della Lega di Salvini che si è molto speso nell’ultima campagna elettorale (in realtà con un risultato piuttosto risibile) in favore della candidata Borgonzoni alle ultime elezioni regionali e, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe uno degli uomini che faceva sesso con ragazze minorenni offrendo in cambio cocaina.

Per noi vale ovviamente la presunzione di innocenza. Ma ragionando con la stessa logica con cui Salvini ha scampanellato al ragazzo di Bologna, il leader leghista dovrebbe chiedere a Cavazza se spaccia, o visto che si trova da quelle parti dovrebbe chiedergli anche se trova normale indurre alla prostituzione delle ragazzine in cambio di cocaina. Cavazza è un ex tesserato di Forza Italia che negli ultimi anni (come è capitato a molti) è saltato sul carro vincente della Lega salviniana in cerca di un posto al sole: agente immobiliare, era già salito al disonore delle cronache per un suo vecchio post del 2016 su Facebook in cui visitando la tomba di Mussolini a Predappio inneggiava al fascismo. È anche molto conosciuto nell’ambiente dei tifosi della Virtus.

“Diffidate da chi vi dice che la politica è tutta merda e malaffari. La politica, per come la intendo io, è tutt’altro”, scriveva il 27 gennaio. Il 23 gennaio urlava “giù le mani dai bambini” riferendosi ai fatti di Bibbiano. Chiamava “letame” “quei giocolieri da strada, casinari e sozzi fuori sede mantenuti dai paparini che con la mia/nostra Bologna non hanno nulla da scompartire!”, con evidenti problemi anche con la lingua italiana. Ora Salvini faccia il capitano duro e puro: passi da Bologna per citofonare al suo pupillo e poi ci regali un’imperdibile diretta Facebook per raccontarci com’è andata.

Leggi anche: 1 . L’avvocato a TPI: “Salvini potrebbe essere denunciato, 4 ipotesi di reato” per aver citofonato al tunisino /2. “Lei spaccia?”. Salvini che citofona a casa di un tunisino è il vero punto di non ritorno (di L. Telese) / 3.Se Salvini può citofonare sentendosi uno sceriffo la colpa è nostra: ormai tutto è permesso (di L. Tosa) / 4. Salvini vada a caccia di spacciatori senza telecamere e senza scorta (di L. Tomasetta)

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Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

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Sicilia, Fava a TPI: “Musumeci fa lo scaricabarile. Ma sui migranti il governo ha paura di decidere”

Nello Musumeci insiste. Il governatore della Sicilia non ha intenzione di fermarsi sulla sua ordinanza che chiede lo sgombero degli hotspot dell’isola e risponde al no del governo parlando di responsabilità sanitarie. Si finirà probabilmente con un ricorso al tribunale amministrativo ma intanto la provocazione ha preso piede tra i sostenitori di destra e corre sul web. TPI ha intervistato Claudio Fava, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Fava, il governatore Musumeci insiste. Come legge questa ultima uscita sullo svuotamento degli hotspot e la chiusura ai nuovi arrivi?
È già un pezzo di campagna elettorale, perché ha riannodato i fili di una coalizione piuttosto frammentata e lasca e naturalmente ha ottenuto le benedizioni della destra alla quale Musumeci continua a rivolgersi. Manifesta la sua indole, la sua cultura politica: è un autoritario, convinto che la migliore forma di governo sia quella di affidare al podestà le chiavi della vita dei cittadini. Anche se si affida ai poteri di tutela della salute lui sa perfettamente che intervenire sui porti, sulle prefetture, sugli hotspot è competenza esclusiva del governo nazionale, segnatamente del Ministero dell’Interno. Ma è un modo per rimettere al centro una parola che sia una calamita e che ha bisogno di nemici facili, l’immigrato portatore di contagi.

Quindi è tutta campagna elettorale…
L’altra ragione è che c’è un fallimento complessivo su tutta la politica di investimento del post-Covid, le risorse promesse per il settore del turismo non sono mai arrivate, nemmeno un centesimo, le condizioni dell’isola sono abbastanza allo sfascio quindi un giorno ci si inventa il ponte, un giorno il tunnel, un giorno chiudiamo gli hotspot. Tutto pur di non parlare di quello che accade a casa nostra: c’è un’ordinanza di controlli per chi arriva dai Paesi considerati focolai poi però in aeroporto, nei porti e nelle stazioni i controlli sono minimi e anche in questo Musumeci dice che la responsabilità non è sua ma del Ministero dei Trasporti.
Una responsabilità che palleggia…
Su alcune cose dice “la responsabilità non è nostra”, su altre dice “la responsabilità non è nostra ma me ne occupo direttamente io”. In questo un po’ ci è un po’ ci fa.

Sembra seguire un po’ il copione di certe Regioni di centrodestra che giocano sul Covid per scontrarsi con il governo e fare parlare di sé. Non è simile all’atteggiamento della Lombardia con Fontana?
Sì. In più nel suo caso c’è una sfumatura di carattere politico, di identità politica. Gli piace fare il podestà. Dopo il Covid ha preteso e ottenuto dalla sua maggioranza il voto su un emendamento infilato in una legge che gli dà, in caso di emergenza sanitaria, pieni poteri e la possibilità di emanare delibere di giunta anche in contrasto con la legislazione vigente. Ed è una cosa abbastanza bizzarra, decidono loro a quale normativa possano derogare senza passare dal Parlamento regionale. È la sua idea di ventennio e ha utilizzato il Covid per ritrovare quei toni, quel cipiglio. Un tempo era un atteggiamento inoffensivo e invece oggi interviene su un tema vero, reale.

Esiste comunque un problema immigrazione in Sicilia?
Esistono problemi concreti nelle città che sono il punto di approdo naturale per i profughi. Non lo risolvi chiudendo, lo risolvi cercando di avere un livello di partecipazione da parte di tutte le Regioni. Anche perché non possiamo lamentarci dell’Europa che non fa la propria parte e poi in Italia lasciare che siano le Regioni di frontiera a occuparsene perché le altre non vogliono rotture di coglioni. Abbiamo un sistema geopolitico basato sul principio dell’egoismo: non a casa mia. È una questione che va affrontata da un governo che non riesce e non è riuscito a ottenere una linea di condivisione e di consapevolezza e di disciplina partecipata da tutti i presidenti di Regione. Qui tutti, in nome della salute, hanno deciso a casa loro.

Però la propaganda di Musumeci sembra funzionare: cosa dire a quelli che lo applaudono, come riuscire a parlar con loro?
Non è semplice perché se dall’altra parte hai un governo pavido che non è capace di fare un passo e di prendere una direzione risolutiva è chiaro che poi è difficile parlare solo sul piano di principio e della linea della condotta morale. Il cittadino alla fine si trova confortato da un decisionista che può anche essere incostituzionale ma che è una risposta alla preoccupazione. Come per le discoteche si registra una certa inerzia da parte di figure chiave del governo nazionale di affrontare con coraggio i problemi che si presentavano. Ora il tema sono gli immigrati e il tema ha bisogno di un tavolo di soluzione che non può essere affidato a ciascun presidente di Regione. Avere un nemico, un untore, qualcuno su cui scaricare le proprie frustrazioni in tempo di crisi conforta molti, anche chi non ha nulla a che fare con quella cultura politica. Poi magari un giorno ti svegli e ti accorgi che gli untori sono i tuoi figli che sono andati a fare un party e sono tornati asintomatici e carichi di virus.

Leggi anche: 1. Sicilia, ordinanza di Musumeci: “Entro le 24 di domani migranti fuori dall’isola”. Ma il Viminale lo blocca: “Non può farlo” / 2. Sicilia, Musumeci non molla: “Il governo vuole un campo di concentramento per migranti, vado dalla magistratura”

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Tengo famiglia

Il sindaco di Foggia Franco Landella è passato da Forza Italia alla Lega. La decisione è stata presa dopo la mancata candidatura alle elezioni regionali della cognata

Franco Landella è sindaco di Foggia, mica di un paesino minuscolo e sconosciuto, e milita in Forza Italia. Anzi: militava in Forza Italia poiché ha approfittato del passaggio di Matteo Salvini per inscenare una breve conferenza stampa in cui doveva comunicare cose importanti.

Che ha detto? Ha detto che passa alla Lega. Ci sta, se ci pensate. Qualcuno può non essere d’accordo con la linea del suo partito e sentirsi rappresentato molto meglio da qualcuno altro. La politica è ricca di passaggi di casacca e molti rappresentanti politici si sono prodigati nel raccontare cosa non andasse più bene e quali fossero i motivi delle loro nuove convergenze. Ci si aspettava che Franco Landella ci dicesse una cosa qualsiasi, magari che Forza Italia è troppo morbida nelle sue posizioni contro l’Europa oppure che è davvero convinto, come Salvini che l’immigrazione sia il problema principale di questo mondo oppure che sul Mes proprio non riesce a essere d’accordo con le posizioni di Berlusconi. Una cosa qualsiasi.

E invece il sindaco ha emesso un comunicato stampa piuttosto sibillino: “Dopo 26 anni di militanza in Forza Italia sono costretto a lasciare questo partito dopo l’ennesima umiliazione; non posso continuare a subire le angherie di una classe dirigente di Forza Italia che antepone aspetti particolari ai valori della coerenza e della militanza e del consenso. Forza Italia ha favorito l’ingresso dei campioni del trasformismo rispetto alla militanza e al consenso di cui uno con una situazione giudiziaria particolare”.

Cosa avrà voluto dire? Semplice: la decisione è stata presa dopo la mancata candidatura alle elezioni regionali della cognata, la forzista Michaela Di Donna che ha trovato la porta chiusa in tutte le liste del centrodestra compresa Forza Italia. In sostanza il sindaco se ne va perché non hanno candidato la cognata. E in tutto questo c’è anche un partito che se lo prende, un politico così. E viene da pensare che forse al Landella dalle parti della Lega gli abbiano promesso di curare con attenzione il valore della famiglia. Tutto alla luce del sole.

Buon martedì.

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Essere Flavio Briatore

Io vorrei essere per qualche ora, qualche ora soltanto, nella testa di Flavio Briatore, del manager dei manager che quest’estate ci siamo dovuti sciroppare un po’ dappertutto perché la stampa qui da noi funziona così: chiami un volto noto, qualcuno che funziona, gli chiedi di spararla grossa o forse non glielo chiedi nemmeno perché gli autori del programma sanno già per certo che la sparerà grossa, e lo intervisti su tutto, lo intervisti sul virus, lo intervisti sull’economia, lo intervisti sulla politica, lo intervisti sulla società e tutto il resto.

La testa di Flavio Briatore deve essere uno spazioso loft non ancora arredato in cui si misura il resto del mondo secondo canoni tutti suoi: un piatto è buono solo se lo mangiano i calciatori, una discoteca è bella se viene frequentata da personaggi pubblici, un lido è interessante solo se è estremamente costoso e una donna è interessante solo se può essere sua. Misurare il mondo attraverso i soldi e osservare la realtà come se fosse solo un’escrescenza del proprio ego deve avere qualcosa di mistico, deve essere la stessa sensazione di un nirvana solo che questo tende verso il basso.

Così Flavio Briatore quest’estate è diventato esperto di Covid e ci ha insegnato come gestire un’emergenza. Ne è uscito alla grande. Prima se l’è presa con il sindaco di Arzachena accusato di essersi occupato della chiusura dei locali che favorivano assembramenti e contagio (“Abbiamo trovato un altro grillino contro il turismo!”, ha detto) e poi si è lanciato in una considerazione elegantissima: “A me spiace per i nostri clienti, la costa Smeralda si stava riprendendo, abbiamo portato giù i calciatori, non capisco è una vendetta? Questa è gente che non ha mai fatto un cazzo nella vita, Arzachena nessuno sa dove cazzo sia, la conoscono lui e due pecore!”. Ha portato giù i calciatori. Capito, che figo, Briatore.

Il sindaco Roberto Ragnedda, al contrario di quelli che strisciano servili ai piedi dei tanti briatori che abbiamo in giro, gli ha risposto per le rime: “questa ordinanza serve a tutelare soprattutto gli anziani come lui”. Chissà come si è sentito male Briatore, lui che la gioventù se l’è comprata via internet ma non capisce perché non gliel’abbiano ancora consegnata.

E per chiudere in bellezza la sua estate si finisce con sei suoi dipendenti positivi al Covid e qualche centinaio messi in isolamento. Chissà come sono contenti quelli di avere preso il virus in versione deluxe. E cosa ha fatto Briatore? Se n’è tornato mesto mesto nella sua Montecarlo, perché il grande vate dell’economia italiana ovviamente paga le tasse in giro per l’Europa. Qui da noi “porta giù i calciatori” e noi dovremmo volergli bene per questo.

Bene, bravo, bis.

Buon lunedì.

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Cosa possiamo fare?

Mi scrive un lettore, Carlo Festa:

Ho dedicato buona parte di questa stagione estiva alla visione di innumerevoli documentari riguardanti i danni derivanti dal cambiamento climatico, oltreché le cause e le ragioni del suo avvento. Un povero stronzo come me, che scrive canzoni all’interno delle quali cerca d’incastrare un messaggio preciso per i posteri, non può che lasciarsi trascinare dalle sfumature disastrose che avvolgono il nostro intero pianeta; nella sempre vana ricerca di una curva verbale che prenda vita nel cuore di chi ascolta e si propaghi in maniera endemica nelle coscienze di ognuno.

Solo che accade che il disastro del quale vorrei parlare in  dodecasillabi mi ha totalmente ammutolito.

E il problema non è tanto il silenzio; quanto il senso d’impotenza che in questo periodo ho nutrito fatalmente.

Risparmio i soliti sermoni sulle conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e delle elevatissime temperature registrate in Antartide, sullo sbiancamento della barriera corallina, del processo inesorabile di desertificazione di innumerevoli aree del pianeta un tempo fertili e rigogliose; e delle sempre verdi isole di plastica sugli oceani. E li risparmio non tanto perché non li leggereste – molti di voi avranno già scrollato questo post alle prime due righe -, quanto perché infondo lo ritengo, sostanzialmente e particolarmente, inutile.

L’ultimo documentario che ho visto (il terzo trattante lo stesso argomento) riguardava lo sbiancamento progressivo delle varie barriere coralline. I volti della gente impegnata nella salvaguardia del pianeta, non riescono più a simulare una smorfia serena dinanzi una telecamera; né riescono a mentire riguardo il possesso di una minima speranza verso il futuro. Il loro viso è sfigurato dal dolore.

E io non so che cavolo fare.

Sempre durante la visione di quest’ultimo documentario, sono stato come pugnalato dall’affermazione di uno degli ennesimi zucconi ostinati che pensano di poter salvare il mondo con una telecamera e qualche testimonianza scientifica, il quale disse “Sono anni che si discute di questa emergenza; ma ogni volta è come se le nostre parole fossero spazzate dal vento”. D’accordo, questa cosa è sulla bocca di tutti ormai. Ma non esibiva la tipica espressone rassegnata da boomer, sempre indirizzato al giovane spensierato/incosciente/deficiente. Aveva quella risatina nervosa tipica di chi, a telecamere spente, avrebbe spaccato l’intero mobilio entro il quale era stato invitato, forse stanco per l’ulteriore testimonianza concessa all’ennesimo, inutile, documentario.

E io non sapevo ancora che cavolo fare, seriamente.

Come alcuni di voi – confesso – anche io credo di poter diventare qualcuno che possa offrire un certo contributo alla collettività. Ma il senso d’impotenza dal quale vengo investito, ogniqualvolta realizzo nella mia mente questo disastro, è infinitamente più potente di qualsiasi altro senso di riscatto che serbo. L’abulia dei più è sproporzionalmente più violenta della solerzia dei pochi alimentati da questa comunanza di destino. E l’arroganza dei molti è infinitamente più schiacciante della conoscenza scientifica dei pochi.

Qualcuno mi chiede “come stai?”, ovviamente la mia risposta è sempre “bene”: la salute (ancora) non manca, il lavoro (anche se poco) nemmeno, gli affetti ci sono sempre. Ma quando la conversazione si fa insidiosa, cado preda di una sorta di mutismo religioso. Mi esibisco in smorfie fataliste; approssimo luoghi comuni che cauterizzino l’entità di una discussione, possibilmente interessante; evado dalle possibilità di enucleare in maniera approfondita una mia proposizione sulle cose. Perché penso quanto sia assolutamente inutile, a tratti fastidioso, parlare di massimi sistemi dinanzi un aperitivo. “E cosa dovremmo fare!?” ecco: non lo so; e non vorrei che qualcuno pensasse che stia cercando colpevoli tra i tavolini di un pub.

Mi sento soltanto smarrito, senza barca, senza remi, senza bussola e lontano dalla speranza di un pronto soccorso metafisico. Sorrido all’idea di pensarmi in un consultorio psicologico ed esordire con “Buonasera, soffro molto a causa dei cambiamenti climatici e della crisi storica che stiamo attraversando”, ma, comunque, vi sembra poco?

Non voglio dire che sto male, né voglio far credere di aver vinto un concorso pubblico come emissario comunale del malaugurio.

Soltanto che, ad oggi, non so che fare.

E ho scritto a vanvera proprio per testimoniarlo.

Cosa possiamo fare?

Come giustamente dice Carlo, cosa dobbiamo fare?

Buon giovedì.

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Prima i 49 milioni, poi il pieno di furbetti del bonus: è la Lega, quella che urlava contro la “casta”

I nomi escono a grappoli, dentro c’è di tutto: il bonus da 600 euro che è finito nelle tasche di parlamentari e consiglieri regionali, gente che sicuramente non aveva bisogno di quei soldi e soprattutto gente che avrebbe dovuto mantenere un comportamento etico rispettando il proprio ruolo con disciplina e onore come chiede la Costituzione, è l’argomento di cui tutti parlano nelle chat dei parlamentari. È una di quelle cose che fa schifo a tutti ma che non ne parla quasi nessuno perché si rischia di farsi molto male e così accade, nell’indifferenza generale, che lo stesso Salvini che chiedeva le immediate dimissioni dei parlamentari che si sarebbero ritrovati coinvolti ora cambia linea e parla semplicemente di “immediata sospensione”.

Perché? Perché sono leghisti Elena Murelli e Andrea Dara, i due parlamentari che hanno deciso di venire allo scoperto prima di essere scoperchiati dall’audizione del presidente Inps Pasquale Tridico e volendo vedere è leghista anche il vicepresidente del Veneto Gianluca Forcolin, quello che ha provato a spiegarci che la sua richiesta è partita “in automatico” (ma davvero, ma che significa?): probabilmente si è giocato la ricandidatura. Zaia, a differenza di Salvini, sembra molto più duro del suo segretario. In Veneto ci sono anche due consiglieri regionali leghisti: Riccardo Barbisan e Alessandro Montagnoli (che ha provato fuori tempo massimo a stornare i 600 euro alla Protezione Civile). Male anche per loro, Zaia ha già detto che non ci sarà nessuna ricandidatura.

È leghista anche il consigliere regionale dell’Emilia Romagna Stefano Bargi, come Ivano Job, consigliere leghista in Trentino che con il contributo della Provincia si è messo in tasca 5mila euro. Eppure i leghisti sono i moralisti, quelli della “Roma padrona” e della politica che avrebbero dovuto “ripulire”. Sono quelli che a parole difendono i soldi dei lavoratori contro gli sprechi della politica e poi si intascano i soldi dei lavoratori. Sono quelli che sull’indignazione e sull’antipolitica (quella politica che usano a tradimento svilendola nei fatti e nelle parole) costruiscono le platee elettorali e poi balbettano quando si tratta di loro che sono presi con le mani nel sacco.

Lo stesso accade per il deputato 5 stelle Rizzone e per il pentastellato sindaco di Campobasso: contribuire alla pessima politica con le scelte imperfette della propria classe dirigente è un errore imperdonabile. Eppure alla fine sono loro: i duri e puri che basta che gratti un po’, appena appena, e scopri che sono ancora peggio degli altri.

Leggi anche: Bonus Inps, il leghista Bocci e quelli che “è sempre colpa dei commercialisti” 

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La parola ai giovani

Da qualche tempo è comparso su autorevoli quotidiani un dibattito tra editorialisti un po’ âgé. Parlano delle nuove generazioni. Oltre a uno stucchevole paternalismo, ciò che emerge con chiarezza è che costoro non si sono mai posti il problema di ascoltarne le istanze

Forse converrebbe parlarci con i giovani, piuttosto che parlare di giovani. Forse sarebbe il caso di smetterla una volta per tutte con questi atteggiamenti paternalistici da parte di una classe dirigente che si è fatta trovare sempre impreparata all’incontro con le nuove generazioni e dirci una volta per tutte che essere giovani oggi in Italia è qualcosa che fa schifo.
Fa schifo arrabattarsi in una scuola che è ancora novecentesca nell’approccio del mondo e che non ha i mezzi nemmeno per garantire la dignità, proprio lei che dovrebbe insegnarla. Per capirlo basta parlare con i ragazzi che frequentano scuole che stanno in edifici dismessi e che si devono portare la carta da casa, la carta per scriverci e pure la carta per pulirsi le terga, perché mentre si ordinano i banchi con le rotelle si ha a che fare con professori che cambiano ogni anno, se va bene, o che sostengono il programma giusto il tempo di qualche mese.

Bisognerebbe parlare con una generazione che non ha idea di cosa sia la speranza, che ha un orizzonte che spesso non è più lungo della fine della scuola (per chi ha la fortuna di poterla frequentare) e che in ambito lavorativo si ritrova ancora a elemosinare l’opportunità di provare a fare un lavoro ovviamente dietro ridicolo compenso. E mentre lavorano mettendo via i soldi che bastano (forse nemmeno) per arrivare a fine mese, ragazze e ragazzi continuano a usare la propria famiglia come unico ammortizzatore sociale di una società costruita e architettata per essere il nido di auto preservazione della classe dirigente (che di giovani non ne ha o ne ha pochissimi oppure ha qualche “figlio di”). E bisognerebbe provare ad ascoltarli mentre ti raccontano che l’acquisto di una casa, elemento fondamentale per avere il coraggio di programmarsi una vita, è…

L’articolo prosegue su Left del 14-20 agosto

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