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gianni alemanno

Poi magari un giorno si farà chiarezza sulle fondazioni politiche

Altro che triangolazioni con destinazione Bvi, British Virgin Islands. Il paradiso fiscale, per molti, è a portata di mano.
Sono le fondazioni politiche. I cosiddetti pensatoi, o se si preferisce think tank, che proliferano in Italia. Nessun obbligo di pubblicare bilanci o di rendere noto l’elenco dei sostenitori e sponsor. Intassabilità delle entrate e deducibilità dei contributi. Insomma, per i costumi italici, una vera e propria cuccagna.
LA FONDAZIONE NUOVA ITALIA. Lo ha dimostrato l’inchiesta Mafia Capitale. La Fondazione Nuova Italia guidata da Gianni Alemanno ha ricevuto dalla piovra dell’ex Nar Massimo Carminati «finanziamenti non inferiori ai 40 mila euro».

  • L’homepage del sito di Nuova Italia, fondazione di Gianni Alemanno.

Ma la Nuova Italia non è la sola. Dagli accertamenti effettuati sui conti corrente delle cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi, braccio imprenditoriale del Nero, risulta che in data 15 novembre 2012 «era stata bonificata la somma di euro 30 mila in favore della Fondazione per la Pace e Cooperazione Internazionale Alcide De Gasperi».
Il presidente? Il ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Fondazioni, la politica si è appropriata di «uno strumento per farsi i fatti propri»

Gian Gaetano Bellavia.Le Fondazioni si sprecano, a destra e a sinistra. Ogni leader politico, finanche ogni capocorrente, ne ha una. Con finalità diverse, certo.

Si va – solo per citarne alcune – da Italiani europei di Massimo D’Alema, nata nel 1998, a Magna Carta di Gaetano Quagliariello fino a Fare Futuro di Adolfo Urso e alla montezemoliana Italia Futura.
Ma ci sono anche la Liberamente di Mariastella Gelmini, Riformismo & Libertà di Fabrizio Cicchitto, la Cristoforo Colombo di Claudio Scajola (ma il numero di telefono riportato sul sito risulta inesistente).
Censire tutti questi enti è difficile. Altraeconomia ne ha contati almeno una quarantina.
MANCA LA TRASPARENZA. Una cosa è certa però. Tranne rarissime eccezioni si tratta di organizzazioni i cui bilanci e i soci sostenitori non risultano pubblici.
«Le fondazioni», spiega a Lettera43.it Gian Gaetano Bellavia, commercialista esperto di diritto penale dell’economia, già consulente in materia di riciclaggio per la procura di Milano, «sono come le macchine. Si possono usare per fare la spesa, per portare i figli a scuola. E per fare una rapina».
Il problema è uno: «I politici si sono appropriati di uno strumento giuridico particolare solo per farsi i fatti propri». Si tratta, in altre parole, di un uso (spesso) illecito di uno strumento lecito.
Le fondazioni nacquero infatti nell’800 con finalità di pura beneficenza, per gestire immobili e denari donati. Quindi non era certo necessaria una «pubblicità» dei bilanci. Le cose poi sono cambiate.
BILANCI SOLO IN PREFETTURA. Oggi i bilanci devono essere redatti, questo sì. «Per essere presentati ai membri del consiglio di amministrazione. Poi vengono consegnati, da sempre, in prefettura», continua Bellavia. Ma i controlli, secondo l’esperto, «non ci sono. Il prefetto di fatto è l’unico che può sciogliere una fondazione. Ma all’interno della prefettura nessuno si occupa di vagliare le carte». Senza considerare un particolare: alla fine «controllati e controllori appartengono alla stessa categoria».
Per cambiare le cose servirebbe poco. Ora che il premier Matteo Renzi ha annunciato un’accelerata contro la corruzione, potrebbe molto semplicemente «rendere obbligatoria la trasparenza delle fondazioni». E l’iscrizione alle Camere di commercio. «Basta che depositino i bilanci», conclude Bellavia, «anche gratis».

Symbola e Open, le uniche ad aver un bilancio pubblico

Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera.

Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera.

Ci sono delle eccezioni, però: Open, che ha raccolto l’eredità della fondazione Big Bang a sostegno di Matteo Renzi, e Symbola, del deputato Pd Ermete Realacci. Quest’ultime sono le uniche due fondazioni ad avere scelto la massima trasparenza di bilanci e liste dei sostenitori.
IL TETTO MASSIMO.«Abbiamo un tetto massimo di 10 mila euro per le donazioni», spiega a Lettera43.it il presidente Realacci, «e un minimo di 50 euro». Symbola si occupa di promuovere e studiare la qualità italiana. «Non organizziamo eventi politici a sostegno del Pd», chiarisce il presidente. «Svolgiamo lavori di ricerca e redigiamo rapporti. Abbiamo anche rinunciato alla donazione del 5 per mille». Symbola vive sulle donazioni dei soci e sulle sponsorizzazioni. Ma è tutto «trasparente», insiste Realacci. E, infatti, sul sito è possibile consultare il bilancio preventivo 2013: entrate previste 877.940 euro e un utile di 49.485 euro.
Open nel 2013 ha registrato proventi per 1.027.546 euro e oneri per 1.064.288 euro.
Tutto nero su bianco. Insieme con la lista dei sostenitori, per un totale di finanziamenti ricevuti pari a 1.905.819,99 euro.

Italianieuropei, la trasparenza solo se c’è una legge ad hoc

Massimo D'Alema.

A metà strada sta la dalemiana Italianieuropei il cui bilancio, come tengono a sottolineare gli addetti stampa, è depositato alla Camera di Commercio anche se «non ce ne sarebbe l’obbligo».

Per pubblicare finanziatori e quant’altro, però, aspettano una legge. Per adesso preferiscono rispettare la «privacy» dei donatori. Il problema, dicono dalla fondazione, è regolamentare le lobby. Soprattutto ora che è venuto meno il finanziamento pubblico ai partiti. Imprese e gruppi infatti potrebbero fare pressione dietro finanziamenti coperti dal segreto.
PER D’ALEMA&CO 16,7 MLN DALL’UE. Italianieuropei, però, fa parte di una super-fondazione europea, la Feps (Foundation for european progressive studies: qui il bilancio) attraverso la quale percepisce finanziamenti pubblici Ue: dal 2008 al 2013, secondo Il Fatto Quotidiano, si è portata a casa 16,7 milioni di euro.
Si dice pronto «a rendere pubblici i bilanci» anche Anche Adolfo Urso, presidente di Fare Futuro. «Nonostante con la pubblicità ci sia il rischio che le donazioni private diminuiscano per la paura di esporsi.
CICCHITTO: «L’UNICA VIA PER I PARTITI». Ma, anche alla luce delle ultime inchieste, «la trasparenza pagherebbe sicuramente di più».
Fabrizio Cicchitto, di Riformismo e Libertà, dal canto suo, vede nelle fondazioni «l’unica via di finanziamento regolare ai partiti». Con l’abolizione dei contributi pubblici, «non c’è alternativa». Anche se la «sua» fondazione, poi trasformata in associazione per problemi economici, era «sui generis: non finanziavamo l’attività politica, tantomeno una corrente. Organizzavamo dibattiti».

Fare Metropoli e Liberamente, soldi costestati a Penati e Gelmini

Filippo Penati.

Filippo Penati.

Mafia Capitale, però, non è la prima inchiesta che tocca le fondazioni.
PENATI E IL TESORETTO DA 363 MILA EURO. Sempre un’associazione – Fare Metropoli – era al centro del cosiddetto Sistema Sesto San Giovani del piddino Filippo Penati. Definita dagli inquirenti un «mero schermo destinato a occultare la diretta destinazione delle somme» all’ex presidente della Provincia di Milano per le sue campagne elettorali. Si parlò di 18 finanziamenti illeciti da aziende e banche per un totale di circa 363 mila euro.
IL CASO LIBERAMENTE. Nell’inchiesta «Ambiente svenduto» sull’Ilva di Taranto emerse invece – come riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno – «un contributo di 4-5 mila euro chiesto a Fabio Riva dall’avvocato Luigi Pelaggi, capo della segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente per l’organizzazione il 10 luglio 2010 a Siracusa di un convegno della fondazione Liberamente», ente fondato dall’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo con i colleghi Mariastella Gelmini e Franco Frattini.
E proprio Gelmini tiene a precisare a Lettera43.it che si è trattato «di un caso isolato». «Non va fatta di tutta l’erba un fascio», ripete l’ex ministro berlusconiano. «Le fondazioni sono perfettamente regolamentate, poi dipende dall’uso che se ne fa».
Insomma, la responsabilità è «individuale». E il problema, se problema lo si vuole chiamare, «non è certo la trasparenza», continua Gelmini: «A servire è una norma sulle lobby».

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La Lupa: la mafia romana, i nomi

La mani mafiose sul Campidoglio. Una immagine che si svela con un’inchiesta della Procura di Roma, battezzata Terra di Mezzo, che porta in carcere 28 persone e ha fatto finire nel registro degli indagati il nome di 37 persone tra cui quello dell’ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno. Che risponde di associazione di stampo mafioso. Ai 37 gli inquirenti, coordinati di Giuseppe Pignatone, contestano a vario titolo, anche estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati.

Al centro dell’indagine del Ros, un sodalizio da anni radicato a Roma e facente capo a Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra dei Nar ed ex membro della Banda della Magliana, con infiltrazioni “diffuse” nel tessuto imprenditoriale politico e istituzionale.Tra gli arrestati anche l’ex ad dell’Ente Eur, Riccardo Mancini. È in alcuni intercettazioni, Tra Mancini e Carminati, che è venuto fuori il nome dell’ex primo cittadino, dei rapporti con alcuni importanti imprenditori romani.

I carabinieri hanno perquisito gli uffici della Regione Lazio e del Campidoglio per acquisire documenti gli uffici della Presidenza dell’Assemblea Capitolina e presso alcune commissioni della Regione Lazio.Contemporaneamente la Guardia di Finanza ha eseguito un decreto di sequestro di beni riconducibili agli indagati, emesso dal tribunale di Roma, per un valore di 200 milioni di euro. Gli inquirenti, infatti, hanno documentato un sistema corruttivo finalizzato all’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza per gli immigrati.

In manette anche Riccardo Brugia, Roberto Lacopo, Matteo Calvio, Fabio Gaudenzi, Raffaele Bracci, Cristiano Guarnera, Giuseppe Ietto, Agostino Gaglianone, Salvatore Buzzi, Fabrizio Franco Testa, Carlo Pucci, Franco Panzironi, Sandro Coltellacci, Nadia Cerrito, Giovanni Fiscon, Claudio Caldarelli, Carlo Maria Guarany, Emanuela Bugitti, Alessandra Garrone, Paolo Di Ninno, Pierina Chiaravalle, Giuseppe Mogliani, Giovanni Lacopo, Claudio Turella, Emilio Gammuto, Giovanni De Carlo, Luca Odevaine. Il gip ha disposto gli arrestu domiciliari per Patrizia Caracuzzi, Emanuela Salvatori, Sergio Menichelli, Franco Cancelli, Marco Placidi, Raniero Lucci, Rossana Calistri, Mario Schina. Il giudice per le indagini preliminari ha invece rigettato la richiesta di misura cautelare nei confronti di Gennaro Mokbel e Salvatore Forlenza, che sono comunque indagati.

Domenica scorsa era stata perquisita la casa di Marco Iannilli, il commercialista romano, già finito in carcere e condannato in primo grado per la colossale truffa su Fastweb e Telecom Sparkle e coinvolto nel caso Enav. Domenica gli uomini del Ros hanno effettuato delle perquisizioni nella villa di Iannilli a Sacrofano, in provincia di Roma. Perquisita anche la casa di Gianni Alemanno, l’ex sindaco di Roma.

di Marco Lillo e Valeria Pacelli

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Mafia e politica: Roma bolle

Nuovo scandalo nella politica romana: martedì mattina i carabinieri dei Ros sono entrati nella sede della Regione Lazio alla Pisana ma anche in Campidoglio per effettuare una serie di perquisizioni negli uffici di alcuni consiglieri regionali e comunali, nell’ambito di un’inchiesta su un’organizzazione di stampo mafioso. Documenti sono stati acquisiti presso gli uffici della presidenza dell’Assemblea Capitolina. Perquisita anche l’abitazione dell’ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno. Nell’inchiesta denominata «Mafia capitale» – che sta determinando 28 arresti – Alemanno (oltre che ex primo cittadino, ex ministro del governo Berlusconi) è coinvolto come indagato del reato di associazione di stampo mafioso insieme ad altri 36 indagati, tra i quali Mirko Coratti, Eugenio Patanè e Luca Gramazio, attuale consigliere regionale del Lazio.

Appalti dirottati anche per i centri d’accoglienza

Nel mirino degli inquirenti una vera e propria «holding criminale» che spaziava dalla corruzione – per aggiudicarsi appalti – all’estorsione, all’usura e al riciclaggio. Un sodalizio radicato a Roma con a capo il redivivo ex Nar ed ex Banda Magliana Massimo Carminati, finito in manette. Gli inquirenti hanno documentato «un sistema corruttivo finalizzato all’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza per gli immigrati». Nell’ambito della stessa operazione, la Guardia di Finanza sta eseguendo un decreto di sequestro di beni riconducibili agli indagati, emesso dal tribunale di Roma, per un valore di 200 milioni di euro.

«Relazioni tra giunta Alemanno e gruppo criminale»

«Allo stato dell’indagine – si legge nell’ordinanza d’arresto firmata dal giudice Flavia Costantini – può essere affermato con certezza è che vi erano dinamiche relazionali precise, che si intensificavano progressivamente, tra Alemanno, sindaco di Roma, e il suo entourage politico e amministrativo, da un lato e il gruppo criminale che ruotava intorno a Buzzi e Carminati, dall’altro; dinamiche relazionali che avevano ad oggetto specifici aspetti di gestione della cosa pubblica e che certamente non possono inquadrarsi nella fisiologia di rapporti tra amministrazione comunale e stakeholders». Da ambienti giudiziari si conferma che sono in corso 28 arresti di noti protagonisti della politica romana. Alcune ordinanze di custodia cautelare sarebbero già state eseguite su ordine del Gip. L’indagine è coordinata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone – che nei giorni scorsi aveva lanciato un allarme proprio sull’emergenza infiltrazioni criminali nella politica a Roma – dall’aggiunto Michele Prestipino e dai sostituto Paolo Ielo e Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli.

In Procura Di Stefano: tangenti dai costruttori

Dopo lo scandalo di Marco Di Stefano (deputato Pd a lungo in Regione Lazio, dove fu anche assessore al Patrimonio) travolto a fine ottobre dall’inchiesta per le tangenti da due milioni di euro nel caso deli affitti pilotati alla PIsana, una nuova puntata del «Lazio gate» sembra travolgere l’istituzione oggi guidata dal governatore Nicola Zingaretti, che pure ha ricevuto nei giorni scorsi il plauso della Corte dei Conti per i notevoli progressi fatti sotto il profilo del risanamento dei conti pubblici e della trasparenza. Proprio mentre scattavano el perquisizioni, martedì Di Stefano è arrivato a Piazzale Clodio per essere interrogato nell’ambito dell’inchiesta su una presunta tangente che avrebbe ricevuto, quando era assessore alla Regione Lazio nella giunta Marazzo, dai costruttori Antonio e Daniele Pulcini. Di Stefano è indagato per corruzione e falso: per l’accusa la tangente servì per favorire la locazione di due immobili dei Pulcini alla società «Lazio service». Di Stefano sarà sentito anche come testimone sulla scomparsa del suo braccio destro Alfredo Guagnelli.

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L’Era Alemanna: il conto alla rovescia

coverAlemannaBNScrivere un libro che è anche un contenitore di progetti diversi. E’ la sfida (vinta) di Pietro Orsatti che esce tra poco con “L’Era Alemanna”.

Esce il 25 aprile, e non è un caso, L’Era Alemanna, un ebook scritto da Pietro Orsatti e edito dalla testata I Siciliani – giovani http://www.isiciliani.it (ne avete letto qui sul blog) che si ispira a quel mensile fondato e diretto nei primi anni ’80 da Giuseppe Fava. Un ebook che racconta il degrado dei 5 anni della peggiore amministrazione che abbia mai avuto la capitale: quella guidata dal sindaco Gianni Alemanno.

Esce a un mese dalle elezioni amministrative, come contributo al dibattito e narrazione di quello che ha vissuto la città. E anche per sostenere il progetto de I Siciliani – giovani. Perché il progetto della testata è anche quello di riportare in edicola e in libreria un prodotto collettivo rigorosamente eretico e che vuole investire sul lavoro e la creatività dei tanti giovani che vi hanno aderito.

Ne diamo l’annuncio anticipatamente anche perché intendiamo promuovere a Roma una serie di incontri e presentazioni per aprire un dibattito vero su quello che sono stati questi 5 anni e su cosa fare per uscirne. Quindi invitiamo a contattare l’autore sul suo blog http://www.orsattipietro.wordpress.com o la testata attraverso il sit o http://www.isiciliani.it e, ovviamente, ad acquistare attraverso il sito o attraverso le piattaforme http://www.lulu.com e http://www.amazon.com che lo distribuiranno. A un prezzo indicativo di 3 euro.

Ecco la premessa al libro scritta da Pietro:

Questa non è un’inchiesta, anche se spunti di inchiesta se ne troveranno e non pochi, quanto un reportage e diario politico e personale realizzato fra il 2007 e il 2013 e che mira a raccontare  gli effetti che ha avuto la giunta Alemanno sulla vita sociale, economica, morale e culturale della capitale.

Sei anni, perché il racconto parte appunto nel luglio 2007 con l’apparizione di Gianni Alemanno, in compagnia del suo allora camerata di partito Francesco Storace, alla manifestazione dei tassisti al Circo Massimo e si conclude con l’arresto nel marzo 2013  di Mancini, suo uomo di fiducia al vertice per lungo tempo dell’Ente Eur – forse il più ricco in termini di patrimonio immobiliare a Roma – per una storiaccia di presunte tangenti ricevute da un’azienda della galassia Finmeccanica, la Breda Menarini.

E in mezzo ci sta Roma. E i romani vecchi e nuovi, che siano nati al Testaccio o a Bucarest, a Primavalle o a Karachi.

Scrivevo un anno fa, all’epoca del fattaccio brutto di Torpignattara, quello in cui perse la vita un commerciante cinese e sua figlia nel corso di una rapina per strada: “Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale”.

L’Era Alemanna fa impallidire il disastro messo in piedi dal sindaco Giubilo negli anni ’80. Quel Giubilo che era diventato democristiano dopo una lunga militanza in quella destra (proprio la stessa) da cui proviene Gianni Alemanno. Giubilo creatura dello “squalo”, Vittorio Sbardella, passato alla storia per la sua giovanile partecipazione all’assalto della libreria Rinascita e poi per le 1200 delibere approvate nella notte che precedette la cessazione dei suoi poteri e l’insediamento del commissario prefettizio. Alemanno è riuscito a superare perfino quelle vette che si credevano irraggiungibili.

Oltre alle due parentopoli Ama e Atac c’è una lista impressionante di fatti e episodi: il consulente del suo Gabinetto Giorgio Magliocca indagato per concorso esterno alla Camorra in seguito e dopo un lungo iter giudiziario scagionato da ogni accusa e anzi probabile vittima di una “mascariata” messa in piedi dalla criminalità organizzata per colpire lui e forse condizionare in qualche modo le azioni future di Alemanno, la moglie Isabella Rauti indagata anche lei per concorso in abuso di ufficio, gli ex terroristi NAR assunti nelle partecipate, le presunte truffe sul sale della celeberrima emergenza neve del 2012 con il corollario grottesco di gaffe e polemiche propagandistiche mentre la città collassava in pochi centimetri di neve, le gare pubbliche con un solo partecipante (parlo di quella relativa alla Tevere SPA e all’affidamento di parte consistente del trasporto pubblico su gomma), le figuracce del GP di automobilismo e delle Olimpiadi (e delle ipotesi di speculazioni immobiliari mai abbastanza indagate come motivazione di quelle due candidature e probabilmente collegate alle ipotesi divariazioni de PRG se le due iniziative fossero andate in porto), E ancora, il suo addetto stampa che misteriosamente compare sul luogo di uno stupro alla vigilia delle elezioni, la prova di forza in consiglio comunale – sfregio al risultato del referendum sull’acqua pubblica – per la privatizzazione della partecipata Acea, il tentativo fallito, in concerto con il governatore della Regione Renata Polverini, sulla gestione dei rifiuti di favorire i soliti noti nell’effare colossale della gestione dei rifiuti della capitale fino all’inevitabile  collasso (con tanto di pricedura di infrazione avviata dall’Unione Europea) cercando prima di far partire una discarica davanti alla Villa D’Este di Tivoli (contro la quale si è pronunciata perfino l’Unesco) poi di favorire – dopo un balletto patetico mirato a determinare come unica scelta possibile davanti a un’emergenza da loro stessi creata e alimentata –  la proprietà della discarica di Malagrotta (ormai satura) con la creazione di un’altra discarica in un territorio già compromesso e a rischio da decenni. Ovviamente con tanto di conflitto con il governo nazionale.

E come potremmo dimenticare poi, gli affari e affarucoli della sua corte fra “magnate” di pajata con Bossi e feste dei cortigiani? Un’orgia di sottopotere esplosa sotto il suo regno e di quello della sua “socia” Renata Polverini governatrice della Regione.

E non dimenticherò di certo quella guerra di mafia in corso da almeno due anni per il controllo del racket e del traffico di droga negata a ogni morto ammazzato per strada (e ormai si parla di decine e decine di omicidi). Negata perché “la mafia a Roma non esiste”.

E ancora la beffa del comune che si presenta parte civile al processo sull’Ama ma solo per difendere l’immagine del sindaco danneggiata da quella vicenda. La sua immagine non la città, non confondiamoci.

Tutto questo c’è nell’Era Alemanna, ma non descritto attraverso un’esposizione asettica di fatti, ma nel racconto  di questa città che si degrada giorno per giorno grazie a questa gestione disastrosa. Un racconto partigiano. Come scriveva Saverio Lodato nell’introduzione del libro Quarant’anni di Mafia, non troverete in questo libro non troverete qui “un resoconto algido e asettico di quelle vicende, non essendo stato, io, inviato in terra straniera”.

Il racconto che state per leggere è costruito per frammenti non in ordine cronologico. Avanza per immagini, sensazioni, dati, racconti. È, credo, il modo migliore per rendere giustizia parziale a quello che abbiamo vissuto. A come l’ho vissuta io.

Pietro Orsatti, Roma, marzo/aprile 2013