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Giuseppe Sala

Il Comune di Milano omaggia i repubblichini di Salò

Bene. Avanti così.

“Nella giornata di ieri, Primo novembre, il Comune di Milano con atto formale ha deposto una corona di fiori al Campo 10 del Cimitero Maggiore collocata a fianco delle insegne della Rsi. Per gli smemorati, al Campo 10, dove nel corso degli anni successivi alla guerra sono stati riuniti i resti di alcune centinaia di caduti della Repubblica sociale italiana, per la precisione 921, sono sepolti nove volontari italiani nelle SS (24esima e 29esima divisione Granadier), oltre centocinquanta delle Brigate nere, più di cento della Legione Ettore Muti e oltre quaranta della Decima Mas.

Tra loro anche tre militi della Legione Muti (Renato Griffanti, Lamberto Dalla Valle e Santo Ragno, tutti e tre con il grado di sergente) che parteciparono (come da atti e sentenze della Corte d’Assise Speciale di Milano), all’alba del 10 agosto del 1944, alla fucilazione in piazzale Loreto dei quindici patrioti antifascisti oggi ricordati con un monumento”. E’ quanto si legge in una nota del Comitato Lombardo antifascista. “Al Campo 10 – si prosegue – sono state anche tumulate alcune delle figure che hanno fatto la storia del ventennio fascista e della Rsi: Alessandro Pavolini l’ultimo segretario nazionale del Partito fascista repubblicano, oltre che comandante generale delle Brigate Nere, i gerarchi Francesco Maria Barracu e Carlo Borsani, Francesco Colombo il capo della Ettore Muti, che operò come ‘polizia fascista’ nella caserma di via Rovello (poi sede del Piccolo Teatro), dove furono allestite camere di tortura e una “cella della morte”.

Oltre a loro, Armando Tela uno dei luogotenenti della “banda Koch”, partecipe diretto di torture e sevizie nella sede di “Villa Triste” di via Paolo Uccello (Villa Fossati), dove si fece uso di corde per appendere i prigionieri, di tenaglie per strappare unghie, daghe di ferro da arroventare e mettere sotto i piedi dei partigiani. Rimane lo sconcerto per questo atto dell’Amministrazione comunale e la richiesta di una spiegazione. Si spera da parte di qualche consigliere comunale”.

(fonte)

Expo è un buco nonostante la turbo favola

È stato un lungo fischio di sirene che ha attecchito mica male: il successo di Expo turboraccontato dal governo e dall’accolita degli interessati è stato uno dei fiori (di cartone) all’occhiello del governo: alla fine c’è uscito anche un sindaco dalla favola dell’Expo come simbolo dell’Italia che funziona e chissà se in queste ore proprio lui, Beppe Sala, non si sentirà tradito dall’improvviso dietrofront che arriva da Roma.

Ma andiamo con ordine. Il beneficio economico di Expo non sta nei bilanci, no: quelli, quando sono stati finalmente resi pubblici dopo un lungo tira e molla con Sala e la sua banda, dicono chiaramente che la manifestazione internazionale è stata sopra alle aspettative nelle spese sostenute e al di sotto nei visitatori previsti. I numeri lo dicono chiaramente, piaccia o no. Il presunto successo di Expo però, ci dicono da mesi gli ottimisti (per missione e servitù), starebbe tutto nella risonanza internazionale (vuoi mettere gli arresti tra dirigenti che sono finiti anche sulla stampa indiana, per dire), nell’indotto (che è ormai una mitologica presenza che sbuca quando bisogna ammorbidire i risultati finanziari) e nell’eredità dello Human Technopole (un trasloco dell’Università Statale pomposamente tradotto in inglese). Questo ci deve bastare, dicono.

C’è un problema: i soldi promessi da Renzi per pareggiare il bilancio di Expo (che è in rosso, appunto) sono spariti dalla legge di bilancio. Non c’è traccia dei 9,5 milioni di euro che servirebbero per la liquidazione della spa (che sarebbe quindi costretta a portare i libri in tribunale) e nemmeno gli 8 milioni per il trasferimento del campus universitario della Statale. Niente. Nisba. Alla fine anche il fedele collaboratore del sindaco di Milano Gianni Confalonieri (già scudiero di Pisapia) è costretto ad ammettere di essere rimasto “esterrefatto” e  di avere esaurito la sua riserva di fiducia.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Toh, alla fine Expo è in rosso

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Dalla serie “l’impermeabilità della politica milanese” si scopre che, nonostante le rassicurazioni di Beppe Sala, il bilancio di Expo per il 2015 è in rosso. E quindi si scopre ancora una volta la bugia del manager candidato sindaco. Eppure la notizia scivola placida come acqua sul bidè. Tutti genuflessi. Altro che arancioni. Che peccato.

Da Il Fatto Quotidiano:

«Expo ha chiuso il 2015 con un rosso di 23,8 milioni di euro. E a questo vanno aggiunte perdite per altri 7,7 milioni accumulate da inizio anno fino al 18 febbraio, data di messa in liquidazione della società e delle dimissioni di Giuseppe Sala. Il dato, che non era sinora stato reso noto, è messo nero su bianco sui documenti pubblicati sul sito della società riguardanti i rendiconti e le relazioni consegnate dall’attuale candidato a sindaco di Milano due settimane fa.

Il risultato negativo, più volte negato da Sala, viene dunque confermato nei rendiconti che il prossimo 28 maggio verranno presentati ai soci per l’approvazione del bilancio, che quindi dovrebbe avvenire prima delle elezioni e non dopo, come in un primo momento fatto intendere dal presidente del collegio dei liquidatori, Alberto Grando. Le perdite del 2015, inferiori ai 30,6-32,6 milioni stimati nella relazione del cda discussa dai soci nell’assemblea dello scorso 9 febbraio, portano a un patrimonio netto a fine anno di 30,7 milioni (23 milioni al 18 febbraio). È questo il dato che Sala ha sempre rivendicato come un successo, ma che le cose non siano andate come previsto lo si capisce paragonando i nuovi rendiconti con il bilancio del 2014, nella cui relazione di accompagnamento lo stesso Sala scriveva che il 2015 si sarebbe chiuso “con un significativo utile, in grado di coprire le perdite cumulate degli anni precedenti e di portare al pareggio gestionale”

Ma Sala è candidabile come sindaco?

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Ne scrive Panorama, ovviamente tutto da verificare:

«L’ultima “amnesia” di Giuseppe Sala potrebbe costargli la possibilità di correre per Palazzo Marino e la poltrona di consigliere d’amministrazione della Cassa depositi e prestiti, la Cdp, che occupa dallo scorso ottobre: nel numero in edicola da domani, giovedì 12 maggio, Panorama rivela che non risulta siano mai state protocollate le dimissioni di Sala da commissario di Expo2015, carica che lo renderebbe ineleggibile a Milano oltre che incompatibile come consigliere di una società pubblica come la Cdp.
Secondo quanto riporta Panorama, Sala il 28 ottobre 2015 ha firmato l’”autodichiarazione di compatibilità”, necessaria alla nomina in Cdp, affermando di non ricoprire incarichi politici nazionali. Ma questo non è vero: in quel momento Sala era commissario straordinario di governo all’Expo, in piena attività, e questo lo rendeva incompatibile con il nuovo ruolo. In seguito, il candidato Pd risulta essersi poi dimesso solo da amministratore delegato della società Expo, atto annunciato il 18 dicembre 2015 e ratificato due mesi dopo, a campagna elettorale già in corso.
Secondo lo staff di Sala, interpellato da Panorama, le dimissioni “inviate al cda di Expo lo hanno fatto automaticamente decadere anche da commissario”. Ma secondo quanto risulta a Panorama in base alla giurisprudenza le due cariche non cessano assieme. Al contrario, la volontà di terminare l’incarico commissariale andrebbe comunicata al governo e dovrebbe comunque seguire un “atto di pari efficacia costituzionale” rispetto a quello d’incarico: poiché Sala è stato nominato da un decreto del presidente del Consiglio, un altro decreto avrebbe dovuto notificare l’accettazione delle dimissioni, nominando contestualmente un nuovo commissario oppure sopprimere la carica.»

Ops, Sala si è dimenticato della sua casa e del suo conto in Svizzera

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(Gianni Barbacetto per Il Fatto Quotidiano)

«Giuseppe Sala, candidato sindaco a Milano per il centrosinistra, nella sua risposta alle tre domande poste dal Fatto Quotidiano (rapporti con Cl, possesso di conti all’ estero, appartenenza alla massoneria) ha ammesso di avere un conto corrente all’ estero: “Ho un appartamento di vacanze a Pontresina in Svizzera e ho un conto bancario per le spese strettamente connesse all’ abitazione e per nessun altro utilizzo”.
È una casa a La Senda, nell’ incantevole paese di Pontresina, in Engadina, a un passo da St. Moritz. Un conto e una casa all’ estero devono essere dichiarate al fisco italiano, nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Non abbiamo l’accesso all’ anagrafe tributaria, dunque non possiamo verificare se il candidato abbia fatto il suo dovere con il fisco. Ma sappiamo che non l’ha fatto con il Comune di Milano e la società Expo 2015 spa. Perché come amministratore di un’azienda pubblica, Sala ha l’ obbligo di dichiarare i beni immobili posseduti.
Nelle sue dichiarazioni, la casa in Svizzera non c’ è. E non c’ è, a essere puntigliosi, neppure la sua villetta al mare di Zoagli. Sala ha messo online una “Indicazione reddituale e patrimoniale” aggiornata al 31 dicembre 2014 in cui dichiara un reddito imponibile di 410 mila euro e, come beni immobili, il possesso del 12,5% di un fabbricato con due box (è la quota della casa di famiglia a Varedo) e del 100% di un terreno: non ci sono indicazioni ulteriori, ma è il terreno di Zoagli, che però non è un semplice terreno, bensì una villa, quella per cui Sala ha chiesto l’ intervento, a pagamento, dell’ architetto Michele De Lucchi che, mentre lavorava per il commissario di Expo, riceveva da Expo (anche attraverso Fiera Milano spa) incarichi per un valore di oltre 600 mila euro per il Padiglione Zero e l’ Expo Center. In questa dichiarazione non c’ è alcun accenno all’ appartamento in Svizzera.»

Se questo è un manager

Insomma ci hanno detto che Beppe Sala avrebbe di buono il fatto di essere bravo con i conti. E invece alla fine non tornano nemmeno quelli. Ma esattamente, quindi, perché bisognerebbe appoggiarlo? Ecco l’articolo di Gaia Scacciavillani:

«Il candidato sindaco di Milano del Pd, Giuseppe Sala, ha un bel dire che non c’è nessun buco Expo. La società che ha gestito l’esposizione universale meneghina ha chiuso il 2015 con un rosso di 32,6 milioni di euro. A smentire Sala è lo stesso Sala. O meglio, il consiglio di amministrazione di Expo 2015 da lui guidato, che lo scorso 18 gennaio ha messo nero su bianco la cifra in una relazione che è stata discussa dai soci il 9 febbraio scorso. Dieci giorni dopo la data inizialmente prevista, il 29 gennaio a ridosso delle primarie del Pd che hanno incoronato Sala candidato sindaco di Milano, poi spostata su indicazione del ministero dell’Economia.

Nel documento si legge anche che “in considerazione delle spese strutturali previste nei primi mesi del 2016 (quantificabili in 4 milioni mensili), è probabile una ricaduta nelle previsioni dell’articolo 2447 del codice civile durante il mese di marzo”. Il che significa, in altre parole, che secondo i calcoli del consiglio guidato dallo stesso Sala, da febbraio 2016 le disponibilità liquide di Expo 2015 si sono esaurite, ma non le spese. E andando avanti così, è sempre la stima del cda, è prevedibile che entro il mese prossimo la società arrivi ad accumulare perdite superiori a un terzo del suo capitale. Una situazione in cui la legge impone l’abbattimento del capitale stesso e il suo contemporaneo aumento per riportarlo al minimo legale.

La scivolosità della situazione non è sfuggita al collegio sindacale di Expo 2015 che, nel corso dell’assemblea che due settimane fa ha deliberato la messa in liquidazione della società, ha chiesto “chiarezza in relazione alla necessità di risorse per la liquidazione” stessa. Tanto più che anche Sala ha confermato che “le risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane”  e che “è importante rendere chiara la situazione al nominato organo di liquidazione”. Anche perché i liquidatori freschi di nomina – il prorettore della Bocconi Alberto Grando, Elena Vasco (Camera di Commercio), Maria Martoccia (ministero Finanze) e i confermati Domenico Ajello (Regione Lombardia) e Michele Saponara (Città Metropolitana) per i quali è stato fissato un compenso complessivo di 150mila euro – hanno 90 giorni per elaborare un progetto di  liquidazione. Per la scadenza, però, stando alle stime del cda, Expo 2015 avrà una carenza di liquidità di oltre 80 milioni di euro.

Nel frattempo, però, è imminente una finalizzazione degli accordi con Arexpo sulla gestione delle aree fino a giugno 2016, quando i terreni torneranno sotto l’ala della società in cui sta facendo il suo ingresso il Tesoro. Le indicazioni dei soci di Expo 2015 ai liquidatori sono inequivocabili, in quanto auspicano “il compimento di una attività di rivitalizzazione di parti del sito Expo 2015 nella fase transitoria dello smantellamento del sito stesso, attuato preservando i valori del sito medesimo, secondo principi di sinergia fra le società Expo 2015 S.p.A. e Arexpo S.p.A., nel rispetto delle funzioni proprie di ciascuna delle due società”. I liquidatori, quindi, sono invitati ad individuare, tra i principali criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione, quelli preordinati alla realizzazione “di eventuali sinergie e collaborazioni tra Expo e Arexpo S.p.A;  anche con riferimento alla fase convenzionalmente denominata Fast Post Expo“. Cioè  l’evento previsto in concomitanza con la ventunesima Triennale Internazionale di Milano, tra aprile e settembre, che dovrebbe utilizzare l’area del Cardo.

Il punto non è secondario. Secondo i calcoli del vecchio cda di expo, infatti, per il 2016 la società ha bisogno di 58,3 milioni di euro: 39,6 per lo smantellamento e 18,7 per la chiusura dell’azienda. La somma andrebbe chiesta pro quota ai soci (pubblici) di Expo. Ma grazie al Fast Post Expo può essere ridotta di 19,5 milioni con il “ribaltamento dei costi sostenuti ad Arexpo”. E così agli azionisti di Expo toccherebbe sborsare “solo” 38,8 milioni: al ministero dell’Economia toccherebbero 15,5 milioni, alla Regione e al Comune 7,8 a testa, mentre la Provincia e alla Camera di Commercio ne dovrebbero versare 3,9 ciascuna. Resta da capire quanto costerà l’operazione sul lato Arexpo i cui soci, dopo l’ingresso del Tesoro, saranno ancora una volta lo Stato, la Regione e il Comune, oltre alla Fondazione Fiera Milano pur destinata a diluirsi fortemente.»

 

Cosa c’entrano Formigoni e Lady Gaga con le primarie di Milano

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Ma andiamo con ordine. A Milano sono andate in onda le primarie del centrosinistra. Meglio: sono andate in onda le primarie tra i nostalgici idealisti e visionari e dall’altra parte il Grande Partito della Politica Nazionale sempre in cerca dei manager più brillanti per la propria rete di vendita del consenso. Da una parte ci stavano i due candidati specializzati nell’umanità dei numeri (Majorino) e nell’etica della serietà (Balzani) mentre di là il manager più manageriale del momento, il Bertolaso in salsa renziana, il candidato Giuseppe Sala, l’universalmente esposto, macinava tutt’altro: fili di governo, sponsor importanti e quella faccia un po’ così di quello che ci sta facendo un piacere ad essersi candidato e pure “abbassato” a primeggiare nelle primarie prima della corsa vera. Quelli facevano le primarie e lui aveva già superato il colloquio di assunzione. Per dire.

Per carità, niente contro Giuseppe Sala: al di là della piccola spinta di un EXPO al posto dei gazebo come campagna elettorale, di un bilancio finale (dell’Expo) che ha acceso una difformità di interpretazioni nemmeno fosse stato il quinto vangelo e la sfortuna di avere avuto qualche collaboratore infingardo mi dicono comunque che sia uno bravo a fare di conto e hanno pensato bene di farne l’amministratore delegato di Milano. Con un piccolo neo: che Sala sta al progetto Pisapia (o comunque a quello che gli elettori hanno creduto di vedere nell’era Pisapia) come Formigoni potrebbe stare a Lady Gaga: possono scimmiottarne le mossette ma il risultato finale rimane piuttosto distante. Ah, c’è un altro piccolo neo: Sala ha vinto le primarie di centrosinistra senza essere di sinistra e forse appena appena di centro. Niente di grave, eh, sta benissimo nel nuovo corso del Partito Unico ma Milano ha il cuore morbido e chissà perché ci sperava ancora che questa cosa del Partito della Nazione fosse solo una maldicenza.

(Continua qui su Left)

Beppe Sala, le perdite che sono complesse e i giornalisti allontanati.

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Vi prego ditemi chi è il genio che sta gestendo la campagna di comunicazione del candidato alle primarie di Milano Giuseppe Sala. Perché di sicuro deve essere amico di Majorino, della Balzani oppure di tutti e due.

Ieri durante una seduta di commissione al comune di Milano il candidato sindaco nonché deus ex machina dell’Expo ha detto che “la perdita nel bilancio di Expo deriva da meccanismi molto complessi” che è un modo edulcorato per dirci “tanto voi non capite un cazzo”.

La verità gli scappa durante una delle risposte: “La perdita deriva da meccanismi molto complessi”. Perdita? Giuseppe Sala continua a parlare di chiusura in positivo dell’operazione, nella burrascosa seduta di ieri delle commissioni del Comune di Milano, ma poi arriva il lapsus. Per il resto, le domande dei consiglieri spiegano molto più delle risposte del commissario-candidato sindaco. La trincea in cui s’attesta è quella del patrimonio netto, positivo per 14,2 milioni. Ma il consigliere Basilio Rizzo(presidente del Consiglio comunale) gli ricorda che la Corte dei conti nel 2013 prevedeva che fosse di 135 milioni, “e ora festeggiamo per 14,2?”. Rincara la dose Manfredi Palmeri (Terzo Polo): “Il patrimonio era di 48 milioni nel 2014, ora è di 14,2: dunque c’è stata una perdita di 33,8 milioni, altro che risultato positivo”.

Ah, per concludere in bellezza la giornata registriamo che sono stati allontanati dall’aula in cui si teneva la seduta di commissione (pubblica) alcuni giornalisti che non “avevano telecamere o macchine fotografiche”. Indovinate un po’? Proprio quelli che hanno scritto male di Expo, Barbacetto in testa. Bravi. Avanti così.

E Verdini voterebbe Giuseppe Sala

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Verdini dichiara che a Milano voterebbe Giuseppe Sala. E dice che gli dispiace per Sallusti che è un suo amico ma la sua preferenza la darebbe a Sala non solo come sindaco ma anche per la sua “coalizione”.

E il bello è che mentre Sala dice “niente strumentalizzazioni” intanto incassa. Tanto basta fingersi di centrosinistra. Gliel’hanno insegnato bene.

Ma davvero bisogna votare Sala perché vince lui?

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L’ultimo in ordine di tempo è Umberto Ambrosoli qui, persona che stimo e di cui sono amico. Però sono in molti quelli che dicono “votare Sala per battere il centrodestra”. Che poi sono gli stessi che dicevano che avremmo dovuto votare Boeri alle primarie di cinque anni fa perché “Pisapia non vincerebbe mai contro la Moratti”. Andatevi a rileggere le dichiarazioni delle scorse elezioni a Milano e vi accorgerete quanto siamo un Paese con una memoria labile o, forse, semplicemente quanta impunità ci sia da parte di chi giustifica tutte le volte le stesse scelte (che per carità possono essere condivisibili o no) con gli stessi modi.

Ma davvero a Milano, in questa Milano, dopo questi cinque anni, ancora qualcuno dice che bisogna votare qualcuno perché vince? Ma davvero dopo Renzi, dopo che ci avevano detto che forse “non era tanto di sinistra” ma serviva “per vincere”, dopo tutto quello che è successo in Italia ancora ci si ostina a raccontare questa storiella?

Ma soprattutto: ma davvero esiste gente che valuta le possibilità di vittoria come elemento fondante per esprimere un’opinione politica?

Perché davvero allora non l’avrebbe fatta nessuno la Resistenza. Altro che fratelli Cervi.