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il foglio

Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Fuori un altro. Un’altra penna (non serva) spezzata

Alessandro Giuli allontanato da Il Foglio. Ne scrive Luca Telese:

«Eppure (evidentemente) il nuovo corso del Foglio ha un altro segno, meno corsaro: l’ Elefantino era un ex ministro che poteva permettersi di fare la fronda a tutti; il suo successore è un trentenne che si è (legittimamente) convinto che il suo giornale debba accompagnare e sostenere la battaglia di Matteo. Quello che sorprende però – è la durezza della comunicazione che arriva al comitato di redazione («Si è interrotto il rapporto di fiducia»), accompagnata da un preannuncio informale di licenziamento. In un giornale in cui, nei primi anni, i pezzi venivano pagati (anche) in bottiglie di champagne, in un giornale così eterodosso da rivelare ben tredici diverse intenzioni di voto da Rifondazione (Marianna Rizzini) all’ala ciellina del Pdl (Ubaldo Casotto). In un giornale così si può essere cacciati per incompatibilità politica? Si dirà: la storia di Giuli è un caso a sé. Anche la storia del direttore di questo quotidiano, cacciato da Libero senza che nessun giornale (tranne Il Fatto) raccontasse perché, era una storia a sé. Anche la vicenda di Bianca Berlinguer, cacciata dalla guida del Tg3 per metterci il curatore di un programma che si era dimesso per un editoriale critico di Massimo Giannini contro il premier, anche quella è un caso a sé. Anche la storia di Massimo Giannini, cacciato da Ballaró con la scusa che faceva il 6% (ma sostituito da uno gradito a Palazzo Chigi, che fa il 3%, però non si tocca) è un caso a sé. Anche l’ allontanamento di Nicola Porro da Virus deve essere un caso a sé. Anche la fine della satira di Francesca Fornario a Radio2 è un caso a sé. Anche chiudere Lillo e Greg è un caso a sé. Anche la vicenda di Massimo Franchi minacciato di un provvedimento disciplinare a l’ Unità per un tweet (fuori orario di lavoro) contro l’ alleanza tra il Pd e Verdini è una storia a sé. Ma diceva Agatha Christie che tre coincidenze fanno una prova. Qui son troppe, le coincidenze. Forse il filo comune di queste storie «a sé» è che non essere giornalista amico di Renzi nell’ Italia di oggi non aiuta a fare carriera.»

(fonte)

Genio

Ho sempre ritenuto geniale Maurizio Milani. Per questo non mi stupisce la sua sparizione televisiva. Ma se andate a cercarlo lascia sempre a bocca aperta.

Questa rubrica era nata per far innamorare una ragazza. A distanza di 5 anni lei non ha ceduto. Anzi, oggi sposa un altro (un mio collega con rubrica sul Foglio). Pensare che lei non leggeva il Foglio, quando ho iniziato a collaborarci le ho attaccato il vizio di leggerlo. Mai avrei pensato che si innamorasse di un’altra rubrica. Adesso la sposa. La rubrica viene sospesa mestamente. Pensare che ero innamorato come un cane. Comunque lei era già fidanzata. In 5 anni ha cambiato 5 morosoni. Non è da escludere che il mio collega del Foglio sia lasciato dopo le nozze. (Maurizio Milani sul Foglio di oggi)