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Un post-it per Salvini: gli italiani all’estero crescono più degli immigrati

Pensa se ce li rimandassero tutti indietro. Qui l’articolo di Redattoresociale.it:

Vivere-estero-cosa-significa-per-italianiROMA – Gli italiani all’estero crescono più degli immigrati: è la prima volta in 20 anni, ovvero da quando negli anni ’90 l’immigrazione in Italia ha avuto una forte crescita. Lo rivela il Dossier statistico immigrazione 2015, la cui presentazione è prevista in autunno. I dati presi in considerazione nel nuovo rapporto a cura del centro studi Idos si riferiscono al 2014. “Un anno particolare – spiega il presidente di Idos Ugo Melchionda – che ha visto aumentare i cittadini italiani residenti all’estero (4.637.000, 155 mila in più rispetto all’anno precedente), rispetto a quello dei cittadini stranieri residenti in Italia (5.014.000), aumentati solo di 92 mila unità”. Invece, nei due anni precedenti lo stock degli stranieri residenti in Italia era aumentato di diverse centinaia di migliaia e quello degli italiani residenti all’estero di 155 mila unità nel 2013 e di 141 mila nel 2012. È aumentato anche il numero degli italiani che durante l’anno si sono cancellati dai loro comuni per andare a risiedere all’estero (89 mila nel 2014).

Questi cambiamenti, che non mancheranno di richiamare l’attenzione degli Stati Generali dell’Associazionismo italiano nel mondo, convocati a Roma per il 3 e il 4 luglio, hanno alla loro origine diversi fattori. Anche il 2014, come quello precedente, è stato un anno privo di quote di ingresso di lavoratori dall’estero, ad esclusione delle poche migliaia previste per il settore stagionale o per la conversione di permessi di soggiorno già in vigore in nuovi permessi per motivi di lavoro. Sono continuate, invece, le domande di visti per ricongiungimento familiare (60 mila), seppure in diminuzione rispetto al passato (76 mila nel 2013). Bisogna tenere conto anche dell’elevato numero di stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana: da 60 mila casi nel 2012 si è passati a 100 mila nel 2013 e a 130 mila nel 2014, a quanto pare in circa 4 casi su 10 riguardanti minori che hanno ricevuto la cittadinanza per trasmissione automatica dai genitori stranieri divenuti italiani e a diciottenni nati in Italia che hanno richiesto la cittadinanza.

La popolazione complessivamente residente in Italia alla fine del 2014 (60.796.000) è caratterizzata da un’età media diventata più elevata (44,4 anni) e dall’aumentata incidenza degli ultrasessantacinquenni (21,7%), superiore anche a quella che si riscontra tra gli italiani all’estero (19,9%). Inoltre, il consistente saldo negativo tra nuovi nati e morti (rispettivamente 503.000 e 598.000) trova un equivalente solo in quello degli anni 1917-1918, allora effetto della prima guerra mondiale. Gli immigrati costituiscono un parziale temperamento a questo processo di invecchiamento perché sono mediamente più giovani degli italiani, incidono per circa un sesto sulle nuove nascite (75 mila nuovi nati da entrambi i genitori stranieri nel 2014).

Un altro notevole cambiamento è riferibile all’impennata del numero di profughi (170 mila), arrivati via mare dall’Africa e dall’Asia, seppure in buona parte interessati a raggiungere altri paesi esteri. In pratica, questi arrivi stanno sostituendo la politica delle quote in ingresso per motivi di lavoro. Si è di fronte a un vero e propriofenomeno epocale, da riferire agli sconvolgimenti in atto nei paesi di origine e alla loro transizione demografica (in Africa, nel 2050, è previsto il raddoppio della popolazione fino a 2,4 miliardi di persone). Tale fenomeno, da un lato investe le responsabilità degli organi decisionali dell’Ue e dei singoli Stati membri, e dall’altro rischia di far trascurare le prospettive di integrazione dei 5 milioni di immigrati già residenti in Italia e di favorire derive xenofobe.

Questi sono alcuni dei temi che verranno ampiamente sviluppati nel Dossier statistico immigrazione 2015. Permane la collaborazione con l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali presso il dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri e viene attivata quella con i redattori della rivista interreligiosa “Confronti”. Il Fondo Otto per Mille della Chiesa Valdese (Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste) contribuisce al finanziamento del Dossier.

Franco Pittau, che nel 1991 fu l’ideatore del Rapporto, continuerà per il 25° anno a fornire il suo contributo, occupandosi della parte dedicata alle singole regioni. Coordinatori del rapporto saranno Ugo Melchionda, nuovo presidente di Idos, e Claudio Paravati, direttore della Rivista Confronti, mentre il direttore generale dell’Unar, consigliere Marco De Giorgi, oltre a mettere a disposizione diversi esperti per trattare i temi riguardanti le discriminazioni, con la propria rete sarà di supporto alla presentazione del Dossier, in contemporanea in tutte le Regioni all’uscita dell’annuario e, quindi, in occasione degli eventi successivi: nel 2014 ne sono stati realizzati più di 170 con il concorso degli enti locali e dell’associazionismo di ispirazione laica e religiosa.

La bufala degli immigrati negli alberghi (ovvero l’ennesima puntata sulle bugie di Salvini)

Schermata-06-2457190-alle-10.44.08Oggi essere buoni è una nuova forma di resistenza. In tempo di machismo che ha sdoganato bugiardi, stupidi e razzisti circolano delle bugie costruite ad arte per toccare la pancia degli indignati a tutti i costi che scaricano spesso i propri fallimenti sociali su un nemico qualsiasi. Il Post, per fortuna, ha smontato una volta per tutte la favola degli hotel di lusso che accoglierebbero i migranti secondo la fantasia popolare leghista:

Il sistema di accoglienza in Italia è articolato e complicato, e non è molto chiaro a quali strutture faccia direttamente riferimento Salvini quando parla di “hotel di lusso”. Sul sito del ministero dell’Interno si dice:

«i cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia sono accolti nei centri per l’immigrazione dove ricevono assistenza, vengono identificati e trattenuti in vista dell’espulsione oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, per le procedure di accertamento dei relativi requisiti».

Queste strutture si dividono in: centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda), centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e centri di identificazione ed espulsione (Cie).

I Cpsa accolgono i migranti al momento del loro arrivo in Italia. Qui vengono fornite le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale e poi, a seconda della loro condizione, vengono trasferiti nelle altre tipologie di centri. I centri di accoglienza (Cda), dice il ministero, «garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia». Chi richiede la protezione internazionale viene invece inviato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), per l’identificazione e l’avvio delle procedure necessarie. Chi non fa richiesta di protezione internazionale o non ne ha i requisiti viene trattenuto infine nei centri di identificazione ed espulsione (Cie). Va precisato che queste stesse strutture, per le quali è fissata per legge una durata massima di permanenza, vengono invece utilizzate anche come centri di accoglienza di lunga durata.

Parallelamente a queste strutture ci sono i centri del cosiddetto Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) per i richiedenti asilo, rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria. Lo Sprar è stato istituito nel 2002 in seguito a un accordo stipulato dal ministero dell’Interno, dall’ANCI e dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), che hanno cercato di mettere ordine nei programmi di accoglienza in precedenza gestiti a livello locale. Il ministero dell’Interno emana periodicamente un bando per l’assegnazione dei posti, gli enti locali interessati – con le organizzazioni del terzo settore selezionate a livello locale – partecipano al bando e i progetti vengono approvati se “idonei” in base a una serie di parametri piuttosto rigidi. In pratica, enti locali e associazioni mettono a disposizione dei posti letto e lo Stato sceglie di quali usufruire attraverso un bando, che tiene conto dei costi e di altri criteri. Secondo i dati del ministero dell’Interno i posti finanziati per gli anni 2014-2016 sono 20.744: tra questi rientrano anche, tra le varie strutture, alcuni alberghi. Nella grandissima parte dei casi, stando alle informazioni disponibili, si tratta di strutture distanti dagli hotel in cui si passano le vacanze (tanto che i loro gestori hanno deciso di destinarle allo Sprar invece che al pubblico): ma vengono considerate comunque tra le migliori e più adeguate sistemazioni che lo Stato oggi possa mettere a disposizione di chi richiede asilo e protezione.

C’è infine un ultimo tipo di centri. Nel tempo sono nate infatti altre strutture per l’accoglienza in contesti “straordinari” che hanno assunto via via nomi differenti: ci sono stati i centri Ena per far fronte alla cosiddetta “emergenza nord-Africa” nel 2011 o, in anni più recenti, i Cas (Centri di accoglienza straordinari). Di volta in volta si è dato mandato alle prefetture di trovare strutture per l’accoglienza: palestre, alberghi, appartamenti, B&B e altri posti sparsi in tutta Italia e gestiti da cooperative, associazioni e soggetti del terzo settore.

Queste strutture “informali”, nate a fronte di un’emergenza, vengono messe a disposizione per un’accoglienza che si limita a garantire il vitto e l’alloggio e sono state molto criticate: ma non perché si tratti di strutture lussuose, bensì in molti casi per il motivo opposto. Nonostante queste strutture siano state “attivate” per un’accoglienza di emergenza, e dunque si presume di breve durata, diventano in molti casi posti in cui i richiedenti asilo trascorrono settimane senza che siano garantiti loro servizi fondamentali, come quello per esempio dell’assistenza sanitaria e legale. In molti casi, poi, si tratta di strutture inadeguate: il Tropicana, un vecchio night club a Ragusa, ne è un esempio. In questo video di Al Jazeera si vede chiaramente che non si tratta di un albergo di lusso

L’articolo completo è qui.

 

E poi scopro che sono stato profeta su #TorSapienza

Basta leggere quello che scrivevamo qui, eh.

roma-141113144703Chi insufflò le prove di pogrom di Tor Sapienza? Chi doveva incassare i dividendi delle notti di fuoco, sassi e cocci di bottiglia di una borgata “rossa” che improvvisamente, a metà novembre, si era accesa al comando di saluti romani e ronde assetate di “negri” e “arabi”? Sono stati scomodati i sociologi per provare a dare un senso alla furia della banlieue di Roma. E invece, per raccontare quella storia bisogna cominciare da un’altra parte. Dagli appetiti mafiosi del Mondo di Mezzo. Dai Signori degli appalti del “terzo settore” Salvatore Buzzi e Sandro Coltellacci, oggi a Regina Coeli per mafia, dal loro interfaccia “nero” Massimo Carminati e dalla sua manovalanza del Mondo di Sotto. E da una coraggiosa donna salentina, Gabriella Errico, presidente della cooperativa sociale “Un sorriso”, che in quelle notti ha perso tutto. I 45 minori non accompagnati di cui aveva la custodia e la struttura che li ospitava, resa inagibile da un assedio violento.

Seduta nel suo ufficio a Cinecittà, Gabriella respira profondo. “Sono madre di due bambini. Ho paura”, dice. “Ho ancora paura”. Ma non della furia di Tor Sapienza. Di quei due lì. Buzzi e Coltellacci. Del ricordo di quella telefonata arrivata durante il secondo giorno dell’assedio. “Mi chiamò Buzzi. Mi disse: “Resisti, Gabriella, mi raccomando”. Gli spiegai cosa stava succedendo. “Qui fuori è l’inferno. Sono fascisti, Salvatore. Gridano “Duce, Duce”. Mi rispose lasciandomi di sale: “Non ti preoccupare. Ora faccio un paio di telefonate e sistemo””.

“Ce l’ho in pancia”. Un paio di telefonate. E a chi? “Non capivo cosa c’entrasse Buzzi con i fascisti”, dice Gabriella. Con i giorni, quel dubbio diventa un pensiero cattivo. La rivolta di Tor Sapienza è sedata, la cooperativa ha perso il centro e i suoi minori, trasferiti nella struttura della Domus Caritatis all’Infernetto. Gabriella viene avvicinata da un amico. “Mi disse che Buzzi andava dicendo che ora “mi aveva in pancia”. Sì, così diceva: “Ora, ho in pancia quella lì del Sorriso”. Mi infuriai. E per un attimo pensai che a Tor Sapienza solo la mia cooperativa era stata assediata. Come mai le strutture nell’orbita di Tiziano Zuccolo, grande amico di Buzzi, che pure ospitavano migranti adulti non erano state sfiorate dalla rivolta? Dissi al mio amico che Buzzi non aveva in pancia proprio un bel niente”. E però, dopo poco, Buzzi si fa vivo. “Mi fissò un appuntamento per il 4 dicembre alle 11. Mi disse che era venuto il momento di sedersi intorno a un tavolo e discutere del “Condominio Misna””. Condominio Misna? “Era il suo modo di dire. Per riferirsi alla spartizione degli appalti, lui diceva “condominio”. O anche “cartello”. Voleva parlarmi di come intendeva dividere la torta dei “misna”, che sta per “minori stranieri non accompagnati”. Pensava evidentemente che, dopo Tor Sapienza, fossi finalmente pronta a cedere. Per fortuna, il 2 dicembre lo hanno arrestato”.

“Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”

Un bigino da stampare e da tenere in tasca per la prossima strabica rivolta in stile Tor Sapienza:

Per la “cupola” di Roma l’emergenza immigrati era una miniera d’oro: i fondi per i centri d’accoglienza sono un piatto ricco e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti fa in modo che parte di questi finanziamenti finisca nelle tasche delle cooperative amiche. Gli inquirenti lo chiamano “Sistema Odevaine“: “La gestione dell’emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo – si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini – alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla P.A.”.

Un sistema studiato per far arrivare i soldi pubblici ai gestori amici “che si dividono il mercato“. E il mercato dei fondi statali per i centri di accoglienza per gli immigrati è immenso. Gli inquirenti parlano della “possibilità di trarre profitti illeciti immensi (…) paragonabili a quelli degli investimenti illeciti realizzati in altri settori criminali come lo smercio di stupefacenti. Le intercettazioni parlano chiaro. Al telefono con Pierina ChiaravalleSalvatore Buzzi, numero uno della cooperativa “29 giugno” e braccio operativo dell’organizzazione, domanda: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.

Il centro del sistema è Luca Odevaine. Ex vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e capo della polizia provinciale di Roma, “Odevaine è un signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza immigrati”, scrivono i pm. Perché è così importante la sua figura? “La qualità pubblicistica di Odevaine risiede nell’essere appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione” e al contempo è “esperto del presidente del C.d.A. per il Consorzio “Calatino Terra d’Accoglienza”» , ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo“. Un’intercettazione in cui Odevaine parla con il suo commercialista fotografa il suo ruolo: “Avendo questa relazione continua con il Ministero – spiega l’ex vice capo segreteria di Veltroni – sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da… da giù… anche perché spesso passano per Mineo… e poi… vengono smistati in giro per l’Italia… se loro c’hanno strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza… senza gara… (inc.) le strutture disponibili vengono occupate… e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro…”.

Odevaine è ben pagato, secondo Salvatore Buzzi. Parlando con Giovanni Campennì, il braccio operativo dell’organizzazione spiega: “Mò c’ho quattro… quattro cavalli che corrono… col PD, poi con la PDL ce ne ho tre e con Marchini c’è… c’ho rapporti con Luca (Odevaine, ndr) quindi va bene lo stesso… lo sai a Luca quanto gli do? Cinquemila euro al mese… ogni mese… ed io ne piglio quattromila”.

Il piatto è ghiotto anche nella sola città di Roma e la cupola è talmente potente da deviare in sede di bilancio pluriennale risorse in favore delle strutture di accoglienza. Gli inquirenti sottolineano la “capacità del sodalizio indagato, di interferire nelle decisioni dell’Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell’amministrazione locale, al fine di ottenere l’assegnazione di fondi pubblici per rifinanziare “i campi nomadi”, la pulizia delle “aree verdi” e dei “Minori per l’emergenza Nord Africa”, tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi”.

All’epoca dei fatti alla guida del dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della salute del Comune di Roma (che gestisce la questione immigrati) c’era Angelo Scozzafava, con il quale la “cupola” aveva ottimi rapporti: “Le indagini hanno evidenziato l’ipotesi di una remunerazione dell’attività funzionale di costui da parte di gruppo criminale  – scrivono gli inquirenti – con la promessa dell’assegnazione di un appartamento in una cooperativa” perché “Scozzi” come lo chiamano i sodali, “si fa promotore di attività a favore del gruppo presso altri organi dell’amministrazione comunale, per spingere su finanziamenti a favore del campo nomadi“. Ma dopo le elezioni comunali del 2013 le cose cambiano: il 14 giugno 2013 Buzzi raccontava al telefono a Carminati di trovarsi al Campidoglio “in giro per i Dipartimenti a saluta’ le persone”. La decisione veniva accolta favorevolmente accolta dall’ex Nar che riteneva necessario “vendere il prodotto amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane ades…adesso”. A quel punto Buzzi raccontava la difficoltà di muoversi nell’ambito della nuova situazione politica romana in quanto in quel momento “solo in quattro sanno quello che succede e sono nell’ordine BianchiniMarinoZingaretti e Meta“, e Carminati rispondeva in maniera eloquente: “E allora mettiti la minigonna e vai a batte co’ questi, amico mio”.

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Immigrati armati

Il ministro Mauro: “cittadinanza a chi presta servizio nelle forze armate“.

Commenta Mao Valpiana:

Il Ministro con l’elemetto, Mauro, propone agli immigrati il servizio militare in cambio della cittadinanza italiana; la ministra smemorata, Kyenge, che si era dimenticata di aprire il servizio civile agli stranieri, lo sostiene. Un governo allo sbando confonde i diritti con i ricatti (e dimostra che il servizio militare volontario non ha consenso, a differenza del servizio civile volontario). Due ministri che farebbero bene a ripassare l’idea costituzionale della “difesa della patria” (civile, non armata, nonviolenta)“.

La solidarietà è un reato

Dunque i bambini, gli uomini e le donne accatastati uno sopra l’altro lì a Lampedusa nel Centro di Prima Accoglienza sono indagati perché colpevoli.

Dunque i pescatori che solidali hanno prestato soccorso a quel bambino di 11 anni aggrappato ad una bottiglietta sono colpevoli di favoreggiamento.

Insomma gli unici innocenti nel mare di dolore e solidarietà sono i morti.

Non basta questo per valutare la giustizia (umana) che c’è dietro la Bossi-Fini?

Non siamo nemmeno all’altezza dei nostri morti

img1024-700_dettaglio2_Lampedusa-tragediaLa strage di Lampedusa non sanguina oggi, no. Sanguinerà domani sera, forse, e sicuramente dopodomani quando verrà archiviata tra le morti straniere in patria e riempirà il faldone delle cose da dimenticare subito dopo l’erezione fisica dovuta all’indignazione.

Piangere oggi le vittime di Lampedusa è un diritto di chi ha il giusto sentore delle sevizie dei CIE, di chi non scambia lo schiavismo per libera prostituzione, di chi giudica un morto perché è morto e non dove è nato o, ad esempio, di chi ha il mirabolante coraggio di inserire tra le cifre del femminicidio quelle ragazzine puttanelle che rimangono ammazzate ai bordi delle strade tra i profilattici usati e il bidone incendiato per scaldarsi.

Piangiamo lacrime italiane per gli italiani, lacrime non comunitarie per gli extracomunitari e lacrime da pasto per i profughi: diversifichiamo il dolore con una pratica del lutto che, nemmeno lei, riesce a non essere federalista e democratica.

Mio nonno si chiamava Gregorio, Gregorio Cavalli, detto Gigeto per quell’abitudine veneta di smitizzare per diluire la fatica di vivere, e si era trasferito in America per lavorare prima al canale di Panama e poi aprire un bar americano come si vedono i bar americani nei film americani. Quando è tornato a Carpanè (Carpanè Valstagna) per tutti era “l’americano” e si è comprato anche una bella casa: con nonna e poi mio padre e i suoi fratelli. Quando era tornato a casa mio nonno Gigeto aveva perso un braccio. Nei racconti epici del bar giù a Carpanè si raccontava di Greogorio Cavalli l’Americano che aveva lasciato un braccio sotto la ruota di un carro. Lì, in America, probabilmente, avevano scritto che “un italiano ha perso un braccio sul lavoro” e tutti a dire che guarda questi italiani che lavorano come muli, disposti a tutto per un tozzo di pane, e forse chissà che giri loschi aveva l’italiano e magari vuoi che sia stata una vendetta. Una cosa così.

Oggi a Lampedusa sono morti centinaia di nonni Gigeto che non hanno nemmeno avuto l’occasione di essere epici nel proprio bar dopo essere stati servi in terra straniera. Oggi a Lampedusa sono morti di adrenalina, vomito, placenta e sangue dei morti che muoiono tutto il giorno e solo oggi faranno un po’ più di rumore perché hanno superato i chili di cadaveri ammessi per la normalità del lutto quotidiano.

Le discussioni politiche sono state strumentali alle persone piccolissime che gareggiano in propaganda. Le morti invece no, le morti, mannaggia dio, sono sempre altissime nonostante i colori e le provenienze. E noi sempre immaturi vivi davanti ai morti. Adolescenti di fronte ad ogni sentimento che sia più del tifo o dell’odio.

Per rispettare la legge 286. Anche in Lombardia.

Mi scrive il GrIS Lombardia ed è inevitabile garantire il mio impegno:

simm_societa_italiana_medicina_migrazioniIn dissonanza con il Decreto Legislativo 286/1998, la Regione Lombardia non ha organizzato in modo sistematico l’accesso alla medicina di base per gli stranieri senza permesso di soggiorno. Nel dicembre 2012 tuttavia è stato sottoscritto dalla conferenza Stato-Regioni un documento fondamentale, intitolato “Indicazione per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle regioni e delle province autonome italiane” con il quale si promuove l’omogeneità di applicazione su tutto il territorio nazionale delle disposizioni contenute nel Decreto legislativo 286/1998. In questo contesto, la invitiamo a impegnarsi pubblicamente: a garantire il suo impegno perché la legge 286 venga applicata anche in regione Lombardia, e perché la salute per gli immigrati non regolari venga effettivamente garantita tramite una capillare organizzazione dei servizi. ad assicurarsi che in particolare i minori figli di immigrati irregolari ricevano un appropriato accesso alla salute di base, con particolare riguardo alla pediatria di base a promuovere un’effettiva uguaglianza di tutti gli immigrati privi di assistenza sanitaria, siano essi non comunitari (cosiddetti STP, stranieri temporaneamente presenti) o comunitari (cosiddetti ENI, europeo non iscritto). a offrire la propria disponibilità di essere interlocutore, all’interno del consiglio regionale della Lombardia, per i temi relativi alla salute degli immigrati.

La Regione è l’istituzione cui è affidato il compito di garantire la salute pubblica. È per questa ragione che il GrIS si rivolge a chi ha deciso di impegnarsi nel compito di amministrare la Lombardia, con la convinzione che una volta in carica, gli eletti potranno promuovere una maggiore salute sia dei singoli sia della collettività, anche attraverso politiche sanitarie capaci di garantire e/o migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei servizi sanitari del territorio anche per tutte le persone immigrate presenti in Lombardia.

La portavoce del GrIS Lombardia

Mariachiara Boninsegna

Vaghiamo come zombie

Dalla prigione per innocenti di via Corelli questo è quanto siamo riusciti a raccontare.
Luoghi fallimentari sotto ogni punto di vista: da quello scontato e minimo dei diritti umani, a quello di chi vuole espulsioni e politiche repressive verso i migranti: c’è da chiedersi, dal loro punto di vista, come possa essere considerato funzionante ed efficiente un sistema che tiene ingabbiata una persona fino a 18 mesi perchè non è in grado di identificarla.
Con tutto quello che questo comporta in termini di esasperazione nei centri e di soldi pubblici pagati. E di mesi di vita rubati.

I giornalisti entrano nel CIE di via Corelli, a Milano. Lo raccontano MilanoX, e Redattore Sociale.

Quelli che ieri hanno perso 1 a 0

Sono quelli che hanno esultato sul divano davanti ai goal di Balotelli ma non riconoscono in Parlamento la cittadinanza a chi è nato in Italia. Oggi rileggono i propri programmi politici e scoprono che hanno perso uno a zero in semifinale con la Germania. La loro avventura europea è finita qui. E forse sarebbe bello che noi prendessimo l’assist al volo di Super Mario e decidessimo di segnare una volta per tutte e chiudere la partita.

(beh, direte voi, bisogna vedere cosa ne dice l’ala destra del centrosinistra. Vero. Sì. Mi sarò fatto prendere dall’entusiasmo. Noi italiani. Ci basta poco)