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immigrazione

Ve lo meritate, Salvini

Un paese senza cultura facilmente si innamora dei briganti, convinto com’è che la prepotenza sia l’unica strada percorribile per affrontare tutte quelle dinamiche sociali che hanno la “lotta” come unica chiave di lettura. E così le bugie ripetute all’infinito alla fine diventano non solo vere ma addirittura veri e propri allarmi.

Andrea Colasuonno per Esse smonta le 9 balle più ascoltate sull’immigrazione:

1) “Vengono tutti in Italia” Gli stranieri in Italia sono poco più di 5 milioni e mezzo, ossia l’8% della popolazione. Solo 300 mila sono gli irregolari. Il Regno Unito è il paese europeo al primo posto per numero di nuovi immigrati con circa 560.000 arrivi ogni anno. Seguono la Germania, la Spagna e poi l’Italia. La Germania è invece il paese Ue con il maggior numero di stranieri residenti con 7,4 milioni di persone. Segue la Spagna e poi l’Italia. Siamo sesti inoltre per numero di richieste d’asilo (27.800). Da notare che il paese col più alto numero di immigrati è anche l’unico che in questo momento sta crescendo economicamente.

2) “Li manteniamo con i nostri soldi” Gli stranieri con il loro lavoro contribuisco al Pil italiano per l’11% , mentre per loro lo stato stanzia meno del 3% dell’intera spesa sociale. Inoltre gli immigrati ci pagano letteralmente le pensioni. L’età media dei lavoratori non italiani è 31 anni, mentre quella degli italiani 44 anni. Bisognerà aspettare il 2025 perché gli stranieri pensionati siano uno ogni 25, mentre gli italiani pensionati sono oggi 1 su 3. Ecco che i contributi versati dagli stranieri (circa 9 miliardi) oggi servono a pagare le pensioni degli italiani.

3) “Ci rubano il lavoro” “La crescita della presenza straniera non si è riflessa in minori opportunità occupazionali per gli italiani”, è la Banca d’Italia a parlare. Il lavoro straniero in Italia ha colmato un vuoto provocato da fattori demografici. Prendiamo il Veneto. Fra il 2004 e il 2008 ci sono stati 65.000 nuovi assunti all’anno, 43.000 giovani italiani e 22.000 giovani stranieri. Nel periodo in cui i nuovi assunti sono presumibilmente nati, negli anni dal 1979 al 1983, la natalità è stata di 43.000 unità all’anno. È facile vedere allora che se non ci fossero stati gli immigrati, 22.000 posti di lavoro sarebbero rimasti vacanti. Questo al Centro-Nord. La situazione è un po’ più problematica al Sud, perché in un’economia fragile e meno strutturata spesso gli stranieri accettano paghe più basse e condizioni lavorative massacranti, rubando qualche posto agli italiani. A livello nazionale, ad ogni modo, il fenomeno non è apprezzabile.

4) “Non rispettano le leggi” Negli ultimi 20 anni la presenza di stranieri in Italia è aumentata vertiginosamente, fra il 1998 e 2008 del 246% dice l’Istat. Eppure la delinquenza non è aumentata, ha avuto solo trascurabili variazioni: nel 2007 il numero dei reati è stato simile al 1991. Di solito si ha una percezione distorta del fenomeno perché si considerano fra i reati degli stranieri quelli degli irregolari che all’87% sono accusati di reato di clandestinità il quale consiste semplicemente nell’aver messo piede su territorio italiano.

5) “Portano l’Ebola” L’Africa è un continente enorme, non una nazione. Le zone in cui l’Ebola ha maggiormente colpito sono Liberia e Sierra Leone. Da queste zone non giungono immigrati in Italia dove invece arrivano da Libia, Eritrea, Egitto e Somalia. I sintomi dell’Ebola poi si manifestano in 3 o 4 giorni e un migrante contagiato non potrebbe mai viaggiare per settimane giungendo fino a noi. Infine il caso ebola è scoppiato ad aprile 2014, nei primi 8 mesi del 2014 in Italia sono arrivati circa 100 mila immigrati e neanche uno che ci abbia trasmesso l’Ebola.

6) “Aiutiamoli a casa loro” È la frase con cui i razzisti di solito si autoassolvono, come se aiutarli a casa loro non abbia dei costi e dei rischi, e come se i nostri governi non abbiano già lavorato per affossare questa possibilità. Nel 2011 il governo italiano ha operato un taglio del 45% ai fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, stanziando effettivamente 179 milioni di euro, la cifra più bassa degli ultimi 20 anni. Destiniamo a questo ambito lo 0,2 del Pil collocandoci agli ultimi posti per stanziamenti fra i paesi occidentali. Nel 2013 il Servizio Civile ha messo a disposizione 16.373 posti di cui solo 502 all’estero, in sostanza il 19% di posti finanziati in meno rispetto al bando del 2011.

7) “Sono avvantaggiati nelle graduatorie per la casa” Ovviamente fra i criteri per l’assegnazione delle case popolari non compare la nazionalità. I parametri di cui si tiene conto sono il reddito, numero di componenti della famiglia se superiore a 5 unità, l’età, eventuali disabilità. Gli immigrati di solito sono svantaggiati perché giovani, in buona salute e con piccoli gruppi famigliari (poiché non ricongiunti). Nel bando del 2009 indetto dal comune di Torino il 45% dei richiedenti era straniero, solo il 10% di essi si è visto assegnare una casa. Nel comune di Genova, su 185 abitazioni messe a disposizione, solo 9 sono andate ad immigrati. A Monza su 100 assegnazioni solo 22 agli stranieri. A Bologna su 12.458 alloggi popolari assegnati, 1.122 agli stranieri.

8) “Prova a costruire una chiesa in un paese islamico” È l’argomento che molti usano perché non si costruiscano moschee in Occidente o perché si lasci il crocifisso nei luoghi pubblici. È un argomento davvero bislacco: per quale motivo se gli altri sono incivili dovremmo esserlo anche noi? E comunque gli altri non sono incivili. In Marocco i cattolici sono meno dello 0,1% della popolazione eppure ci sono 3 cattedrali e 78 chiese. Si contano 32 cattedrali in Indonesia, 1 cattedrale in Tunisia, 7 cattedrali in Senegal, 5 cattedrali in Egitto, 4 cattedrali e 2 basiliche in Turchia, 4 cattedrali in Bosnia, 1 cattedrale negli Emirati Arabi Uniti, 3 monasteri in Siria, 7 cattedrali in Pakistan e così via.

9) “I musulmani ci stanno invadendo” Al primo posto fra gli stranieri presenti in Italia ci sono i rumeni che sono oltre un milione. I rumeni per la maggior parte sono ortodossi. In seconda posizione ci sono gli albanesi, quasi 600 mila, per il 70% non praticanti (lascito della dominazione sovietica) e, fra i rimanenti, al 60% musulmani e al 20% ortodossi. Seguono i marocchini, quasi 500 mila, quasi totalmente musulmani, e ancora i cinesi, circa 200 mila, quasi tutti atei. Dunque in larga parte gli stranieri in Italia sono cristiani, oppure atei, solo in piccola parte professanti l’Islam.

#TorSapienza

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(Per inciso, io la conosco proprio bene Tor Sapienza, sì, e conosco romani con il cuore negro di bile e romani emigrati già da un pezzo dall’isola dell’etica. Tor Sapienza è quel posto dove i consumatori di droga, appena passa l’effetto, manifestano contro lo spaccio. Per dire. Non tutti, certo, prima che si inizi con la solita solfa.)

AAA Albanesi cercasi

La-Vlora-a-Bari--499x285Temo i pregiudizi. Sempre. Da sempre. Credo che la narcolessia intellettuale e culturale di questo Paese sia in gran parte figlia di un’informazione sommaria, di una riflessione affrettata e di un’immatura riflessione lasciata spesso ai luoghi comuni. Forse anche per questo ho sempre pensato alla “sinistra” come laboratorio di elaborazione di struttura di pensiero piuttosto che località geografica sulla mappa politica. Sul fronte dell’immigrazione abbiamo, in Italia, i migliori (o forse, i peggiori) mistificatori europei: sono riusciti (da Bossi in giù) a macinare una xenofobia nutrita “dall’impellente bisogno” e quindi vissuta con molti meno sensi di colpa rispetto alle sfacciate destre europee. In Italia anche i cittadini “accoglienti per cultura e per natura” si sono ritrovati ad essere vicini alle posizioni di Lega o partiti di destra per una visione distorta della propria realtà, imboccata troppo spesso da allarmi troppo ghiotti per non diventare virulenti. E allora, poiché amo spingermi ad essere curioso, stiamo preparando un progetto di studio e di analisi dell’immigrazione albanese in questi ultimi anni con un occhio di riguardo ai guadagni della criminalità organizzata.

Per questo avrei piacere (e bisogno) di ascoltare, leggere e confrontarmi con gli “immigrati” (parola orribile e cacofonica) e gli operatori che abbiano qualcosa da dirmi, qualche interesse convergente o suggerimento. La mail è la solita: giulio (@) giuliocavalli.net.

Intanto vale la pena leggere uno tralcio dell’intervento in occasione della Settimana della cultura albanese, org. da Illyricum,Patronato Acli, Acli e Ipsia, Milano 3 dicembre 2010:

Non ci occupiamo qui delle fasi storiche dell’emigrazione albanese, che addirittura si rifanno al 1400 quando, a seguito dell’invasione turca, una consistente quota della popolazione riparò in Italia, ma ci concentriamo sui flussi determinatisi dopo il superamento del regime comunista.

Gli albanesi hanno conosciuto una emigrazione di massa durata all’incirca un decennio, mentre l’Italia ha fatto questa esperienza per un secolo e mezzo. Le condizioni problematiche dell’esodo sperimentate anche dagli albanesi hanno caratterizzato la lunga esperienza degli italiani all’estero anche più duramente, senza pregiudicarne uno sbocco finale positivo.

Tra i Paesi europei l’Italia si distingue per essere stato fortemente segnato dall’emigrazione, assicurando a tante aree del mondo una preziosa riserva di manodopera. Non bisogna dimenticare che gli stessi ricchi Paesi del Nord e del Centro Europa furono, a loro volta, Paesi di emigrazione diretta oltreoceano: tra il 1900 e il 1920 furono circa 20 milioni gli europei che partirono alla volta del continente americano

Al Censimento del 1861 gli italiani che vivevano all’estero erano appena 230.000. Con l’unificazione del 1861, il ritardo economico del Sud d’Italia e l’aggravarsi della situazione agricola determinarono la necessità di emigrare anche nelle regioni settentrionali, ma specialmente nel Meridione, per il quale Francesco Saverio Nitti coniò la celebre frase: “O emigranti o briganti”.

Dal 1861 al 1880 la media annuale degli espatri superò di poco le 100.000 persone all’anno, negli anni ’80 fu di poco inferiore alle 190.000 unità l’anno e negli anni ’90 toccò le 290.000 unità.

Nel primo decennio del 1900 gli espatri, in continua crescita, furono in media 600.000 l’anno, prevalentemente transoceanici. Nel 1913 si registrò il picco massimo, con quasi 900.000 espatri, su

una popolazione di 35 milioni di abitanti. Nel periodo 1871-1911 furono 6 milioni le persone a emigrare, in prevalenza oltreoceano, trattenendosi all’estero nei due terzi dei casi.

Poi i flussi verso l’estero diminuirono a causa degli eventi bellici e, tuttavia, la media degli emigranti nel periodo 1911-1920, fu pari a 382.000 espatri l’anno.

Quindi ci fu un rallentamento dovuto alle restrizioni legislative dei Paesi di insediamento e la media annuale degli espatri, dalle 255.000 unità degli anni ’20, scese alle 70.000 negli anni ’30. Il 1932 fu l’anno in cui, per la prima volta, il numero dei migranti scese sotto le 100.000 unità con 83.348 espatri. In quel periodo si indirizzavano i flussi verso le colonie italiane. Tuttavia, nel 1930 venne stipulato un accordo con la Germania in base al quale si trasferirono in terra tedesca ben 500.000 italiani, ma dal 1939 vennero incrementati i rimpatri. Il saldo migratorio per il periodo 1922- 1942 è valutato pari a circa 1.200.000 persone.

La necessità di emigrare riprese dopo la seconda guerra mondiale, ancora una volta coinvolgendo diverse regioni del Nord, e in particolar modo il Veneto. L’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, per far fronte a questa situazione raccomandò, in maniera generalizzata, di imparare una lingua e di andare a lavorare all’estero.

Il ritmo più alto di espatri dall’Italia si collocò negli anni ’50, con quasi 300.000 unità l’anno e il picco fu raggiunto nel 1961 (387.000 espatri).

Nel complesso sono emigrati quasi 30 milioni di persone, si contano 4 milioni di cittadini italiani residenti in tutte le parti del mondo e tra i 60 e gli 80 milioni di oriundi.

Il 1975 fu l’anno dell’inversione di tendenza perché i rimpatri (123.000) prevalsero sugli espatri (93.000). Si colloca in quel periodo l’inizio dell’immigrazione straniera in Italia, che però ha iniziato a coinvolgere l’Albania solo 15 anni dopo.

È doveroso chiedersi come fossero trattati gli italiani all’estero in questo lungo periodo di emigrazione di massa. In Brasile sostituirono gli schiavi; negli Stati Uniti non poterono utilizzare le chiese normali e furono ammessi a pregare solo nei sottoscala; non mancarono i casi di linciaggio, tanto negli Stati Uniti (fu famoso quello di New Orleans nel 1901) che in Francia (Aigues Morts nel 1893); in Belgio nell’ultimo dopoguerra molti furono sistemati nelle baracche di internamento dei prigionieri tedeschi; in Sud Africa l’avvio di una consistente collettività va riferito al grande campo di concentramento stabilito sul posto per più di 100.000 italiani. A Buenos Aires il prof. Cornelio Moyano Gacita così scriveva degli italiani: “La scienza ci insegna che insieme col carattere intraprendente, intelligente, libero, inventivo e artistico degli italiani c’è il residuo di un’alta criminalità di sangue”. Considerazioni simili sugli italiani, specialmente se meridionali, erano diffuse in altri Paesi esteri, come ad esempio negli Stati Uniti: “Gli individui più pigri, depravati e indegni che esistano… Tranne i polacchi, non conosciamo altre persone altrettanto indesiderabili” (Corriere della Sera, 22 febbraio 2002, pag. 1 e 9).

[…]

La maggioranza della popolazione italiana, come hanno evidenziato diverse indagini, è propensa a ritenere che il problema della criminalità e la mancanza di sicurezza urbana in Italia siano, in gran parte, addebitabili agli immigrati, in particolare agli albanesi e ai romeni.

Un giudizio così severo, secondo le ricerche condotte dai redattori del Dossier Caritas/Migrantes (che trovano un supporto anche in altre indagini), senz’altro non è giustificato nei confronti degli immigrati regolari e va riferito con grande cautela anche agli irregolari. Sono, perciò, fondamentali le precisazioni sul tasso di criminalità degli immigrati, sul ritmo d’aumento delle denunce contro stranieri, sul comportamento dei nuovi immigrati e, infine, sugli aspetti penali riguardanti gli albanesi.

a. Italiani e stranieri: un tasso di criminalità simile. Il tasso di criminalità dei cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia non è più alto di quello degli italiani: queste sono le conclusioni alle quali è giunta una recente ricerca condotta dall’équipe del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes insieme all’agenzia Redattore Sociale (cfr. Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2009, Edizioni Idos, ottobre 2009, pp. 208-217). Il confronto tra italiani e stranieri è stato attuato seguendo una ripartizione omogenea per classi di età (popolazione tipo), così come non si è tenuto conto delle denunce riguardanti gli stranieri non regolarmente soggiornati. Ciò ha consentito di ridimensionare il tasso di criminalità degli stranieri e di concludere che italiani e stranieri hanno un tasso di criminalità abbastanza simile.

b. Aumento delle denunce inferiore all’aumento della popolazione straniera. I dati del Ministero dell’Interno riguardanti le denunce contro stranieri nel periodo 2005-2008, confermano che le denunce presentate contro gli immigrati aumentano a un ritmo più contenuto rispetto all’aumento della popolazione straniera, pur essendo questa popolazione più giovane, così come già evidenziato da altre recenti ricerche (Fondo Europeo per l’Integrazione/Ministero dell’Interno, Immigrazione, Regioni e Consigli Territoriali per l’Immigrazione, Edizioni Idos, Roma giugno 2010; cfr. anche, sulla base di altri dati, Paolo Buonanno, Paolo Pinotti, Do immigrants cause crime?, Paris School of Economics, Working Paper No. 2008-05; cfr. anche www.bancaditalia.it/pubblicazioni e, per una sintesi, www.lavoce.info; Tito Boeri, Immigrazione non è uguale a criminalità, Lavoce.info, 2 febbraio 2010).

È vero che per gli immigrati regolari sono andate aumentando le denunce, ma ancor di più è aumentata la popolazione di riferimento. Le denunce presentate in Italia contro cittadini stranieri sono state 248.291 nel 2005, 275.482 nel 2006, 299.874 nel 2007 e 297.708 nel 2008. In questo stesso periodo le denunce sono aumentate del 19,9%, mentre gli stranieri residenti (quindi, solo quelli regolari anche se essi non sono gli unici autori dei reati) da 2.670.514 a 3.891.293 (aumento del 45,7%). Anche se le denunce riguardassero solamente i cittadini stranieri residenti, l’incremento dei reati sarebbe inferiore all’incremento della popolazione straniera, minando così alla base l’equiparazione tra aumento della popolazione straniera e aumento della criminalità.

c. Il tasso di criminalità dei nuovi immigrati nel VII Rapporto Cnel. La paura diffusa tra gli italiani riguarda in prevalenza i nuovi arrivati, che non si conoscono e perciò destano i maggiori sospetti. Il VII Rapporto Cnel sugli Indici di integrazione degli immigrati in Italia (luglio 2010: cfr. www.cnel.it) è entrato nel merito di questa obiezione e si è chiesto se i cittadini stranieri venuti ex novo in Italia nel periodo 2005-2008 abbiano influito negativamente sulla situazione di sicurezza del Paese. A tale scopo è stato ipotizzato che l’aumento delle denunce contro cittadini stranieri (49.417, risultanti della differenza tra quelle del 2005 e quelle del 2008) corrispondano a reati commessi esclusivamente dagli stranieri registrati ex novo come residenti (1.220.779): in questo modo, l’incidenza delle denunce nei loro confronti è del 4,05%, pari a 1 denuncia ogni 24,7 persone.

Il tasso così calcolato va confrontato con l’addebito penale nei confronti dell’intera popolazione residente in Italia alla data del 31 dicembre 2008: si è trattato di 60.045.068 persone (tra le quali una ogni 15 è di cittadinanza straniera) sulle quali hanno inciso per il 4,49% le 2.694.811 denunce penali complessive. Per le persone già residenti si è trattato di 1 denuncia ogni 22,3 residenti, con una incidenza maggiore rispetto a quella addebitale ai nuovi venuti, che perciò non possono essere considerati i maggiori colpevoli della situazione di insicurezza vissuto dalla gente.

d. Il VII Rapporto Cnel e il tasso di criminalità degli albanesi. Per gli albanesi, se si distingue tra criminalità organizzata e criminalità comune, si riscontra che a quest’ultimo riguardo si sono fatti notevoli passi in avanti. Nel periodo 2005-2008 le denunce contro tutti gli stranieri sono aumentate del 19,9%. Rispetto a questo valore medio alcune collettività si sono collocate al di sotto e così è avvenuta anche per gli albanesi, per i quali l’incremento delle denunce è stato pari al 17,4%, passando da 17.561 nel 2005, a 19.027 nel 2006, a 19.006 nel 2007 e 20.609 nel 2008. L’incidenza che gli albanesi residenti in Italia hanno avuto nel 2008 sulle denunce (6,5%) è inferiore a quello che essi hanno avuto sui residenti (11,3%), con una differenza a loro favore di 4,8 punti percentuali che merita di essere segnalata. L’andamento virtuoso dell’Albania si riscontra anche da un altro dato. Nel 2005 gli albanesi incidevano per il 7,1% sul totale delle denunce presentate contro stranieri, mentre questa percentuale è risultata più ridotta negli anni successivi (6,9% nel 2006, 6,3% nel 2007 e 6,9% nel 2008).

Alla luce dell’evoluzione storica che ha caratterizzato la collettività albanese in Italia, è fondato ritenere che ai consistenti flussi irregolari del recente passato vada ricollegata una certa lievitazione delle denunce penali, non solo perché una quota consistente di esse ha riguardato l’inosservanza della normativa sugli stranieri, ma anche perché le persone sprovviste di permesso di soggiorno sono state più facilmente ricattate dalle organizzazioni malavitose. A cavallo degli anni ’90 e i primi anni del nuovo secolo, gli albanesi incidevano per il 20-30% sui respingimenti effettuati alla frontiera, superando la pressione migratoria della Romania e del Marocco, e risultavano la prima collettività per numero di denunce. Chiusa l’esperienza delle migrazioni di massa e dei gommoni, controllati i trafficanti di manodopera (che hanno tentato nuove rotte) e potenziate le vie legali d’ingresso, si è delineato uno scenario più soddisfacente perché le denunce sono aumentate in misura ridotta rispetto all’aumento della popolazione e ciò, in altre parole, diminuisce il tasso di criminalità.

Un regalo per Salvini

Erasmo ha offerto un regalo a Salvini: la prima pagina della ”Domenica del Corriere” del 1906 dedicata al naufragio della nave Sirio in cui persero la vita centinaia di migranti Italiani in viaggio verso l’America.

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Qui dove spariscono i bambini

6505621691_d3d393ca2d_zCi sono dolori troppo grandi evidentemente per starci dentro le notizie:

Solo da Augusta e solo in un giorno, 130 ragazzini sono scomparsi dalle strutture di accoglienza. Evidentemente le strutture erano inadeguate e non protette. Il dramma non è tanto la fuga, quanto il fatto che di questi ragazzini a questo punto nessuno in tutta Italia ha più traccia. Nessuno sa dove siano, dove mangino, dove dormano. Nessuno si occupa di loro. Nessuno sa a quale destino vadano incontro.

La balla dei 600mila profughi (e bolle blu)

Per dare un’idea dell’etica, della responsabilità e dello spessore politico dell’alleato di Renzi Angelino Alfano possiamo riprendere una sua dichiarazione lanciata a forma di disperato grido di allarme in cui ci preannuncia l’invasione di un’orda di 600.000 (seicentomila) profughi verso il territorio italiano. Roba da apocalisse.

Peccato sia una balla. Ma colossale.

Anche al Consiglio italiano per i rifugiati sono rimasti sbigottiti dall’affermazione di Alfano: “Sicuramente moltissime persone stanno fuggendo dalla guerra siriana e dal Corno d’Africa, ma uno sbarco di 600 mila persone è impensabile”. Certamente, dicono gli esperti del Cir, nell’ultimo periodo il numero di profughi arrivati in Italia è aumentato soprattutto per il conflitto siriano: dal primo gennaio 2014 sono 12 mila persone, e con la buona stagione gli sbarchi aumenteranno.

Le informazioni sono qui.

“Voi italiani rubate lavoro a noi inglesi”

Ogni tanto rimango impressionato da come le notizie più drammatiche risultino diversamente feroci in base alla distanza: un bimbo investito a Milano colpisce i milanesi, inquieta gli italiani e interessa poco agli europei. Difficilmente arriva agli altri. Non che non sia normale, eh, però è ingiusto in fondo che almeno le menti più illuminate (sarebbe bello che lo fossero anche i politici e i giornalisti) non sappiano uscire dal dolore federale per provare almeno ad allargare la visione di tutti.

Così quando muore un italiano nel Kent perché “ruba il lavoro agli inglesi” si capisce subito come la xenofobia sia distruttiva a tutte le latitudini e il dolore sia universale: la stupidità, il razzismo e il dolore.

Joele Leotta era andato in Inghilterra per imparare l’inglese. Per mantenersi aveva trovato impiego con l’amico Alex Galbiati, anch’egli di Nibionno, in un ristorante della zona. E’ qui che i giovani inglesi hanno cominciato a importunare i due amici, accusandoli di rubare lavoro agli inglesi. Quando i due ragazzi lecchesi erano nel loro alloggio, gli otto hanno fatto irruzione e li hanno massacrati, Uno di loro avrebbe anche usato un coltello contro Leotta. L’amico ha avuto lesioni al collo, alla testa e alla schiena: è ancora in ospedale, ma sarebbe fuori pericolo.

Chissà i commenti in Inghilterra, eh: mandiamo gli italiani a casa loro.

Ma questo silenzio dei vivi?

Forse, la verità è che per cambiare il racconto della frontiera non servono altri esperti. Ma servono racconti, servono storie, servono soggetti. Possibile che ancora non abbiamo visto un’intervista ai superstiti? Che ancora non abbiamo sentito le parole dei loro cari che li aspettavano a braccia aperte nelle città di mezza Europa? Possibile che non sappiamo niente del lutto che ha colpito i quartieri di Asmara per i suoi trecento figli ingoiati dal mare?

da ⇨ Il silenzio dei vivi, la fabbrica dei luoghi comuni e quelle storie che cambieranno l’estetica della frontiera

Ma nessuno sente questo silenzio dei vivi? Non ci manca un pezzo?

Numeri perbene

Ho letto qualcuno che ieri ironizzava sulla mia pubblicazione della vignetta di Staino sull’infelicissima uscita di Grillo e Casaleggio (e uso “infelice” per cortesia). Parlando del tema e, soprattutto, confrontando i numeri (che servono sempre per una buona analisi, eh) vale la pena riprendere, stampare e tenere in tasca il post di Giovanni Giovannetti:

Sui costi sociali dell’immigrazione provo allora a dare qualche numero. A partire dall’Inps, che senza il loro flusso contributivo non saprebbe come pagare la pensione ai nostri anziani, affidati a oltre un milione di badanti (quasi il doppio dei dipendenti del sistema sanitario nazionale) delle quali l’80 per cento lavora in nero. Nel 2008 i lavoratori stranieri assicurati (nell’insieme sono 2.727.254, il 12,9 per cento, un ottavo dei 21.108.368 lavoratori iscritti all’Inps) hanno versato nelle casse dell’ente previdenziale 7,5 miliardi di euro. Insomma, gli stranieri danno molto più di quanto ricevono, poiché i pensionati stranieri (110.000 persone nel 2010) incidono appena per il 2,2 per cento. Vista l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), è un andamento destinato a durare per molti anni. Il 63,2 per cento dei lavoratori immigrati assicurati opera alle dipendenze di aziende, oppure sono lavoratori domestici (17,6), operai agricoli (8,5), lavoratori autonomi (10,8). Dunque, ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma. Nel settore familiare, in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultra-sessantacinquenni, l’apporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne, consente alla rete pubblica un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro. Anche in agricoltura gli immigrati incidono per oltre un quinto sul totale degli addetti. Il loro contributo è sempre più rilevante, sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell’allevamento, nella floricultura e nelle serre.

Nel 2012 oltre 20.000 immigrati sono rientrati in patria. Secondo Andrea Stoppini, «se consideriamo uno stipendio medio (dati Inps) di 12.000 euro lordi l’anno, i contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti ammontano a quasi 4.000 euro l’anno; per una media di due anni e mezzo di permanenza in Italia, significano circa 10.000 euro. Se la stima di 20.000 lavoratori rientrati sarà confermata, nel complesso si tratterà di circa 200 milioni di euro che questi lavoratori avranno perduto, a meno che non riescano in futuro a ottenere un nuovo rapporto di lavoro in Italia, e che l’Inps potrà legittimamente trattenere nel suo bilancio. Per inciso, si tratta di una cifra analoga al costo annuo sostenuto per i circa 45.000 stranieri che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e dei quali tanto si parla nelle regioni settentrionali». E così commenta Riccardo Staglianò: «I precari italiani, se la loro condizione non migliora, tra una ventina d’anni prenderanno sì e no una pensione da 500-600 euro. Ma per gli stranieri che lavorano e pagano le tasse in Italia potrebbe andare ancora peggio. Nel senso che, se tornano nel loro Paese prima dei fatidici 65 anni e non c’è un accordo di reciprocità, i contributi versati qui rimarranno qui. Dal loro punto di vista li avranno buttati via. Dal nostro, sarà un gradito (quanto ingiusto) regalo alle casse dell’Inps». Insomma: «Quando incontrate un leghista che si indigna per il fatto che anche agli immigrati danno le case popolari (almeno non a loro insaputa), ricordategli questo dettaglio contabile» (le due citazioni sono riprese da Repubblica.it.webarchive).