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Caso Navalny: la lezione della Merkel al mondo e l’imbarazzante silenzio del Governo italiano

Che brutto silenzio che tira dalle parti del governo italiano sulla vicenda di Alexei Navalny, l’oppositore russo di Putin che secondo gli esperti militati tedeschi sarebbe stato avvelenato da Novichok, un veleno che vale come una firma e che è legato alla storia della Russia quando ancora era Unione Sovietica. Il governo tedesco (che dopo un lungo tira e molla è riuscito a fare trasferire Navalny in Germania) ha confermato “senza alcun dubbio” che il leader dell’opposizione russa è stato avvelenato e Angela Merkel ha usato parole durissime: “È chiaro che Navalny è vittima di un crimine ed è stato messo a tacere”, ha detto, condannando con “la massima fermezza possibile” quanto accaduto e auspicando “una reazione congiunta appropriata” nei confronti della Russia in accordo con Nato e Unione Europea.

Sempre a proposito di reazioni, leggetevi le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Un atto spregevole e codardo. I responsabili devono essere assicurati alla giustizia”. Addirittura anche la Casa Bianca parla di “riprovevole avvelenamento” senza dubbi. Una bella fetta di mondo insomma parla, prende posizione, critica, accusa, pretende spiegazioni e richiama il presidente Putin alle sue responsabilità chiedendo che venga fatta il prima possibile luce sull’accaduto. Da lontano, flebile, arriva invece la voce del governo italiano: l’unica nota ufficiale sta malinconicamente scritta in cinque righe sul sito del ministero degli Esteri, in cui si esprime “profonda inquietudine ed indignazione” e si chiede “che la Federazione Russa chiarisca con rapidità e trasparenza le responsabilità dell’accaduto”.

Avete visto una dura presa di posizione del ministro Luigi Di Maio? Qualche frase di circostanza, obbligatoria, e poco altro. Per non parlare del centrodestra, che con Putin gozzoviglia da anni, che sembra non essersi nemmeno accordo dell’accaduto. Però su proposta di Di Maio, intanto l’Italia ha insignito dell’Onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della ”Stella d’Italia” il primo ministro di Putin Mikhail Mishustin, proprio uno degli esponenti politici messo sotto accusa da Alexei Navalny per gli eccessivi guadagni non giustificati (790 milioni di rubli guadagnati dalla moglie solo negli ultimi 9 anni). Il premier Conte invece ha avuto una conversazione telefonica con Putin in cui il presidente russo aveva parlato di “inammissibilità di accuse frettolose e infondate”. E l’Italia inchinata alla Russia sembra qualcosa di più di una semplice sensazione.

Leggi anche: 1. Berlino: “Navalny avvelenato, prove inconfutabili. Mosca spieghi” / 2. Novichok: cos’è, e che effetti ha sul corpo, l’agente nervino usato per uccidere l’ex spia russa Skripal / 3. Russia, il video in aereo dell’oppositore di Putin che grida di dolore: “L’hanno avvelenato” / 4. Russia, approvata la riforma della Costituzione: Putin potrà governare fino al 2036 / 5. L’ascesa della Russia di Putin non passa solo dalla Siria

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La deputata Aiello a TPI: “Lascio il M5S, vanno avanti solo i soliti nomi”

La deputata Piera Aiello ha lasciato oggi il Movimento 5 Stelle pur continuando la sua attività di parlamentare. L’abbiamo intervistata per comprendere meglio la sua scelta.

Perché questa decisione di abbandonare il M5S? Quali sono le cose che l’hanno delusa?
Ero partita con un’idea ben precisa: quella di aiutare la categoria a cui appartengo, i testimoni di giustizia ma anche quella dei collaboratori e degli imprenditori vittime di racket e di usura. Quando io ho messo a disposizione la mia esperienza trentennale sono rimasta inascoltata, nessuno mi dava contezza di quello che si stava facendo. Molti testimoni, collaboratori e imprenditori si sono rivolti a me fiduciosi poiché sono nella commissione parlamentare antimafia e pensavano che io avessi il potere di aiutarli. Ma io quel potere non ce l’ho, non l’ho mai avuto e non l’ho cercato. Il potere adesso ce l’ha sicuramente Crimi che ha le deleghe al ministero con la commissione ex articolo 10 e quando io porto avanti le richieste di aiuto non vengo nemmeno sentita. Non mi sento valorizzata. L’ho sempre detto: non ho mai preteso nessun posto apicale ma la cosa che pretendevo di più era quella di essere ascoltata sulla base della mia esperienza. A me interessava poter aiutare le persone che mi chiedevano aiuto. E questa è stata la mia prima delusione. Io non sono un animale politico, sono una persona molto semplice, una donna del popolo cerco di risolvere le problematiche e da quello che ho visto problematiche non si risolvono.

Cosa non è stato fatto per i testimoni di giustizia che invece andava fatto?
I testimoni di giustizia alcuni sono stati auditi ma da quello che mi risulta non è stata risolta nessuna situazione, né economica e né di sicurezza. Andava fatto questo prima di tutto, mettere in sicurezza i testimoni e non fargli correre rischi inutili, come è capitato a Marcello Bruzzese, fratello di un testimone di giustizia, ucciso il 25 dicembre 2018 in una località protetta. Doveva essere una località sicura ma così non è stato. Molti corrono ancora questo rischio. Non è stato fatto nulla, non si sono risolte situazioni che sono incancrenite da moltissimi anni. Tante promesse ma nulla di fatto.

C’è stata un’effettiva involuzione del Movimento in questi anni?
Il movimento è cambiato, non rispecchia più il pensiero di Casaleggio, vedi il terzo mandato per la Raggi, cosa ci si deve aspettare che lo tolgano del tutto per far candidare i soliti?
È pentita della sua scelta della politica?
Non sono pentita della scelta che ho fatto, sono delusa, ma comunque faccio tesoro di tutto, metto un punto e vado avanti.

Ora inevitabilmente partiranno gli attacchi, le richieste di dimissioni, le accuse di tradimento: come risponde?
Si ho visto gli attacchi, me ne farò una ragione. A tutti quelli che pensano che rimango in parlamento dico che prima di entrare in politica ero un’impiegata regionale, la mia famiglia non se la passa poi male perché lavoriamo tutti onestamente, resto per completare il lavoro che ho iniziato in antimafia, resto perché ho depositato due leggi, una su testimoni e collaboratori l’altra su imprenditori vittime di racket ed usura, leggi che ha oggi sono insabbiate, che non vanno avanti, che sarebbero state il fiore all’occhiello. Sinceramente non mi sembra di aver tradito nessuno, direi il contrario, non ho intenzione di abbassare la testa davanti a nessuno, non lo ho fatto trent’anni fa con i mafiosi, non lo faccio adesso. Nella sua vita si è ritrovata sempre a prendere scelte che sono state coraggiose e che le sono costate molto dal punto di vista personale.
Crede che la politica sia pronta per dare il giusto spazio a testimonianze come la sua?
La politica è pronta se fa un programma forte contro le mafie, se tutto questo non viene preso in considerazione non andremo avanti, la criminalità e dappertutto, specialmente dove ci sono i soldi, questo lo abbiamo già costatato e lo costerneremo con l’arrivo dei soldi per l’emergenza Covid.

Ha intenzione di continuare comunque il suo percorso politico? Se sì, come?
Come dicevo prima ultimo i lavori iniziati difendendoli a spada tratta, anche se non ho un simbolo di appartenenza non vuol dire che non posso continuare, anzi direi che non avendo le mani legate, non stando agli ordini di scuderia, posso fare meglio e informare i cittadini di ciò che succede in parlamento.

Leggi anche: 1. Piera Aiello, storia della prima testimone di giustizia italiana, eletta con il M5S / 2. La deputata Piera Aiello dice addio al M5S: “Non mi rappresenta più”

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E i decreti sicurezza?

Avevano garantito che sarebbe stato il governo della discontinuità e invece dopo 362 giorni di Conte 2 le leggi di Salvini sono ancora in vigore

Conviene ricordarlo perché fa bene a noi e fa bene anche a loro, loro che sono al governo e che ci avevano garantito che sarebbe stato il governo della discontinuità, ci avevano rassicurato che si sarebbe cambiata rotta. E il bello è che continuano a dircelo ancora, insistono nel tranquillizzarci chiedendoci ancora pazienza. State buoni, abbiate fiducia, ora facciamo tutto.

I decreti sicurezza. Quei decreti sicurezza voluti con tanto ardore da Matteo Salvini e controfirmati da Luigi Di Maio e dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, quei decreti sicurezza che in nome della discontinuità sarebbero stati abrogati e poi invece ci siamo dovuti accontentare che fossero modificati. Badate bene: della promessa che fossero modificati. Siamo sempre nel campo delle promesse. Sono passati 362 giorni dall’insediamento del governo Conte 2 e i decreti sicurezza continuano a restare là dove sono e, dalle notizie che girano dalle parti del governo, sembra che se ne riparli dopo le elezioni regionali, a ottobre. Vi ricordate la promessa che sarebbero stati all’ordine del giorno nel primo Consiglio dei ministri di settembre? Beh, scherzavano, non è così.

Le parole migliori le ha espresse Gianfranco Schiavone di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) a Redattore Sociale: «Questo rinvio è l’ennesimo gioco della paura: si rinuncia a presentare agli italiani la propria visione diversa e nuova sulle migrazioni per paura di perdere consenso. E’ ormai un circolo vizioso costante dal quale però bisogna uscire, soprattutto in un momento in cui bisognerebbe spiegare le proprie idee agli elettori. Quei decreti non vanno bene, perché non spiegare che i grandi centri creati da Salvini stanno creando problemi con l’emergenza sanitari di Covid-19? Che serve reintrodurre una forma di protezione? Così rimane solo l’impianto ideologico della destra. Se poi il rinvio significa che il voto influenzerà le modifiche, potremmo avere una crisi di quell’accordo che abbiamo raggiunto a fatica, c’è addirittura lo spettro di non fare nulla».

E così siamo alle solite: una politica che decide di non decidere sperando di continuare a galleggiare, come se niente fosse. Un centrodestra che può continuare a sparare a palle incatenate e intanto un centrosinistra che non ha nemmeno il coraggio di proporre un’alternativa. Qui ormai siamo oltre all’egemonia culturale della destra: qui siamo nel deserto di idee e di coraggio. Lo so, ancora, è sempre la solita storia.

Buon martedì.

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Maltempo? No, si chiamano cambiamenti climatici: così in Italia muoiono bambini e sprofondano città

In Liguria ci sono state città attraversate da fiumi d’acqua. Verona è stata martoriata. Su Milano circolano le foto degli alberi caduti per il forte maltempo, una RSA è stata scoperchiata, il tetto è volato via come uno straccio e tutti gli ospiti sono stati trasferiti d’urgenza. Nel cremonese la grandine ha devastato il territorio e si sta facendo ancora la conta dei danni. Moltissime le strade bloccate. E poi la notizia di ieri di due sorelle morte per un pioppo alto quattro metri sradicato dal fortissimo vento che le ha schiacciate mentre dormivano nella loro tenda, una tromba d’aria atipica l’hanno definita gli esperti, a Marina di Massa.

Sembrano incidenti, scherzi della natura e del destino, finiscono nelle discussione e nella cronaca come se fossero sfortunati episodi eppure i numeri dicono altro, lo dicono da tempo e lo dicono in modo chiarissimo: gli eventi meteorologici estremi nel 1999 in Italia sono stati in tutto 17, nel 2019 abbiamo avuto 1668 casi (fonte l’European Severe Weather Database) e probabilmente questo 2020 segnerà un altro record. Continuare a credere (e raccontare) che ciò che accade sia frutto di casualità senza vederne invece la sistematicità causata dal cambiamento climatico è l’atteggiamento più vigliacco e pericoloso.

Un’inchiesta dello European Data Journalism Network diffusa da stopglobalwarming.eu racconta che l’Italia potrebbe perdere qualcosa come 1.030,5 chilometri di spiagge nei prossimi 80 anni. Spiegato semplice: se si continua così da qui al 2100 una spiaggia su tre non esisterà più, non ci sarà la spiaggia di San Teodoro in Sardegna e nemmeno quella di Lignano Sabbiadoro nella laguna di Venezia, nella zona di Rimini le spiagge arretrerebbero di almeno 40 metri, solo per far qualche esempio.

Eppure un sondaggio realizzato da Ipsos qualche settimana fa dice che il 72% degli italiani è convinto che il cambiamento climatico sia addirittura un problema più serio della pandemia e l’80% ritiene che il governo dovrebbe ripartire proprio da qui anche per rilanciare l’economia della Paese. Otto italiani su dieci sono convinti che il cambiamento climatico sia dovuto alle attività umane e che si prospetti un disastro ambientale se non ci sarà un cambiamento di abitudini. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che no, che non si tratta di sfortuna, che non serve più la solidarietà dopo una tromba d’aria e un acquazzone: ci sono responsabilità precise, nomi e cognomi, comportamenti che valgono come soluzioni e decisioni che devono essere messi in cima all’agenda. Intervenire in tempo è impegnativo ma non provarci sarebbe un suicidio.

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Ma dai? Si torna a scuola?

Eccoci qua. Mi era capitato qualche settimana fa, eravamo ancora in pieno periodo vacanziero a ricordarmi che saremmo arrivati in ritardo con le aperture delle scuole. Era scritto, del resto: nei molti mesi che ci sono stati a disposizione per ripensare la scuola e per programmarne la riapertura ci si è consumati tra le piccole guerre tra Stato e regioni e a discutere di banchi con rotelle, di plexiglas e di indecenti attacchi sessisti alla ministra. Rimanere sul punto evidentemente era troppo difficile.

Così ora si scopre che anche i professori si ammalano (i primi risultati dicono 16 professori positivi in Veneto, 12 in Lombardia tra Varese e Como, 20 in Umbria, 4 in Trentino) e che come avviene in qualsiasi luogo di lavoro forse è il caso di fare i test. A proposito di test: si rilancia la notizia che un terzo dei professori non vorrebbe sottoporsi a tampone (che il governo ha, chissà perché, reso volontario) e ovviamente tutti ora giocano al massacro: peccato che l’indagine abbia ben poco valore statistico (si sa di interviste telefoniche a qualche centinaio di insegnanti e non si sa di che regione siano) e peccato che siano moltissimi gli insegnati che invece lamentano addirittura l’impossibilità di accedere al tampone. Tra l’altro in alcune regioni il test è gratuito e in altre no, così a caso. Sia chiaro: tutto questo a pochi giorni dall’inizio della scuola.

Ma non è tutto: ora ci si accorge che i ragazzi a scuola ci devono andare e che molti ci vanno in autobus e indovina un po’? Gli autobus sono strapieni. Eh, già. Non era difficile immaginarlo, basterebbe sostare davanti a una scuola qualsiasi per accorgersene in una città qualsiasi. Fenomenale il presidente delle Marche Ceriscioli che a Repubblica dice che Burioni ha trovato la soluzione: i ragazzi nel bus devono indossare la mascherina e restare in silenzio, senza parlare. Sembra uno scherzo e invece è drammatico.

Poi ci sono i banchi: il pessimo commissario Arcuri ora parla di alcune consegne a fine ottobre e il bando di gara era talmente scritto male da dover essere corretto un paio di volte. Giunge notizia che ora il commissario stia facendo ordine a aziende extra bando. Qualcuno dice che ci vorrebbe vedere chiaro ma i costi e i contratti sono secretati “per evitare polemiche politiche” dice Arcuri, come se avesse l’autorità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no.

Poi ci sono gli spazi: garantire distanziamento sociale in edifici che avevano già problemi di cubature in epoca pre Covid diventa una missione quasi impossibile. A tutto questo aggiungeteci il caos di un’opposizione che soffia sul fuoco piuttosto che proporre soluzioni.

Eppure proprio sulla scuola si misurerà molta della capacità di questo governo di affrontare la pandemia. Per questo vale la pena approfondire. Per questo se ne parla nel numero di Left in edicola e in digitale.

Buon venerdì.

Left del 28 agosto – 3 settembre 2020

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Buona guarigione, Briatore

L’imprenditore piemontese ha insistito nel negare la pericolosità del virus. Forse, una volta guarito dal Covid, dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo: dipendenti e ospiti del suo locale che si è rivelato un pericoloso focolaio

Giusto qualche giorno fa proprio su queste pagine mi è capitato di contestare Flavio Briatore per le sue idee e per la superficialità con cui ha affrontato il tema dei rischi Covid e la superficialità con cui ha invocato il liberi tutti in nome del fatturato del suo locale che proprio in questi giorni si è rivelato un pericoloso focolaio con ben 63 positivi su 90 tamponi fatti.

Flavio Briatore è ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano (tra l’altro in un reparto che non è attrezzato per il Covid e dove, pagando, ha deciso di stare) perché anche lui è positivo e intorno, ovviamente, si sono avventati un po’ tutti, anche chi con un certo sprezzo del senso di umanità sta augurando all’imprenditore la peggior sorte in nome di una giustizia vendicativa che dovrebbe servirgli da lezione. Beh, qui si augura a Briatore di guarire presto (del resto le notizie dicono che le sue condizioni siano stabili e buone, niente di preoccupante al momento, così dice il comunicato ufficiale del suo staff) però alcune considerazioni meritano di essere fatte.

Come scrive giustamente Massimo Mantellini: «Immaginare di sterilizzare la discussione che lo stesso Briatore ha scatenato, ora che è malato della stessa malattia che negava, e questo in nome dell’umana pietà che dobbiamo riservare a tutti, è semplicemente ridicolo». Briatore, come molti altri, ha insistito nel negare il pericolo e negare la pericolosità del virus (e con lui lo stesso primario Zangrillo che ora se lo ritrova in reparto) e forse, una volta guarito, in quanto personaggio pubblico (e usato spesso dalla politica come profeta, sui social della Lega sono state rilanciate di gran voga le sue dichiarazioni) dovrà spiegare questa sua superficialità, ci dovrà spiegare come sia successo che la sua discoteca abbia numeri di contagio che sono ben superiori a quelle delle altre discoteche e dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo, a tanti dei suoi dipendenti e dei suoi ospiti. Perché, come dice spesso lo stesso Briatore, «le parole stanno a zero e contano i fatti». E infiammare gli animi finisce sempre per rivoltarsi contro, sempre.

Per quanto riguarda i complottisti invece non c’è speranza: comincia già a girare la fake news che Briatore sia stato “infettato dal sistema”. Pensate un po’.

Buona guarigione.

Buon mercoledì.

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Sicilia, Fava a TPI: “Musumeci fa lo scaricabarile. Ma sui migranti il governo ha paura di decidere”

Nello Musumeci insiste. Il governatore della Sicilia non ha intenzione di fermarsi sulla sua ordinanza che chiede lo sgombero degli hotspot dell’isola e risponde al no del governo parlando di responsabilità sanitarie. Si finirà probabilmente con un ricorso al tribunale amministrativo ma intanto la provocazione ha preso piede tra i sostenitori di destra e corre sul web. TPI ha intervistato Claudio Fava, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Fava, il governatore Musumeci insiste. Come legge questa ultima uscita sullo svuotamento degli hotspot e la chiusura ai nuovi arrivi?
È già un pezzo di campagna elettorale, perché ha riannodato i fili di una coalizione piuttosto frammentata e lasca e naturalmente ha ottenuto le benedizioni della destra alla quale Musumeci continua a rivolgersi. Manifesta la sua indole, la sua cultura politica: è un autoritario, convinto che la migliore forma di governo sia quella di affidare al podestà le chiavi della vita dei cittadini. Anche se si affida ai poteri di tutela della salute lui sa perfettamente che intervenire sui porti, sulle prefetture, sugli hotspot è competenza esclusiva del governo nazionale, segnatamente del Ministero dell’Interno. Ma è un modo per rimettere al centro una parola che sia una calamita e che ha bisogno di nemici facili, l’immigrato portatore di contagi.

Quindi è tutta campagna elettorale…
L’altra ragione è che c’è un fallimento complessivo su tutta la politica di investimento del post-Covid, le risorse promesse per il settore del turismo non sono mai arrivate, nemmeno un centesimo, le condizioni dell’isola sono abbastanza allo sfascio quindi un giorno ci si inventa il ponte, un giorno il tunnel, un giorno chiudiamo gli hotspot. Tutto pur di non parlare di quello che accade a casa nostra: c’è un’ordinanza di controlli per chi arriva dai Paesi considerati focolai poi però in aeroporto, nei porti e nelle stazioni i controlli sono minimi e anche in questo Musumeci dice che la responsabilità non è sua ma del Ministero dei Trasporti.
Una responsabilità che palleggia…
Su alcune cose dice “la responsabilità non è nostra”, su altre dice “la responsabilità non è nostra ma me ne occupo direttamente io”. In questo un po’ ci è un po’ ci fa.

Sembra seguire un po’ il copione di certe Regioni di centrodestra che giocano sul Covid per scontrarsi con il governo e fare parlare di sé. Non è simile all’atteggiamento della Lombardia con Fontana?
Sì. In più nel suo caso c’è una sfumatura di carattere politico, di identità politica. Gli piace fare il podestà. Dopo il Covid ha preteso e ottenuto dalla sua maggioranza il voto su un emendamento infilato in una legge che gli dà, in caso di emergenza sanitaria, pieni poteri e la possibilità di emanare delibere di giunta anche in contrasto con la legislazione vigente. Ed è una cosa abbastanza bizzarra, decidono loro a quale normativa possano derogare senza passare dal Parlamento regionale. È la sua idea di ventennio e ha utilizzato il Covid per ritrovare quei toni, quel cipiglio. Un tempo era un atteggiamento inoffensivo e invece oggi interviene su un tema vero, reale.

Esiste comunque un problema immigrazione in Sicilia?
Esistono problemi concreti nelle città che sono il punto di approdo naturale per i profughi. Non lo risolvi chiudendo, lo risolvi cercando di avere un livello di partecipazione da parte di tutte le Regioni. Anche perché non possiamo lamentarci dell’Europa che non fa la propria parte e poi in Italia lasciare che siano le Regioni di frontiera a occuparsene perché le altre non vogliono rotture di coglioni. Abbiamo un sistema geopolitico basato sul principio dell’egoismo: non a casa mia. È una questione che va affrontata da un governo che non riesce e non è riuscito a ottenere una linea di condivisione e di consapevolezza e di disciplina partecipata da tutti i presidenti di Regione. Qui tutti, in nome della salute, hanno deciso a casa loro.

Però la propaganda di Musumeci sembra funzionare: cosa dire a quelli che lo applaudono, come riuscire a parlar con loro?
Non è semplice perché se dall’altra parte hai un governo pavido che non è capace di fare un passo e di prendere una direzione risolutiva è chiaro che poi è difficile parlare solo sul piano di principio e della linea della condotta morale. Il cittadino alla fine si trova confortato da un decisionista che può anche essere incostituzionale ma che è una risposta alla preoccupazione. Come per le discoteche si registra una certa inerzia da parte di figure chiave del governo nazionale di affrontare con coraggio i problemi che si presentavano. Ora il tema sono gli immigrati e il tema ha bisogno di un tavolo di soluzione che non può essere affidato a ciascun presidente di Regione. Avere un nemico, un untore, qualcuno su cui scaricare le proprie frustrazioni in tempo di crisi conforta molti, anche chi non ha nulla a che fare con quella cultura politica. Poi magari un giorno ti svegli e ti accorgi che gli untori sono i tuoi figli che sono andati a fare un party e sono tornati asintomatici e carichi di virus.

Leggi anche: 1. Sicilia, ordinanza di Musumeci: “Entro le 24 di domani migranti fuori dall’isola”. Ma il Viminale lo blocca: “Non può farlo” / 2. Sicilia, Musumeci non molla: “Il governo vuole un campo di concentramento per migranti, vado dalla magistratura”

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Tengo famiglia

Il sindaco di Foggia Franco Landella è passato da Forza Italia alla Lega. La decisione è stata presa dopo la mancata candidatura alle elezioni regionali della cognata

Franco Landella è sindaco di Foggia, mica di un paesino minuscolo e sconosciuto, e milita in Forza Italia. Anzi: militava in Forza Italia poiché ha approfittato del passaggio di Matteo Salvini per inscenare una breve conferenza stampa in cui doveva comunicare cose importanti.

Che ha detto? Ha detto che passa alla Lega. Ci sta, se ci pensate. Qualcuno può non essere d’accordo con la linea del suo partito e sentirsi rappresentato molto meglio da qualcuno altro. La politica è ricca di passaggi di casacca e molti rappresentanti politici si sono prodigati nel raccontare cosa non andasse più bene e quali fossero i motivi delle loro nuove convergenze. Ci si aspettava che Franco Landella ci dicesse una cosa qualsiasi, magari che Forza Italia è troppo morbida nelle sue posizioni contro l’Europa oppure che è davvero convinto, come Salvini che l’immigrazione sia il problema principale di questo mondo oppure che sul Mes proprio non riesce a essere d’accordo con le posizioni di Berlusconi. Una cosa qualsiasi.

E invece il sindaco ha emesso un comunicato stampa piuttosto sibillino: “Dopo 26 anni di militanza in Forza Italia sono costretto a lasciare questo partito dopo l’ennesima umiliazione; non posso continuare a subire le angherie di una classe dirigente di Forza Italia che antepone aspetti particolari ai valori della coerenza e della militanza e del consenso. Forza Italia ha favorito l’ingresso dei campioni del trasformismo rispetto alla militanza e al consenso di cui uno con una situazione giudiziaria particolare”.

Cosa avrà voluto dire? Semplice: la decisione è stata presa dopo la mancata candidatura alle elezioni regionali della cognata, la forzista Michaela Di Donna che ha trovato la porta chiusa in tutte le liste del centrodestra compresa Forza Italia. In sostanza il sindaco se ne va perché non hanno candidato la cognata. E in tutto questo c’è anche un partito che se lo prende, un politico così. E viene da pensare che forse al Landella dalle parti della Lega gli abbiano promesso di curare con attenzione il valore della famiglia. Tutto alla luce del sole.

Buon martedì.

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L’eterno tafazzismo del centrosinistra: così l’alleanza Pd-M5S naufraga prima di nascere

Regola numero uno in politica: se decidi di parlare in pubblico di un accordo si presume che a quell’accordo intanto qualcuno ci stia lavorando, che ci siano presupposti che possano renderlo possibile e che ci sia volontà da entrambe le parti. E invece no, per la strana alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, un’alleanza annunciata e addirittura votata sulla piattaforma dei grillini, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere alle dichiarazioni addirittura di un presidente del Consiglio, del segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio e intanto dai territori arrivano solo rifiuti se non addirittura calci.

La candidata del M5S in Puglia risponde contrattaccando: “Mi hanno offerto poltrone e prestigio assicurato. Ma la nostra scelta deve essere più importante dei miei vantaggi personali e di quelli del premier”, dice, lasciando perfino intendere che l’accordo tra i due partiti su scala locale sarebbe solo il tentativo di prendere ossigeno nel governo nazionale. Non una gran figura, per niente.

Gian Mario Mercorelli, candidato grillino nelle Marche coinvolge perfino il gran capo dei 5 Stelle Vito Crimi dicendo: “Ho sentito Crimi, e non è in corso nessuna trattativa, né a Roma né qui sul territorio. Capisco le ragioni di Conte, è una posizione dovuta, ma è fuori tempo massimo. Un’entrata così a gamba tesa a 36 ore dalla presentazione delle liste non favorisce di certo l’equilibrio generale”.

Un dato è certo: il matrimonio non si farà e risultano perfino risibili i tentativi di chi preannuncia la richiesta agli elettori di fare voto disgiunto per riuscire comunque a convergere sui candidati presidenti del PD. Il matrimonio giallorosso fallisce ancora prima di essere celebrato e il PD incassa perfino gli strattoni del capo politico pentastellato Crimi, che dice di occuparsi “prima dei contenuti che dei contenitori”, liberando, di fatto, tutte le decisioni dei territori e dichiarando addirittura, in un’intervista proprio ieri al Corriere della Sera, che l’alleanza di cui si discute da giorni non è “alleanza strutturale” e che il voto su Rosseau si riferiva a “quattro Comuni che hanno presentato un progetto”. Proprio così.

E con il senno del poi viene da chiedersi a cosa sia servita tutta questa solfa, a cosa sia servito aprire un dibattito su un progetto che non aveva nessuna possibilità di realizzazione e soprattutto perché logorare i due partiti che sostengono il governo, in questo delicato momento in cui c’è un intero Paese da fare ripartire tra qualche settimana, con un’alleanza sui territori che nei fatti era apparsa subito irrealizzabile. Anche perché ammucchiarsi contro la destra, sperando che i voti si sommino come se gli elettori fossero immobili e acritici, non ha mai portato risultato. Ma qualcuno sembra non avere imparato la lezione.

Leggi anche: 1. Vito Crimi gela Conte: “No all’alleanza M5S-Pd. Il voto su Rousseau riguardava solo 4 Comuni” / 2. Regionali, in Puglia l’alleanza col Pd non piace ai Grillini. La candidata M5S: “Piuttosto tagliatemi la testa”/ 3. Pd-M5S, scoppia la pace in tribunale: “Stop alle cause che ci vedevano contrapposti, cambiato clima politico”. Renzi: “Io non le ritiro”

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La questione immorale

Salvini che nega la pericolosità del Covid e sdogana idee mostruose e lesive contro i migranti. Meloni e la collusione di dirigenti di Fratelli d’Italia con la criminalità organizzata. Il trasformismo del M5s e il Pd che non mantiene le promesse. Nei partiti più grandi c’è un grave problema di etica, di coerenza e di senso civico

Ma come siamo messi con la questione morale in Italia in questo momento? Meglio: cosa ci dicono i partiti italiani, come svolgono il loro ruolo propedeutico e pedagogico, come era pensato nella politica alta, quella che si prometteva di essere anche un esempio oltre che semplicemente un mezzo di governo. Come siamo messi con l’etica degli organi di rappresentanza, quelli che dovrebbero convincerci a essere migliori, a seguire le regole, a rispettarle, a chiederne la modifica se non risultano abbastanza contemporanee e rappresentative… Siamo messi male, malissimo. E siamo messi male dappertutto, a destra, a sinistra e anche nel famoso terzo polo che era quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto spaccare tutto e invece ora come una pianta rampicante si è attaccato ai posti di comando e sembra disposto perfino a rinnegarsi pur di lasciare attaccati alcuni dei suoi. È immorale Matteo Salvini, certo, ne abbiamo parlato spesso su queste nostre pagine e non finiremo di parlarne. È immorale perfino venirci a dire che dovremmo smettere, che attaccarlo di continuo fa il suo gioco: se per un trucco di propaganda fingiamo di non vedere l’orrore che ci circonda sperando che sparisca significa che anche noi ci sdraiamo sulla strategia piuttosto che sull’etica.

L’immoralità di Salvini è un marchio di fabbrica, ce n’è una parte addirittura esibita come se fosse qualcosa di cui andare fieri. Guardate per esempio la sua ultima foto mentre visita un caseificio nel suo lungo tour da food blogger: non ha mascherina, non ha guanti, si butta su una forma di formaggio come un topo, i proprietari dell’azienda lo guardano compiaciuto e probabilmente godono nel pensare alla visibilità inaspettata che potranno avere. Là dentro c’è tutto: l’atteggiamento è quello di chi dice “me ne fotto delle regole perché sono un bullo, voi votate un bullo perché così vi sentite protetti e io raccatto i vostri voti di servi che hanno bisogno di eleggere un padrone”. Messa così sarebbe anche abbastanza ridicola se non fosse che l’immoralità della Lega, quella che Salvini invece non vuole farci vedere e di cui non vuole che si parli, sta tutta nella gestione economica rapace dei fondi pubblici di partito (c’è una condanna, definitiva, che sembra non avere colpevoli), l’immoralità della Lega è nell’avere slacciato le…

L’articolo prosegue su Left del 21-27 agosto 2020

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