Vai al contenuto

is

La parità degenere

In Puglia l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia ha impedito che la doppia preferenza di genere fosse inserita nella legge elettorale, come previsto da una norma nazionale del 2016. Così il governo ha dovuto metterci una pezza

Che gran brutta figura che ha rimediato il Consiglio regionale della Puglia. La notizia è passata sottobraccio eppure è una notizia di portata storica perché vede il governo, con il presidente Conte, intervenire per decreto lì dove i consiglieri regionali sono riusciti a dare il peggio di se stessi.

Partiamo dall’inizio: il Consiglio regionale pugliese nell’ultima occasione utile non riesce a introdurre la doppia preferenze di genere così come stabilito dalla legge nazionale, la n.20 del 2016, riuscendo addirittura a farsi bloccare da qualche migliaio di emendamenti da parte di Fratelli d’Italia, quelli della famiglia tradizionale che evidentemente le donne le vorrebbero vedere solo a casa a stirare e accudire i bambini. Che una Regione non riesca a mettersi in regola, dopo oltre quattro anni, con una legge così importante e non riesca a garantire la parità di genere e soprattutto per fare qualcosa di concreto per la partecipazione politica delle donne è la fotografia di un Paese in cui l’autopreservazione (degli uomini) è e rimane uno degli ostacoli principali.

Il governo ha provato a richiamare i consiglieri regionali alle loro responsabilità ma l’invito è caduto nel vuoto: la brama di qualche maschietto di non perdere il posto alle prossime elezioni evidentemente ha contato di più di principi che vengono annunciati e poi mai messi in pratica. Così alla fine è dovuto intervenire il presidente Conte con una mossa che ha qualcosa di storico: il governo ha nominato il prefetto di Bari Antonia Bellomo commissario straordinario con la funzione di provvedere «agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia». Poche ore dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge.

Ha ragione la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti quando scrive: «Affermiamo così che la parità di genere è un principio da tutelare in tutto il Paese, in maniera uniforme, perché in maniera uniforme va tutelato il diritto alle pari opportunità. Avevo anticipato negli scorsi giorni la volontà di utilizzare questo strumento inusuale, sperando tuttavia che le istituzioni pugliesi si adeguassero autonomamente. Non avendolo fatto, non abbiamo avuto altra scelta che questa per garantire i diritti e la legalità. Ho chiesto e insistito per un commissario straordinario che sia garante della piena applicazione del decreto e lo abbiamo individuato nella persona del Prefetto di Bari».

È un gesto enorme. E giusto. E dimostra invece la parità degenere della politica quando si occupa solo di sopravvivere.

Ben fatto.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Strage di Bologna, la vergogna di un Paese che dopo 40 anni ha ancora una giustizia monca

10 e 25 del 2 agosto di 40 anni fa. Rimangono le commemorazioni, rimane l’immagine di quell’orologio fermo a dirci che non è vero che il tempo non si ferma, anche il tempo si inginocchia di fronte a 85 morti che frequentavano quella mattina la stazione centrale di Bologna. Ragazzi e bambini, tantissimi: il presidente Pertini, arrivato subito nel pomeriggio, raccontò di avere visitato bambini in terapia intensiva che stavano morendo sotto i suoi occhi. Angela aveva 2 anni, Sonia ne aveva 7. Kai ne aveva 8.

Quarant’anni e una storia che viene raccontata ancora per metà: qui da noi siamo bravissimi a commemorare storie che non ci siamo nemmeno presi la briga di raccontare. Sono stati condannati i tre colpevoli: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Terroristi fascisti dei Nuclei armati rivoluzionari che in quegli anni hanno contribuito alla politica del terrore che ha ucciso magistrati, poliziotti, carabinieri e perfino camerati considerati traditori. Per Gilberto Cavallini, altro estremista nero, la condanna di primo grado è arrivata solo a gennaio di quest’anno. Il neofascista Paolo Bellini, di Avanguardia Nazionale, ora è imputato e chissà quanto ci metteremo a leggere la sentenza.

Poi ci sono Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi: sospettati di avere foraggiato economicamente la strage, tutti deceduti nel frattempo, tutti iscritti alla Loggia massonica P2 e tutti individuati fuori tempo massimo, per permettere l’ennesima umiliazione su quella strage: il negazionismo. Il fetore di chi ancora lucra su quei morti perché la storia non venga raccontata per intero. Siamo il Paese che si ferma sempre un passo prima dell’individuazione dei mandanti, un Paese che restituisce quella giustizia a metà che non basta mai (e per fortuna) ai famigliari delle vittime e a chi crede nello Stato.

Per questo anche oggi sull’anniversario della strage di Bologna possono dare aria alla bocca quelli che giocano sulla riscrittura degli eventi sempre a favore della propria propaganda. Di Licio Gelli ci rimane una condanna per il depistaggio successivo, solo quella, e tutti i suoi segreti che si è portato nella tomba. Ma l’importante qui da noi è che la politica sfili per le cerimonie, sacerdoti del ricordo che non si ricordano mai dove sono stati. Alla fine siamo stati noi a permettere che oggi siamo così monchi.

Leggi anche: Quei cattivi ragazzi: Bologna, la storia di Mambro e Fioravanti e tutti i dubbi su una strage lunga 40 anni (di Luca Telese)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Vuole il processo e poi frigna

La tattica di capitan Coniglio è sempre la stessa: provare a scappare dal processo e poi frignare per il processo e provare a utilizzarlo a proprio favore. Ieri ci ha detto che dovrà spiegare a suo figlio di non essere un delinquente e in questa frase c’è tutta la sua retorica: usare i figli per muovere la compassione è una mossa da spot di merendine, qualcosa di talmente basso che si prova orrore solo a scriverlo e se non è riuscito in tutti questi anni a capire che a processo non ci vanno i delinquenti ma ci si va perché si è accusati di qualcosa e si ha l’occasione di dimostrare la propria innocenza allora non c’è più speranza.

Eppure se Salvini fosse furbo potrebbe usare questo processo a suo favore non tanto frignando quanto piuttosto raccontandoci bene come siano andati i fatti, quali siano stati i suoi intendimenti e quali siano stati i suoi risultati. Tutto questo brutto balletto ci sarebbe risparmiato e si potrebbe parlare di politica.

A proposito di politica: ma siamo sicuri che Salvini fosse solo nel prendere quelle decisioni? Dico, al di là della questione meramente burocratica, ve lo ricordate con chi andava a braccetto mentre chiudeva i porti? Vi ricordate chi esultava con lui? Vi ricordate chi si faceva fotografare sorridente dopo l’approvazione dei decreti sicurezza? E, soprattutto, lo sapete che il secondo decreto sicurezza è stato ulteriormente peggiorato dai molti emendamenti del Movimento 5 Stelle?

E vi ricordate l’abrogazione della Bossi-Fini che non è mai arrivata? l’abrogazione dei decreti sicurezza? L’avete letto del rifinanziamento dei torturatori libici da parte del governo italiano?

Così, tanto per non perdersi troppo sul processo di Salvini.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il sottovuoto in cui stiamo

Stato d’emergenza, migranti, Europa: siamo in una fase politica in cui si urla di tutto e parla di niente. Certo, succede spesso, ma è insopportabile questa leggerezza vacanziera su ciò che accade

Ieri una leader del centrodestra ha urlacciato alla Camera per fare sentire più forte le proprie idee. L’hanno chiamata tenacia e invece è solo un volume alto, un volume di voce alto è solo un volume di voce alto e chi urla lo fa perché ha paura che le sue idee non siano abbastanza pesanti e quindi ha bisogno di scagliarle perché si notino di più. Buon per loro, male per noi.

Però analizziamo il momento politico, sul serio, per favore.

Proviamo a togliere i migranti, togliamoli dal tavolo della polemica politica. Non rimane niente, niente di niente.

Si sta parlando del prolungamento di stato d’emergenza di un Paese i cui molti bighellonano tra discoteche e mercatini e spiagge senza nessuna protezione, senza nessuna mascherina e intanto urlano alla dittatura. Una dittatura in cui va di moda non seguire nemmeno le regole basilari è una delle dittature meno credibili che si sia mai vista in giro.

Si sta discutendo di quelli per cui il Covid non esiste. Fermi tutti: quelli per cui il Covid non esiste sono gli stessi che urlacciano contro i migranti che porterebbero il Covid. Un tilt di ragionamento che farebbe sbiellare chiunque e che invece qui viene rivenduto come fosse normale.

Si sta parlando di scuola (e ce ne sarebbe tanto bisogno di parlare di scuola) discutendo solo di banchi a rotelle. Solo di questo.

Si sta parlando dei soldi dell’Europa mica decidendo come spenderli ma discutendo del fatto che l’Europa sia sporca e cattiva. Proposte su come spendere i soldi, per ora, niente.

Si sta discutendo di lavoro con le due fazioni che si dicono, entrambe, che bisogna rilanciare il lavoro e nessuno capisce come si debba fare.

È la stagione del sottovuoto spinto. Della politica che urla di tutto e parla di niente. Sì, lo so, accade spesso, ma non trovate che sia insopportabile questa leggerezza vacanziera su quello che accade? Ma lo sentite il disagio di una discussione così?

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Chiedere semplicemente scusa

Pensate come sarebbe facile, chiaro, lineare:

«Scusatemi, no, non è vero che sono stato frainteso, ho detto così perché sono stato vigliacco, capita a tutti di essere vigliacchi e a volte di non volere riconoscere i propri errori, sarà che in fondo siamo tutti figli di quest’epoca in cui l’errore è un’onta da cui sembra impossibile riabilitarsi, sarà che ci vorrebbero convincere tutti che la vera vittoria sta nel non sbagliare mai quando invece sbagliare è nell’ordine naturale delle cose, sbagliare e rialzarsi e poi una volta in piedi sbagliare di nuovo e anche se ci mettiamo in testa di imparare dai nostri errori è talmente ampio il ventaglio degli sbagli possibili nella vita che alla fine non li impareremo mai tutti e ogni mattina ci sarà uno sbaglio nuovo che ci aspetta dietro la porta, che ci frega di nuovo e forse sarebbe il caso che la smettessimo di voler apparire invincibili e che dicessimo, che ce lo dicessimo, che sbagliamo e continueremo a sbagliare. Semplicemente sbaglieremo meglio, promesso».

Pensate che rivoluzione.

Pensate se Bocelli ci dicesse che è stata una tentazione irresistibile andare a fare la sua comparsa in Senato e poi è successo come succede a tutti di farsi trascinare un po’ troppo dalla compagnia dal bar ed è finito a fare il gradasso. «Ho sbagliato e occhio alle cattive compagnie», potrebbe dire. E chiusa lì.

Pensate se Salvini confessasse di dire semplicemente il contrario di quello che dicono gli altri perché gli conviene ed è per questo che dice tutto e il contrario di tutto: «Ogni tanto mi sbaglio perché anche quelli dicono tutto e il suo contrario e io per fare il contrario inevitabilmente mi contraddico». Bon, finita lì.

Pensate se i direttori di Libero e de Il Giornale avessero il coraggio di ammettere di cercare ogni giorno di vincere la gara a chi la spara più grossa e per questo spesso finiscono nell’incredibile. Bene, lo sappiamo, discorso chiuso.

Immaginate Zingaretti se avesse il coraggio di dire che i Decreti Sicurezza non li può cancellare perché il suo presidente del Consiglio li presentava in pompa magna con i clap clap del Movimento 5 Stelle e adesso non può rimangiarsi tutto. Lo sappiamo, bene, ok.

Immaginate se la Meloni dicesse che deve fare la fascista ma prova a farla in modo più furbo di Salvini senza esporsi troppo ma leccando i fascisti di nascosto. A posto così.

Chiedere semplicemente scusa.

Dico, sarebbe un mondo bellissimo, no?

Buon mercoledì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lombardia, la consigliera di Italia Viva che finge di fare opposizione e invece sta con Fontana

Chissà se qualcuno dalle parti di Italia Viva, il partito guidato e fondato da Matteo Renzi e dalla sua truppa, un giorno o l’altro avranno voglia di dire qualcosa sulla loro consigliera in Regione Lombardia Patrizia Baffi, che continua a collezionare posizioni a dir poco discutibili e che continua allegramente a essere il pezzo di maggioranza aggiunta che finge di stare all’opposizione.

Patrizia Baffi, tanto per dare idea di chi stiamo parlando, è quella stessa consigliera che era stata eletta alla presidenza della commissione d’inchiesta sul Covid in Lombardia con i voti della maggioranza, quella stessa maggioranza che avrebbe dovuto essere messa sotto inchiesta. E lei aveva anche insistito sul fatto che quella sua investitura fosse qualcosa che avesse a che fare con la meritocrazia piuttosto che spiegarci questo suo atteggiamento sempre così vicino al presidente Fontana e ai suoi uomini con tanto di foto di sostegno addirittura sul suo profilo Instagram. In quel caso l’onda di indignazione la costrinse a dimettersi (venne criticata anche dai dirigenti del suo partito).

Ma giusto ieri la consigliera Baffi ha deciso di salire ancora all’onore delle cronache applaudendo convintamente l’intervento del presidente Attilio Fontana (un intervento che non ha spiegato nulla di quello strano ordine di camici della società del cognato e della moglie e che non ci ha spiegato nulla sui suoi 5 milioni di euro scudati in un conto svizzero di cui nessuno conosce l’origine).

“Da parte mia – ha detto la consigliera di Italia Viva – ho deciso di non sottoscrivere la mozione di sfiducia al presidente, proposta dal Movimento 5 Stelle, perché ritengo che sia il frutto di una elencazione di fatti ancora sommari e la cui analisi non può essere completa ed esaustiva: una analisi seria e le conseguenti valutazioni politiche su un’emergenza che è tutt’ora in corso, potremo farla solo quando avremo tutti gli elementi utili”. E non contenta ci ha anche spiegato che “cambiare vertici in questo momento in cui si scongiura una possibile seconda ondata di Covid-19 in autunno, eventualità che non possiamo per ora escludere vorrebbe dire mettere regione Lombardia e le nostre comunità in una situazione di grande difficoltà e insicurezza”.

Davvero i vertici del partito ritengono normale l’atteggiamento della loro consigliera, che insiste nel giochetto di appoggiare la maggioranza fingendo di essere all’opposizione? Davvero ieri nessuno si è sentito in imbarazzo per la sua assenza alla conferenza stampa dell’opposizione? Davvero?

L’articolo proviene da TPI.it qui

I maestri della “vita reale”

L’imprenditore Flavio Briatore ha detto che quelli al governo vivono in una bolla e non hanno idea della vita reale

Ieri è rimbalzato in rete un video di un maestro di vita reale, non so se ne conoscete qualcuno, sono quelli che hanno un’opinione di tutto perché trattano tutte le sfumature e tutte le situazioni della complessa realtà come fosse un unico blocco di cemento, immodificabile e inamovibile, e di solito sputano sentenze inappellabili accusando gli altri di essere “fuori dal mondo”, dicono proprio così, come se ci fosse un mondo in cui stare dentro e uno in cui stare fuori. I maestri della vita reale di solito hanno il vizio di categorizzare il mondo in buoni e cattivi, ricchi e poveri, lavoratori e nullafacenti, belli e brutti, bianchi e neri, comunisti e liberal (dicono così) e poi tutto un resto di etichette che non vale nemmeno la pena trascrivere tutte per non rubare troppo spazio a questo articolo e alla vostra mattinata.

Il maestro della vita reale del video che girava ieri era Flavio Briatore che tutto baldanzoso dichiarava: «Quelli al governo vivono in una bolla, non hanno idea della vita reale!» e poi dava tutto un elenco di consigli su come governare l’Italia, come fare funzionare questo Paese e come rendere felici tutti gli italiani. La cosa curiosa è che i maestri della vita reale vengono invitati più o meno sempre negli stessi programmi e piacciono più o meno sempre agli stessi politici. Briatore è un imprenditore con sede legale a Londra, sede fiscale a Dublino, produzione in Pakistan, residenza a Montecarlo ed è molto curioso che ci dia lezioni sulla “vita reale” in Italia dall’alto delle sue bollicine extra lusso. Ti aspetteresti che un maestro di vita reale sia qualcuno che fatica, che si porta addosso le sue cicatrici, che riconosce di avere compiuto errori e cose buone e invece i maestri di vita reale che ci propinano sono quelli che vorrebbero convincerci che nella vita o si vince o si perde e chi perde è un fardello di cui bisogna liberarsi.

Facciamoci un favore, curiamo l’ecologia sociale, liberiamoci dei maestri di vita reale e occupiamoci della nostra vita che, reale o no, è quello di cui ci dobbiamo occupare.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale

Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: se “serve”, la Lega è internazionale

Dice “prima gli italiani” ma la Lega ama l’estero, eccome se lo ama, e si riferisce a Paesi stranieri quando c’è da brigare affari di soldi e utilità. C’è la laurea di Renzo Bossi in Albania, all’Università albanese Kriistal di Tirana, che potrebbe essere la prima scena di questa brutta commedia all’italiana in cui gli odiati albanesi (quelli contro cui la Lega ha lanciato strali) sono gli stessi che poi incoronano il figlio dell’imperatore. Rimarrà negli annali anche la meravigliosa risposta del figlio del Senatur, che ai giornali disse di essersi laureato a sua insaputa.

Ma Umberto Bossi e i figli Riccardo e Renzo sono finiti anche in un processo che ci porta addirittura in Tanzania, dove l’ex tesoriere del partito Francesco Belsito ha investito parte dei rimborsi elettorali, acquistato partite di diamanti e poi distribuito soldi alla famiglia del segretario della Lega. Il tesoriere genovese Franco Belsito alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. La seconda scena della commediola in salsa leghista potrebbe essere quella Audi A6 che parte da Genova a Milano con undici diamanti e dieci lingotti d’oro nel bagagliaio da consegnare direttamente in via Bellerio. Si tratta del famoso processo dei famosi 49 milioni di euro (di cui Salvini continua a parlare come “parte lesa” dimenticandosi di diritti lesi dei cittadini italiani) che si è chiuso con un’inedita trattativa per cui il partito di Salvini pagherà in 76 comode rate annuali da 600mila euro l’una. Data di estinzione del debito: 2094, alla faccia dei cittadini abituati alle rateizzazioni di Equitalia.

Poi c’è quell’incontro in Russia, con la visita a Mosca del leader leghista all’epoca ministro e vicepremier, in cui il suo ex portavoce Gianluca Savoini all’Hotel Metropoli il 18 ottobre del 2018 parla di alcuni fondi neri che dovrebbero arrivare al partito attraverso una fornitura di petrolio. L’inchiesta è ancora in corso ma la conversazione (al di là del fatto che Salvini sapesse o meno) l’abbiamo ascoltata tutti. Infine c’è il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con il suo trust alle Bahamas con 5 milioni di euro, regolarizzati da uno scudo fiscale ma sulla cui origine nulla dice.

Prima gli italiani, dicono, ma questi leghisti hanno le mani in pasta sui conti correnti in giro per il mondo.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI: Ecco che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega / 2. Fondi Lega, l’ex tesoriere Belsito: “Dovete chiedere a Maroni e Salvini come hanno usato quei soldi” / 3. Fondi Lega: tutto quello che c’è da sapere sulla truffa allo Stato e sui soldi del partito spariti nel nulla

4. Esclusivo TPI, ex tesoriere Lega: “I 49 milioni? Li abbiamo spesi scientemente. Salvini era d’accordo” / 5. Esclusivo TPI: L’ex segretaria di Bossi accusa anche Giorgetti: “I milioni della Lega usati per licenziare i dipendenti” / 6. Esclusiva TPI: “Salvini sapeva dei 49 milioni spariti, ma non fece nulla”. Le rivelazioni shock dell’ex dipendente della Lega che incastrano il Segretario

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il virus in Lombardia è l’amministrazione di Attilio Fontana

Nuova puntata delle incredibili avventure del signor Fontana che sta piano piano logorando la Lombardia seduto sul trono di presidente di Regione e del suo compagno di brigata Matteo Salvini che ormai rimpiange quelle belle estati in cui l’errore era semplicemente quello di bere troppo Mojito sulla spiaggia del Papeete.

Mettere in fila tutte le bugie della storia dei camici che non lo erano, che erano una donazione che non lo era, di cui sapeva e che non sapeva è qualcosa che provoca le vertigini. In piena emergenza Covid Regione Lombardia acquista mezzo milione di euro di camici da una società che appartiene alla famiglia della moglie di Fontana. La cosa, scoperta dalla trasmissione Report, risulta piuttosto inopportuna poiché l’acquisto di quei camici non avviene con una normale gara pubblica ma con una trattativa privata: viene quasi il dubbio che gli affari della Regione, per di più nel drammatico momento della pandemia, avvenissero nel salotto di casa.

Il cognato di Fontana, raggiunto dai giornalisti, dichiara di avere commesso un errore formale e che quella fornitura di camici era semplicemente una donazione. Toh, guarda che bravo, che cuore d’oro. Accade anche che venga emesso uno storno della fattura prodotta dall’azienda (in effetti era strano il modo di regalare fatturando, in effetti) e si pensa che la storia finisca lì. E invece la Procura decide di volerci vedere chiaro.

E Fontana? “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”, disse lo scorso 7 giugno in un’intervista del Corriere della Sera. E invece mentiva. Eh, sì. Fontana con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome (nel 2015 aveva “scudato” 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas) il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, proprio nei giorni della famosa intervista di Report, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta. Il bonifico viene bloccato per le norme antiriciclaggio e così viene scoperto.

Questa è la storia. Quella stessa storia che Salvini vuole derubricare come inchiesta a orologeria (ha imparato la frasetta dal suo padrone Berlusconi). Poi, volendo andare a parlare di politica sarebbe anche curioso sapere cosa siano quei 5,3 milioni di euro nascosti nelle Bahamas e recuperati con lo scudo fiscale.  Insomma tutta la storia fa acqua da tutte le parti.

Ma davvero in Lombardia ce lo meritiamo, Fontana?

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.