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l’amico degli eroi

‘L’amico degli eroi’ si è fatto libro

copertina3Questo libro non è un libro. Meglio: non è solo un libro. È la cassetta degli attrezzi per entrare preparati in una storia che si prova a rimuovere come se non fosse mai accaduta. Quando abbiamo deciso di preparare un’operazione culturale sul processo di Palermo che riguarda i rapporti mafiosi di Marcello Dell’Utri ci siamo convinti che l’abbinamento perfetto sarebbe stato uno spettacolo teatrale e un libro come manuale d’istruzioni. Come il bugiardino dentro le medicine, una cosa così, solo che qui il bugiardino c’è uscito di qualche centinaio di pagine perché ci teniamo che l’uso (e soprattutto le controindicazioni) siano chiari a tutti.

L’amico degli eroi’ (che è il titolo dello spettacolo e anche del libro) è un “produzione sociale”: un’idea culturale che è stata sottoposta ai lettori e agli spettatori prima di essere costruita. Abbiamo pensato che anche il percorso di produzione avrebbe dovuto rispettare lo spirito generale: non cadere nella troppo comoda tentazione di smussarci. E per farlo abbiamo deciso di farci produrre dal nostro stesso pubblico: “se funzionerà significherà che ha un senso”, ci siamo detti. E ha funzionato: abbiamo raccolto abbastanza fiducia perché l’idea diventasse forma. E se è vero che non è una novità che uno spettacolo o un libro nasca grazie al crowdfunding (ingarbugliatissima parola inglese per non rischiare di dover dire “produzione sociale”) è pur vero che per me si trattava di un azzardo: io che per lavoro ho il privilegio di scrivere per importanti editori o sostenuto da teatri riconosciuti mi sono buttato lì dove con troppa comodità di solito indichiamo il dilettantismo o al massimo il semiprofessionismo.

Sono convinto invece che la “produzione sociale” sia il punto d’arrivo per un artista che voglia verificare l’empatia e la fiducia con il proprio pubblico. Questo libro e questo spettacolo, altrimenti, difficilmente sarebbero stati così: ci avrebbero fatto notare che “la storia è vecchia”, che “è già stato scritto tutto” o che ci sarebbe stato bisogno di un mezzo scoop, uno spicchio di scandalo per diventare vendibile. E invece questa storia è potente proprio perchè è già pubblica eppure così impolverata, archiviata. Deposta. Una storia deposta senza discuterla.

Mi sono detto «ma davvero solo io ritengo scandaloso che tutto questo sia finito così? Con un mezzo editoriale, qualche trasmissione e pace alla storia?.» Perché se non conosciamo Dell’Utri non riconosceremo i prossimi Dell’Utri. Non è giustizialismo, è memoria. Semplicemente. E allora ci siamo tuffati in questo gorgo di amicizie unte, amorosi sensi corrisposti, convergenti interessi particolari. Ci vuole stomaco, certo, ma è un viaggio che ci tocca fare. Per il nostro Bene. Quello maiuscolo.

(si può comprare ovunque, ad esempio qui)

Cavalli e la vicenda (dis)umana di Dell’Utri: un’intervista

(l’intervista è pubblicata sul sito QuartaParete qui)

Schermata 2015-10-16 alle 10.04.39Il racconto di Giulio Cavalli su Dell’Utri, accompagnato dalle musiche dal vivo di Cisco Bellotti, ha fatto tappa al Nuovo Teatro Sanità il 10 e 11 ottobre, aprendo di fatto la stagione di una tra le realtà più interessanti dell’ambiente teatrale napoletano. L’amico degli eroiParole, opere e omissioni di Marcello Dell’Utri ha raccolto un buon pubblico alla sua prima, nonostante il diluvio abbattutosi nella serata di sabato su tutta la Campania. Un buon inizio e un ottimo segnale per chi continua a svolgere orgogliosamente un ruolo di presidio culturale e artistico nel cuore della Sanità.
Quello di Cavalli è un ritorno: già due anni fa, infatti, fu ospite del ntS’ con L’innocenza di Giulio, inizialmente rinviato in seguito al rinvenimento di un’arma nei pressi del suo studio di Roma; sebbene dunque nel mirino della criminalità organizzata, Cavalli, anche scrittore  e giornalista, oltre che attore, non ha però perso il gusto di narrare di mafia e politica e di quel grigio che passa tra le due, dedicando, questa volta, le proprie attenzioni ad un personaggio molto chiacchierato: Marcello Dell’Utri, pienamente rappresentativo dell’ultimo ventennio berlusconiano; l’amico degli “eroi” (così come lui chiama Vittorio Mangano), mafioso che scelse di non riferire mai alla magistratura i propri rapporti con i vertici di Fininvest.
Ascoltando il monologo, in effetti, sembra di tornare a piè pari nei primi anni Duemila, a certe trasmissioni di Santoro (di cui non a caso sono proiettati frammenti del passato), ad un impegno antimafia che oggi appare sfumare nella retorica da Twitter che domina il dibattito politico sui media. La storia di Dell’Utri viene narrata quasi con un certo affetto nei confronti del protagonista; ne viene raccontata la vergogna per i genitori e, in generale, per i propri natali meridionali; l’amore per gli ambienti milanesi, tradizionalmente negati alla piccola e media borghesia palermitana di cui portava il marchio anche nell’amore per le cravatte (rigorosamente Regimental); unico elemento della scenografia, d’altronde, è proprio un’enorme cravatta, icona del tentativo mai riuscito di mimetizzarsi tra gli invidiati finanzieri della Milano da bere di trenta, quarant’anni fa.
Dell’Utri è il trait d’union tra Berlusconi e Mangano (gli altri due “protagonisti”), ma è anche profondamente diviso tra la volontà di essere come il primo e la vicinanza (per mentalità e provenienza) al secondo; in questa bivalenza si consuma la tragedia di Dell’Utri, che riuscirà a farsi accettare da quest’ambiente tanto ambito solo facendo da pontiere proprio con quella Sicilia da cui voleva allontanarsi. Cavalli tiene bene la scena e richiama l’attenzione del pubblico nei momenti in cui il susseguirsi di citazioni e sentenze rende la narrazione più ostica da seguire (“Cos’è questa, un’assemblea del Pd?” riprende la sonnacchiosa platea, scatenando immediata ilarità). Chiude con il richiamo all’articolo 4 della Costituzione (“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”), ideale contraltare all’Italietta provinciale e truffaldina rappresentata fino a quel momento.
Al termine dell’ora circa di spettacolo, l’attore lombardo si ferma qualche minuto con noi, approfittando della pioggia ancora battente che all’esterno inonda la Sanità. È abbastanza provato dall’interpretazione appena conclusasi, ma non per questo sembra meno lucido il racconto del suo personale rapporto con “l’amico degli eroi” del titolo.

Foto di Mario Gelardi

In questi giorni, Napoli ospita il tuo spettacolo e riapre alla città (anche se solo per un giorno) la biblioteca dei Girolamini in passato depredata da Dell’Utri; sembra quasi che un’intera città stia cercando di prendersi gioco dell’ex senatore siciliano. Viene spontanea allora la domanda: perché proprio Dell’Utri dopo aver parlato di Andreotti ne “L’innocenza di Giulio”?
Perché su Dell’Utri abbiamo molte più prove, paradossalmente, di quante non ce ne fossero per Andreotti; è tutto fotografato nelle sentenze. La storia di Dell’Utri è quella di un siciliano che sogna di essere milanese, quella di un milanese (Berlusconi) che disprezza intimamente ogni meridionale – ma meglio di chiunque altro ne riuscirà a sfruttare il senso di fedeltà – e quella di un mafioso da discount come Mangano. E’ una storia in cui gli opposti si attraggono, che ci racconta molto di un Paese in cui uno di questi protagonisti è ancora lì a riscrivere gli articoli della Costituzione.
Viviamo ancora nello stesso Paese della “trattativa Stato-mafia” che oggi emerge dai processi di Palermo?
Si cerca troppo spesso di raccontare il presente con le sentenze, ma le sentenze non sono che le macerie del passato; al di là di quella giudiziaria che poi verrà fuori, una verità “culturale” già la sappiamo ed è quella – e non le sentenze – che dovrebbe darci le chiavi di lettura del presente.
Cosa intendi?
Ad esempio, è già ora evidente che Mancino ha una paura enorme data dall’aver camminato troppo tempo nella penombra; così com’è evidente che Dell’Utri è stato condannato perché già sostituito con “qualcos’altro”. Non c’è bisogno di aspettare una sentenza per poterlo dire.
Perché Dell’Utri s’è lasciato sostituire, alla fine?
Da un lato, c’è quel meccanismo che porta ogni servo a vedere la propria salvezza nel padrone, anche quando è evidente che il padrone l’ha ormai abbandonato. Dall’altro, Dell’Utri ha monetizzato la propria dipartita sistemando le prossime quattro o cinque generazioni di Dell’Utri.
Cosa pensi del suo atteggiamento ironico e strafottente?
Sentendo le parole di chi lo ha conosciuto di persona, mi son fatto l’idea di uno che è intimamente convinto di essere superiore a Berlusconi; che pensa che in un mondo ideale sarebbe stato Berlusconi a fargli da vassallo e non il contrario. Da questa convinzione viene il suo atteggiamento sprezzante. Quando ha saputo di questo spettacolo, ha detto al suo avvocato: “Finalmente scrive di me qualcuno bravo e non i soliti giornalisti”.
Condividi l’immagine che di Dell’Utri ha dato la serie “1992”?
No, non l’ho vista, cerco di salvarmi da queste serie.
Cos’è cambiato in Lombardia negli ultimi due anni? (il 9 ottobre Mario Mantovani, vicepresidente della Regione, è stato arrestato per corruzione, ndr)
I centocinquanta arresti hanno inciso, indubbiamente. A scuola si parla di mafia e c’è una generazione che sta crescendo con una forte sensibilità antimafia; mentre quella precedente non ha gli strumenti, probabilmente, per sviluppare questa sensibilità. Ci siamo affezionati, nel frattempo, a dei simboli: io stesso, in quanto “attore con la scorta”, sono stato un simbolo; però poi ti accorgi che ogni folata di luce in più che ricevi avvicina la gente al tuo feticcio e l’allontana dal fulcro della questione.
Un corto-circuito, in pratica.
Un corto-circuito dal quale noi per primi dobbiamo allontanarci. Io ammetto che da questo punto di vista ho commesso degli errori, per questo cerco di non parlare della scorta.
Credi che una responsabilità l’abbiano anche i media e la rassegnazione del pubblico?
Il “savianismo”, che io definirei più che altro “mondadorismo”, ci ha raccontato che la lotta alla criminalità possono farla solo gli eroi; e così non abbiamo protetto abbastanza chi ha il diritto di avere paura di dover lottare in prima persona.

Foto di Mario Gelardi

Può essere il teatro una chiave per diffondere queste informazioni che oggi difficilmente “passano” sulla stampa (anche perché i giornalisti che se ne occupano, come Ester Castano a Sedriano, sono puntualmente boicottati)?
No, se devo essere sincero non credo che il teatro possa addossarsi questa responsabilità. Così come la letteratura e la magistratura, da sole, non possono nulla; e non credo nemmeno a questa puttanata che “la parola” possa sconfiggere le mafie. Il teatro deve fare la sua parte, per carità. In questo quartiere, la criminalità organizzata fa venire l’acquolina al gommista, per dire una categoria a caso, con il suo potere. Col teatro non posso liberare il “gommista” ma posso gettare dei semi che, se coltivati, possono arrivare a liberarlo; ma da solo il teatro non può risolvere granché.
Com’è cambiata la sensibilità degli artisti ed il gusto del pubblico negli ultimi venti anni di Berlusconi?
Il pubblico continua a chiedere “teatro di impegno civile”, perché vuole sentirsi raccontare il presente senza necessariamente ricorrere ad Aristofane o Platone. Questa fu l’intuizione di Marco Paolini con Vajont ed è ancora validissima.
Cosa manca allora al dibattito sulle criminalità organizzate?
Mancano gli intellettuali. Abbiamo lasciato la patente di intellettuali ai soli magistrati, i quali spesso sono, sì, ottimi professionisti ma si sono dimostrati anche pessimi intellettuali. Non possiamo lasciare che siano loro a tradurre nel sociale il significato delle sentenze; per questo lavoro ci vorrebbero delle figure che al momento mancano. E poi ovviamente c’è il problema che metà degli attori e giornalisti italiani è stato a lungo (e forse è tuttora) sul libro paga di una sola persona.
Ultime due domande per finire. Se questi venti anni fossero una pièce teatrale, in quale genere si inserirebbero?
(sorride) Non so, dovremmo chiedere a Dario (Fo). Sicuramente una farsa…
E questo momento storico attuale?
(prende un sospiro) Questa è la polluzione notturna degli ultimi vent’anni.

Antonio Indolfi

L’Armadillo Furioso su ‘L’amico degli eroi’

(l’articolo originale è qui)

12094875_1034918613214574_2466169856072221968_oL’amico degli eroi – Parole, opere e omissioni di Marcello Dell’Utri è il titolo dell’ultima opera scritta, diretta e interpretata da Giulio Cavalli, con musiche di Cisco Bellotti, andato in scena nella splendida cornice del Nuovo Teatro Sanità di Napoli sabato 10 e domenica 11 Ottobre 2015, in occasione dell’apertura della sua terza stagione, sotto la direzione artistica di Mario Gelardi.
Fin dai tempi di “(Re) Carlo (non) torna dalla battaglia di Poitiers” e “Linate 8 ottobre 2001: la strage” Cavalli ha mantenuto fede alla sua linea stilistica e di denuncia civile, presentando ora al pubblico uno spettacolo che affonda le unghie nelle vicende giudiziarie di Marcello Dell’Utri e scava a piene mani nei suoi rapporti con Vittorio Mangano, Silvio Berlusconi ed il complesso sistema di satelliti mafiosi che vi gira intorno. L’intreccio delle vite narrate in questo intenso monologo tesse un fil rouge tra imprenditoria milanese e mafia siciliana, ripercorrendo le vicende del suo spregiudicato protagonista fino alla condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.

La vicenda è suddivisa in capitoli, ognuno dedicato al protagonista o ad uno dei suoi comprimari, alternando i diversi monologhi ad inserti video di repertorio. Giulio Cavalli salta da un personaggio all’altro con disinvoltura, intrattiene il pubblico ritagliando piccoli spaccati dalle loro vite tessendo monologhi e dialoghi realistici non privi di umorismo ben dosato, in cui anche la scelta di una cravatta per un’importante serata in società diventa la metafora di una vita, dove l’importante è apparire, far credere di essere “amico di”, in una parola: contare. Ad intervallare le scene recitate subentrano proiezioni di video d’epoca, per lo più interviste a collaboratori di giustizia, magistrati e boss latitanti, oltre che ai diretti protagonisti della vicenda, che fanno da contrappunto storiografico alla fantasiosa ma non troppo rappresentazione teatrale. L’intera opera risulta compatta e riesce a condensare in poco meno di un’ora e mezza quasi 30 anni di storia d’Italia, utilizzando sia doverosi salti temporali che spezzano la narrazione, sia risoluzioni che descrivono l’odierna cronaca ma che riportano suo malgrado lo spettatore alla dimensione del reale.

Piccolo tesoro a forma di teatro. A Napoli, rione Sanità.

12094727_1034918286547940_6992202052362085515_oDavvero fateci un salto, al Nuovo Teatro Sanità di Napoli, proprio in mezzo a quel quartiere che vorrebbero raccontarvi come solo degrado e miseria e invece è capace di seminare piccoli miracoli. Dentro c’è il teatro, con tutte le sue eleganze e i suoi riti ma anche un’umanità che presidia il luogo con un’energia dal sapore partigiano e con uno stare insieme che sarebbe da insegnare nelle scuole. L’AMICO DEGLI EROI ora è uno spettacolo diverso, con la fortuna di respirare quell’aria.

Altro che periferia: ci sono luoghi in questa nostra Italia teatrale che hanno centrato le città in cui abitano meglio del campanile.

 

La bellezza di andare in scena (con ‘L’amico degli eroi’)

Schermata 2015-10-09 alle 20.35.05Eccoci alla fine siamo andati in scena. Tutti. Con Cisco dal vivo e la solita meraviglia che è il Teatro Fraschini quando Pavia è appena appena autunnale.

E posso dirvi che “L’amico degli eroi” è diventato adulto, respira a tempo e ha la forma che avevamo in testa. Se piace o no certo ce lo dirà il tempo, i chilometri e principalmente vuoi ma di sicuro siamo riusciti a mescolare i fatti (fatti, eh, mica opinioni: fatti accertati) insieme a quel tono di teatralità che ci interessava più di tutto. La storia dei tre (Marcello, Silvio e Vittorio) è la storia di un Paese che scopre convergenze tra persone inimmaginabili e credo che davvero sull’asse Berlusconi-Dell’Utri-Mangano-Cinà si potrebbe scrivere un manuale di patti mafiosi in salsa lombarda.

Ancora una volta, come ci era già successo per Andreotti, tocchiamo con mano quanto poco sia conosciuta la sentenza e quanto poco sia stata raccontata la verità. E allora noi proveremo a teatrare ancora più forte.

Insomma ieri l’abbiamo fatto tutto

10639423_708070405960440_2361917412700541641_nTutto dall’inizio alla fine. Con tutti i video. Con tutte le musiche di sottofondo. Per vedere la forma che fa. Quando provi davanti ad un pubblico, per la prima volta, tutto insieme uno spettacolo teatrale nuovo hai la sensazione di inaugurare un complicatissima caldaia, qualcosa tutto viti, bulloni e marchingegni e devo dirvi che ‘L’amico degli eroi’ ieri non solo si è acceso al primo colpo ma ha viaggiato a buona andatura senza preoccupanti cigolii. Ci siamo. Dobbiamo limare i tempi, arrotondare le luci, certo, quelle cose di manutenzione ordinaria per uno spettacolo che si prepara alla tournée, ma sono convinto che abbiamo colto il dellutrismo. E ovviamente mi viene da pensare alla pazienza dei nostri centocinquanta produttori, il cuore pulsante di questa articolata “operazione culturale”. Ora iniziamo il viaggio. Iniziamo un buon viaggio. E grazie agli amici del ‘Gruppo dello zuccherificio’ che hanno riempito di senso questo nostro battesimo.

«Mi interessa la grandezza “ordinaria”»: una mia intervista prima di partire per Ravenna

Intervista di Veronika Rinasti a Giulio Cavalli. L’intervista è stata pubblicata sul numero di Ravenna&Dintorni del 17 settembre. Qui l’inserto completo in pdf)

Cavalli con il nuovo spettacolo su Dell’Utri e il romanzo su Michele Landa: «L’ho scritto pensando ai miei figli»

giulio_cavalli_2012_foto_emiliano_boga_alta_ris-2Giulio Cavalli sarà ospite del Grido 2015 sabato 26 settembre con un doppio appuntamento. , romanzo edito da Rizzoli e in uscita il 17 settembre. Alle 21,00 sarà la volta dello spettacolo teatrale in anteprima nazionale L’amico degli eroi, monologo di Giulio Cavalli con musiche di Cisco Bellotti su Marcello Dell’Utri.

Nell’ultimo anno hai scritto un romanzo, uno spettacolo teatrale e hai iniziato a collaborare con Left. Scrittore, attore, giornalista. Hai deciso cosa fare da grande?

In realtà no! Negli ultimi due anni sono finito a fare il giornalista molto spesso, rispetto agli altri miei lavori. Il mio sogno rimane quello di fare lo scrittore e basta. Non per trasmettere alti pensieri o filosofie illuminanti, sono una persona che adora l’ozio e quindi la scrittura è semplicemente la forma più compatibile con me stesso. Mi capita di cambiare metodo a volte, ma questo dipende dal fatto che a seconda del tema trattato, mi sembrano più utili forme diverse. La storia di Michele Landa, ad esempio (il protagonista del romanzo Mio padre in una scatola da scarpe), è talmente umana che sento di non avere la cifra stilistica o la bravura per portarla su un palco. Mi viene più facile raccontarla in un libro.

Nel romanzo hai lavorato molto sulle parole, raccontando nel dettaglio i personaggi e ambientazioni. Quanto sei legato a questo libro?

Mio padre in una scatola da scarpe è il libro che mi rappresenta di più. Negli ultimi anni ho avuto la sensazione di dovermi sempre difendere. Con questo romanzo ho voluto scrollarmi di dosso l’etichetta di quello che si “merita” le minacce. Il processo di delegittimazione ti porta l’ansia di dare un certo tipo di risposta anche quando la delegittimazione in realtà non esiste. Il mio habitat è quello del racconto che non ha bisogno di fatti eclatanti, ma è legato alle piccole cose e forse questo romanzo è il mio lavoro più libero.

Quella di Michele Landa è una storia di cui si è parlato poco a livello nazionale. Perché hai scelto di parlare proprio di lui?

Mi piace molto raccontare la grandezza “ordinaria” delle persone normali. Sono assolutamente contrario alla mitizzazione della mafia e dell’antimafia. Molto spesso l’incontro con la criminalità organizzata si verifica per cause banali, come trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, come è successo a Michele Landa. Secondo me c’è un insegnamento molto più umano nella sua vicenda, che nelle storie ormai famose e abusate. La sua storia mi è stata raccontata durante un pranzo, quello di cui parlo alla fine del libro. Mentre scrivevo non mi sono sentito un giornalista, volevo soltanto raccontare la profonda umanità di questa famiglia che si era sempre tenuta fuori dalla criminalità organizzata, dichiarandosi anche ignorante su questo argomento.

Hai pensato ad un lettore ideale mentre scrivevi il romanzo?

Mi piacerebbe riuscire a creare una cultura dell’etica e della legalità che si appassionasse anche alle storie minori. Mi capita spesso di incontrare studenti nelle scuole e cerco sempre di contrastare questa bolsa retorica dell’antimafia, come se Falcone e Borsellino fossero il sussidiario della criminalità organizzata quando nella realtà esistono infinite sfumature di persone. Ho pensato ai miei figli e a quando, da grandi, mi chiederanno il perché di una vita così movimentata. Ecco, questo libro sarà la risposta.

Dopo la presentazione del libro, avremo in anteprima nazionale, anche “L’amico degli eroi”, spettacolo teatrale realizzato con il crowdfounding. In questo caso il progetto sociale è stato un obbligo o una scelta?

Innanzitutto trovo deliranti i bandi per ottenere fondi pubblici. Quindi abbandono per principio tutto quello che mi sembra illogico. E poi non mi avrebbero permesso di farlo. Gli unici spettacoli che ho realizzato con piccoli contributi pubblici sono L’innocenza di Giulio e bambini a dondolo, in cui parlo di turismo sessuale. Ma l’aiuto si limita alla fase di produzione. Gli spettacoli vengono scritti ma non venduti, e in questo modo l’ente compra il “perdono” attraverso il finanziamento.
Per il resto, io mi ritengo una persona fortunata. Ho molte persone che mi seguono, che sono miei lettori e sostenitori…e molto spesso sono anche le mie fonti. Ho pensato perché non provare a metterle insieme, cercando di creare anche un rapporto diretto. Tutto questo mi permette di esprimere anche giudizi etici sul dell’utrismo, cosa che probabilmente con un produttore privato non avrei potuto fare. L’amico degli eroi non è lo spettacolo che ti spiega solo perché Dell’Utri è mafioso, andiamo oltre. Raccontiamo che Dell’Utri, ovvero il siciliano che sogna di essere borghese, incontra il milanese che sogna di poter essere prepotente nelle modalità siciliane, si crea un mix talmente forte da arrivare a governare il paese.

Se dovessi descrivere Dell’Utri in due parole?

Mah…io lo trovo molto simile ad Andreotti. Dell’Utri è il sottovuoto spinto travestito da eroicità, a volte anche da intellettuale. Dell’Utri rimane l’opera d’arte di Silvio Berlusconi che, dopo aver imparato a vendere qualsiasi prodotto, ha venduto alla Lombardia leghista e antiterrona un nuovo modello di siciliano buono e potabile.

Come si articola lo spettacolo?

La prima parte è una narrazione di fatti realmente accaduti della vita di Marcello Dell’Utri. È il “Cavalli che non ti aspetti” perché non ci sono scoop. La seconda parte è in video. È uno spettacolo teatrale con una sorta di cinegiornale all’interno.

CAVALLI DI BATTAGLIA, ci si vede a Milano

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Tutti per una stagione.
Serata inaugurale stagione 2015/16 CAVALLI DI BATTAGLIA
Mercoledì 16 settembre 2015 – h 20:30

Festeggiamo insieme agli artisti e alle compagnie in cartellone, che presenteranno estratti dei loro spettacoli.
Saranno presenti, tra gli altri, il direttore artistico Renato Sarti, Giulia Lazzarini, Bebo Storti, Alessandra Faiella, Margherita Antonelli, Rita Pelusio, Claudio Batta, Diego Parassole, la Filarmonica Clown, Max Pisu, Domenico Pugliares, Giulio Cavalli.

Conducono la serata: Margherita Antonelli, Alessandra Faiella e Rita Pelusio.

A fine serata sfizioso rinfresco per tutti.

INGRESSO LIBERO SU PRENOTAZIONE
02 6420761
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Informazioni qui.