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«Ti ho lasciato prima io»

Il leader leghista si è infilato in un vicolo stretto e ora fatica ad uscirne. Salvini ha perso con Conte nella famosa estate del Papeete e continua a perdere con Draghi che se lo sbologna ogni giorno

Il gioco di Matteo Salvini si srotola ogni giorno diventando sempre più prevedibile. Il leader leghista si è infilato in un vicolo stretto e ora fatica ad uscirne. Ha provato a prendersi la responsabilità di entrare nel governo Draghi convinto di potersi ammantare di quel profilo che avrebbe potuto renderlo federatore del centrodestra italiano anche in Europa. Ne è uscito un Salvini rammollito, mollato dai suoi elettori più spinti (che mica per niente si sono spostati dalla parte di Giorgia Meloni e perfino alla corte di Gianluigi Paragone) che non ha assolutamente lo spessore di rimanere all’interno di un governo che può permettersi di trattarlo come un impiccio.

Salvini ha perso con Conte, ribaltato nella famosa estate del Papeete e continua a perdere con Draghi che se lo sbologna ogni giorno con l’aria di chi non vuole prestare troppa attenzione a un suo alunno troppo capriccioso. Le elezioni amministrative ne hanno sancito la regressione (e la politica, si sa, è fatta di movimenti ondulatori che una volta partiti sono molto difficili da deviare e da frenare) e il consenso di Salvini che riempiva le piazze oggi è piuttosto un’affezione per quello che fu. Non pesa nel governo, non pesa come oppositore (del resto come potrebbe pesare mentre Giorgia Meloni ha una prateria a disposizione stando all’opposizione) e non riesce ad accontentare più nessuno: i suoi sindaci e presidenti di regione lamentano la mancata consapevolezza, non si governa con gli spot e con le foto della Nutella; i suoi elettori ne lamentano l’immobilismo; Fedriga, Giorgetti e Zaia stanno preparando il prossimo congresso e ormai tengono un filo diretto con la presidenza del Consiglio e la presidenza della Repubblica; Forza Italia lo ritiene troppo acceso mentre Giorgia Meloni guadagna sul suo spegnersi lentamente.

Ora Salvini ha deciso di adottare uno schema adolescenziale: per pesare pesta i piedi (si è lamentato per il poco tempo avuto per valutare la delega fiscale ma è lo stesso Salvini che ha votato migliaia di pagine di Pnrr senza avere il tempo di sfogliarle. Ora si butta sulle discoteche senza rendersi conto di buttarsi in un campo in cui gli aperturisti (per non dire addirittura i No Green pass o perfino i No vax) non saranno mai contenti. Come al solito manda avanti i suoi scherani per alzare la polvere (sentire ieri Molinari lamentarsi per come viene trattata la Lega nella maggioranza è stato uno spettacolo davvero povero) e non si prende responsabilità.

Ora ripartirà la solfa. Ci dirà dei migranti (in attesa di qualche fatto di cronaca nera) e ancora parla genericamente di innalzamento delle tasse (come nemmeno il più banale Berlusconi) ma non funzionerà. Eccolo allora che si comporta come quelli che vogliono farsi lasciare ma non hanno il coraggio di lasciare. Punta a farsi scaricare e poi magari alzerà il ditino e dirà «però ti ho lasciato prima io».

Avanti così. Buon giovedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Da traditori a traditi: Renzi e Calenda hanno lasciato il Pd, ma continuano a essere ossessionati dai dem

La giornata successiva alle elezioni amministrative è una babele di vincitori che si esercitano in acrobatici ragionamenti per convincerci che hanno vinto. Accade sempre così, vincono tutti, vincono quelli che hanno vinto sul serio e vincono perfino quelli che fino a qualche ora fa ci avevano promesso che avrebbero “asfaltato tutti” e ora se ne stanno con le loro risibili percentuali a battersi le pacche sulle spalle.

Quelli che vincono sempre e che è sempre merito loro sono ovviamente gli adepti di Italia Viva (che è una cosa ben diversa dai stimabilissimi elettori del partito) che riescono addirittura a gonfiare il petto dopo un’elezione in cui il presidente del partito Ettore Rosato rivendica l’elezione del sindaco di Terzorio, unico candidato ovviamente eletto con il 100% dei voti che sono 124 in tutto.

In realtà Rosato si è dimenticato di dire che con il 70% dei voti è stato eletto anche il loro sindaco di Garda Davide Bendinelli ma avrebbe dovuto anche raccontarci che il loro sindaco è uno dei tanti prodotti di “Forza Italia Viva”, ex berlusconiani fulminati sulla strada di Renzi e dalle loro parti, si sa, insistono per sembrare di centrosinistra.

Stessa cosa accade per Calenda che incassa un ottimo risultato a Roma ma come al solito non riesce a trattenere il suo machismo politico: confronta i risultati della sua unica lista che lo sosteneva come candidato sindaco con quello del PD che era solo una delle tante liste a sostegno di Gualtieri (che è un po’ come fare la somma dei litri con i chili), confessa di avere preso voti da destra e da sinistra ma vorrebbe essere il federatore del centrosinistra (con la solita presunzione di essere lo spin doctor di tutto l’arco parlamentare) e poi finge di avere fatto una campagna elettorale “senza appoggi e senza media” (fa già ridere così). 

Il punto sostanziale però rimane sempre l’ossessione di Renzi e di Calenda per il PD. I calendiani e i renziani più agguerriti addirittura si spingono ad accusare il Partito Democratico di non avere appoggiato Calenda: “se avessero sostenuto lui sarebbe già sindaco” scrivono con il solito vizio di sommare le percentuali com se fosse un travaso di liquidi (come se gli elettori di entrambi non ragionassero ma barrassero semplicemente un nome).

A nessuno viene il dubbio che Calenda (come Renzi) sia lo stesso che ha deciso di lasciare il PD (dopo essere stato comodamente “creato” politicamente dal PD) sbattendo la porta e urlacciando le peggio cose, scappando come se fossero degli appestati e poi costruendo tutta sua campagna elettorale a demonizzare i suoi ex compagni di partito (mentre nel frattempo normalizzava i singulti fascisti che arrivavano da destra).

Qui siamo al capolavoro della presunzione: lasciano il proprio partito e pretendono di essere amati ancora, accusando i democratici di essere troppo scarsi per poter essere amati a lungo e incolpandoli della fine della relazione. Il ragionamento è piuttosto contorto ma viene riproposto in ogni dove: Renzi e Calenda ripetono ossessivamente che il PD fa schifo e indicano come unica possibilità di salvezza del PD il cominciare a fare esattamente quello che vorrebbero loro. Non è un po’ infantile come ragionamento politico, sinceramente?

Il fatto è che in politica le situazioni assumono contorni diversi in base a come vengono raccontate: Calenda, per dire, ha vinto di pochissimo su Virginia Raggi (che avrebbe dovuto essere la sindaca più catastrofica della storia di Roma, proprio secondo la narrazione di Renzi e Calenda) e ha preso qualche voto in più del precedente “candidato civico” Alfio Marchini (ve lo ricordate? Ecco, ricordatevelo, per avere un po’ il senso delle proporzioni). 

Che in Italia ci sia uno spazio per i liberali e che i liberali in Italia possano trovare un degno leader in Calenda (per molti aspetti molto più presentabile di Renzi che infatti ha capito benissimo l’aria che tira dopo queste amministrative) è sicuramente un buona notizia. Ma che Calenda e compagnia cantante vogliano convincere che il liberismo sia l’unica via della sinistra è qualcosa che lascia più che perplessi.

E forse sarebbe il caso di smetterla di menar calci e essere seri, sul serio (come diceva la campagna di Calenda) e dire chiaramente cosa si intende fare nel secondo turno senza dilungarsi in bizze da traditori che vorrebbero rivendersi come traditi. Altrimenti c’è sempre una via d’uscita: che gli scontenti cronici si trasferiranno a Terzorio.

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