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Lo Forte

Niente padri e madri della vittima?

Nel gran rito collettivo della difesa del leader da due giorni si sta consumando un’inaspettata empatia per l’accusato nonostante da anni in molti abbiano provato a convincerci che fosse una postura immorale, sospettosa, perfino colpevole. Solo che questa volta il “padre” con cui solidarizzare è il simbolo di un partito politico e quindi molti si sentono in dovere di farlo. Quando si dice “politicizzare” le vicende giudiziarie si intende proprio questo: qualcuno con un grande seguito che usa vicende penali (che dovrebbero essere personali) come paradigma di un clima politico. È la stessa cosa di Berlusconi che si dichiara perseguitato per via giudiziaria dai suoi avversari politici, è lo stesso di Salvini che ci vorrebbe convincere che la “sinistra” lo manda a processo. Uguale uguale. Pensateci.

Poi ci sono i soliti ingredienti che intossicano tutte le volte le presunte vittime di stupro: un uomo potente (e con il potere di parlare a molti) che urlaccia e vittimizza la presunta vittima un’altra volta. Incredibile la discussione sulle ore che servono a denunciare uno stupro: una bassezza da fallocrati davanti allo spritz che viene rivenduta ancora una volta su tutti i media nazionali. Beppe Grillo è riuscito a condensare in pochi minuti tutta la cultura dello stupro: un giudizio personale che vorrebbe valere come Cassazione, una discussione spostata sulle presunte colpe della presunta vittima e noi dei presunti colpevoli e perfino quel “lo dico da padre” che ci ha fatto incazzare per mesi quando pronunciato da Salvini.

Non solo. Grillo ha pubblicamente dato della bugiarda alla vittima. Come scrive giustamente Giulia Blasi per Valigia Blu: «Ogni volta che ci domandiamo come mai in Italia sia così difficile parlare di abusi sessuali, ricordiamoci questo: che il capo di un partito politico può tentare di immischiarsi nel procedimento giudiziario a carico di suo figlio e aggredire verbalmente la donna che lo accusa, senza che ci siano conseguenze immediate, che il partito stesso se ne dissoci e lo costringa a farsi da parte (“dimettersi” sarebbe impossibile, data la natura liquida del ruolo di Grillo, che rimane tecnicamente un privato cittadino). La vita, la sicurezza e l’integrità fisica delle donne contano così poco, di fronte alla necessità di mantenere il quieto vivere».

Tutti pronti a mettersi nei panni del padre e della madre del presunto colpevole e nessuno in quelli della presunta vittima. Annusate l’aria che c’è in giro in questi giorni e avrete la dimostrazione plastica del perché per una donna sia così difficile denunciare.

È stato un gesto sconclusionato e pessimo e al Movimento 5 stelle conviene dirlo forte e chiaro per non essere invischiato. A meno che non si voglia votare in Parlamento che quella fosse la figlia di Mubarak, visto che ci sarebbero perfino i numeri per farlo.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Bisognerebbe avere avuto fame

È una questione di cui sembra non occuparsi nessuno eppure è uno dei mali endemici di questo tempo: l’incapacità di provare empatia permette il proliferare del razzismo, del bigottismo, del perbenismo, del cattivismo e di molti altri -ismi che continuano a infestare il nostro presente.

Così viene facile portare avanti il modello dell’italiano medio che si infastidisce per il povero o per l’affamato e che crede addirittura di difendere il proprio Paese. Il problema non è solo l’odio per gli stranieri, no, non è solo quello: a molti fa schifo la povertà, l’indigenza, ne hanno un terrore atavico e la allontanano perché sono terrorizzati solo dall’idea di incrociarla per strada. Come i bambini che strizzano gli occhi per scappare da un momento che faticano a sopportare questi non vogliono vedere, non vogliono sapere e così riescono addirittura a trovare maleducato e sconveniente avere fame, essere schiavi e essere poveri.

È tutta mancanza di esperienza e di empatia. È una società che ancora si illude di poter essere nata tra i “non poveri” e di non rischiare mai di finirci. Eppure sarebbe così diversa la politica, il giornalismo, la socialità, lo stare insieme se riuscissimo a immaginare cosa significhi avere avuto fame, non avere i soldi per pensare al giorno successivo, non avere un futuro di sicurezza e di libertà.

Qualcuno potrebbe pensare che dovremmo viverlo per potercene rendere conto eppure augurare una carestia per poter diventare un popolo migliore non sembra una via fattibile e nemmeno troppo responsabile.

E quindi come si empatizza? Studiando, studiando, studiando, leggendo, rimanendo curiosi, vedendo gli altri, ascoltando gli altri, smettendo di vedere il mondo dalla nostra unica personale lente d’osservazione. E sarebbe bello che qualcuno, anche della classe dirigente, avesse il coraggio di dirlo forte e chiaro, piuttosto che cincischiare per continuare a lisciare i perbenisti.

Buon giovedì.

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Abolire i Decreti Sicurezza, piuttosto che inginocchiarsi?

La vicenda di come la politica italiana stia declinando qui da noi ciò che accade negli Usa è altamente indicativa di una messa in scena che sembra avere preso il sopravvento sulle responsabilità di governo. Alcuni membri del Parlamento, di quelli che al governo ci sono, hanno deciso di inginocchiarsi come segno di solidarietà per la morte di George Floyd e per i diritti di tutti gli oppressi di qualsiasi etnia. Il gesto ha un’importante valenza simbolica, soprattutto alla luce della narrazione tossica che certa destra sta facendo della rivoluzione culturale in atto negli Usa che qualcuno vorrebbe banalizzare in qualche vetrina spaccata perdendo il focus e il senso del tutto.

Bene i simboli, benissimo. Però da un governo che si dice solidale con chi sta lottando contro la discriminazione ci si aspetterebbero anche degli atti politici, mica simbolici. I decreti sicurezza di salviniana memoria, ad esempio, sono una perfetta fotografia: criticati da ogni dove quando furono applicati durante il governo Conte I divennero la bandiera del centrosinistra su ciò che non si doveva fareAll’insediamento del Conte II ci dissero che l’abolizione di quei decreti sarebbe stata una priorità. La priorità è praticamente scomparsa. E pensandoci bene è scomparso anche tutto il dibattito sullo ius soli e sullo ius culturae che nessuno da quelle parti ha nemmeno il coraggio di pronunciare.

Così noi dovremmo accontentarci di una classe politica che fa esattamente quello che possiamo fare noi semplici cittadini scendendo in piazza come se non avessero loro le leve per modificare le cose. È tutto solo manifestazione d’intenti come se fossimo in eterna campagna elettorale e non ci sia un governo regolarmente insediato. Se invece il problema sta nell’alleanza con il Movimento 5 Stelle che è contrario all’abolizione dei decreti e a un serio percorso di integrazione e di diritti allora sarebbe il caso di dirlo e di dirlo forte per chiarire il punto agli elettori disorientati.

Non si governa con i simboli. Non basta più. I dirigenti non manifestano, agiscono.

Buon mercoledì.

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Quanto Napolitano c’è nella scelta di Lo Voi alla Procura di Palermo (e quel voto del “tecnico” scelto dal M5S)

Un articolo che pone ottime domande:

E’ l’ultima vittoria del Presidente della Repubblica. O forse tra le ultime prima delle sue dimissioni. Certo è che Giorgio Napolitano si può dire soddisfatto. Un magistrato considerato “vicino” ad ambienti del Quirinale è diventato il nuovo Procuratore di Palermo. Senza nulla togliere all’onestà personale e alla preparazione professionale di Franco Lo Voi, la sua nomina a Capo della Procura più importante d’Italia è uno schiaffo alle regole più basilari. Che sono state stracciate dall’ingerenza politica all’interno di un Csm già piagato da logiche correntizie. O meglio: da logiche di potere. Quando questa estate il Colle è entrato a gamba tesa per impedire la nomina dell’attuale procuratore di Messina, Guido Lo Forte, dato per favorito alla reggenza della procura palermitana, lo scenario che si prospettava era quasi del tutto delineato. Certo, mancavano le “chicche” come il voto a favore di Lo Voi partorito dal “tecnico” scelto dal M5s Alessio Zaccaria (Grillo non dice nulla a proposito?), ma le linee guida di un diktat quirinalizio c’erano tutte. L’avversione – financo fisica – che Napolitano ha nutrito in questi mesi nei confronti del processo sulla trattativa Stato-mafia si è tradotta in veri e propri attacchi nei confronti del pool che investiga su questo pactum sceleris. Attacchi più o meno mascherati da conflitti di attribuzioni o, più semplicemente, da moniti, avvertimenti, e soprattutto da gravissimi silenzi.

Nei libri di storia Napolitano verrà ricordato come un Presidente della Repubblica incapace della benchè minima solidarietà umana nei confronti di un magistrato condannato a morte da Cosa Nostra. Ma soprattutto come colui che ha contribuito a indebolire un’inchiesta tanto delicata arrivando a imporre un vero e proprio braccio di ferro con il pool di Palermo pur di non essere interrogato davanti ad una Corte di Assise. E, una volta che (bontà sua) ha dato il benestare alla sua deposizione, ha annacquato i suoi ricordi in merito alle confidenze del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio. La sua ultima mossa è stata quella di “ventilare” la candidatura di Franco Lo Voi all’interno di una metodologia che, paradossalmente, è del tutto “coerente”. Perché mai Napolitano avrebbe dovuto preferire Guido Lo Forte? Per il suo ruolo di pubblico ministero al processo contro Giulio Andreotti (che invece Lo Voi aveva rifiutato)? O perché Lo Forte aveva lavorato sull’inchiesta “Sistemi criminali” che di fatto aveva anticipato quella sulla trattativa Stato-mafia? Forse il “patto del Nazareno” prevedeva anche “l’assestamento” della Procura di Palermo? Il Capo dello Stato – grande sostenitore di quel patto – conta i giorni che lo separano dalle sue prossime dimissioni e si diletta a lanciare altri moniti. Ma sono anche i cittadini onesti a contare i giorni che restano fino alla fine del suo mandato. In questo disgraziato Paese, corrotto fin nelle sue fondamenta, c’è ancora una parte sana di società che auspica il ritorno di un Presidente al di sopra di ogni sospetto, che abbia realmente a cuore la ricerca della verità. Nel frattempo il nuovo Procuratore di Palermo viene chiamato ad un compito che in un altro Paese rientrerebbe nell’ovvietà: sostenere un processo dall’importanza storica. In Italia, invece, il Capo di questa Procura si ritroverà sotto il fuoco incrociato di gran parte delle istituzioni e di una larghissima fetta del mondo della politica del tutto ostili al raggiungimento della verità. Il neo Procuratore di Palermo sarà quindi di fronte ad un bivio: fare il proprio dovere seguendo i dettami della Costituzione, oppure entrare lentamente nel “gioco grande” come semplice pedina che verrà utilizzata a tempo determinato.

(fonte)