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Perché è stato condannato Mimmo Lucano, una scandalosa sentenza che criminalizza l’accoglienza

Le sentenze non si commentano ma si rispettano, dicono. Le sentenze non si possono commentare finché non ci sono almeno le motivazioni, dicono ancora. Eppure il processo a Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, è diventato per sua sfortuna il simbolo di un’accoglienza che è stata ritenuta pericolosa per il clima politico che governi diversi (di parti addirittura opposte) hanno instillato gradualmente. La condanna di Mimmo Lucano in primo grado di giudizio inflitta dal tribunale di Locri va commentata eccome, raccontata con cura per filo e per segno e perfino divulgata il più possibile perché siamo solo al primo grado di giudizio ma un giudice che quasi raddoppia la richiesta dell’accusa e riesce a infliggere 13 anni e due mesi a un ex sindaco che durante le sue amministrazioni (dal 2004 al 2018) è riuscito a mettere in piedi un modello di accoglienza studiato e elogiato in tutto il mondo è un fatto “politico” enorme e ci riguarda, riguarda tutti noi.

Mimmo Lucano viene arrestato il 2 ottobre del 2018 dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione Xenia. Quel giorno la Procura della Repubblica del tribunale di Locri scrive un festoso comunicato stampa in cui dice che l’operazione «rappresenta l’epilogo di approfondite indagini (…) svolte in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla prefettura di Reggio Calabria al comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico». Nel corso delle indagini, scrivono i magistrati, sarebbero state raccolte prove che hanno permesso di dimostrare come il sindaco e la compagna «avessero architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia». La Procura accusa il primo cittadino di favoreggiamento all’immigrazione clandestina: avrebbe promosso una associazione per delinquere, allo scopo di catalizzare fondi destinati al finanziamento dei centri Sprar, Msna e Cas per farli arrivare ad associazioni a lui vicine, come Città Futura.

Tutto bene? Non proprio se è vero che le ipotesi della Procura vengono subito stroncate dal gip Domenico Di Croce che nell’ordinanza ha ridotto la presunta associazione a un «diffuso malcostume che non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delineate dagli inquirenti». Addirittura sette reati, relativi alla turbativa dei procedimenti per l’assegnazione dei servizi di accoglienza, sono stati rigettati e sono ben 14 le richieste di arresto che i magistrati non sono riusciti a ottenere. Per il gip, buona parte dell’indagine – che riguarda fatti avvenuti tra il 2014 e il 2017 – era basata su congetture, errori procedurali e inesattezze. Secondo il giudice, infatti, le ipotesi sui servizi di accoglienza sono così «vaghe e generiche» da rendere il capo d’imputazione «inidoneo a rappresentare una contestazione». Per quanto riguarda l’accusa di truffa aggravata il gip scrive che gli inquirenti «sembrano incorsi in un errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio». Di fatto, scrive il gip, viene individuato l’ingiusto profitto nel totale delle somme incassate dalle cooperative, quando invece andava individuato nella differenza tra il totale e le spese realmente sostenute». Non male come inizio, eh?

Nell’aprile 2019 la Cassazione intanto annulla con rinvio il divieto di dimora a Riace di Mimmo Lucano ma nelle motivazioni depositate la Corte emette anche un giudizio di rilevo sull’indagine: i giudici scrivono che mancano indizi di «comportamenti» fraudolenti che Domenico Lucano avrebbe «materialmente posto in essere» per assegnare alcuni servizi, come quello della raccolta di rifiuti, a due cooperative dato che le delibere e gli atti di affidamento sono stati adottati con «collegialità» e con i «prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato». Per quanto riguarda il favorire la permanenza in Italia della sua compagna Lemlem gli “ermellini” scrivono che Lucano ha cercato di aiutare solo Lemlem «tenuto conto del fatto» che il richiamo a «presunti matrimoni di comodo» che sarebbero stati «favoriti» dal sindaco, tra immigrati e concittadini, «poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare».

In un processo che sfinisce per qualità e quantità delle imputazioni accade che i magistrati non riescano a trovare un euro, un solo euro per il presunto arricchimento personale di Mimmo Lucano che nel frattempo perde il comune di cui era sindaco (sostituito da un sindaco ineleggibile che decade poco dopo, giusto il tempo di togliere il nome di Peppino Impastato da una piazza del paese) e vive praticamente in condizioni di povertà. Non trovando i soldi allora l’accusa vira in una tesi piuttosto spericolata: Lucano non avrebbe agito per aiutare i bisognosi ma per un presunto movente politico-elettorale. Già nel novembre 2019 il colonnello Sportelli aveva fatto intendere che l’idea di Lucano fosse quella di candidarsi alle elezioni politiche del 2018. Sentito in aula il colonnello elencò i terribili poteri forti dietro a Lucano: i voti dei Tornese (una famiglia di Riace), dell’associazione Riace Accoglie e della cooperativa sociale Girasole. In effetti se ci pensate tutti voti indispensabili per arrivare in Parlamento. Ma quale sarebbe la “prova”? Una telefonata di Lucano a suo fratello in cui tra le altre cose dice «quasi quasi mi candido».

Capito che diabolico disegno? Ma c’è un altro punto sostanziale: Lucano ha rifiutato candidature alle elezioni europee e alle elezioni politiche e poiché non si possono processare le intenzioni il disegno della Procura è miseramente caduto. Fino allo scorso aprile quando il pubblico ministero Michele Permunian ha un’illuminazione quando legge un’intervista in cui Lucano annuncia la sua candidatura nella lista di De Magistris per le prossime elezioni regionali in Calabria: «L’annunciata candidatura alle regionali di Mimmo Lucano nella lista di Luigi De Magistris confermerebbe le sue reali ambizioni politiche», dice l’accusa. L’avevamo detto noi: si candida. Al giudice è perfino toccato spiegare che la candidatura di Lucano non ha niente a che fare col processo. Anche sui presunti “matrimoni di comodo” il processo ha riservato momenti di grande imbarazzo: nel fascicolo del processo, aprite bene le orecchie, non c’è un solo matrimonio celebrato a Riace. Ce n’è uno bloccato proprio da Lucano.

Un fatto è certo: la criminalizzazione dell’accoglienza è un vento velenoso che attraversa l’Italia e l’Europa e rovescia la realtà. «Ho speso la mia vita per gli ideali, contro le mafie, ho fatto il sindaco, mi sono schierato dalla parte degli ultimi, dei rifugiati che sono arrivati, mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra, è stata un’esperienza indimenticabile, fantastica, però oggi devo prendere atto che per me finisce tutto» ha dichiarato a Lucano subito dopo la notizia della condanna. «È una cosa pesantissima – ha aggiunto -, non so se per i delitti di mafia ci sono queste sentenze così. È un momento difficile, non so cosa farò. Mi aspettavo una formula ampia di assoluzione». La politica intanto fa il suo gioco inevitabile e meschino sventolando la sentenza (di un iter giudiziario ancora lungo) a proprio vantaggio.

Un fatto è certo: il processo a Mimmo Lucano è un processo “politico” come se ne vedono troppi in questo Paese. In attesa delle motivazioni della sentenza non si può registrare che un uomo che ha accolto i migranti per ora ha preso una condanna che supera quella di chi come Traini ai migranti ha sparato. Ma forse più di tutto vale la frase di un’anziana donna di Riace fuori dal tribunale che imbeccata dai giornalisti riesce solo a dire «avreste dovuto vedere Riace prima di Lucano: deserta, non c’era niente, niente». E viene il dubbio che a qualcuno andasse meglio così. C’è un precedente però che lascia uno spiraglio di speranza: in Francia Cédric Herrou fu prima condannato per aver aiutato migranti in difficoltà e poi assolto per la prevalenza del principio di solidarietà: il ritorno della prevalenza del principio di solidarietà sarebbe una buona notizia per tutti.

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La sinistra ha scaricato Mimmo Lucano dopo averlo usato per propaganda e feticcio

Che il processo a Mimmo Lucano sia un processo con un’importante componente politica lo si può leggere tranquillamente tra le parole della requisitoria con cui la Procura di Locri ha chiesto 7 anni e 11 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace che si aggiungono ai 4 anni e 4 mesi chiesti per la sua compagna: se i pm si sono premurato di ribadire che non hanno subito condizionamenti dalla politica significa che sono ben consapevoli di inserirsi nella disputa tra chi vede l’accoglienza (qualsiasi modello di accoglienza) come una perdita di tempo e di risorse che non ci possiamo permettere e chi invece crede che l’integrazione (qualsiasi modello di integrazione) come una possibile soluzione degli inevitabili (e storici) flussi migratori.

Forse si continua a fare troppo poco caso alla leggerezza con cui il procuratore Luigi D’Alessio (che insieme a Michele Permunian sostiene l’accusa per la Procura di Locri) ha dichiarato in Aula che «nel corso di questi anni si sono succeduti ben quattro governi» e di avere «personalmente anche incontrato i massimi rappresentanti di questi governi, da Renzi a Salvini» senza mai ricevere «alcuna pressione sulle indagini». Al di là della gravità di un magistrato che ritiene “pressione politica” solo un presidente o un ministro dell’Interno che gli diano consigli giudiziari senza rendersi conto delle molte altre sfumature stupisce che ai procuratori di Locri sfugga la loro stessa tesi d’accusa che fondamentalmente si basa proprio sul movente politico-elettorale come impianto contro Lucano.

Innanzitutto un punto che sfugge a molti cronisti, politici, editorialisti e commentatori: nel processo che si sta svolgendo non c’è mai stata traccia di nessun arricchimento personale dell’ex sindaco. Non ci sono soldi, non c’è un solo centesimo che avrebbe potuto spingere l’ex sindaco a compiere i presunti reati di cui è accusato. Quando leggete qualcuno che cita Riace come “business” dei migranti invitatelo a leggere le carte di questo processo, ad ascoltare la risposta degli investigatori al giudice che gli chiese se esistevano indizi contro il sindaco per uno specifico fine di avvantaggiare sé stesso: «se parliamo da un punto di vista economico, no»· Secondo la tesi dell’accusa Lucano avrebbe fatto quello che ha fatto per candidarsi alle elezioni politiche del 2018 e alle elezioni europee. Peccato che questo non sia accaduto e quindi il processo (a meno che sia alle intenzioni) potrebbe già chiudersi qui.

È vero però che certa politica di certa sinistra ha evidentemente scaricato Lucano da un po’, avendolo presumibilmente usato per propaganda e per feticcio da candidare piuttosto che esempio di modello di accoglienza. Volendo pensare male si potrebbe osservare come dal momento in cui Lucano ha comunicato di candidarsi con la liste di Luigi de Magistris per le prossime elezioni regionali in Calabria anche i partiti che lo hanno osannato a lungo si sono improvvisamente “raffreddati”, sempre per quella brutta abitudine di sventolare una faccia riconoscibile piuttosto che impegnarsi per gli ideali che rappresenta. Eppure dovrebbe essere proprio la sinistra a interessarsi di un pro-cesso che vorrebbe definire illegali le buone pratiche di cui ha parlato tutto il mondo, dovrebbe essere proprio la sinistra a seguire con attenzione i risvolti giudiziari che possono diventare stimolo per nuove e migliori leggi per praticare ciò che professa. Altrimenti potrebbe sorgere il dubbio che Lucano sia stato icona utile solo finché era candidabile nella propria scuderia. Sarebbe triste è terribilmente “politico” anche questo, se ci pensate.

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Perché il processo a Mimmo Lucano è “politico”

L’inchiesta non é riuscita a dimostrare che Lucano si sia appropriato di un singolo centesimo con l’accoglienza dei migranti. Dunque la Procura di Locri ha estratto dal cilindro l’inconsistente ipotesi del movente politico-elettorale

Alla fine arriverà la sentenza e da lì potremo provare a trarre alcune conclusioni ma il processo “Xenia” a Mimmo Lucano sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti a Riace presenta alcune singolarità che vale la pena raccontare, almeno per diradare la nebbia che certi giornali stanno spostando in giro, trasformando come al solito le richieste di condanna dei pm in una sentenza, basandosi su un’ignoranza giudiziaria che torna comoda a chi fomenta la politica con il tintinnare di manette.

Primo aspetto curioso, fuori dal tribunale di Locri: i sempiterni garantisti su Lucano appaiono piuttosto timidi, svelandosi ancora una volta garantisti a fase alterne, garantisti con gli amici e indifferenti (se non addirittura giustizialisti) con i nemici, tanto per rimarcare ancora una volta quanti danni al garantismo abbia fatto la collusione travestita da garantismo.

Il procuratore Luigi D’Alessio (che ha aperto con il pm Michele Permunian la requisitoria con cui la Procura di Locri ha richiesto 7 anni e 11 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e 4 anni e 4 mesi alla sua compagna Lemlem Tesfahun) ci ha tenuto a spiegarci che questo non è un processo politico: «Nel corso di questi anni – ha detto intervenendo in aula – si sono succeduti ben quattro governi. Personalmente ho anche incontrato i massimi rappresentanti di questi governi, da Renzi a Salvini, ma mai è venuta alcuna pressione sulle indagini». Fingiamo di non essere interessati ai contenuti degli incontri del pm con Renzi e Salvini e vediamo invece quale sarebbe secondo la procura il movente di questi terribili reati. I soldi? No, evidentemente no. Inchiesta e processo non sono riusciti nemmeno lontanamente a dimostrare che Lucano si sia appropriato di un singolo centesimo.

E allora? In netta difficoltà la Procura ha estratto dal cilindro l’ipotesi del movente politico-elettorale. Già nell’ottobre 2019 il colonnello Sportelli, in mancanza di soldi, aveva fatto intendere che l’idea di Lucano fosse quella di candidarsi alle elezioni politiche del 2018 (come se candidarsi da liberi cittadini poi fosse un reato) e quindi non perdere voti. Sentito in aula il colonnello elencò i terribili poteri forti dietro a Lucano: i voti dei Tornese (una famiglia di Riace), dell’associazione Riace Accoglie e della cooperativa sociale Girasole. In effetti se ci pensate tutti voti indispensabili per arrivare in Parlamento. Ma quale sarebbe la “prova”? Una telefonata di Lucano a suo fratello in cui tra le altre cose dice «quasi quasi mi candido». Capito che diabolico disegno? Ma c’è un altro punto sostanziale: Lucano ha rifiutato candidature alle elezioni europee e alle elezioni politiche e poiché non si possono processare le intenzioni il disegno della Procura è miseramente caduto. E quindi? Lo scorso aprile il pubblico ministero Michele Permunian ha un’illuminazione quando legge un’intervista in cui Lucano annuncia la sua candidatura nella lista di De Magistris per le prossime elezioni regionali in Calabria: «L’annunciata candidatura alle regionali di Mimmo Lucano nella lista di Luigi De Magistris confermerebbe le sue reali ambizioni politiche», dice l’accusa. In pratica la candidatura di oggi dovrebbe dimostrare la bontà delle intercettazioni di anno fa che non hanno retto alla prova dibattimentale. Una tesi che sembra un delirio: non si processano gli atti contestualizzati e circoscritti ma si processa la personalità dell’imputato e, di rimbalzo, la sua visione politica.

C’è un altro pezzo che molti giornali si sono dimenticati di raccontare: Lucano è sotto processo pure per abuso d’ufficio, truffa, falsità ideologica, turbativa d’asta, peculato e malversazione a danno dello Stato, tutti reati per i quali il gip Domenico Di Croce, nell’ottobre 2018, aveva rigettato la richiesta di arresto della Procura sottolineando «la vaghezza e la genericità del capo d’imputazione». Nell’aprile 2019 la Cassazione aveva ripreso la Procura anche sui “presunti matrimoni di comodo” tra immigrati e cittadini italiani che sarebbero stati “favoriti” dal sindaco. Nel fascicolo del processo, aprite bene le orecchie, non c’è un solo matrimonio celebrato a Riace. Ce n’è uno bloccato proprio da Lucano. L’accusa «poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare», scrive la Cassazione. Il Riesame di Reggio Calabria, da canto suo, scrisse di «quadro indiziario inconsistente» e «un’assenza di riscontri alle conclusioni formulate dall’ufficio di Procura, fondate su elementi congetturali o presuntivi».

Un altro punto: il giudice Fulvio Accurso durante il processo ha chiesto più volte agli investigatori se ci fosse indizi del fatto che l’accoglienza a Riace fosse portata avanti «per lo specifico fine di avvantaggiare sé stesso», cioè di Lucano. La risposta degli investigatori è netta: «Se parliamo da un punto di vista economico, no»·

Ecco, vedete che raccontato così ha tutto un altro aspetto questo processo? Attendiamo la sentenza.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano

Ci sono fatti che stanno uscendo in questi giorni che messi in fila fanno spavento, notizie che vengono ingegneristicamente spezzettate per non avere il quadro d’insieme mentre la prospettiva generale è qualcosa di spaventoso, un modus che meriterebbe una riflessione larga su politica e giustizia. Forse proprio per questo conviene rivenderli come singoli casi di cronaca.

Facciamo un passo indietro: è notizia di qualche giorno fa (ormai diventata “vecchia” e quindi facile da scavalcare liscia) che tra le carte della fumosissima inchiesta del 2017 della procura di Trapani che avrebbe dovuto dimostrare i legami illeciti tra Ong e scafisti ci siano centinaia di pagine di intercettazioni trascritte e depositate che riguardano giornalisti ascoltati mentre parlano con le loro fonti, mentre discutono tra di loro, addirittura mentre parlano con i loro avvocati. Una pesca a strascico che non segue nessuna logica procedurale e che sono gravissime violazioni in uno Stato di diritto. La ministra Cartabia ha deciso di inviare gli ispettori per vagliare le carte e le procedure eseguite, al fine di accertare eventuali comportamenti non consoni attuati dalla procura.

Facciamo un secondo passo. Quell’inchiesta è finita in niente, la tesi dell’accusa però è stata il copione di una narrazione politica frequentata sia dall’ex ministro dell’Interno Minniti sia da Salvini che ne fece il plot di tutta la sua campagna elettorale che l’avrebbe portato al Viminale. Anni di criminalizzazioni delle Ong che non hanno nessun riscontro giuridico, nessuna sentenza, nessuna condanna in nessun grado. E non c’è solo l’inchiesta di Trapani: in questi anni sono stati aperti ben 16 fascicoli sulle organizzazioni umanitarie e non si è mai arrivati in nessun caso al processo. Non si parla di assoluzioni, badate bene: non c’è mai stato uno straccio di prova che giustificasse nemmeno un dibattimento. Qualcuno come il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha dovuto ammettere di non essere riuscito ad andare oltre la suggestione dei suoi sospetti nonostante ne abbia parlato lungamente sui giornali, in televisione e perfino nelle sedi istituzionali della politica.

La sua inchiesta sulle Ong (la prima in ordine di tempo) è ancora oggi sventolata come “prova” nonostante sia stata chiusa dopo due anni di indagini: la confusione è talmente tanta sotto il cielo che ora basta perfino essere indagati, senza nemmeno essere accusati, per essere “sporchi”, per essere delegittimati e additati come colpevoli che sono riusciti a farla franca. In compenso in questi anni di inchieste abbiamo assistito a presunti scafisti che erano solo scambi di persona, traduzioni sbagliate che hanno incarcerato innocenti e riconoscimenti che si sono rivelati fallaci.
Facciamo un altro passo. Si scopre che tra il 2016 e il 2017 nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” che ha portato all’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano facendolo decadere da sindaco per poi riabilitarlo quando ormai il danno era fatto, 33 giornalisti siano stati intercettati (senza mai essere iscritti nel registro degli indagati), sono stati ascoltati 3 magistrati, uno degli avvocati difensori di Lucano e un viceprefetto. Nel fascicolo dell’indagine (carte praticamente pubbliche) ci sono utenze telefoniche, indirizzi mail e dati di tutti gli intercettati. Lo scopo? Sempre lo stesso: smascherare i buonisti che erano già stati condannati da certa politica.

Lo scenario quindi è questo: politica e magistratura hanno concorso per anni nell’ossessivo sostegno di una tesi che ha portato popolarità e consenso a entrambi, hanno trovato una convergenza nel dipingere una realtà che non ha ad oggi nessun riscontro e hanno usato (resta da capire se di comune accordo) metodi forse non leciti e sicuramente non etici. Una tesi politico-giudiziaria ha modificato il corso di questi anni, una tesi senza nessun riscontro. Questo è l’aspetto più spaventoso e allarmante e su questo bisognerebbe avere il coraggio di aprire una discussione. Funziona un Paese così?

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Caro Salvini, tu da Lucano hai solo da imparare

Caro ministro dell’inferno,

hai sbagliato nemico, con Mimmo Lucano, e non solo perché ti sei accanito come al solito mettendo alla berlina un uomo in difficoltà e un’intera comunità ma perché da Mimmo Lucano, uno come te, fatto di poco o niente, invece avrebbe molto da imparare. Molto.

Potresti imparare la semplicità, ad esempio, di chi ha pensato ai muli e alle persone in difficoltà per superare le barriere architettoniche di una città come Riace, aggrappata e strettissima, mentre tu ancora fai chiasso con le ruspe perché non sai vedere altro che deserto intorno a te.

Potresti imparare il garantismo, quello che qui non va più di moda, quello che in nome di una continua ricerca della vendetta alla fine è andato a farsi benedire con un ministro dell’interno che nell’ultimo anno ha additato come mostri persone che sono risultate poi innocenti senza nemmeno la dignità di porgere una scusa.

Potresti imparare come si affronta un processo. Senza buffonate in diretta video mentre si apre la lettera di indagine. Senza fanfaronate come quell’urlare “io non ho paura!” per poi cercare la sponda dagli amichetti di governo ed evitare così il processo. Lucano si difende nel processo, lo fa in silenzio, i rumori che sentite sono solo i molti che credono nel modello Riace che tutto il mondo ci invidiava e di cui sono rimaste le macerie. Lucano non si difende dal processo, come lei, ministro Salvini.

Potresti imparare l’umanità, anche se su questo punto non nutriamo troppa fiducia, di chi prova a dare agli ultimi una possibilità, una possibilità reale, di sentirsi utili, di essere ascoltati, di essere vivi. Avrebbe potuto vedere come un piccolo paese che era in mano alla ‘Ndrangheta fosse diventato un crogiolo di diverse nazionalità impegnate per rendere il proprio posto un luogo migliore. Ma bisogna avere occhi per accorgersene. E cuore.

Buon lavoro, ministro.

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