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massimo gramellini

Caro Gramellini, hai oltrepassato quel confine sottile che separa il populismo dall’islamofobia.

La giornalista italiana e musulmana Sabika Shah Povia risponde al Buongiorno di Gramellini sui fatti di Nizza, pubblicato il 16 luglio su La Stampa:

«Eccomi. Sono qui. Sono uscita. Sono uscita giorni, mesi, anni fa. Sono uscita tutti i giorni dall’11 settembre in poi. Forse non mi hai vista. Forse non mi hai voluta vedere, ma io sono uscita ed insieme a me sono usciti i miei fratelli, musulmani e non, italiani e non. Gente figlia dell’amore, gente che crede nell’unità del popolo, nella libertà e nell’uguaglianza.

Hai ragione quando dici che servono gesti che cambino la trama di questa storia, ma sbagli ad aspettarteli solo da me. Sbagli a pensare che tu puoi permetterti il lusso di “restare sull’uscio ad osservare”, mentre io combatto la nostra battaglia: quella di tutti noi cittadini europei che crediamo nella pace e nella convivenza tra popoli, religioni, etnie. Quella che già combatto da tempo, ma che non posso vincere senza di te.

Un fratello condivide il tuo dolore. Un fratello ti sostiene. Un fratello scende in piazza accanto a te, non ti lascia solo. Tu mi hai lasciata sola. Tu non sei mio fratello.

Da un lato mi dici che questi farabutti sono nati e cresciuti qui, insieme a me e te, dall’altro dici che parlano la “mia” lingua, frequentano i “miei” negozi, che i loro figli vanno a scuola con i “miei”. E i tuoi, caro Gramellini? Dove vanno a scuola i tuoi figli? Che negozi frequenti tu? Che lingua parli? Dici che sono “una di voi”, ma continui a parlare di “nostri” e “vostri”.

Gli attentatori non sono mai ragazzi religiosi, non frequentano quasi mai le moschee e io non ho mai a che fare con loro. Proprio come te. Sono ragazzi disturbati, che provengono dalle periferie dimenticate delle grandi città; sono degli emarginati con precedenti penali, e non c’entrano niente con me.

La solidarietà religiosa e razziale che mi accusi di provare non esiste, anche perché non provo solidarietà per i fomentatori di odio e i violenti. Se provo solidarietà è solo per i miei fratelli europei che, loro malgrado, sono diventati il bersaglio di una violenza indiscriminata e ingiustificabile.

L’Italia è la mia casa. Non mi ha accolta e non mi ha offerto nulla. Ogni cosa che ho in questa terra, me la sono guadagnata con il sacrificio, la fatica e il lavoro, miei e dei miei genitori, che sono arrivati qui ormai più di 40 anni fa. Un italiano che credeva nella ricchezza della diversità ha saputo guardare oltre il loro essere giovani musulmani pakistani, e gli ha voluto bene. Tanto, da dare loro il suo cognome e convincerli a restare.

Le tue parole feriscono l’anima di persone come loro, di persone come mio nonno e dei tuoi un milione di concittadini musulmani da cui hai tante pretese, forse anche giuste, ma al fianco dei quali non vuoi combattere, e che accusi di essere complici di barbarie come quella commessa da un folle a Nizza. Non è giusto.

Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il populismo dall’islamofobia.»

(continua qui)

Niente sbaraccamenti

La rovina non sta nell’errore che commetti, ma nella scusa con cui cerchi di nasconderlo. (Massimo Gramellini, L’ultima riga delle favole, 2010)

19091_19091C’è in giro una certa voglia di sbarazzo. Le parole sono importanti (diceva quel tale che chiedeva di dire qualcosa di sinistra) e questa delusione che si spegne nella voglia di sbarazzarsene è un irresponsabile “fuori tutto” piuttosto che un sano trasloco per trovare luoghi e temi per una nuova slanciata connessione. Il tema non è da poco: ogni volta che un minuto dopo le elezioni si passa all’idea della smobilitazione si inquinano le mobilitazioni degli ultimi anni e si mina la credibilità delle successive. La responsabilità di questo momento (anche e soprattutto per SEL, qui in Lombardia) è la credibilità di ciò che abbiamo detto, di ciò che vogliamo fare (perché la politica è diffusa, un po’ come la sinistra) e dell’analisi dei nostri errori.

Diciamocelo, per favore: abbiamo perso. Proviamo anche a ripetercelo se serve per fissare il punto e renderlo collettivo. Abbiamo lavorato per una vittoria di Ambrosoli che aprisse scenari importanti e ci ritroviamo con Maroni governatore e lo stallo patafisico in Parlamento. Volevamo la discontinuità e ci terremo Formigoni come commissario EXPO e padre putativo di una garanzia confermata alle sue lobby ed ai suoi a mci. Abbiamo perso perché volevamo un’altra Lombardia, un’altra sanità, un’altra etica applicata e un’altra visione del futuro, prima ancora di avere perso per non essere entrati nel Consiglio Regionale. Partiamo da qui e avviamo l’analisi, seriamente.

Abbiamo chiesto ad Ambrosoli di essere più appuntito ma siamo stati anche noi punte spuntate.

Abbiamo chiesto discontinuità ma non abbiamo accompagnato la narrazione delle nefandezze (perché sono vergognose nefandezze, lo sappiamo vero?) degli altri con le nostre alternative (magari in modo chiaro, composto e fruibile).

Abbiamo messo in campo una brutta (posso dirlo?) competizione tra politica, civismo, politici prestati al civismo e civili prestati alla politica, avremmo dovuto competere su lavoro, cultura, ambiente, trasporti, piano cave, servizi sociali, artigianato, imprenditoria e terzo settore.

Abbiamo pensato (come sempre negli ultimi anni) Milano caput mundi mentre la Lombardia si snoda tra le valli, le pianure difficili e le montagne. Abbiamo pensato che le “menti” della politica milanese (alcune poi con un po’ di naftalina, posso dirlo?) fossero i luminari della visione d’insieme senza tenere conto dei limiti anagrafici, geografici e di appartenenza (posso dirlo?).

Abbiamo pensato che Maroni fosse invotabile  a prescindere, senza ascoltare cosa si diceva nei mercati.

Abbiamo voluto dare un valore politico al Trota e alla Minetti ripercorrendo lo stesso errore di chi ha voluto dargli dignità politica ponendoli come tema quotidiano mentre la nostra gente fatica già alla terza settimana del mese.

Abbiamo parlato dei diritti dei gay (giustamente) e troppo poco dei diritti degli esodati, delle famiglie quasi a fine mutuo che rischiano il pignoramento dei risparmi di tutta una vita, dei single, delle mamme costrette a scegliere tra un figlio o un lavoro, degli immigrati truffati, dei genitori separati, dei disoccupati e di tutti coloro che pagano i diritti come se fossero servizi o si trovano ad elemosinare riconoscenza politica.

Siamo stati fieri e boriosi dei nostri pregiudizi, convinti che fossero un dovere morale e forse ci siamo dimenticati di articolarli.

Ma non si sbaracca. No. Il lavoro è tanto.

La mamma si fermava ogni volta che c’era una scossa

Poi ci sono i bambini che giocano, nonostante. E le loro mamme che cercano di trasformare il terremoto in uno spettacolo d’arte varia. Al piccolo che dopo una scossa di assestamento frignava, la mamma ha spiegato: «Adesso ti insegno un nuovo gioco. Il gioco del salterello». Il bimbo ha smesso di piangere. «Che gioco è?» «Funziona così: io canto una filastrocca e ogni volta che mi fermo, tu salti». La mamma si fermava ogni volta che c’era una scossa. Così le scosse sono diventate una parte del gioco e il bambino si è riempito talmente di gioia che non ha trovato più posto per la paura. E ha continuato a saltare, nonostante.

Gramellini umano oggi sulla Stampa, in un terremoto pieno di avvoltoi.

Il complotto nevoso

Esiste un complotto vichingo per mettere Roma in cattiva luce e ne facciamo parte un po’ tutti: giornali del Nord, giornali romani diretti da giornalisti del Nord e telegiornali fatti a Roma da leghisti e comunisti del Nord (i comunisti sono per definizione del Nord, basta vedere la Corea). Siamo stati noi – con il sostegno occulto delle multinazionali del ghiacciolo, della Loggia del Leopardo e di un cugino friulano di Dan Brown – a nascondere le pale nelle catacombe e a rovesciare migliaia di sacchi di sale nell’insalata del Trota pur di sottrarli alla furia bonificatrice di Alemanno. Sempre noi, dopo averlo ipnotizzato, abbiamo costretto il sindaco alpinista a proclamare il coprifuoco al Tg1, a chiedere una commissione d’inchiesta sulle previsioni del tempo (che chicca degna di Totò!) e a mostrare la compattezza delle istituzioni litigando a reti unificate col capo della Protezione civile. Solito, splendido Gramellini su La Stampa.

Nonna Livia che tiene in piedi la baracca

La signora Livia ha ottantadue anni e la testa lucida, ma le gambe appannate. Mauro è un giovane alpino di sessantaquattro che le abita accanto e ogni tanto scende a fare le commissioni per tutti e due. L’altro giorno Mauro doveva andare alla Posta e ha chiesto a Livia se aveva bisogno di qualcosa. Lei gli ha messo in mano 112 euro. «Sono per il canone Rai». Mauro le ha spiegato che non era il caso: «Hai più di 75 anni e una pensione sociale senza altri redditi: sei esentata». Livia ha insistito: «Posso permettermelo». «Ma se non arrivi a 500 euro di pensione!». «Tanti stanno peggio di me. I miei soldi serviranno a coprire quelli che non metteranno loro e a migliorare i conti della Rai, che nonostante tutto mi tiene compagnia». Pare faccia lo stesso con certe medicine che paga anche quando non dovrebbe, perché chi è fatto così è così sempre, nella vita.

Non sarei capace di ragionare come Livia. E ho le mie ragioni, sia chiaro. Il canone viene evaso in massa, ci sono regioni dove i pochi che lo pagano vengono considerati marziani. E andare in soccorso dei bilanci della tv pubblica equivale a battersi per salvare l’onore di una anziana meretrice: un’impresa assurda, oltre che disperata. Però non sono le persone come me a tenere in piedi questa baracca chiamata Italia. Sono quelle come Livia. Che non lanciano accuse, non cercano alibi, non fanno paragoni. Hanno un’idea di comunità nella testa e le rimangono fedeli con rettitudine, senza sentirsi né vittime né eroi. Semplicemente normali. Il solito, bravo Gramellini.

Perché leggere Massimo Gramellini

Mi chiamano Medio Alto, ma il mio soprannome è Rintracciabile. Sono quello che non può nascondersi, quello che paga. Anche stavolta. Il governo della Libertà mi impone tasse svedesi per continuare a fornirmi servizi centrafricani. E io le verserò fino all’ultimo centesimo, senza trucco e senza inganno, da vero scandinavo. Poi però rimango un italiano e allora mi si consenta di essere furibondo. Per pezzi così.

I verbi al futuro

Ben altro infatti è il sonno che ci tormenta. Il sonno della passione. Non che la ragione saltelli garrula nelle teste di certi mostri, che si nutrono ormai soltanto di luoghi comuni. Ma la ragione è la macchina: viene dopo. Prima ci vuole la benzina per metterla in moto. E la benzina è la passione, quell’energia del cuore che sa coniugare i verbi al futuro. Massimo Gramellini disegna un futuro credibile: avere il coraggio, la capacità e l’onestà di coniugare i verbi al futuro.

Non siamo scarti

Massimo Gramellini consiglia il video Non siamo scarti e dice bene. A volte sembra di combattere una guerra silenziosa, senza morti e feriti apparenti, ma dove cadono di continuo la dignità e il rispetto per se stessi. Del racconto di quei cinquantenni l’aspetto più terribile non è la sofferenza economica, che pure esiste. E’ la sofferenza morale. Quel sentirsi inutili, rifiutati, sconfitti. Mi piacerebbe abbracciarli a uno a uno e urlare loro «non permettete a nessuno di uccidere i vostri sogni», ma le mie sono solo parole increspate da un’emozione. Qui invece servono un progetto a lungo termine, una visione solidale, dei leader credibili. Serve un’idea forte di società.