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matteo messina denaro

Il Paese irredimibile: a Castelvetrano si applaude il cognato di Messina Denaro.

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Verrebbe voglia di urlarlo a tutta voce, di condividerlo e spedirlo per posta a tutti. Perché ogni volta che lasciamo passare un gesto del genere tutti noi siamo troppo poco vivi. A Castelvetrano si applaude in piazza all’arrivo in piazza del cognati di Matteo Messina Denaro. Quell’applauso ha lo stesso rumore dei piedi che sbattono in una pozzanghera di sangue.

La notizia è qui.

La famiglia che “riconosce” il pentito

Se vera è una gran bella notizia:

“Giuseppe Cimarosa e’ un giovane che cittadini onesti, associazioni e istituzioni non devono lasciare solo in questo percorso di riscatto intrapreso dopo la collaborazione del padre Lorenzo con la giustizia”. Lo ha detto il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, dopo averlo incontrato ed essersi intrattenuto a parlare con il trentunenne, cugino del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Il padre Lorenzo, 54 anni, e’ stato arrestato nell’operazione “Eden” e oggi e’ un collaboratore di giustizia.
Giuseppe ha detto al vescovo che tutti i componenti del suo nucleo familiare hanno condiviso la scelta della di passare dalla parte dello Stato e di voltare definitivamente le spalle a Cosa nostra.
A determinare la scelta dell’imprenditore in direzione del pentimento e’ stato proprio il figlio dopo avergli parlato la prima volta in carcere. Al vescovo, Giuseppe Cimarosa (che ha preso una dura posizione pubblica contro il superlatitante Matteo Messina Denaro), regista di teatro equestre e fondatore della “Compagnia del centauro”, ha raccontato la sua solitudine, la sua paura e quella che vive la sua famiglia: il fratello Michele, la mamma Rosa Filardo e la nonna Rosa Santangelo (zia del superlatitante Matteo Messina Denaro) che vivono con lui senza tutela.

(link)

Non solo Di Matteo

A Palermo l’aria è caldissima:

Palermo, 15 mag. – “L’attenzione e l’allerta sono altissime, cosi’ come e’ massima la predisposizione di mezzi a tutela di coloro che sono minacciati. Cio’ vale certamente in riferimento a questo episodio, ma anche in ordine ad altri progetti che emergono e che vogliono colpire chi e’ impegnato nel contrasto alla criminalita’ organizzata”. Lo ha detto all’AGI il procuratore di Palermo Francesco Messineo, rispondendo a una domanda sulle notizie relative al presunto piano di morte che Matteo Messina Denaro avrebbe progettato per i prossimi mesi contro il pm palermitano Teresa Principato che coordina l’inchiesta finalizzata alla sua cattura. (AGI)

Buongiorno! Arrestata la sorella di Matteo Messina Denaro

Un’imponente operazione antimafia è in corso in provincia di Trapani da parte di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia (Dia). I provvedimenti di arresto, emessi dal gip di Palermo, riguardano esponenti di spicco del clan di Matteo Messina Denaro, considerato numero uno di Cosa nostra.

LE ORDINANZE – Le ordinanze di custodia cautelare, emesse dal Gip su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Palermo, riguardano in particolare le famiglie mafiose di Castelvetrano e Campobello di Mazara. Le accuse nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione. Secondo gli inquirenti e gli investigatori, gli indagati esercitavano da anni un controllo capillare e con modalità riconducibili a Cosa Nostra sulle attività economiche ed imprenditoriali della provincia di Trapani, con ingenti interessi nel settore dell’edilizia. I particolari dell’operazione verranno resi noti in una conferenza stampa in programma alle 11 alla Procura distrettuale antimafia di Palermo.

Scrive Salvo Palazzolo:

CASTELVETRANO (TRAPANI) – Gli uomini col mephisto sembrano delle ombre nella notte. Alle tre in punto, escono allo scoperto e corrono verso le roccaforti dell’ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro:  la casa del nipote prediletto, Francesco Guttadauro; la casa della sorella Anna Patrizia; la bella villa del fedele imprenditore Giovanni Filardo; l’appartamento del fidato autista Pietro Luca Polizzi. Sembra un fortino dentro la città di Castelvetrano, dove il padrino resta solo un’ombra, ormai da vent’anni. I suoi lo chiamano: “La testa dell’acqua”, questo hanno captato le microspie. Alle tre in punto, gli uomini col mephisto sono entrati nel fortino e hanno arrestato i principali favoreggiatori del boss condannato all’ergastolo per aver piazzato nel 1993 le bombe di Roma, Milano e Firenze. A Castelvetrano, questa notte, c’erano i carabinieri del Ros, i colleghi del reparto operativo di Trapani, gli investigatori della Dia, i poliziotti dello Sco, delle squadre mobili di Palermo e Trapani, i finanzieri del Gico: da un anno, il procuratore aggiunto Teresa Principato e i sostituti Marzia Sabella e Paolo Guido preparavano il blitz, mettendo insieme tutti i tasselli raccolti durante le indagini sul latitante e sulla sua rete di protezione.
Alle tre in punto, gli uomini col mephisto sono entrati in azione anche in altre parti della Sicilia e persino in provincia di Milano per stringere il cerchio attorno alla potente mafia della provincia di Trapani. A Palermo sono stati arrestati due ingegneri del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, Giuseppe Marino e Salvatore Torcivia: due veri insospettabili, il primo è figlio di un giudice. Sono accusati di aver intascato mazzette per favorire una ditta di mafia, la “Spe.fra.”, nei lavori di manutenzione e ristrutturazione all’interno del carcere palermitano dell’Ucciardone.

Insospettabili in manette
Fino a qualche ora fa, un’insospettabile era anche la vigilessa Antonella Montagnini, in servizio al Comune di Paderno Dugnano, provincia di Milano: di tanto in tanto, un mafioso di Campobello di Mazara, Nicolò Polizzi, suo ex cognato, le chiedeva di controllare qualche targa sospetta. Polizzi aveva l’incubo di essere pedinato dalla polizia. Suo figlio Nicolò, anche lui arrestato questa notte dal Ros, aveva invece una passione smodata per la politica: in cambio di una cifra non precisata avrebbe procurato un consistente pacchetto di voti a Doriana Licata, candidata (non eletta) nella lista dell’Mpa di Raffaele Lombardo alle Regionali 2012. I carabinieri hanno arrestato per voto di scambio anche il fratello di Doriana, Aldo Roberto.

Mezz’ora dopo il blitz di questa notte, il bilancio è di trenta arresti. “Abbiamo inferto un colpo determinante”, sussurra uno degli investigatori che da anni segue giorno e notte le tracce del superlatitante. “Adesso sarà costretto a uscire allo scoperto”, dice. Perché non può contare più sul suo portavoce ufficiale, il nipote Francesco Guttadauro, classe 1984, che i Ros hanno visto muoversi con grande disinvoltura fra una rete ristretta di 17 persone fidatissime, tutte oggi arrestate: nel tempo libero, il rampollo di mafia se ne andava a passeggio con l’ex capitano del Palermo Fabrizio Miccoli.
Da questa notte, Messina Denaro non può più contare sulla sua ambasciatrice, la sorella Anna Patrizia, che ha 43 anni, e un piglio da vero capomafia: le intercettazioni della Dia l’hanno sorpresa a estorcere 70 mila euro agli eredi di una nobildonna (“Io qua sono, mi chiamo Messina Denaro e a me non mi rompe niente nessuno  –  così diceva  –  Ora io qua voglio le cose, ora voi uscite i soldi, perché a me i soldi mi servono”). Altre intercettazioni, della polizia, hanno ascoltato Anna Patrizia mentre riferisce al marito in carcere i desiderata del fratello latitante a proposito di Giuseppe Grigoli, l’ex patron dei supermercati Despar prestanome del superlatitante che aveva iniziato a fare delle dichiarazioni ai processi. “Che nessuno lo tocchi, lasciatelo… dice… più danno può fare. Di più, per dieci volte”. Questo fu il messaggio portato da Anna Patrizia in carcere.

Cassa di famiglia
Da questa notte, Matteo Messina Denaro non può contare più sul suo cassiere di fiducia, l’imprenditore Giovanni Filardo, che nonostante l’arresto aveva continuato a fare lavorare le sue aziende nel campo del movimento terra e dell’edilizia, intestadole alla moglie Maria Barresi e poi girando alcuni introiti alle figlie Floriana e Valentina. Le indagini della Guardia di finanza di Palermo hanno portato tutta la famiglia in carcere. A nulla sono serviti gli appelli alla prudenza lanciati dal padre: “Leva e scava”, diceva Filardo alle donne di casa, invitandole a mettere sottoterra i soldi. Quei soldi dovevano per forza girare nelle rete di Messina Denaro, per il sostentamento del latitante e dei familiari. A Patrizia, ad esempio, spettava uno stipendio di 1.500 al mese. I soldi non mancavano. A Filardo, con la sua “BF”, si affiancavano Lorenzo Cimarosa e Antonino Lo Sciuto, che gestivano la “Mg costruzioni”, impegnata in tanti lavori in provincia di Trapani, i più importanti quello per il parco eolico di Mazara e quello per realizzare il Mc Donald’s di Castelvetrano.
Il provvedimento di arresto, firmato dal gip Maria Pino, dispone anche il sequestro di tre società, che hanno un valore di cinque milioni di euro.

L’onda lunga di Matteo Messina Denaro arriva fino a Milano e Varese

Un patrimonio del valore stimato di 38 milioni di euro e riconducibile al capomafia latitante Matteo Messina Denaro ed alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara (Trapani) e’ stato seqeustrato dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani. Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Trapani, su proposta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, si lega a indagini che hanno portato all’arresto di esponenti di spicco dell’organizzazione criminale. Il sequestro ha riguardato aziende olearie, attivita’ commerciali, abitazioni, terreni e numerosi rapporti bancari, distribuiti tra le province di Trapani, Varese e Milano.

Se si mangia mafia

E’ in corso una vera aggressione al Made in Italy gastronomico. La denuncia del “nuovo fronte della criminalità ambientale” è di Legambiente in occasione di festambiente a Rispescia. I reati, secondo l’organizzazione ambientalista, sono 11 al giorno e oltre 3000 persone denunciate o arrestate. Bel oltre i 672 milioni di euro il valore dei beni finiti sotto sequestro per un affare gestito da 27 clan criminali. Le produzioni agroalimentari di qualità, l’olio extravergine d’oliva e il vino da contraffare con cui invadere i mercati: anche i simboli per eccellenza del made in Italy sono da sempre sotto attacco. Secondo il Rapporto Ecomafia di Legambiente nel 2012, grazie al lavoro svolto dal Comando carabinieri per la tutela della salute, dal Comando carabinieri politiche agricole, dal Corpo forestale dello stato, dalla guardia di finanza e dalle capitanerie di porto, sono state accertati lungo la filiere agroalimentari ben 4.173 reati penali, più di 11 al giorno, con 2.901 denunce, 42 arresti e un valore di beni finiti sotto sequestro pari a oltre 78 milioni e 467.000 euro (e sanzioni penali e amministrative pari a più di 42,5 milioni di euro). Se si aggiungono anche il valore delle strutture sequestrate, dei conti correnti e dei contributi illeciti percepiti si superano i 672 milioni di euro. Con 27 clan censiti da Legambiente con le “mani in pasta”. A tavola, secondo gli ambientalisti, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, dai Mallardo alla mafia di Matteo Messina Denaro, dai Morabito ai Rinzivillo. La scalata mafiosa spesso approda nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar, che anche in questo caso diventano posti ideali dove lavare denaro e continuare a fare affari”.

A Brescia sgozza la mafia

Quell’omicidio di Brescia del professionista Cottarelli e la sua famiglia di cui avevamo scritto nel 2008 (grazie al bel libro ‘Polo nord’ di Fabio Abati e Igor Greganti) è una strage di mafia secondo la Corte di Assise di Appello di Milano:

La Corte di Assise di Appello di Milano ha condannato all’ergastolo due cugini trapanesi, Vito e Salvatore Marino, 47 e 53 anni, originari di Paceco (Trapani). Il 28 agosto del 2006 fecero strage a Urago Mella (Brescia) di una intera famiglia. Secondo l’accusa, sgozzarono Angelo Cottarelli, la moglie Marzenne Topor di 41 anni e il loro figlio, Luca di 17. Tre delitti al culmine di una diatriba per soldi tra Vito Marino e Angelo Cottarelli, una discussione dove fece da scenario una maxi truffa che era stata ordita da Marino assieme con altri imprenditori trapanesi, ai danni dello Stato e della Regione. Una truffa che inghiottì quasi 40 milioni di euro.

A Vito Marino, Cottarelli aveva garantito, pur stando lontano dalla Sicilia, delle fatture false, ma a un certo punto a Marino venne a mancare un milione di euro, e andò a chiederli indietro a Angelo Cottarelli, svegliando lui e la sua famiglia di buon mattino nella loro villetta a Urago Mella, facendosi spalleggiare da suo cugino Salvatore, al quale secondo la ricostruzione dei pm toccò il compito di sgozzare le tre vittime. I due furono arrestati poco dopo i fatti perché a Trapani gli investigatori della Squadra Mobile si stavano occupando già della truffa e con i colleghi di Brescia ricostruirono i motivi della strage. A casa Cottarelli fu addirittura trovato quel denaro che Vito Marino rivoleva a tutti i costi.

Assolti in primo grado, condannati all’ergastolo in appello, l’anno scorso i due cugini erano tornati liberi per l’annullamento deciso dalla Cassazione. Vito Marino è stato arrestato dalla Polizia in aula dopo la lettura della sentenza. A Trapani i poliziotti della Mobile hanno arrestato suo cugino Salvatore. Spietatezza e brutalità in questa storia. Ma non solo. Vito e Salvatore Marino sono figlio e nipote di un boss ucciso da Matteo Messina Denaro nel 1985 e i vini commerciati da Vito Marino avevano eloquenti etichette, come “Baciamo le mani” con tanto di uomo in coppola e lupara.

Matteo Messina Denaro che organizza l’America’s Cup

Beni per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro sono stati sequestrati agli imprenditori edili trapanesi Francesco e Vincenzo Morici, padre e figlio, di 79 e 50 anni, ritenuti dagli investigatori appartenenti al ‘cartello’ legato al boss latitante Matteo Messina Denaro e che per un decennio avrebbe condizionato appalti pubblici a Trapani. Il sequestro ha riguardato anche societa’ impegnate nel cantiere del porto di Trapani. Per gli inqirenti, nelle commesse venivano usati materiali non conformi, tali da pregiudicare la durata delle opere.

L’operazione, denominata “Corrupti Mores” ed eseguita dagli agenti della Divisione Anticrimine della Questura di Trapani e dai finanzieri del nucleo di Polizia Tributaria a Trapani, Roma, Milano, Gorizia e Pordenone con la collaborazione dei reparti territoriali delle fiamme gialle e della Divisione anticrimine della Questura di Roma, scaturisce da un provvedimento emesso dal presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani su proposta del questore Carmine Esposito. Il sequestro ha colpito 142 beni immobili, 37 beni mobili registrati, 36 conti correnti e rapporti bancari, 9 partecipazioni societarie e 6 societa’, sequestrate e sottoposte ad amministrazione giudiziaria, tra cui il cantiere sull area portuale di Trapani. Secondo gli inquirenti, i Morici appartengono a un gruppo di imprenditori utilizzati da Cosa nostra per condizionare, a partire dal 2001 e per circa un decennio, le fasi di aggiudicazione di importanti appalti pubblici a Trapani, l’esecuzione di opere e le relative forniture. Gli elementi che hanno portato al sequestro sono emersi dalle carte del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico del senatore trapanese del Pdl Antonio D Ali’, in corso davanti al gup di Palermo.

Il gruppo dei Morici si sarebbe accordato con Cosa nostra per aggiudicarsi la gara di strutturazione del porto tra il 2001 e il 2005 in occasione della preregata della Coppa America “Louis Vuitton act 8 e 9” e, da alcune intercettazioni, emergerebbe, scrivono gli inquirenti, l’esistenza di intese con il boss mafioso Francesco Pace, esponenti politici e altre imprese partecipanti, per favorire i Morici nell aggiudicazione e utilizzare materiali non conformi, tali da alterare la stabilita’ dell’opera nel tempo. Il vertice mafioso, secondo gli investigatori, avrebbe gestito, tramite i Morici, e altri imprenditori contigui, i meccanismi di controllo illecito sull aggiudicazione dei lavori pubblici e sulla esecuzione del lavori, prevedendo che l’impresa aggiudicataria versasse una percentuale ai funzionari pubblici corrotti ed alla famiglia.