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mio padre in una scatola da scarpe

10 anni fa. Di un padre in una scatola da scarpe.

Il 6 settembre di dieci anni fa moriva Michele Landa, metronotte a Mondragone, padre e nonno.

La sua storia (ne scrive qui Sergio Nazzaro) è il cuore del mio romanzo con cui ormai da un anno giro l’Italia. Ed è una storia che profuma d’amore dall’inizio alla fine. E allora mi sembrava giusto pensarci, oggi.

Conta e Cammina. E l’ottimismo della volontà.

Tre giorni a Macomer nell’ambito del festival ‘Conta e Cammina’, due incontri nelle scuole, una presentazione di ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ e una serata a portare in scena la spremuta di libro con ‘Una storia in una scatola da scarpe‘. Tre giorni a toccare con mano l’energia positiva che si sprigiona quando le storie incontrano i ragazzi e diventano una riflessione collettiva. Questo è un Paese che ha dei giovani straordinari, me ne convinco ogni volta che partecipo ad un incontro in una scuola: ho ascoltato ragazzini delle scuole medie parlare di Siria con un cuore (e competenza) che si sognano molti della nostra “classe dirigente”, ho ascoltato domande sulla prepotenza mafiosa che sanno di lealtà e coraggio. Abbiamo una responsabilità grande, sempre: ogni volta che scriviamo una frase, recitiamo una pagina o proponiamo un libro. Ricordiamocene.

Ci si vede martedì 5 aprile a Bollate #miopadreinunascatoladascarpe

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Martedì torno giù al nord, a Bollate, per presentare il mio ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ e per discutere insieme a voi del valore della verità. Bollate non è scelto per caso: a Bollate si è consumata un paradigmatica commistione tra mafia, imprenditoria e cittadinanza che per lavoro (e per legittima difesa) ho seguito per anni. E la presentazione sarà a Cassina Nuova, la località che è stata il feudo di Vincenzo Mandalari, uomo di ‘ndrangheta e di affari.

Insomma, se siete da quelle parti vale la pena esserci. Ecco. Info sull’evento qui.

Storia di amore e omertà, Giulio Cavalli presenta “Mio padre in una scatola di scarpe” alla Tela (da Varesenews)

(fonte)

CAVALLISarà Giulio Cavalli, scrittore, giornalista, autore teatrale  ed ex consigliere in Regione Lombardia l’ospite dell’aperitivo con l’autore di sabato 19 marzo alle 11.00 a “La Tela”, l’osteria del buon essere a Rescaldina (strada Saronnese, 31). Organizzato dalla Tela in collaborazione con Anpi Rescaldina e la biblioteca comunale, l’incontro affronterà il tema della legalità partendo dalle pagine dell’ultimo libro di Cavalli, “Mio padre in una scatola di scarpe”, un romanzo ispirato alla vera storia della famiglia Landa, colpita dall’uccisione di Michele, metronotte 61enne a pochi giorni dalla pensione, impegnato a piantonare un ripetitore per la telefonia mobile a Pescopagano. Un omicidio cui i media diedero poco risalto e che Cavalli fa riemergere nelle pagine di un libro che indaga una vicenda umana prima che di criminalità organizzata.

Michele Landa, infatti, non è un eroe ma una persona normale che desidera coltivare il suo orto e godersi la famiglia restando una persona pulita; cosa non facile a Mondragone, dove serve coraggio anche per vivere tranquilli. Chi non cerca guai, infatti, è comunque costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura?

GIULIO CAVALLI (Milano, 1977) scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010) e L’innocenza di Giulio (2012). È stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia.

Cavalli è stato uno dei primi giornalisti a occuparsi della vicenda del Re Nove di Rescaldina, ora diventato osteria sociale del benessere La Tela “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavallo, 2015 è edito da Rizzoli.

La Tela è un bene sequestrato alla criminalità organizzata, affidato al Comune di Rescaldina e gestito dalla Cooperativa ARCADIA insieme con altre associazioni del territorio. È diventato ristorante e centro di aggregazione e di promozione sociale e culturale.

Info: Osteria sociale del buon essere “La Tela” strada Saronnese, 31 Rescaldina (MI)
www.osterialatela.it
Facebook:  https://www.facebook.com/osterialatela/

 

Quando scappa una foto

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Mio padre in una scatola da scarpe era giallo. Un giallo quasi spaventoso, e bello. Poi l’ho consumato. Oggi l’ho portato a mare. Con tutto quel vento. Sarebbe bello diventare vento, e arrivare dentro le orecchie della gente con storie che cambiano la forma delle cose. “Diceva Michele che ci sono calli che fanno belli, mali passati che diventano tesori e morti che in un istante diventano vivi, vivissimi, da raccontare di continuo. Domeniche incluse.” E lunedì che sembrano domeniche. via Instagram http://ift.tt/1U81Vjz

Letteratitudine recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(La recensione sul romanzo ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘. Il libro lo potete acquistare qui. L’articolo originale è qui.)

di Eliana Camaioni

539526612È una storia di famiglie, “Mio padre in una scatola da scarpe” (Giulio Cavalli, Rizzoli ed.): quella di Michele e del Nonno, composta da ‘brave persone, che lavorano e tacciono’, e quella dei Torre, simile ad ‘una marchiatura a fuoco sull’orecchio o una targhetta pinzata in mezzo alle palle come un toro’, capace di ‘allargare le regole finché non ti entrano perfettamente’. Sono le regole non scritte del paesino di Mondragone, dell’entroterra napoletano: appartenenze suggellate da battesimi di sangue e persiane chiuse, omertose e vigliacche; baci in piazza che timbrano come bestiame, e gonne da processione paesana –gonne debutto, per donne da marito, e gonne gabella, assenzi taciti di sottomissione ai boss.
‘Non guardare e non sentire è il modo più maturo e responsabile per difendere la tua famiglia e i figli che vorrai’, questa la ricetta per sopravvivere a Mondragone, paese di poche anime e tanti segreti, dal lessico silenzioso dell’abito buono esibito alla messa domenicale, di una scollatura che ti rende donna e di morti sparati, ‘morti interrotti’, guardie e ladri, corriere e corrieri.
Un affresco collettivo, nitido e tridimensionale per l’uso intenso che Giulio Cavalli fa di similitudini e metafore; ci sono caffè all’alba e turni di notte, cervelli che schizzano e mogli che aspettano, odore di salsa ed esalazioni di vino, amici che muoiono e carabinieri che archiviano.
E poi ci sono gli occhi, di chi tutto guarda e nulla vede, occhi che piangono e occhi che seccano, occhi che urlano parole non pronunciate, e picchiano più delle bastonate; occhi di bue da regista, che Giulio Cavalli stringe su ciascun capitolo, con una focalizzazione disincarnata e variabile, raccontando quarant’anni e quattro generazioni di una terra ‘così omertosa e schiava’ di cui il Nonno, agli occhi del nipote Michele, sembra essere il ‘certificato’. Michele e la famiglia coraggiosa che farà con Rosalba, secondo i dettami delle ‘brave persone’: perché ‘c’è tanta bellezza e tanto coraggio a crescere una famiglia con dignità’, lo stesso coraggio necessario ‘a rinunciare, anche ai principi se serve’. Un mos maiorum che si tramanda di Nonno in nipote, una rabbia sorda impossibile da accettare per Michele se non quando sarà nonno a sua volta, perché a Mondragone ‘la vita è molto più semplice di come la pensi: basta non fare la rivoluzione tutte le mattine’, basta sposare una donna onesta ed accontentarsi di un onesto lavoro, dribblando le ingiustizie, stando fuori dagli affari dei potenti.
Il tempo della storia vola via veloce, fra chi da Mondragone parte e chi a Mondragone resta, fra chi espatria per cercare salvezza e chi partendo fa la fortuna di chi comanda, come una sberla per chi al paese lavora e tace, ‘facendo quello che è possibile fare’; cene fra amici segnano il passo, e come un impietoso consuntivo di fine anno tirano la riga sotto le vite dei protagonisti, mentre queste si intrecciano, si intersecano, divergono, si interrompono.
Di tutti i luoghi, la spiaggia e la piazza sono elette a testimoni silenziose: di amori onesti e amori rubati, del punto di equilibrio in cui risiede la felicità perfetta, di macabri ritrovamenti, di quella desertitudine – meraviglioso neologismo – che a Mondragone ‘prende il posto dei sorrisi’.
Il termine mafia è un gas mortale che ammorba l’intera narrazione, ma compare solo a metà del romanzo, nell’epoca in cui di mafia finalmente si osa parlare: e sarà un boato, l’esplosione di quel gas, per bocca di un figlio che si rivolge al padre: ‘Quelli che fanno finta di niente con il tuo amico morto ammazzato sono mafiosi!’ perché è mafioso ‘anche chi non ammazza, spende soldi guadagnati ammazzando la gente’.
Uno scatolo da scarpe, una morte tanto ingiusta quanto ingiustificata, indica la fine di una storia iniziata con una fine che era un inizio: perché ‘per uno cauto di natura la fine è un punto di domanda’ si legge nell’incipit, ‘per uno più arrogante è un vinto lasciato per terra’.