Vai al contenuto

monti

La priorità è il lavoro

In casa Fiom un sindacato «naturalmente» industrialista si interroga liberamente su cosa, dove e come produrre, cioè sulle compatibilità sociali e ambientali del lavoro, e lo fa insieme a chi alza la bandiera della decrescita. Si parlerà di vecchie povertà, quelle dickensiane, e nuove povertà, prodotte dalla crisi e dalle ricette liberiste per (non) uscirne, insieme a Marco Revelli. Ci si chiederà con economisti di diverso orientamento se ha un senso, e quale e come, finanziare le imprese. Si parlerà di giornali che sentono il fiato caldo della crisi sul collo e una volta ancora la Fiom farà la sua parte, sostenendo il manifesto con una cena di finanziamento, ma troverà uno spazio di ascolto anche un giornale che nasce: Pubblico.

Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Cgil con un occhio particolarmente attento a Torino che è stata la sua palestra sindacale, ricorda che oggi si costituirà presso la Corte di Cassazione il comitato promotore dei due referendum sul lavoro (art.8 e art.18). Airaudo plaude all’obiettivo difficile e importante raggiunto: «Grazie alla disponibilità dell’Idv si è messo in moto un fronte molto ampio che consentirà di portare i temi del lavoro dentro la campagna elettorale». Ma non si fa soverchie illusioni: quello schieramento non è automaticamente l’embrione di uno schieramento ampio che abbia al centro i temi del lavoro e dei diritti, che però bisognerebbe costruire. «C’è chi, non solo nel Pd, pensa che il lavoro sia un tema del passato. C’è chi, nel Pd, si dichiara dalla parte di Marchionne senza se e senza ma, come ha fatto Renzi». «Nelle primarie del Pd il lavoro non c’è», è la sua amara constatazione. Però Airaudo, Bersani l’aveva invitato, ma verrà Fassina. Invece il Pd, nella sua festa torinese la Fiom non l’aveva invitata, a costo di non parlare della Fiat. Se poi anche nel partito di Bersani passa l’idea cara al presidente Napolitano che chiunque vinca le elezioni il segno della politica economica dovrà essere in continuità con quella messa in atto da Monti, c’è poco da farsi illusioni.

Perché proprio a Torino questo appuntamento? Perché da qui, con il modello Marchionne, è partito tutto. Perché Torino, aggiunge Airaudo senza far sconti al nuovo sindaco Pd Piero Fassino, è la città più indebitata d’Italia e sceglie di tagliare il welfare e appaltarne le briciole ai privati, cooperative disposte a competere abbattendo i diritti di chi ci lavora. «E’ inquietante che a parte la Fiom, e certo con più autorevolezza, l’unico a parlare di declino della città sia il vescovo, che non si fa scrupoli a chiamare in causa la famiglia Agnelli-Elkann».

Non sarà, è la domanda che si ripete noiosamente dal 9 giugno, che la Fiom vuole farsi partito? La risposta è sempre la stessa: la Fiom è un sindacato e vuole fare sindacato. Ciò non vuol dire che sia indifferente a quel che avviene in politica.

Il Manifesto di oggi racconta un vuoto: ecco lì dove dobbiamo stare. Perché il tema è il lavoro ed è il punto da sciogliere prima delle primarie. Uno di quei punti dove (lo continueremo a ripetere all’infinito) non si accettano mediazioni al ribasso. Per identità e per progetto sarebbe bello che una volta sia la politica a presidiare in difesa dei lavoratori e non solo il contrario.

 

Vizi (e detenuti) privati

Ultimamente avevano privatizzato i reati. Il berlusconismo ci aveva fatto credere che in fondo fosse solo legittima difesa. Ora Monti ha liberalizzato anche le carceri: le imprese le costruiranno e le gestiranno con lo Stato. In teoria potrebbe essere un’idea contro il sovraffollamento. In realtà rischia perfino di peggiorare la vita dei detenuti. I nostri penitenziari ospitano, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oltre 68mila persone: 40mila in più della capienza regolamentare. Il personale é sottodimensionato e non riesce a garantire la decenza del servizio. A pochi chilometri da Mantova un edificio penitenziario quasi ultimato è stato abbandonato e colonizzato da animali e vagabondi. Se il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni  ( come scriveva Fëdor Dostoevskij) forse sarebbe il caso di farsi carico (in pubblico più che in privato) della vergogna.

Il centrismo indolore

Ritorno al Centrismo? Altra metafora imprecisa, se è vero che qui non si tratta di una formula politica quanto della copertura assicurata all’ennesima operazione camaleontica della corporazione dei rentiers di partito. E la mascherina asettica del tecnico certifica che tutto si svolga in maniera anestetica, indolore. Per questo si rendono necessari sensori più percettivi, per cogliere i segnali deboli nel grande brusio del detto e contraddetto. Dell’Ici imposta al patrimonio immobiliare vaticano e delle contestuali manovre che ne sterilizzino gli effetti; del beauty contest bloccato per le frequenze televisive e dell’asta che non si sa se e quando si farà; del mercato del lavoro che va riformato all’insegna dell’equità in assenza di qualsivoglia politica che crei nuovo lavoro. Gattopardo Monti – insomma – non lo pizzichi sul terreno del “bunga bunga” o della condiscendenza sottobanco verso le Mafie. Andrebbe atteso al varco dove “niente cambia mentre tutto cambia” (o meglio, veniamo indotti a pensare che il cambiamento sia effettivo). Per farlo occorrerebbe – prima di tutto – lasciar perdere il folklore narrativo e relative retoriche stereotipate. Magari si scoprirebbe che, dopo un quasi ventennio di regime reazionario, è in atto una vera e propria restaurazione conservatrice. E che la luna di miele tra SuperMario e l’intero popolo italiano è ormai agli sgoccioli. Pierfranco Pellizzetti su Il Fatto Quotidiano.

Quando Ada telefona a Veltroni

EBBASTA CO’STO CAZZO DE RIFORMISMO! Ogni vorta co’ ’sto riformismo e riformismo. Quanno apre bocca deve ricordà a tutti da quaa vorta c’ha perso. Ma nun s’è mai visto che ’ntervistano uno, e quello ogni vorta disce «Te ricordi quanno ho perzo che meraviglia?! Te ricordi quanno me l’hanno date forti, che so’ uscito caa faccia piena de sangue? Te ricordi che record de pugni in faccia me so’ preso, amo vinto la gara de’ litri de sangue!». Ma quello se deve ricoverà! Nun è normale! Sor Vertroni, io so’ preoccupata pe’ lei. Matteo Bordone geniale su Veltroni.

Presidente Monti, per favore, li faccia stare zitti

pubblicato su IL FATTO QUOTIDIANO

Non ho amato dal primo minuto l’aura francescana che si è voluto costruire intorno al governo Monti: questo dovere di gratitudine per presunti esperti che si sono dovuti scomodare per salvarci mentre erano indaffarati in altri importantissimi affari. Non mi è piaciuta l’idea dell’economia unica cura all’economia come cicuta senza alternativa e ancora meno mi piace l’aggettivo “tecnico” che sta a dire che non spetta ai cittadini giudicare.

Con la manovra la montagna ha partorito il topolino e il governo che in molti temono troppo vicino alle banche si è smutandato ben prima davanti ai tassisti, alla Chiesa e all’equità in fase di prelievo ma mai in fase di ridistribuzione. Ma questa è una mia opinione e leggo con molto interesse il dibattito di chi la pensa diversamente (esclusi quelli che agitano lo spettro del fallimento evitato e della “responsabilità nazionale”, perché in nome della “responsabilità nazionale” la sempre viva bicamerale sotterranea ha affossato questo Paese).

Una cosa però non sopporto: le interviste inconcludenti, spocchiose e sceme di alcuni Ministri ad alcuni (presunti) quotidiani come quella del Ministro Clini rilasciata a Libero. Ci raccontano della loro adolescenza, delle loro amicizie e del loro passato politico come se potesse essere interessante sapere delle vecchie correnti del Psi o delle discoteche notturne con De Michelis. Aprono l’album dei ricordi e viene un conato per l’immersione per niente tecnica nel peggio della Prima Repubblicae i “professori” risultano carneadi del politichese da Prima Repubblica. Politici con nomea di tecniciper lontana sparizione dal quadro politico: nuovi perché ci sono sempre stati ma non li aveva notati nessuno.

Quando esprimono opinioni, invece, smentiscono i risultati dei referendum (dall’alto della caratura tecnica, evidentemente) invocando il ritorno al nucleare o altre scemenze della stessa stregua. Nell’Italia dissanguata dal porcellum i nominati per eccellenza del governo Monti dimenticano di avere il compito di amministrare la crisi e non ispirare il gossip e ammaestrare la stampa.

Per favore Presidente Monti, li faccia lavorare e li faccia stare zitti. Per sobrietà, almeno.

La banalità della politica

Stavo per scrivere di questo Governo Monti che tutti invocavano a gran voce in senso di responsabilità e che si è svelato presto come la banalità al potere (tecnica si intende) che ora imbarazza quasi tutti. Mi ricorda molto la falsa opposizione che vivo pressoché quotidianamente in Regione Lombardia dove si ha la sensazione che la differenza tra i due grandi partiti (di governo e di “opposizione”) sia tutta sulle quote assegnate nelle diverse distribuzioni di uomini, opportunità e poteri. Perché il “terzo polo” anche in Lombardia non esisterebbe se non fosse il luogo che polarizza le derive centriste di alcuni pezzi delle due ali che non riescono a trattenersi dal volere a tutti i costi andare d’accordo. Pensavo anche a come si esulterà appena si insedierà la commissione d’inchiesta sul San Raffaele e poi subito vivremo queste kafkiane sedute dove in modo bipartisan si urlerà di lasciare fare alla magistratura e di avere responsabilità per l’eccellenza dell’Istituto (alla Monti, per intendersi) e alla fine sarà il solito conciliabolo di contriti e dispiaciuti che scartabellano qualche carta per chiudere con la promessa di non farlo più (del resto si litiga sulla presidenza della commissione per avere qualche rilancio di agenzia in più a disposizione e mica per esercitare curiosità. Non sia mai). Oppure avrei voluto scrivere dell’occasione persa con la vicenda Penati per aprire una seria discussione sul ruolo lobbystico delle cooperative per il centrosinistra, almeno per essere diversi nell’onestà intellettuale e nella voglia di spiegare e spiegarsi. Poi questa mattina ho letto l’editoriale di Giovanni Sartori sul Corriere e ho pensato che per fortuna abbiamo teste che sanno analizzare e raccontare guardando dall’alto. Con un pezzo che potrebbe essere un punto del programma per le prossime elezioni. E’ che mi lasciano perplesso gli alleati, per l’occasione.

Una politica a corto di idee di Giovanni Sartori

Forse esagero, ma è da cinquant’anni che dalla politica italiana non nasce una sola idea. Siamo partiti con il Bipartitismo Imperfetto di Giorgio Galli, dove «imperfetto» stava per dire che non c’era alternanza al potere. È sì un difetto. Ma sin da allora facevo notare che i Paesi senza alternanza di governo erano parecchi, specialmente il Giappone, che pure è stato per lungo tempo un Paese di prima fila.

Poi si è affermata l’idea che se un Paese non aveva una struttura bipolare non poteva funzionare. Per anni ho cercato di spiegare che una struttura bipolare (tipo destra-sinistra) veniva di solito da sé, che era fisiologica. Chi si prova, ogni tanto, a dichiararsi «terzo polo» è un politico spiazzato dagli eventi. D’altronde, i sistemi bipolari hanno spesso bisogno di un piccolo partito intermedio di sostegno. Come in Germania.

Qual è, allora, lo scandalo italiano? È che non abbiamo il voto di preferenza. Lo avevamo, ma a furor di popolo venne cancellato da due referendum. Non era un secolo fa, eppure ce ne siamo dimenticati. E ci siamo anche dimenticati perché non funzionò allora, e perché funzionerebbe ancora peggio se ripristinato. In passato la prassi costante, tra gli scrutatori dei seggi, era di controllare attentamente i voti di lista ma di consentire a sé stessi di aggiungere crocette di preferenza ai raccomandati del proprio partito. Oggi siamo più smaliziati. Così è ancora più sicuro che il votante non riuscirà quasi mai a eleggere chi voleva. Eppure ci crede.

In questo cinquantennio la vera novità è invece passata inosservata. Nel 1918 Max Weber scriveva un saggio, La politica come professione, che è illuminante già nel titolo, e che stabilisce una volta per tutte qual è il problema. Questo: che si è man mano consolidata e moltiplicata una popolazione che vive di politica e che non sa fare altro. Se perde il posto o le entrature nella «città del potere», allora resta disoccupato: o politica o fame. È evidente che la politica come professione è una inevitabile conseguenza della entrata in politica delle classi povere. Finché l’accesso al potere era ristretto ai benestanti, il cosiddetto «politico gentiluomo», non si faceva pagare. Non ne aveva bisogno. Ma i nullatenenti, invece, sì.
Va da sé che il politico di professione esiste oramai un po’ dappertutto. Ma da noi con una virulenza inedita che ci assegna tra i Paesi più corrotti al mondo (al 69° posto).

È che da noi mancano le controforze politiche, manca un vero pluralismo politico. Il fascismo ha favorito lo sviluppo di quelle che oggi ci siamo abituati a chiamare lobbies , ovvero corporazioni di interessi economici. Dopodiché il dopoguerra ci ha restituito un sindacalismo largamente massimalista. Mentre nel 1959 i sindacati tedeschi ripudiavano a Bad Godesberg il sindacalismo rivoluzionario e da allora collaborano con le aziende, noi continuiamo il rito di inutili e dannosi scioperi.

Il punto è, allora, che lo strapotere della nostra casta di politici di professione non si imbatte in vere controforze che lo combattono. Noi siamo precipitati nel momento in cui la stupidità della sinistra, allora di D’Alema e di Violante, ha consegnato il Paese a Berlusconi regalandogli tutta o quasi tutta la televisione.

Gilioli sulla manovra

Confesso che mi ha rubato le parole. Su quello che non c’è nella manovra e che nonostante le lacrime in mondovisione non è potabile. “Quello che non c’è insomma è il coraggio di cambiare passo, di mostrare una nuova visione, una cultura diversa, un’ipotesi alternativa di futuro. E quello che non c’è mi sembra, purtroppo, più importante e brutto di quello che invece c’è.”