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“Addio Benetton. Il governo ha vinto. E anche l’Italia”: Giarrusso (M5S) a TPI

Dino Giarrusso è europarlamentare del Movimento 5 Stelle ma sempre molto attento alle dinamiche nazionali che riguardano il governo Conte. Si dice soddisfatto per l’accordo trovato su Autostrade e fiducioso per la tenuta del governo in futuro.
Onorevole Giarrusso, come valuta l’accordo con i Benetton preso dal governo?
Lo valuto molto positivamente perché per una volta un governo non cede al capitalismo di relazione che secondo me ha inquinato completamente la società italiana negli ultimi decenni, legando grandi capitali a vecchi partiti e sistema dell’informazione. Non era facile estromettere Benetton dal controllo delle Autostrade e questo governo ce l’ha fatta, la ritengo una vittoria per i cittadini.

Qualcuno però fa notare, anche all’interno del Movimento 5 Stelle, che la soluzione sia una revoca dolce e ci vorrà molto tempo prima che la soluzione si realizzi…
Io non la ritengo una revoca dolce. Per la prima volta in Italia chi ha commesso delle gravi mancanze (oltre ad avere fatto morire 43 persone, il crollo di un ponte è in sé una ferita per Genova e per l’Italia) non riceve sconti, cosa che ci è stata riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale quando abbiamo deciso di non far partecipare la società alla ricostruzione del ponte. Poi…
Cosa?
Poi per i cittadini il pedaggio diminuirà significativamente e anche questa la ritengo una vittoria civile, un lavoro ben fatto. Inoltre ci sarà il risarcimento di 3,4 miliardi di euro, quindi chi ha sbagliato pagherà. Tra l’altro l’accettazione di queste condizioni fa sì che non ci siano contenzosi, ciò che in Italia può durare decenni e far permanere la concessione “in attesa di sentenza definitiva”. Abbiamo anche casi di contenziosi finiti economicamente molto male per lo Stato e quindi per le tasche di tutti noi: questa volta non accadrà.

Tutto bene quindi?
La ritengo una soluzione positiva ed anche un buon esempio per il futuro: val la pena sottolineare anche che scendendo sotto il 10% i Benetton non siederanno nemmeno più nel Consiglio di Amministrazione.
Come legge le fibrillazioni di Italia Viva, di alcuni del PD e addiritutra dello stesso M5S?
I mal di pancia di Italia Viva e minima parte del PD li leggo allo stesso modo in cui leggo che Prodi e De Benedetti insieme propongono di fare entrare Berlusconi nel governo: sono i colpi di coda di un sistema che non ha funzionato, non ha fatto il bene degli italiani eppure non vuole cedere per fini di potere. Nostalgie trasversali in tutti i vecchi partiti (tutti, nessuno escluso, purtroppo, compresi quelli che stanno e che stavano al governo con noi) di esponenti che fanno parte del vecchio sistema e che non vogliono cambiarlo. Per questo ci sono tante resistenze, il cambiamento scontenta molti. Nel M5S non ho sentito voci dissonanti sulla vicenda Autostrade.

Come valuta le tenuta di questo governo alla luce dei retroscena sull’ingresso di Forza Italia e i mal di pancia di Renzi?
Penso che questo governo abbia innegabilmente portato un cambiamento. Poi, per carità, può piacere o non piacere ma il cambiamento in Italia è una dinamica molto difficile. Ci sono state molte persone per bene che nei decenni scorsi hanno fatto battaglie anche importanti in formazioni “pulite”, ma purtroppo non hanno portato nessun risultato concreto se non quello della semplice testimonianza: il Movimento ha invece cambiato delle cose concrete -con tutti i nostri limiti – e questo crea problemi a chi vorrebbe che le cose non cambiassero mai. Il fatto che molti sedicenti antiberlusconiani – e persino storici nemici di Berlusconi come Prodi e De Benedetti – abbiano rivalutato la figura di Berlusconi “pur di togliere Conte e M5S dal governo” la dice lunga su quanto fastidio diamo al vecchio sistema. Questo valeva durante il contratto di governo con la Lega e vale adesso: abbiamo perseguito i nostri obiettivi e il nostro programma politico (penso alla legge Spazzacorrotti, al reddito di cittadinanza, al taglio dei vitalizi…) cercando di tenere la barra di governo quanto più vicina al nostro programma.

Intanto il Movimento ha trovato l’accordo sulla Liguria con il Partito Democratico candidando Sansa…
Non mi risultano accordi chiusi. Ciò detto: io penso che il Movimento sia alternativo a tutti gli altri partiti, dunque riguardo eventuali alleanze vanno valutate solo se rispettano i nostri valori. Ci sono regioni come la Sicilia in cui abbiamo sfiorato il 40% e non governiamo. Prima di parlare di accordi bisogna però decidere insieme programma, valori di riferimento e candidato presidente. In Campania, ad esempio, dove c’è De Luca per quel che mi riguarda non c’è nemmeno da discutere. Altrove si può discutere, ma tenendo sempre la barra dritta. Peraltro son cose che poi decideranno i nostri iscritti come abbiamo sempre fatto.
Ma il nome di Sansa la soddisfa?
C’è un tavolo in corso: se gli attivisti liguri e il capo politico stringono un accordo alle nostre condizioni, potremmo mettere fine alla disastrosa gestione Toti.

Leggi anche: 1. Autostrade: chi ha vinto e chi ha perso. Tra Conte e i Benetton, passa la linea Gualtieri / 2. Autostrade: dopo il Cdm vicina l’intesa finale. Niente revoca, ma Atlantia sotto il 10%: entra lo Stato

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Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi

Avete bisogno di una grande opera strategica con cui stupire i cittadini e il mondo, utile per dare l’idea di una grande ripartenza e per aprire una nuova epoca post-Covid? Volete cambiare il Paese con un atto coraggioso e significativamente utile per tutti i cittadini, davvero tutti, e volete costruire un’opera mastodontica che venga osservata e venerata dalle generazioni future? Eccola: è la scuola.

Se c’è qualcosa su cui l’Italia può e deve investire subito (siamo già in ritardo) è quella scuola a cui “servono decine di migliaia di locali in tutta Italia e calcolando che, secondo quanto riferito dal ministro, gli studenti che faranno lezione fuori dalle aule sono il 15%, circa 1 milione e 200mila, resteranno fuori 40mila classi” (lo dice il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli).

Volete mettere in sicurezza la scuola? Allora, sempre come dice Giannelli, “sarebbe anche auspicabile fare i test ai docenti con supplenze lunghe e ad un campione statisticamente significativo di alunni, che in tutto sono 8 milioni e mezzo”, possibilmente “il prima possibile e visto che le lezioni dovrebbero cominciare intorno alla data del 14 settembre, sarebbe preferibile saperlo prima di riprendere. Abbiamo visto che tra i bambini e i ragazzi si trovano più alte percentuali di asintomatici e quindi possono essere veicoli del contagio”.

E poi sarebbe il caso, ma per davvero, di rileggere i dati dell’Agcom nella sua relazione annuale che racconta come la didattica a distanza abbia esacerbato “in tutta la loro gravità le disuguaglianze sociali preesistenti” che “rischiano di compromettere il lento processo di digitalizzazione” in atto in Italia. Sarebbe il caso di aprire una riflessione sul fatto che il 25% degli studenti italiani non dispone di connessioni abbastanza stabili e veloci per seguire le lezioni a distanze e che il 10% dei ragazzi non aveva un mezzo (che fosse un pc, un tablet o un laptop) adeguato e che tutte queste difficoltà “rappresentano un ostacolo importante e una condizione inaccettabile nel caso dell’accesso a servizi essenziali come l’istruzione”. Il 10% dei ragazzi non avevano nessun mezzo per partecipare alle lezioni. 1 su 10. C’è da investire sulle strutture fisiche e sulle infrastrutture digitali. C’è da fare tantissimo. Volete essere ricordati come quelli che hanno reso l’Italia un po’ più uguale? Abbiate il coraggio di fare quello che non è mai stato fatto negli ultimi anni: investite sulla scuola.

Leggi anche: 1. Decreto Scuola, dall’esame di maturità al concorso per l’assunzione dei precari: cosa prevede il testo; 2. Azzolina a TPI: “Nelle scuole 70 milioni di euro per comprare i tablet ai ragazzi che non li hanno”/3. Scuola, i docenti precari a TPI: “La Azzolina ha bandito un concorso-truffa che moltiplica il precariato. E che ci mette in pericolo” /4. Alla scuola serve il concorso, non le “grandi infornate” (di L. Telese)

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Covid, per due mesi conferenze stampa quotidiane sulle regole da seguire. Ora che il distanziamento sociale è scomparso va tutto bene?

La scienza, si sa, è piena di dubbi per sua natura. Un governo, si sa, deve affidarsi alla scienza per prendere decisioni e per imporre regole chiare che siano rispettate da tutti. Insieme alle regole è nei doveri del potere anche il controllo e l’eventuale notifica della trasgressione. Su questo, almeno su questo, dovremmo essere tutti d’accordo.

Abbiamo passato gli ultimi mesi a essere bombardati di regole, regole nuove che hanno modificato profondamente i nostri comportamenti e soprattutto che hanno avuto un enorme impatto economico e sociale per molte famiglie, per molte attività e per molte imprese. Le conferenze stampa della Protezione Civile e del Presidente del Consiglio Conte per molti hanno significato una diversa quotidianità (anche lavorativa) a partire dal minuto dopo, allineandosi alle decisione con ingenti costi economici, sociali e perfino di programmazione del futuro. Ci si è messi tutti in fila, gran parte degli italiani hanno diligentemente cambiato i propri comportamenti e hanno ascoltato con fiducia le parole degli scienziati e delle organizzazioni sanitarie. Anche le statistiche dicono che nel periodo del lockdown e nella prima fase successiva sono stati pochissimi i multati, una percentuale minima di un Paese che si è messo in riga.

Perfetto, arriviamo a noi. Ci dicono che la mascherina è obbligatoria negli ambienti chiusi e che il distanziamento sociale (che poi è un distanziamento fisico pronunciato con le parole sbagliate) sia fondamentale per la salute pubblica. Non ci vuole molto per accorgersi che le regole con il tempo si sono sfilacciate, deteriorate e che vengono contravvenute praticamente in ogni occasione: su molte spiagge sembra l’estate del 2019, l’aperitivo è identico per modi e distanze a quello pre-pandemia, i treni dei pendolari sono affollati e costretti. Niente di male, per carità, se qualcuno avesse fatto una bella conferenza stampa per dirci che va bene così, se qualcuno ci spiegasse perché l’esercito che inseguiva i runner ora si è volatilizzato. E invece niente. Sembra, da fuori, l’atteggiamento di chi ha voluto che il Covid venisse sistematicamente dimenticato, come se il rilassamento generale fosse quasi stato programmato. Io non sono uno scienziato ma mi chiedo: non sarebbe il caso ora di fare una bella conferenza stampa per chiarirci il punto? Per dirci: liberi tutti oppure no, non va bene? Davvero è tutto a posto così?

Leggi anche: 1. Quella ridicola passerella di Bergamo e lo Stato incapace di chiedere scusa (di G. Gambino) /2. Negazionisti contro empiristi: la guerra tra i virologi che decide se siamo liberi o no (di L. Telese)

3. L’autista NCC: “Molti bergamaschi tornavano da Wuhan e non facevano quarantena” /4. Un cittadino di Bergamo attacca Gori, la durissima risposta di Cristina Parodi

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Dire “è colpa mia” ma non voler toccare nulla nei rapporti con l’Egitto (armi incluse) è una presa in giro

Conte ha detto che è colpa sua. “Ho incontrato sei o sette volte il presidente Al-Sisi. Parlarci di persona e guardarlo negli occhi, poter esercitare un’influenza diretta durante un colloquio vis-à-vis non ha portato risultati, non sono stato capace”, ha detto il presidente del consiglio durante l’audizione alla commissione d’inchiesta sull’uccisione di Giulio Regeni, ammettendo di fatto il fallimento delle trattative diplomatiche con l’Egitto e lo stallo delle trattative. L’audizione di ieri, da cui ci si aspettava di avere un chiarimento sulle eventuali evoluzioni e sulle strategie da adottare è diventata un’opportunità di comunicazione per il governo ma non ha aggiunto nulla allo sconcerto che i genitori di Regeni da mesi fanno emergere insieme a tutta la loro insoddisfazione per la mancanza di significative novità.

Che un presidente del consiglio riconosca le proprie responsabilità è, di questi tempi, una rarità da salutare con sorpresa e perfino una certa ammirazione ma nelle parole di Conte manca un punto sostanziale: quindi cosa si ha intenzione di fare con l’Egitto? Come si ha intenzione di smuovere il sultanato di Al-Sisi che continua a essere sordo? Come si pensa di sbloccare la rogatoria internazionale della magistratura italiana che da un anno giace inascoltata in qualche cassetto di qualche ufficio egiziano? Su questo nulla.

Il governo dice di sperare che qualcosa possa accadere il primo luglio quando ci sarà l’incontro tra le Procure del Cairo e di Roma. Ammettiamolo: che l’unica strategia sia quella della speranza sembra davvero pochino per poter confidare che arrivi una giustizia che ormai da anni rimane appesa. “E se quell’incontro del primo luglio dovesse saltare?”, chiedono a Conte e lui serafico risponde “a mio avviso non siamo ancora quel punto”. Ma non si sa bene a che punto siamo.

Una cosa certa c’è: da quando Conte è presidente del consiglio l’Egitto è passato dal quarantaduesimo Paese con cui l’Italia commerciava armi fino al decimo posto del 2018 e fino al primo posto di quest’anno. Italia e Egitto hanno intensificato la loro amicizia commerciale, alla faccia di Giulio Regeni. E forse non è un caso che nell’audizione di ieri non si sia trovato il tempo di parlare le due fregate Fremm e i 9 miliardi di armamenti che ancora sono sul tavolo: quella commessa è stata il convitato di pietra ma Conte non ha voluto accennarne.

In fondo la storia di Regeni è come tutte le storie in cui la verità fa a pugni con il profitto: si leggono dalle cose non dette.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni / 2. Regeni, 4 anni dopo: tutta la fuffa della politica che ci ha preso in giro (di L. Tomasetta) / 3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia (di A. Lanzetta)

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Ieri gli infermieri erano “eroi”. Ora chiedono stipendi decenti e vengono presi a manganellate

Ve li ricordate gli infermieri in prima linea tutti belli, tutti giovani, tutti forti? Ve la ricordate, non è passato molto tempo, la romanticizzazione del lavoro negli ospedali nel momento di punta del virus, quando circolavano le fotografie di personale distrutto dalle mascherine, segnato dal dolore, provato dalla stanchezza e svuotato alla fine di turni che duravano perfino un giorno intero? Si diceva che forse sarebbe stato il caso di trarne una lezione, di essere meno poetici e di considerare la straordinarietà dell’impegno come lezione per il futuro, per riconoscere di più e meglio il lavoro di una sanità che un po’ dappertutto è stata sempre punita dalle scelte della politica, abbandonata a calcoli di bottega più che a preoccupazioni sanitarie.

In Francia da giorni gli operatori sanitari protestano per le strade chiedendo una migliore retribuzioni e maggiori investimenti nella sanità pubblica, per strada ci sono le stesse facce che venivano celebrate e incoraggiate, per strada c’era anche Farida, un’infermiera che è stata fotografata, questa volta senza celebrazioni facili come didascalia, ma circondata da poliziotti antisommossa che la trascinano con la faccia sporca e insanguinata come se fosse una pericolosa criminale. “Questa donna è mia madre – ha poi twittato la figlia – ha 50 anni, è infermiera, per tre mesi ha lavorato fra le 12 e le 14 ore al giorno. Ha avuto il Covid. Manifestava perché rivalutino il suo salario, perché riconoscano il suo lavoro. E’ asmatica. Aveva il camice. E’ alta 1,55 metri”·

Dietro un semplice episodio c’è molto: c’è la violenza della polizia (accade in Francia come accade negli Usa e come accade un po’ dappertutto perché il problema è molto più contagioso di quello che sembra), c’è il declino veloce di chi torna utile ai governi nella veste di eroe ma che poi deve fare il bravo e tornare buono al suo posto senza alzare troppo la voce e c’è la pandemia che ha scoperto bisogni che qualcuno finge ancora di non vedere. L’eroe moderno a disposizione del potere funziona così: pronto per mettersi in posa per essere l’angelo custode a disposizione della narrazione battagliera e poi il muto consapevole di chi non si permette di alzare la voce. Non è che i nostri eroi sono stati utili solo come statuine di un presepe che doveva sconfiggere il virus e poi andava messo in soffitta fino alla prossima celebrazione? Perché così sarebbe tutto terribilmente poco etico, poco serio, poco credibile.

Leggi anche: 1. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura / 2. A Londra un antirazzista ha salvato un razzista dal linciaggio. Ecco com’è vivere senza nemici / 3. La Storia non è una statua inamovibile uguale a se stessa: ecco perché si può mettere in discussione 

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Bussano a Villa Pamphilj

Che immagine potente vedere la classe dirigente riunita in un consesso sull’economia nell’elegante Villa Pamphilj a decidere delle sorti post pandemia e fuori c’è un sindacalista, un sindacalista di quelli che viene dalla scuola di Di Vittorio, uno di quelli con il nerbo di chi tira fuori la testa anche se molte mani gliela schiacciano sotto terra, a reclamare i diritti degli invisibili. Aboubakar Soumahoro è stato ricevuto da Conte e da qualche ministro, gli hanno promesso che valuteranno le risposte, si sono addirittura lanciati a dirgli che la revisione dei decreti sicurezza di salviniana memoria sono nell’agenda di governo (sì, ciao) e sono stati costretti ad aprire il portone agli sfruttati che bussano.

Bussare alle porte del potere è considerato così maleducato, in questi tempi in cui la moderazione e la buona educazione sono i sinonimi di un invito perpetuo a restare tiepidi, che c’è da augurarsi che invece lo imparino in fretta i nostri ragazzi, quel buon sapore che c’è nel parteggiare, nell’odiare gli indifferenti, nell’insistere fino allo sfinimento a frugare tra i diritti seviziati e tra tutti i laterali che sembrano non entrare mai in partita.

Bussa a Villa Pamphilj anche la scuola, quella scuola che in questi giorni si è rabberciata ancora una volta per permettere lo svolgimento degli esami e che si merita un solo punto di studio nell’articolato piano in discussione durante questi Stati Generali. È la scuola a cui nelle intenzioni, in quel mare di soldi che arrivano per la pandemia, sono stati destinati 1 miliardo e 4oo milioni, nemmeno la metà di quello che si è speso per Alitalia. È la scuola figlia dei disastri di tutti i governi passati che ci hanno reso il Paese con il più basso tasso di laureati d’Europa (dopo la Romania) con strutture scolastiche spesso fatiscenti e con un 6,9% della spesa pubblica dedicato all’istruzione mentre negli Usa spendono quasi il doppio e in Cile addirittura il triplo.

Bussa a Villa Pamphilj un Paese che si accorgerà dei disastri del Covid a settembre, nell’economia e nel lavoro, e mai come ora è il momento di bussare, di esserci, di farsi sentire, di decidere fortissimamente da che parte stare, di non tacere. Il futuro si disegna decidendo i capitoli di spesa per gli anni a venire e questo è il momento.

Aboubakar ci è andato. Noi?

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada a TPI: “Vendere armi all’Egitto vuol dire sostenere torture e uccisioni come quella di Regeni”

Cecilia Strada è una filantropa e saggista italiana, ex presidente di Emergency e figlia dei fondatori Teresa Sarti Strada e Gino Strada. La guerra la conosce perché l’ha vissuta da sempre in prima persona. L’abbiamo intervistata per TPI.
Cecilia Strada, alla fine l’Italia ha deciso di vendere armi all’Egitto. Come la vede?
Molto molto molto molto male. Sposo in toto la richiesta di Amnesty e di Rete Disarmo che chiedono almeno che se ne parli in parlamento. È una cosa contraria agli interessi dei cittadini italiani, qui si tratta di essere furbi non semplicemente disarmisti. C’è la legge 185/90 che dice che non si vendono armi a chi ha interessi contrari all’Italia e questo è il caso dell’Egitto, poiché in Libia non sostengono la stessa parte in causa: è una cosa poco furba oltre che poco etica. Vendere armi significa sostenere quello che l’Egitto sta facendo al suo interno (torture, ragazzi scomparsi, ammazzati, studenti come Regeni e Zaky). La legge dice che non potresti vendergli armi salvo diversa delibera del Consiglio dei ministri sentite le Camere, quantomeno che se ne parli in parlamento, è la legge, non è un sogno da pacifista. Gli interessi dell’Italia sono maggiori degli interessi delle fabbriche d’armi.

Di Maio ha definito l’Egitto un “partner imprescindibile”…
Partner imprescindibile su cosa? E poi bisogna decidere quali sono gli standard, chiediamo ai nostri partner il rispetto dei diritti umani? C’è un ragazzo italiano morto, le autorità hanno ostacolato le indagini, ridurre tutto al fattore economico è miope, non si fa l’interesse del proprio Paese.
Il pacifismo è sparito dall’agenda politica?
Il pacifismo non occupa spazio se non quando viene usato per dare del sognatore a qualcun altro. Il pacifismo è la non violenza, è riflettere sul modo in cui stiamo insieme, cercare il modo di evitare i conflitti, immaginare delle società alternative. Questo non c’è mai stato ed è un peccato. Sono comunque soldi, si dice, servono per l’economia italiana, ma se si investe nel civile il ritorno è maggiore rispetto al militare: se l’obbiettivo è creare posti di lavoro allora si investano fondi nel civile, come nelle energie alternative, l’investimento dà più posti di lavoro dell’industria bellica.

Intanto rimane in piedi la questione libica e continuano gli sbarchi…
Il Covid faceva paura e non c’era bisogno di inventarsi il nemico, Ong o migrante. Però gli sbarchi sono continuati, in numeri piccoli – poco più di 3mila persone da gennaio a oggi – ma ci sono stati, come anche le segnalazioni di naufragi difficilissimi da verificare perché non ci sono navi in mare che possano testimoniare, ci sono diversi casi di omissione di soccorso e almeno una strage a Pasquetta di una nave lasciata alla deriva con 12 persone morte dopo 5 giorni che chiedevano aiuto. Altri casi di cui non si saprà niente. Ora Mediterranea è tornata in mare, Sea Watch è ripartita poche ore prima con imponenti misure di sicurezza.
L’immigrazione tornerà a essere tema di scontro politico?
Dipende da quanto i politici sentiranno il bisogno di strumentalizzare facendo politica sulla pelle della gente. Io sto ancora aspettando la discontinuità promessa da questo governo, io ero in mezzo al mare sulla Mare Jonio di Mediterranea quando si insediò questo governo. I decreti sicurezza sono ancora lì. Non permetteremmo mai che dei bambini bianchi rimanessero su una nave dopo essere stati torturati, violentati e tenuti prigionieri. Discontinuità vuol dire stracciare gli accordi con la Libia: c’è una gravissima violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, delle leggi, della Costituzione. I lager andrebbero evacuati e il sistema smantellato e bisognerebbe aprire canali d’accesso sicuri e legali sconfiggere il traffico di uomini. Tra l’altro non va bene che il soccorso in mare non venga fatto dagli Stati ma dalle Ong, non è normale.

Però in Parlamento alcuni si sono inginocchiati
Su questo ci penso da qualche giorno. I nostri parlamentari sanno chi è George Floyd, benissimo. Ma cosa sanno di Soumayla Sacko? Cosa sanno delle vittime del razzismo qui? Le vittime del nostro razzismo sistemico qualcuno le conosce? Possiamo interessarci a questo? Se sentiamo questo problema sollevato negli Usa allora dobbiamo guardarci intorno: i neri sono quelli nel Mediterraneo e quelli schiavi delle mafie nei campi a disposizione della grande distribuzione. Altrimenti inginocchiarsi servirà a poco.

Leggi anche: 1. L’Egitto acquista 2 navi militari italiane e tappa la bocca all’Italia sul caso Regeni /2. Regeni, Di Maio risponde alle accuse: “La vendita delle armi all’Egitto non è conclusa” /3. Patrick Zaky, gli affari con l’Egitto possono diventare un’arma per l’Italia

4. “Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego /5. Torino, aggredita a 15 anni sul bus perché nera: “Il razzismo c’è anche in Italia”

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Abolire i Decreti Sicurezza, piuttosto che inginocchiarsi?

La vicenda di come la politica italiana stia declinando qui da noi ciò che accade negli Usa è altamente indicativa di una messa in scena che sembra avere preso il sopravvento sulle responsabilità di governo. Alcuni membri del Parlamento, di quelli che al governo ci sono, hanno deciso di inginocchiarsi come segno di solidarietà per la morte di George Floyd e per i diritti di tutti gli oppressi di qualsiasi etnia. Il gesto ha un’importante valenza simbolica, soprattutto alla luce della narrazione tossica che certa destra sta facendo della rivoluzione culturale in atto negli Usa che qualcuno vorrebbe banalizzare in qualche vetrina spaccata perdendo il focus e il senso del tutto.

Bene i simboli, benissimo. Però da un governo che si dice solidale con chi sta lottando contro la discriminazione ci si aspetterebbero anche degli atti politici, mica simbolici. I decreti sicurezza di salviniana memoria, ad esempio, sono una perfetta fotografia: criticati da ogni dove quando furono applicati durante il governo Conte I divennero la bandiera del centrosinistra su ciò che non si doveva fareAll’insediamento del Conte II ci dissero che l’abolizione di quei decreti sarebbe stata una priorità. La priorità è praticamente scomparsa. E pensandoci bene è scomparso anche tutto il dibattito sullo ius soli e sullo ius culturae che nessuno da quelle parti ha nemmeno il coraggio di pronunciare.

Così noi dovremmo accontentarci di una classe politica che fa esattamente quello che possiamo fare noi semplici cittadini scendendo in piazza come se non avessero loro le leve per modificare le cose. È tutto solo manifestazione d’intenti come se fossimo in eterna campagna elettorale e non ci sia un governo regolarmente insediato. Se invece il problema sta nell’alleanza con il Movimento 5 Stelle che è contrario all’abolizione dei decreti e a un serio percorso di integrazione e di diritti allora sarebbe il caso di dirlo e di dirlo forte per chiarire il punto agli elettori disorientati.

Non si governa con i simboli. Non basta più. I dirigenti non manifestano, agiscono.

Buon mercoledì.

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“Il problema degli Usa sono 400 anni di schiavitù, ma qui in Italia non siamo messi meglio”: parla Igiaba Scego

Igiaba Scego è una scrittrice di origini somale che vive a Roma. Da sempre si occupa di stranieri, di integrazione e di diritti. Il suo ultimo libro è “La linea del colore” edito da Bompiani che ha come protagonista una donna afroamericana dell’ottocento che scopre l’Italia. L’abbiamo intervistata per TPI.

Negli USA è in atto una vera e propria rivoluzione culturale. Lei si occupa da anni di questi temi, come vede la narrazione di ciò che accade?
Due tipi di narrazione. Quella dei media mainstream che non hanno capito niente di quello che sta succedendo: stanno osservando questi movimenti con delle lenti molto vecchie e anche sbagliate. Quando mi tolgo gli occhiali io che sono miope vedo tutto sfocato e molti media mi hanno dato questa stessa sensazione, tranne alcune eccezioni come la giornalista de Il Manifesto Marina Catucci, veramente puntuale, Arianna Farinelli, Martino Mazzonis. Questo mi ha meravigliato perché l’immaginario statunitense è molto popolare, si pensa “almeno li conosciamo” e invece no. Noto la stessa nebulosità che scorgo quando si parla di Africa. Poi per fortuna c’è quella che arriva da giornali e esperti in lingua originale. E devo dire che è quello che mi ha aiutato ad orientarmi. Per esempio non mi perdo mai i commenti della professoressa Ruth Ben Ghiat che da anni ci spiega i meccanismi dello stato americano.

Quale distorsione nota più delle altre?
Questo parlare di saccheggi piuttosto che parlare del cuore del movimento. Molti giornali non hanno raccontato ai lettori cosa c’era prima, quei 400 anni di oppressione. Mancano ponti tra qui e lì. Io sono scrittrice e la stessa cosa la vedo nell’editoria: l’editoria italiana ha pubblicato negli ultimi anni moltissimi afroamericani ma non c’è stato quel passaggio necessario da editoria ai giornali e media in genere che aprisse un sano dibattito su questi libri e permettesse una loro diffusione anche scolastica.

Quindi si è perso ciò che è avvenuto negli anni precedenti, non ci sono stati ambasciatori e ponti. Si arriva così a non capire perché questa lotta è così lunga, non si riflette sulla genesi della schiavitù, questo è un grosso gap scolastico che non ha permesso a molti italiani di capire fenomeni come schiavitù, segregazioni negli USA e perfino lotte per i diritti civili. Pochi hanno letto Toni Morrison, anche tra i professionisti dell’informazione. E quindi mi ha colpito questo indugiare su aspetti marginali senza andare al cuore del problema. Manca una preparazione all’America, io ho visto “molta ignoranza”. Molto non sapere. Quello che si conosce è solo superficiale.

Negli USA il dibattito si è aperto non solo sulla violenza che ha portato per ultimo alla morte di Floyd, ma anche sulla profilazione razziale delle Forze dell’Ordine. C’è un razzismo insito anche nella gestione italiana secondo lei?
Sulla polizia non saprei dirti. Posso dirti che loro, negli USA, hanno questa storia di schiavitù ma da loro anche chi è contro i neri sa cosa è successo mentre in Italia quello che c’è dietro di noi, come il colonialismo, non è molto conosciuto, c’è una rimozione totale e non ci fa capire che quegli stereotipi continuano a agire sui corpi del presente. A me ha sempre colpito come per esempio le leggi italiane sull’immigrazione si basino quasi sempre su un modello astratto, su questo cosidetto altro che non è un potenziale cittadino ma un potenziale suddito coloniale, il modello è quello del sudditto somalo, eritreo o libico dei tempi del colonialismo italiano. si continua cos’ a perpetuare l’idea dello straniero nella legislazione come suddito, una persona senza diritti.

Non è un caso che la Bossi-Fini e i Decreti Sicurezza più la mancata riforma sulla cittadinanza siano delle costanti nella politica italiana, perché vale lo ius sanguinis e non lo ius soli o lo ius culturae, un Paese trincerato nel suo sangue che poi se lo andiamo a “analizzare” storicamente questo famigerato sangue risulta essere è quello più meticcio del mondo. Questo mi sconvolge, questa storia passata mai discussa che si ripresenta in forma di legge e ci incasina il presente, il modello è ancora quello coloniale sarebbe interessantissimo che i giuristi ci lavorassero su questo, su come decolonizzare le leggi perché sono troppo pieni di passato.

Vede dei casi di razzismo endemici in Italia, anche da parte di quelli che non sono consapevolmente razzisti?
Il razzismo in Italia non è solo anti nero ma è anche anti meridionale. Ad esempio due ore fa stavo andando al supermercato, dove due persone stavano litigando e un signore ha detto a una signora “sporca calabrese”. Qui c’è una questione meridionale che è la mamma di tutti i razzismi italiani, quello che è stato fatto al Sud è lo stesso trattamento riservato alle colonie. Quando avevo 25 anni avevo fatto un colloquio di lavoro vestita come sono sempre vestita e la persona che avevo davanti mi ha detto “lei è musulmana, si vede” io gli ho detto “deve farmi colloquio di lavoro” e lui “ma voi volete pause di preghiera e ramadan”: sono uscita e ho pianto, è un razzismo altrettanto umiliante. Ho smesso perché ai tempi mi vedevano e mi dicevano sempre no. Lo vedi dallo sguardo e poi c’è stato tanto razzismo biologico, dalle elementari mi chiamavano sporca negra e mi hanno buttato un barattolo di coleotteri in testa “perché sono neri come te”. Oppure odiavo negli anni ’90, ero ancora adolescente, quando si fermavano le macchine mentre stavo alla fermata ad aspettare il bus e ti facevano vedere i soldi chiedendo sesso orale, perché nera significava prostituta.

Io ho imparato a schivarli anche. Ho imparato a reagire. Mia madre dice che il razzismo non lo combatti urlando, ma lo combatti con la riflessione e la conoscenza anche quando sei nel mezzo del disastro, lei mi ha sempre detto di uscirne con una frase arguta, è l’unico modo. Mia madre, James Baldwin e Malcom X sono stati i miei maestri nell’usare la riflessione, le parole, per questo scrivo. Volevo capire come mai mi succedevano una serie di cose e volevo capire qual era la radice, sempre storica. In tutto questo ho trovato molti alleati, penso alla mia professoressa di italiano alle superiori, ai professori universitari che mi hanno dato strumenti che mi hanno cambiato la prospettiva. Sandro Portelli mi ha insegnato molte cose della vita, con l’Italia che ha tutte l sue complicazioni. Ho applicato la strumentazione che loro hanno applicato alla loro lotta e alla loro riflessione teorica.

Come le sembra il dibattito politico italiano sul tema?
Qui non c’è dibattito. Qui il dibattito è finito con il tradimento sulla legge sulla cittadinanza. Poi si è riesumato un discorso sulle regolarizzazioni molto mercantile. Io ho questa sensazione di tante lotte fatte anche collettive: afrodiscendenti, albanesi, arabi, sudamericani, i loro figli nati qui italiani senza diritti e poi anche moltissimi italiani bianchi… Ecco tutti noi ci siamo ritrovati dal 2005 fino al governo Renzi a lottare in piazza, cambiavano le piazze, c’erano tanti bambini e tecnicamente con le scuole abbiamo lavorato moltissimo (penso a due scuole di Roma in particolare la Pisacane e la Di Donato i cui professori si sono spesi tantissimo per far avere diritti ai loro studenti) , però poi questa lotta è stata tradita da tutto l’arco costituzionale: la destra ha fatto ostruzionismo ma gli altri l’hanno reso possibile ed è una cicatrice che mi fa molto male.

Poi c’è stata la raccolta firme dei Radicali e quella era una buona iniziativa ma poi a causa degli eventi caduta nel vuoto e adesso il dibattito è stato sulle regolarizzazioni perché servivano braccia per l’ortofrutta e basta. Queste persone cadono in irregolarità per un meccanismo della Bossi-Fini, sono ricattabili in situazione di pandemia, dovremmo avere più persone regolari possibili ma così è stato un mercato degli schiavi. Io capisco gli sforzi di chi ha chiesto la regolarizzazione ma il risultato è stato misero. Servirebbe più coraggio: l’Italia non può pensare che sia un tema possibile da scacciare in eterno, il Paese è già cambiato, io alla manifestazione per George Floyd a Roma ero con i miei 46 anni vecchia in confronto a chi è sceso in piazza. Tu vedi che hai seconde e terze generazioni, più di 50 anni di popolazione transculturale che ha varie origini. Ma ancora tutto questo non si trasforma in quotidianità. E come se ci fossero enormi barriere. Così non vedi maestri, autisti dell’autobus, professori con altra origine: alcuni luoghi del lavoro non sono al passo con i tempi. Anche nell’editoria.

Lei è fiduciosa che la lezione che arriva dagli USA possa avere un impatto importante anche qui?
Secondo me quella americana è una grande rivoluzione culturale perché gli afrodiscendenti sono legati tra loro, è una rete, per noi sono un modello e quello che sta succedendo negli Usa è clamoroso, è una rivoluzione culturale, non è solo rabbia per Floyd ma è un momento che è stato preparato negli ultimi 20 anni. Da loro la cultura è sempre stata forte, nella musica nella letteratura, i premi Pulitzer quest’anno molti erano neri e penso al disco di Beyoncè di alcuni anni fa tutto sull’identità nera. Questo forse spingerà pure noi qui ad avere una riflessione più ampia e profonda, probabilmente ci spingerà a produrre più libri, più musica, più film, più lotte sociali e non solo afrodiscendenti, perché l’Italia ha una migrazione a mosaico, complessa, fatta di tante diversità che vanno dall’Est Europa al Sudamerica.

Già vedo dei talenti per esempio del giornalismo come Angelo Boccato e Adil Mauro che non parlano solo di immigrazione o della loro identità, ma usano il loro sguardo per riflettere sui nodi della società. Adil e Angelo mi fanno ben sperare per il futuro. Ma ecco tutto deve partire da una riflessione anche storica che attraversa il dolore che abbiamo provato, In Italia nel 1979 un uomo somalo, Ahmed Ali Giama, in piazza della Pace a Roma è stato bruciato viva e Giacomo Valent nel 1985 è stato ucciso con 63 coltellate, era il fratello della prima eurodeputata nera Dacia Valent, ho scritto per Feltrinelli su questo (“Politica della violenza”, Feltrinelli Editore). In Brasile c’è stata Marielle Franco e ognuno sta producendo cultura e rivendicazioni partendo dalle proprie ferite, dai propri martiri e chiaramente questo momento rimarrà a lungo e potrà provocare cambiamenti perché i cambiamenti sono sempre prima culturali e poi sociali.

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Appalto a sua insaputa

Una nuova fiammante storia arriva dalla Lombardia del duo Fontana & Gallera e questa volta si impiglia tra le pieghe dei parenti del presidente, più precisamente nelle pieghe di bilancio della Dama spa che appartiene – tramite Divadue srl – per il 10% a Roberta Dini (moglie di Attilio Fontana) e per il resto delle quote – tramite una fiduciaria svizzera – a suo fratello Andrea Dini.

Il 16 aprile Regione Lombardia tramite l’agenzia regionale pubblica degli acquisti Aria spa acquista dalla moglie e dal cognato di Fontana camici per un valore di 513mila euro. I bravi giornalisti di Report (la puntata andrà in onda stasera) chiedono spiegazioni al cognato di Fontana: quello prima risponde che «non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti» e poi si corregge aggiungendo che «effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione».

Dal canto suo il presidente Fontana, ha annunciato, tramite un comunicato, una querela nei confronti del Fatto quotidiano che ha anticipato il contenuto dell’inchiesta di Report, e ha diffidato la trasmissione di RaiTre «dal trasmettere un servizio che non chiarisca in maniera inequivocabile come si sono svolti i fatti». Nella nota Fontana ha ribadito la sua «totale estraneità alla vicenda» e ha precisato di aver «già spiegato per iscritto» agli inviati di Report di non sapere «nulla della procedura attivata da Aria spa» e di non essere «mai intervenuto in alcun modo». Ed ecco la replica di Ranucci (Report): «Non vedo proprio perché non dovremmo andare in onda. In fondo raccontiamo un bel gesto. Senza di noi e senza il Fatto Quotidiano nessuno avrebbe infatti saputo che l’azienda del cognato del presidente della Lombardia ha donato ai suoi cittadini materiale sanitario. E dal momento che Fontana dice di essere all’oscuro possiamo dire che tutto sia avvenuto a sua insaputa, sia in Regione che in casa. Insomma credo debba ringraziarci. Se non ce ne fossimo occupati noi avrebbe continuato a non sapere nulla».

In effetti a fine maggio risultano stornati i soldi con una nota d’accredito ma risulta piuttosto significativa la risposta di un appalto a sua insaputa che aggiunge un nuovo capitolo all’insaputismo dei nostri politici – alcuni dei quali negli anni hanno ricevuto appartamenti, favori, scambi e ogni volta ci hanno spiegato che non possono controllare tutto.

L’insaputismo del resto è lo stesso male che attanaglia quelli che continuano a concedere le piazze ai fascisti stupendosi poi che si comportino da fascisti oppure quelli che soffiano sulla violenza e poi si stupiscono della violenza oppure quelli che a sua insaputa hanno messo i malati in mezzo agli anziani delle Rsa.

Bisognerebbe scrivere una nuova legge morale: se qualcuno a sua insaputa è stato gravemente inopportuno allora è troppo superficiale per ricoprire un incarico pubblico. Solo così, forse, si potrebbe sconfiggere il virus dell’insaputismo che infesta la storia politica d’Italia.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.