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La sostanziale differenza

Lasciando perdere il centrodestra c’è dall’altra parte, nel presunto centrosinistra ormai da anni tendente al centro centro centrodestra, in quello che potremmo definire un centrocentrocentrocentrosinistra una spaccatura che emerge ancora di più in queste ore ma che è andata a consolidarsi in tempi lunghi, sostanzialmente dalla nascita del Movimento 5 Stelle e che ora esplode in previsione dell’insediamento del prossimo governo.

Ci sono i cultori della competenza, che si fanno chiamare così ma sono sostanzialmente quelli che mal sopportano i grillini, che trovano indecenti certi loro dirigenti politici, che non ne condividono la struttura padronale, che ne criticano la volatilità delle posizioni, che ne sottolineano la predisposizione ad allearsi con chiunque e che trovano tutto questo gravemente insopportabile. Un pezzo di dirigenti politici (e plausibilmente anche di elettori) sta giocando in questi giorni la sua battaglia contro il Movimento 5 Stelle (e contro Conte) e simula (spesso male) di volerne fare una questione di principio. Peccato che i valori e i principi, comunque vada, ne usciranno inevitabilmente piuttosto deboli in un governo che vede “dentro tutti”: pensare a un “governo della competenza” che contenga Lega e Forza Italia è qualcosa che sarebbe stato inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Eppure i “cultori della competenza” ci dicono che sia meglio un Salvini e un Berlusconi voltafaccia piuttosto che il Movimento 5 Stelle accusato di avere voltato la faccia. E quindi a questi gli tocca perfino adorare la competenza di un Giorgetti per spazzare un Di Maio. E avranno una maggioranza con dentro Giorgetti e Di Maio. Vai a capire.

Dall’altra parte ci sono quelli che si ricordano ancora cosa sia la neodestra della Lega, che sanno esattamente che sventura sia stata il berlusconismo al potere, che ricordano con un certo fremito le macellerie sociali innescate da certi governi tecnici che si sono potuti permettere di bastonare i poveri in nome dell’impolitica e che trovano indigeribile la normalizzazione di una destra che probabilmente è una delle peggiori destre di sempre. Anche questi in fondo hanno una battaglia personale da combattere: ritengono indigeribile Salvini e i suoi scherani e ritengono inaccettabile la riabilitazione di Berlusconi e le oscure trame del suo partito. Ritengono che “quelli che hanno governato con Salvini” non possano essere peggiori del Salvini stesso e che la credibilità di una maggioranza si disegna anche da chi ne resta escluso. Confidano in Draghi (che ha l’interesse primario di tenere in maggioranza più partiti possibili) per sperare che escluda qualcuno che loro stessi non riescono a escludere. Sanno perfettamente però (almeno ce lo auguriamo) che non accadrà nulla di tutto questo e che il governo che si insedierà sarà un tiepido compromesso. E fanno il pesce in barile. Vai a capire.

Sopra a tutti c’è un presidente del Consiglio incaricato che deve provare a tenere insieme questi due blocchi contrapposti (più ovviamente la porzione di destra che ha già assicurato il suo sostegno) cercando di non scontentare nessuno, almeno di scontentarli il meno possibile, sapendo bene che sia impossibile accontentarli.

Il governo che nasce è questa cosa qui, legato con mani e piedi alla differenza sostanziale che ogni giorno si esercita nei politici, nei giornalisti, tra gli opinionisti. E allora viene normale aspettare almeno i programmi, almeno per elevare il dibattito dalla disputa che sembra ormai una questione di tifo e per tornare a parlare di temi. Ogni volta che qualcuno sommessamente fa notare che i programmi saranno dirimenti (ma non bastano i “titoli” di un vago programma) le due fazioni ricominciano a prendersi a pesci in faccia: “come vi permettete di chiedere i programmi voi che siete indegni perfino di stare dentro questa maggioranza” gridano gli uni agli altri. E sono giorni tutti così.

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

La normalizzazione dello sterco

È un’operazione che richiede tutta una sua scienza la normalizzazione dello sterco. Rendere potabile ciò che prima era solo una rivoltante deiezione ha bisogno di un fortunoso contesto, di un perfetto incastro di eventi che diventano scivolo per digerire l’inammissibile, di una schiera di avvoltoi pronti a tutto per garantire l’autopreservazione, di un’opposizione culturale blanda e sfibrata, della giusta dose di paura (quanto basta per sdoganare la legittimità di un “egoismo solo per legittima difesa”) e di un’informazione prona ai desiderata degli agitatori nei posti di potere.

La normalizzazione non segue i percorsi consueti delle riforme. No. La normalizzazione (che non ha nulla a che vedere con il riformismo o la naturale evoluzione) entra di soppiatto dalla porta del retro per incendiare la folla senza prendersi la responsabilità di informarla e istruirla per poi poter dire “andava fatto così” o “ce lo chiedevano tutti”: oggi, luglio 2017, lo “Ius Soli” (che tra l’altro non lo è nemmeno, se non di nome, tanto che hanno dovuto aggiungerci “temperato” per farci intendere che si tratta di una concessione, una leccata fugace ad un diritto) si blocca in Parlamento perché serve una pausa di riflessione, come ci dicono loro, e perché “molto dipenderà dal clima dell’opinione pubblica” (come mi ha detto ieri un alto dirigente di questo vergognoso centrocentrocentrocentrosinistra che sta al governo).

E se serve recuperare voti a sinistra (perché questi i voti li “recuperano”, come si dice di un cliente scontento da lisciare offrendo il limoncello) allora ci si ingegna in una legge sull’apologia di fascismo (brutta e pasticciata) per dare un colpetto al cerchio e uno alla botte. Una legge che ancora una volta serve più a non perdere fette di mercato piuttosto che avere l’aspirazione di essere una matrice culturale: una legge che vuole punire “istigazione ed apologia dei delitti contro la vita e l’incolumità della persona” nel caso fosse compiuto tramite “telefono, Internet e social network” e non importa che siamo il Paese in cui la xenofobia di antica memoria fascista possa tranquillamente rientrare nei resoconti stenografici del Parlamento come se fossero noccioline.

È un gioco di normalizzazione lenta allo sterco con qua e là qualche contentino, con tutti concentrati ad ammaestrare un popolo bue curando i dettagli della distrazione. Perché poi, giova ricordarlo, alla fine stiamo parlando degli stessi che vorrebbero aiutare i migranti “a casa loro” dimenticando l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra (“Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche”). Sono gli stessi che colonizzano l’Africa per aprire i rubinetti all’Eni e poi si propongono per instaurare ricchezza e democrazia. Sono gli stessi che armano le guerre in giro per il mondo e si propongono per risolverle.

Il problema non è solamente quello di avere (e avere avuto) un governo di centrosinistra che ha sdoganato le politiche della destra. Qui siamo oltre: qui abbiamo un governo che ha deciso di allinearsi al fango per terrore degli elettori, rotolandosi negli inferi di quegli stessi istinti che vorrebbero cancellare da Facebook illudendosi di combatterli così.

Perché la mancata approvazione dello “ius soli” (come il ventiquattrenne morto di appendice e razzismo a Napoli, come l’urlare di “non avere l’obbligo morale di salvare tutti” o come la barzelletta della minaccia di “chiudere i porti” o la scenetta di indignarsi per gli accordi firmati con l’Europa) ha un odore (e un riscontro) ben più putrido di un busto di Mussolini (che putrido rimane). Ma è tutto così realisticamente normale. Invece.

Buon mercoledì.

(continua su Left)