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Consegnò oltre 100 migranti ai libici, condannato comandante della Asso 28

La notizia è una bomba perché conferma che la legge, anche in questa melassa che tutto ottunde in tema di migrazioni, per fortuna esiste ancora e funziona ma soprattutto la notizia è importante perché smentisce per l’ennesima volta tutta la narrazione su cui poggia quasi l’intero arco parlamentare (seppur in modi diametralmente opposti ma coincidenti nelle conclusioni): la Libia non è un porto sicuro, riportare la gente in Libia è un reato e le autorità di Tripoli non sono legittimate a fare razzia di disperati nel Mediterraneo.

Era il 30 luglio del 2018 e la nave “Asso 28” si trovava poco distante dalla piattaforma di Sabratah della “Mellitah Oil & Gas” (una joint venture fra Eni e la compagnia statale petrolifera libica). Il comandante della nave avvista un gommone bianco con a bordo 101 persone. Il rimorchiatore di proprietà della compagnia Augusta, battente bandiera italiana, recupera i naufraghi. Tripoli in quel periodo aveva già registrato la sua zona Sar (l’area di ricerca e soccorso) con l’interessato sostegno del governo italiano. Peccato che nessuna autorità internazionale ritenga la Libia un “porto sicuro” (nonostante l’ostinata tiritera di molti politici dalle nostre parti) e che quindi qualsiasi consegna di naufraghi alla Libia e alla cosiddetta Guardia costiera libica non sia prevista da nessuna norma nonostante torni comodissima ai governi che qui da noi si succedono.

Il comandante della Asso 28 viene contattato dalla nave Open Arms attraverso il capo missione Riccardo Gatti e racconta di avere imbarcato tutti e di essere in viaggio per riportarli a Tripoli avendo ricevuto “ordini dalla Libia”. Quella conversazione (pubblicata da Nello Scavo di Avvenire l’anno scorso) risulterà fondamentale per le indagini: Asso 28 avrebbe dovuto fare riferimento alla giurisdizione italiana e invece decise di puntare verso la Libia. «L’operazione di soccorso è stata gestita interamente dalla Guardia Costiera Libica che ha imposto al comandante dell’Asso 28 di riportare i migranti in Libia», disse al tempo un portavoce dell’ENI. L’armatore (l’Augusta Offshore) raccontò di essersi coordinato con il “Marine department di Sabratah”: peccato che non esista da nessuna parte e che perfino a Tripoli negano di averne mai sentito parlare. In più sulla Asso 28 sarebbe salito un non meglio precisato “funzionario libico” di cui ancora oggi non si conoscono le generalità nonostante le norme costringano il comandante a registrare tutte le persone a bordo.

Ora il Tribunale di Napoli ha condannato a un anno il comandante della nave Asso28 per avere abbandonato i migranti che aveva soccorso e averli riconsegnati alla Libia. La sentenza conferma che le norme internazionali, la Convenzione di Ginevra sui diritti dell’uomo, il Diritto della navigazione e il Testo unico sull’immigrazione in vigore in Italia contano molto di più di ciò che torna comodo far credere. E il fatto che ora le navi civili che aiuteranno i respingimenti potranno essere indagate e sottoposte a processo spiega benissimo perché le Ong del Mediterraneo siano dei testimoni scomodi per tutti. Rimane però un punto sostanziale: se la legge Italiana riconosce illegittimi i respingimenti e le consegne dei naufraghi alla Libia come può lo Stato italiano (lo Stato di quella stessa legge) continuare a fingere di non vedere e spingersi a finanziare l’illegittima Guardia costiera per agevolare il ritorno alla prigionia? Se il comandante della Asso 28 è stato condannato non è evidente il favoreggiamento per lo stesso reato del nostro governo e del Parlamento? Perché le leggi che valgono nei tribunali di Napoli non valgono come direttive per i comportamenti, i finanziamenti e i rapporti del governo? Abbiamo un (presunto, visto che siamo in primo grado di giudizio) esecutore: chi sono i mandanti e i favoreggiatori?

Tra l’altro proprio ieri un gruppo di 32 migranti ha fatto causa allo Stato di Malta: raccontano che nell’aprile del 2020 dopo essere stati salvati da un peschereccio sono stati trattenuti su alcune imbarcazioni turistiche controllate dal governo maltese ma tenute fuori dalle sue acque territoriali senza essere mai stati informati del loro diritto di chiedere asilo, trattenuti su una prigione galleggiante in barba a qualsiasi legge. Anche in questo caso la “libera dimenticanza delle norme” sembra essere il metodo preferito per disfarsi del problema. E ieri si è avuta notizia delle ennesime vittime. Libya Observer ha pubblicato un breve filmato in cui si intravedono i corpi senza vita di 15 persone a bordo di una zattera di legno con a bordo 140 migranti. La cosiddetta Guardia costiera libica afferma di aver soccorso lunedì «una barca di legno rotta che trasportava 140 migranti e ha trovato 15 cadaveri a bordo mentre si dirigevano verso le coste dell’Ue».

L’Unhcr ha confermato che 15 migranti sono annegati nel naufragio di cui ha dato notizia la ong Alarm Phone. «Recuperati i corpi di 15 persone quando 2 imbarcazioni sono arrivate questa sera alla base navale di Tripoli», ha commentato Unchr. «A 177 sopravvissuti sono stati forniti aiuti», viene aggiunto precisando che «alcuni (…) necessitavano di assistenza medica urgente». L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) certifica che sulla «rotta mediterranea centrale», quella che dalla Libia porta all’Italia, quest’anno sono stati contati 474 morti e 689 dispersi a fronte dei 381 decessi e 597 persone scomparse nel 2020. A questi si aggiungono 26.314 migranti riportati in Libia (l’anno scorso sono stati 11.891) in barba a qualsiasi legge nazionale e internazionale. E questa volta non lo scriviamo solo noi, l’ha sentenziato un giudice a Napoli.

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Gino Strada: «L’Italia ripudia la guerra ma siamo in guerra da oltre vent’anni»

Una larga fetta del Paese rifiuta l’odio xenofobo diceva Gino Strada in questa intervista per poi aggiungere: «Ma c’è bisogno di un nuovo soggetto politico. Spero che nasca»

Cosa rispondere a chi ancora continua con la retorica dell’invasione?
Risponderei di informarsi. Qui non c’è nessuna invasione, sembra che il problema dell’Italia non siano i trecento miliardi e passa lucrati dalle mafie, i centocinquanta miliardi di evasione fiscale, altri centinaia di miliardi di corruzione ma sembra che il problema siano quaranta migranti fuori dal porto di Lampedusa. Su questo si è costruita una narrazione fasulla. In Italia in questo momento sono più i giovani che se ne vanno di quelli che arrivano. Certo, gli stranieri vengono qui per ragioni diverse rispetto a chi emigra poiché l’Italia è un Paese mediamente ricco. Ma dov’è questa invasione? Calcoliamola in termini demografici: è una follia, non esiste, è una cosa costruita ad arte perché bisogna alimentare l’odio verso il diverso. Diverso che può essere declinato in vari modi: può essere il rom, il sinti, l’ebreo o il nero. Ma è un odio che si riversa sempre su chi sta al di sotto nella scala sociale. Come se la responsabilità dei problemi, anche drammatici, che vivono gli italiani, come la crisi economica e la difficoltà di arrivare a fine mese, fossero colpa degli ultimi e non colpa di chi invece sta più in alto nella scala sociale. E questa è una pazzia tipica della mentalità fascista.
Però molte persone dicono: «Non ho rappresentanza politica, non ho molti mezzi, sono un cittadino normale, cosa posso fare?». Come gli risponderesti?
Io sono tra quelli che non hanno rappresentanza politica. “Nel mio piccolo” è sempre la domanda più grande su cosa possa fare una persona. Io credo che di cose da fare ce ne siano tantissime. Cominciando dall’informarsi e dal capire l’entità reale dei problemi e delle questioni. Fino al continuare ad esercitare delle pratiche alternative, delle pratiche di resistenza e ce ne sono tantissime. Non c’è soltanto Riace, c’è una solidarietà diffusa molto importante. Poi il cittadino normale non ha spesso altri modi per dire le sue opinioni se non votando. Fino a quando non ci saranno più le elezioni, che, attenzione, non significano per forza democrazia: a volte è un esercizio tecnico e poi quando si va sui tecnicismi elettorali si vede che in realtà di possibilità di scelta il cittadino non ne ha. Però si potrebbe iniziare prendendosi l’impegno di non votare per nessuno che non ripudi sul serio la guerra. Io non voterei mai un partito che non mi garantisce che non farà mai la guerra in nessun caso, tranne ovviamente il caso di subire un’invasione militare ma non mi sembra il nostro. Io credo che il primo compito della politica sia quello di rispettare la Costituzione e i suoi principi fondamentali tra cui il ripudio della guerra e invece abbiamo una classe politica che delinque tranquillamente contro la Costituzione, senza nessun problema, e nessuno glielo fa notare.
L’Italia ripudia la guerra…
Sì, ma siamo in guerra da oltre vent’anni. O ce lo siamo dimenticati? Ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan. Certo si possono fare le solite operazioni di trasformismo: se un mio avversario compie un gesto di violenza è terrorismo mentre se lo compio io è un atto umanitario. Dobbiamo fare sparire queste nebbie, chiamare le cose con il loro nome: la guerra è guerra. L’Afghanistan è l’esempio più lampante: siamo andati lì con una decisione presa un mese dopo l’inizio dell’attacco americano e siamo ancora lì, abbiamo avuto tanti morti, abbiamo speso miliardi. C’è qualcuno che mi sa dire una ragione per cui noi siamo in Afghanistan al di là del servilismo verso gli Usa? Puro servilismo. Diciamo che siamo una colonia. Abbiamo 70 testate nucleari americane sul nostro territorio, la nostra politica estera non esiste, si prendono solo ordini. Perché oggi siamo nella Nato? Perché siamo in un’alleanza militare? Queste domande ormai non si possono nemmeno più fare, si dà per scontato che siamo una dependance degli Usa. I nostri politici fanno ridere, non hanno nemmeno quella dignità e quell’orgoglio nazionale che tra l’altro tanto vantano.
L’argomento del momento è la vicenda della Sea-Watch e la decisione presa della sua comandante…
Al di là dei dettagli tecnici mi pare che qui sia in gioco un principio: si tende a criminalizzare chi aiuta. Questa cosa è intollerabile, inaudita, perfino inaspettata nella sua rozzezza, nella sua stupidità. E questo purtroppo è un processo che va avanti da qualche anno, dal governo precedente: la guerra alle Organizzazioni non governative è iniziata con il governo a guida Pd e Minniti ministro dell’Interno.
Improvvisamente sembra che una parte degli italiani sia diventata legalitaria, tutti rispettosi delle leggi e tutti pronti a crocifiggere Carola Rackete, che ne pensi?
Vedo che siamo in un periodo in cui tutti urlano, tutti gridano, c’è gente che parla di cose che non conosce, sembra che l’incompetenza sia diventata la regola. Però io non ci credo che a questo schiamazzo di una politica ormai vergognosa corrisponda un vero sentire degli italiani. Credo che molta gente, probabilmente la maggioranza, stia mal sopportando questo clima. Per questo credo che la situazione sia ancora reversibile almeno nel nostro Paese. È vero che c’è una macchina propagandistica pazzesca e che c’è un’assenza delle più alte cariche dello Stato. Che non ci sia nessun commento sul fatto che ormai la politica si faccia con i tweet e il dibattito si faccia con gli insulti, se non con i pestaggi, è preoccupante. Un membro del Parlamento che si permette di dire «affondiamo la nave»… sono cose che erano impensabili alcuni anni fa. Però io non credo che tutto questo sia il sentire degli italiani.
Quindi sei ottimista?
Io vedo un Paese dove c’è molta solidarietà. Un Paese dove ci sono migliaia di organizzazioni, di associazioni, piccole o grandi o medie che siano, che si danno da fare comunque per migliorare la vita delle persone. Questa cosa è incompatibile con la politica attuale. Se pensassi che veramente gli italiani la pensano come Salvini dovrei concludere da medico che ci sia stato un cambiamento genetico e antropologico degli italiani. Tutta questa società civile, una volta si chiamava così, credo che vorrebbe un mondo diverso, più equilibrato, più giusto, più sereno, meno carico di odio. Credo che questa sia una brezza che c’è già e che spero diventi vento forte.
Un fischio?
Sì. Non c’è bisogno che urli una bufera però, insomma…
Però è vero che sembra che questa parte d’Italia non trovi da una parte una rappresentanza politica e dall’altra una narrazione sui media aderente alla realtà…
Questo è sicuro. Basti pensare che qualche giorno fa l’ex ministro della Difesa (Pinotti, Pd, ndr) ha emesso un comunicato di solidarietà alla Guardia di finanza e questa dovrebbe essere l’opposizione. Poi si chiedono perché perdono i voti. Ma questi sono loro. Non c’è dubbio che ci sia bisogno di un nuovo soggetto politico, non ho il minimo dubbio su questo. Credo che il Pd sia morto, sepolto e purtroppo non prenderanno mai la decisione di sciogliersi che sarebbe un grande passo avanti per l’Italia. C’è bisogno di un nuovo soggetto politico che ridefinisca le regole del vivere associato. Spero che nasca.

L’intervista di Giulio Cavalli a Gino Strada è stata pubblicata su Left del 5 luglio 2019

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Le altre interviste a Gino Strada pubblicate negli anni su Left sono qui–> https://left.it/tag/gino-strada/

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Dramma migranti: oltre 1 milione di persone recluse tra torture e stupri in Libia. E Di Maio nega l’evidenza…

Eccoci qua, siamo a un passo dal rifinanziamento del governo italiano alla Libia e ricomincia il solito disgustoso balletto dei distinguo, della voluta cecità e della codardia di governo. Non servirà nemmeno ricordare cosa fece la motovedetta Ras Jadir regalata ai libici durante il governo Gentiloni e utilizzata pochi giorni fa per speronare e sparare contro una barca di disperati.

Si dimenticheranno anche quella, vedrete, sicuro. E fingeranno di non sapere che circa 1,3 milioni di persone in Libia abbiano bisogno di assistenza umanitaria (di cui 348mila bambini) e invece ricevono botte, violenza, stupri, prigionia illegale e talvolta la morte. Fingeranno di non sapere che Amnesty International ha calcolato 11.891 rifugiati e migranti nel 2020 riportati indietro sulle spiagge libiche dalla cosiddetta Guardia costiera libica che noi italiani abbiamo addestrato e rifornito di mezzi per accalappiare come cani in mezzo al mare quelli che riescono a scappare per tenere pulite le coste e le coscienze di questa Italia (e questa Europa a non vigilare dall’alto) che ha subappaltato anche la propria dignità insieme ai confini.

Il capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Federico Soda, osserva che se gli ospiti dei campi ufficiali sono circa quattromila, mancano all’appello ottomila dei migranti catturati solo lo scorso anno. Alcuni vengono assistiti nei programmi dell’Unhcr o dell’Oim. Ma ne risultano svaniti ancora troppi. «Dobbiamo pensare che vengano trasferiti in campi non ufficiali, di cui nessuno conosce il numero», dice Soda. Fingeranno di non avere sentito le Nazioni Unite e la Commissione europea che hanno ripetuto fino allo sfinimento che no, la Libia non può essere considerata un porto sicuro e figurarsi se possa essere legittimo perfino finanziarla come palestra di prigionia e morte. Si fingerà di non ricordarsi che tutti i governi italiani che si sono succeduti, al di là delle diverse composizioni politiche, si sono ugualmente concentrati nell’impedire le attività delle navi umanitarie.

Come ha scritto Duccio Facchini su Altraeconomia: «L’Italia continua senza sosta ad assistere ed equipaggiare la cosiddetta Guardia costiera libica per intercettare le persone nel Mediterraneo e respingerle sulle coste nordafricane. Tra la fine del 2020 e i primi tre mesi del 2021, i soli appalti in capo al Centro navale della Guardia di Finanza sono stati oltre 50 per un valore complessivo di circa sette milioni di euro (da aggiudicare o in via di imminente aggiudicazione)». Fingeranno di non avere letto la nota congiunta, Asgi, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch hanno chiesto al Parlamento di istituire una Commissione di inchiesta, che indaghi sul reale impatto dei soldi spesi in Libia e sui naufragi nel Mediterraneo e di presentare un testo che impegni il Governo a: interrompere l’accordo Italia-Libia, dare l’indirizzo a non rinnovare le missioni militari in Libia, chiedendo la chiusura dei centri di detenzione nel Paese nord-africano, dare mandato per l’istituzione di una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare e promuovere la revoca dell’area di ricerca e soccorso libica, poiché solo finalizzata all’intercettazione e al respingimento illegale delle persone in Libia.

E chissà che ne dice il Pd, con la sua presidente Valentina Cuppi che in diverse interviste insiste nel rimarcare la contrarietà al rinnovo del sostegno italiano ricordando come perfino l’Assemblea del partito abbia votato convintamente contro il rifinanziamento. Palazzotto (LeU) e Boldrini (Pd) hanno depositato alcuni emendamenti per bloccare i finanziamenti. Il segretario Letta un po’ plasticamente propone di “responsabilizzare l’UE”, con una mossa che suona di diplomatico scaricabarile facendo infuriare Orfini che ricorda che «collaborare con la cosiddetta guardia costiera libica significa divenire corresponsabili di quei crimini. Poco cambia se chiediamo di farlo all’Europa. Anzi, non cambia nulla». Il ministro Di Maio invece ieri si è svegliato dicendoci che «il governo italiano non ha disposto e non disporrà finanziamenti a favore della guardia costiera libica». Cioè ci siamo inventati tutto, da sempre. Lui la risolve così: negando l’evidenza. Ora siamo al voto, intanto il sangue scorre.

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La festa alle mamme

Un altro giorno da reality show è passato. Con i politici che festeggiano la mamma senza proporre soluzioni per sostenere le donne madri. Che nel 2020 in tante hanno perso il lavoro o vi hanno rinunciato per seguire i figli. Anche perché mancano gli asili nido

In questo tempo in cui tutti i giorni i politici non possono permettersi di dimenticare di onorare le feste ieri si è assistito a un profluvio di auguri dei leader (e pure di quelli meno leader) alle loro mamme e a tutte le mamme d’Italia (i patriottici) e a tutte le mamme del mondo (i globalisti). Ci siamo abituati, senza nemmeno farci più troppo caso, ad aspettarci dai politici gli stessi input di un influencer, mettiamo il mi piace alla sua foto con la mamma e ci scaldiamo per un augurio pescato su qualche sito di aforismi.

Le mamme, dunque. Su 249mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90mila su 96mila – erano già occupate part-time prima della pandemia. È questo il quadro che emerge dal 6° Rapporto Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021, diffuso in occasione della Festa della mamma da Save the Children. Uno studio sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.

Già prima della pandemia la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, è spesso interconnessa alla carriera lavorativa. Stando ai dati, nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze della prole.

Lo «shock organizzativo familiare» causato dal lockdown, secondo le stime, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati. Lo «stress da conciliazione», in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583mila coppie e 270mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne.

Il problema è urgente: nonostante gli asili nido, dal 2017, siano entrati a pieno titolo nel sistema di istruzione, ancora oggi questa rete educativa è molto fragile e, in alcune regioni, quasi inesistente. Una misura necessaria a dare ai bambini maggiori opportunità educative sin dalla primissima infanzia, che contribuirebbe a colmare i rischi di povertà educativa per le famiglie più fragili, ma anche a riportare le donne e in particolare le madri nel mondo del lavoro. La Commissione europea ha indicato come obiettivo minimo entro il 2030 per ciascun Paese membro di almeno dimezzare il divario di genere a livello occupazionale rispetto al 2019 ma per l’Italia, numeri alla mano, la missione sembra praticamente impossibile.

In un Paese normale nel giorno della Festa della mamma i politici non festeggiano la mamma ma illustrano le proposte. La politica funziona così: c’è un tema e si propongono soluzioni. Il dibattito politico ieri era polarizzato sui disperati che sono sbarcati (vedrete, ora si ricomincia) e su una libraia (una!) che ha liberamente scelto di non vendere il libro di Giorgia Meloni (censura! censura! gridano tutti).

E intanto un altro giorno da reality show è passato.

Buon lunedì.

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Dal bacio di Biancaneve a «è una vergogna signora mia…»

Era inevitabile ed è accaduto: a furia di moltiplicare iperboli per leccare anche l’ultimo clic indignato sul fondo della scatola perfino Enrico Mentana decide di dire la sua sulla “cancel culture” con due righe veloci, di passaggio, sui social paragonandola niente popò di meno che ai roghi dei libri del nazismo, con annessa foto di in bianco e nero di un rogo dell’epoca perché si sa, l’immagine aumenta a dismisura la potenza algoritmi del post.

Una polemica partita da un giornalino di San Francisco

La settimana delle “irreali realtà su cui pugnacemente dibattere” questa settimana in Italia parte dal bacio di Biancaneve cavalcato (in questo caso sì, con violenza amorale) da certa destra spasmodicamente in cerca di distrazioni e si conclude con gli editoriali intrisi di «è una vergogna, signora mia» di qualche bolso commentatore pagato per rimpiangere sempre il tempo passato. Fa niente che non ci sia mai stata nessuna polemica su quel bacio più o meno consenziente al di là di una riga di un paio di giornaliste su un quotidiano locale di San Francisco: certa intellighenzia Italiana si spreme da giorni sull’opinione di un articolo di un giornalino oltreoceano convinta di avere diagnosticato il male del secolo, con la stesa goffa sproporzione che ci sarebbe se domani un leader di partito dedicasse una conferenza stampa all’opinione di un avventore del vostro bar sotto casa. Un ballo intorno alle ceneri del senso di realtà per cui si son agghindati tutti a festa, soddisfatti di fare la morale a presunti moralisti di una morale distillata dall’eco dopata di una notizia locale.

Se la battaglia “progressista” si ispira a Trump

Chissà se i democraticissimi e presunti progressisti che si sono autoconvocati al fronte di questa battaglia sono consapevoli di avere come angelo ispiratore l’odiatissimo Donald Trump, il migliore in tempi recenti a utilizzare la strategia retorica del politicamente corretto per spostare il baricentro del dibattito dai problemi reali (disuguaglianze, diritti, povertà, discriminazioni) a un presunto problema utilissimo per polarizzare e distrarre. Nel 2015 Donald Trump, intervistato dalla giornalista di Fox Megyn Kelly su suoi insulti misogini via Twitter («You’ve called women you don’t like fat pigs, dogs, slobs and disgusting animals…») rispose secco: «I think the big problem this country has is being politically correct». Che un’arma di distrazione di massa venisse poi adottata dalle destre in Europa era facilmente immaginabile ma che si attaccassero a ruota anche disattenti commentatori e intellettuali (?) convinti di purificare il mondo era un malaugurio che nessuno avrebbe potuto prevedere. Così la convergenza di interessi diversi ha imbastito un fantasma che oggi dobbiamo sorbirci e forse vale la pena darsi la briga di provarne a smontarne pezzo per pezzo.

La banalizzazione delle lotte altrui è un modo per disinnescarle

C’è la politica, abbiamo detto, che utilizza la cancel culture per accusare gli avversari politici di essere ipocriti moralisti concentrati su inutili priorità: se io riesco a intossicare la richiesta di diritti di alcune minoranze con la loro presunta e feroce volontà di instaurare una presunta egemonia culturale posso facilmente trasformare gli afflitti in persecutori, la loro legittima difesa in un tentativo di sopraffazione e mettere sullo stesso piano il fastidio per un messaggio pubblicitario razzista con le pallottole che ammazzano i neri. La banalizzazione e la derisione delle lotte altrui è tutt’oggi il modo migliore per disinnescarle e il bacio di Biancaneve diventa la roncola con cui minimizzare le (giuste) lotte del femminismo come i cioccolatini sono stati utili per irridere i neri che si sono permessi di “esagerare” con il razzismo. Il politicamente corretto è l’arma con cui la destra (segnatevelo, perché sono le destre della Storia e del mondo) irride la rivendicazione di diritti.

Correttori del politicamente corretto a caccia di clic

Poi c’è una certa fetta di artisti e di intellettuali, quelli che hanno sguazzato per una vita nella confortevole bolla dei salottini frequentati solo dai loro “pari”, abituati a un applauso di fondo permanente e a confrontarsi con l’approvazione dei propri simili: hanno lavorato per anni a proiettare un’immagine di se stessi confezionata in atmosfera modificata e ora si ritrovano in un tempo che consente a chiunque di criticarli, confutarli e esprimere la propria disapprovazione. Questi trovano terribilmente volgare dover avere a che fare con il dissenso e rimpiangono i bei tempi andati, quando il loro editore o il loro direttore di rete erano gli unici a cui dover rendere conto. Benvenuti in questo tempo, lorsignori. Poi ci sono i giornalisti, quelli che passano tutto il giorno a leggere certi giornali americani traducendoli male con Google e il cui mestiere è riprendere qualche articolo di spalla per rivenderlo come il nuovo ultimo scandalo planetario: i politicamente correttori del politicamente corretto è un filone che garantisce interazioni e clic come tutti gli argomenti che scatenano tifo e ogni presunta polemica locale diventa una pepita per la pubblicità quotidiana. A questo aggiungeteci che c’è anche la possibilità di dare fiato a qualche trombone in naftalina e capirete che l’occasione è ghiottissima. Infine ci sono gli stolti fieri, quelli che da anni rivendicano il diritto di essere cretini e temono un mondo in cui scrivere una sciocchezza venga additato come sciocchezza. Questi sono banalissimi e sono sempre esistiti: poveri di argomenti e di pensiero utilizzano la provocazione come unico sistema per farsi notare e come bussola vanno semplicemente “contro”. Chiamano la stupidità “libertà” e pretendono addirittura di essere alfieri di un pensiero nuovo. Invece è così banale il disturbatore seriale. Tanti piccoli opportunismi che hanno trovato nobiltà nel finto dibattito della finta cancel culture.

L’articolo Dal bacio di Biancaneve a «è una vergogna signora mia…» proviene da Tag43.it.

“Donna, ricordati di procreare altrimenti non ti realizzi”

A destra la concezione dell’identità di donna è sempre la stessa dai tempi di Adamo: essa per la Lega o Forza Italia ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia

Antonio Tajani è coordinatore nazionale di Forza Italia, mica uno qualunque. Uno dei suoi pregi, per chi ha uso di seguire la politica, è quello di essere sornione sempre allo stesso livello mentre si ritrova a parlar degli argomenti più diversi, come se recitasse a memoria il ruolo che Forza Italia si propone nel centrodestra: essere quelli “seri”, quelli “non populisti”, quelli “libertari” e così via.

Ieri Tajani era presente alla presentazione degli eventi della festa ‘Mamma è bello’ e ovviamente gli è toccato sfoderare qualche riflessione politica sul ruolo di mamma (i politici, quelli che funzionano sono così, hanno un’idea su tutto e un mazzo di slogan per qualsiasi occasione, dalla sagra della porchetta fino al complesso tema di maternità e famiglia) e così ha sfoderato la solita frase come una tiritera, forse rendendosi poco conto di quello che stava dicendo. «La famiglia senza figli non esiste», ha detto Tajani, e poi, tanto per non perdere l’occasione di peggiorare la propria figura ha deciso anche di aggiungerci che «la donna non è una fattrice, ma si realizza totalmente con la maternità».

Ma come? Ma Forza Italia non è proprio il partito delle libertà? Niente: Tajani non si è nemmeno reso conto di essere riuscito in pochi secondi a tagliare completamente fuori migliaia di persone che avrebbero tutto il diritto di sentirsi feriti dalle sue parole. Mettere in dubbio la legittimità di un amore e di una famiglia, del resto, sembra essere diventato il giochino del momento dalle parti del centrodestra e così le famiglia che non hanno figli e quelle che non ne possono avere improvvisamente si accorgono di essere meno degne di tutti gli altri. E badate bene, qui siamo addirittura oltre al solito attacco alle coppie omosessuali: qui siamo proprio a un’idea di donna che ha il supremo compito di partorire come accadeva in quei tempi in cui in Italia avevamo qualche problemino con la democrazia.

Molti sono inorriditi, giustamente e si sono lamentati ma in fondo è proprio sempre la stessa idea di mondo, anche se esce con toni e con modi diversi, che nel centrodestra si coltiva da anni: «Le donne preferiscono accudire le persone, gli uomini preferiscono la tecnologia», ha detto ieri a Piazza Pulita (solo per citare uno dei tanti esempi) Alberto Zelger, consigliere comunale della Lega a Verona.

Insomma, anche oggi, care donne vi è stato ricordato il sacro comandamento di realizzarvi solo attraverso la procreazione. E se è vero che qualcuno potrebbe fregarsene della sparata di Tajani, come accade per le boiate di Salvini, occorre ricordare che questi sono leader di partiti che decideranno come spendere i soldi che dovrebbero servire per rimettere in piedi l’Italia, sono lì a stabilire quali dovrebbero essere le priorità. E questo, vedrete, è molto di più di una semplice frase sbagliata.

Buon venerdì.

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La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%)

Il Mediterraneo continua ad essere un cimitero liquido e il campo di battaglia di emergenze che spuntano solo quando tornano comode alla sfida politica. L’ipocrisia dei partiti sta tutta in quei numeri che diventano roncole quando servono per attaccare l’avversario e poi scompaiono se richiedono senso di responsabilità. Fra qualche mese, sicuro, comincerà di nuovo la fanfara degli sbarchi incontrollati come accade ciclicamente tutte le estati (con il miglioramento delle condizioni atmosferiche e quest’anno anche con l’allentamento del virus) e intanto sembra impossibile riuscire a costruire una chiave di lettura collettiva su cui dibattere e da cui partire per proporre soluzioni.

Però nel Mediterraneo un’emergenza c’è già, innegabile, e sta tutta nello spaventoso numero di morti in questi primi mesi dell’anno: mentre nel 2020 furono 150 le vittime accertate nel Mediterraneo quest’anno ne contiamo già 500, con un aumento quasi del 200%. A lanciare l’allarme è stata Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, che ha partecipato al briefing con la stampa del Palais des Nations di Ginevra dal porto di Trapani in Sicilia, dove circa 450 persone stavano sbarcando in seguito al salvataggio da parte della nave della ONG Sea Watch: «Dalle prime ore di sabato 1 maggio – ha spiegato Sami – sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera italiana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso».

Sami ha anche tracciato un primo quadro degli sbarchi nel 2021: «Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, – ha spiegato Sami – gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma siamo anche profondamente preoccupati per il bilancio delle vittime: finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200 per cento. Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati».

L’agenzia Onu «sta lavorando con i suoi partner e con il governo italiano nei porti di sbarco per aiutare ad identificare le vulnerabilità tra coloro che sono arrivati e per sostenere il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo» ma Sami sottolinea come continuino a mancare «percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati» mentre «per le persone che non hanno bisogno di protezione internazionale, devono essere trovate soluzioni nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani». L’incidente più grave finora è quello del 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone sollevando i prevedibili lamenti che ogni volta vengono spolverati per l’occasione. Solo una questione di qualche ora, come sempre, poi niente. La zona continua a essere completamente delegata alla cosiddetta Guardia costiera libica: «Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone.  Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può affondare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto», ha spiegato Carlotta Sami.

Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) siamo al 60% di persone che tentano la traversata in mare e che vengono sistematicamente riportate indietro: «Almeno una su due è matematicamente riportata in Libia – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, a Redattore Sociale -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare».

Sempre a proposito di proporzioni poi ci sarebbe da capire perché le eventuali (gravi) responsabilità penali di Salvini quando fu ministro e lasciò alla deriva le navi delle Ong debbano infiammare più di questo spaventoso numero di morti che sembra non avere responsabili. Forse anche il centrosinistra, se vuole davvero occuparsi di diritti umani e non solo di dialettica politica, dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui.

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Fonte

Caro Conte, anche tu hai tenuto i porti chiusi

La Mezzaluna Rossa libica (l’equivalente più o meno della nostra Croce Rossa) ieri ha annunciato altri 50 morti in un naufragio al largo della Libia. Poco prima l’Oim, l’agenzia dell’Onu per le migrazioni, aveva riferito della morte di almeno 11 persone dopo che il gommone su cui viaggiavano era affondato. La Guardia Costiera libica come al solito dice di non esserne informata. Una cosa è certa: nel Mediterraneo si continua a morire ma la vicenda non sfiora la politica nazionale, merita qualche contrita pietà passeggera e poi scivola via.

L’importante, in fondo, è solo mantenere ognuno la propria narrazione: ci sono i “porti chiusi” di Salvini che rivendica di averlo fatto ma poi in tribunale frigna chiamando in causa anche i suoi ex compagni di governo, c’è il “blocco navale” evocato da Giorgia Meloni, c’è il PD che finge di avere dimenticato di essere il partito che con Minniti ha innescato l’onda narrativa e giuridica che ci ha portati fin qui e c’è il Movimento 5 Stelle che si barcamena tra una posizione e l’altra.

A proposito di M5S: il (prossimo) leader Conte è riuscito a dire in scioltezza “con me porti mai chiusi” provando a cancellare con un colpo di spugna quel suo sorriso tronfio mentre si faceva fotografare al fianco di Salvini con tanto di foglietto in mano per celebrare l’hashtag #decretosalvini e la dicitura “sicurezza e immigrazione”.

Conte che sembra avere improvvisamente dimenticato le sue stesse parole su Sea Watch e sulla comandante Carola Rackete: “è stato – disse Conte – un ricatto politico sulla pelle di 40 persone”. Insomma, non proprio le parole di chi vuole prendere le distanze dalla politica di Salvini.

Oltre le parole ci sono i fatti: l’ultimo atto del Parlamento prima della caduta del primo governo Conte nell’agosto 2019 è stato il “decreto sicurezza bis” che stringeva ancora più i lacci dell’immigrazione. Sempre ad agosto 2019, 159 migranti sulla nave Open Arms sono stati 19 giorni in mare senza la possibilità di attraccare nei porti italiani.

Insomma: partendo dal presupposto che i porti non si possano “chiudere” per il diritto internazionale è vero che Conte a braccetto con Salvini ha sposato l’idea dei “porti chiusi” nel senso più largo e più politico. Ed è pur vero che nessun governo, compreso questo, sembra avere nessun’altra idea politica che non sia quella di galleggiare tra dittature usate come rubinetto per frenare le migrazioni in un’Europa che galleggia appaltando i propri confini. Gli unici che non galleggiano sono i morti nel Mediterraneo.

Leggi anche: I poveri sono falliti e i ricchi sono radical chic: così Salvini non risponde mai nel merito a chi lo critica

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La sparizione del salario minimo

Solo lo scorso 16 marzo la Commissione Lavoro del Senato approvava la direttiva Ue volta a garantire l’adozione del salario minimo legale ai lavoratori degli Stati membri. Il testo impone l’individuazione di soglie minime di salario che possono essere introdotte per legge (salario minimo legale) o attraverso la contrattazione collettiva prevalente, come sottolineato anche dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando.

Il salario minimo (su cui Partito democratico e Movimento 5 Stelle hanno depositato diversi disegni di legge negli ultimi anni) è proprio scomparso nella versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza inviata alla Commissione europea nonostante fosse presente nel testo entrato in Consiglio dei ministri.

Nella bozza che circolava pochi giorni fa si parlava di una «rete universale di protezione dei lavoratori» e del «salario minimo legale», oltre alla garanzia di una retribuzione «proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» per tutti i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale. Perfetto: è sparito tutto il paragrafo. Non si tratta di correzioni, di aggiustamenti, no, è sparito tutto.

La cancellazione difficilmente può arrivare dall’Europa vista la direttiva che è stata approvata solo un mese fa in Commissione Lavoro e viste le parole durante il proprio discorso allo Stato dell’Unione 2020, che von der Leyen aveva a riguardo, dicendo che «il dumping salariale danneggia i lavoratori e gli imprenditori onesti, mette a repentaglio la concorrenza sul mercato del lavoro – aveva aggiunto – per questo faremo una proposta per un salario minimo in tutti gli Stati dell’Unione. Tutti devono avere accesso ai salari minimi o attraverso la contrattazione collettiva o con salari mini statutari, è arrivato il momento che il lavoro venga pagato nel modo equo».

Qualcuno prova a teorizzare che la cancellazione in extremis potrebbe essere il risultato degli incontri con le parti sociali nella fase finali della stesura, ipotizzando che un eventuale salario minimo possa indebolire le trattative sindacali poiché alcune aziende potrebbero così semplicemente accontentarsi di essere a norma di legge. Peccato che sia da tempo sotto gli occhi di tutti la moltiplicazione di accordi sottoscritti da soggetti non del tutto rappresentativi che hanno contribuito alla corsa al ribasso per certe categorie. Del resto il problema dei contratti pirata (soprattutto nelle zone più depresse del Paese) è sempre poco dibattuto nonostante abbiano affiancato spesso il lavoro nero.

L’ex ministra del lavoro Catalfo disse: «Il salario minimo è da sempre un obiettivo mio e di tutto il Movimento 5 Stelle. Una risposta essenziale per contrastare il cosiddetto dumping salariale, riequilibrare il sistema di concorrenza interna fra le imprese e ridare dignità e futuro ai “working poor” (i lavoratori poveri) e alle loro famiglie. Una risposta che la crisi innescata dalla pandemia ha reso ancora più urgente e necessaria e sulla quale, come Italia, dobbiamo investire con determinazione nel nostro progetto di rilancio».

E quindi? E ora? Il Pd e il M5s che dicono?

Buon giovedì.

(nella foto il ministro del Lavoro Andrea Orlando)

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