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Io sono un conservatore

Conservatori. È l’accusa che Mario Monti ha rivolto a Stefano Fassina, Nichi Vendola. E a Susanna Camusso. I quali, da tempo, avevano imputato al Professore, questo stesso peccato capitale. Monti: colpevole di essere un “conservatore”. Perché i conservatori, in Italia, sono impopolari. E stigmatizzati. Da sinistra, ma anche da destra. Nessuno che ammetta di esserlo.

futuro_presente_passatoEbbene, vorrei fare coming out. Io sono un conservatore. Non riesco ad ad accettare i sentieri imboccati dal cambiamento. Molti, almeno. Il paesaggio urbano che mi circonda. E mi assedia. La plaga immobiliare che avanza senza regole e senza soste. L’indebolirsi delle relazioni personali e dei legami comunitari. Il declino dei riferimenti di valore  –  perfino di quelli tradizionali. La famiglia ridotta a un centro servizi, a un bunker sotto assedio. La retorica dell’individualismo esibizionista e possessivo. Che ci vuole tutti imprenditori  –  di se stessi. La Rete come unico “spazio” di comunicazione. Gli smartphone che rimpiazzano il dialogo fra persone. I tweet al posto delle parole. La relazione senza empatia. Le persone sparse che parlano  –  e ridono, imprecano, mormorano – da sole.

In tanti intorno a un tavolo, oppure seduti, uno vicino all’altro. Eppure lontani. Ciascuno per conto proprio, a parlare con altri. In altri luoghi – distanti. Tempi strani, nei quali tanti si sentono “spaesati”, perché il “paese” appare un residuo del passato. E la “comunità”: un fantasma della tradizione. Il lavoro senza regole e senza continuità. La flessibilità senza fine e senza un fine. Cioè: la precarietà. La politica senza società, il partito personale, riassunto in un volto e in un’immagine. Dove i consulenti di marketing hanno sostituito i militanti. E al posto delle sezioni si usano i sondaggi (d’altronde, quando si dà la possibilità ai cittadini di esprimersi si recano a milioni, alle urne, di domenica e persino a capodanno).

Insomma: i personaggi, gli interpreti e i luoghi della modernità liquida. Non mi piacciono. Li conosco ma non mi ci riconosco. Magari li subisco  –  in silenzio. Ma preferisco  –  di gran lunga – “conservare” quel che resta: del territorio, della comunità, delle relazioni personali, dell’economia “giusta”, della politica come identità. Il “nuovo” come valore in sé non mi attira.

Lo ammetto: sono un conservatore. E ne vado orgoglioso.

Ilvo Diamanti su Repubblica

Il partito di giornale

Una riflessione di Vauro che (anche se “spinta”) dovrebbe instillare almeno qualche dubbio. Dico, Vauro, mica Giuliano Ferrara, l’ha scritta:

Un tempo c’erano i giornali di partito. Poi quel tempo è finito. Adesso ci sono i partiti di giornale. Finora con i giornali si era fatto un po’ di tutto: cappelli da muratore, aeroplanini, barchette, coperte per i barboni ed un altro uso non troppo nobile ma utilissimo in caso di inderogabili emergenze. 
Insomma, non si può dire che i giornali siano fatti solo per essere letti, anche perché spesso non c’è scritto un cazzo per cui ne valga la pena. Ma comunque, come abbiamo visto, a qualcosa servono sempre.
Un vecchio giornalista comunista, Luigi Pintor, diceva: “Un giornale il giorno dopo è buono solo per incartare il pesce”.
E cosa ti vanno a fare invece Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari con il giornale? Un partito. Un bel partito di carta, dopo tanti anni in cui siamo stati governati da un partito di plastica. Se ne sentiva proprio il bisogno. La carta è leggera e segue il vento, è biodegradabile e riciclabile. Questa ultima caratteristica poi la rende particolarmente adatta all’impiego in politica. Intellettuali, cantanti, comici, scrittori, roberti saviani e tutta la buona società plaudono oggi entusiasti al nuovo partito di giornale.
E domani? Ci si domanda.
Sarà sempre buono per incartare il pesce.

Vauro