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ponte

Per promettere un ponte servirebbe almeno un fiume

E il senso delle promesse a vuoto è tutto qui: si soffia sul fuoco per scaldare i risultati elettorali e poi ci si lamenta se scoppia l’incendio. È una storia vecchia come il mondo, fatta da sempre di grandi aspettative, di odio smisurato e poi di un’inevitabile sconfitta davanti alla realtà. Prima di promettere un ponte, insomma, bisognerebbe controllare almeno che ci sia un fiume.

Quella donna sul ponte di Londra e “l’obbligo di sconvolgersi” come decidono gli altri

(Un articolo da incorniciare di Stefano Bartezzaghi su Repubblica di ieri. La donna in questione, tra l’altro, ha già spiegato bene l’accaduto sul Guardian qui)

Una giovane donna velata cammina sul ponte di Westminster, subito dopo la strage del Suv. Ha uno smartphone in mano, vicino a lei c’è un corpo a terra e un capannello che lo soccorre, ma lei procede senza guardare. È stata fotografata e poi accusata di essere indifferente allo scempio e sospettata persino di approvarlo. Per fortuna le era stato fatto un altro scatto, in cui il volto tradiva più evidentemente lo sgomento. Lei stessa è intervenuta, si è dichiarata sotto choc per i commenti malevoli e ha raccontato che aveva il telefono in mano perché aveva appena mandato un messaggio ai suoi cari a proposito di quanto era appena successo.

L’episodio è solo il prodotto più recente di una tendenza su cui non si discute mai e, indiscussa come appunto è, diviene sempre più allarmante: siamo, tutti, obbligati a reagire in modo riconoscibile e appropriato. Altro che politicamente corretto, altro che cantare fuori dal coro! Il nuovo imperativo paradossale è: «Sii, spontaneamente, sconvolto». Chi non si indigna prontamente (o al contrario non si rallegra) in reazione a ciò che è considerato degno di indignazione o gioia parimenti automatici ottiene l’istantaneo disprezzo collettivo. E questo avviene nelle occasioni più diverse. Un presagio marginale se ne era avuto anni fa per l’inezia del canto dell’inno prima delle partite della Nazionale: i giocatori che non partecipavano, magari oriundi (e quindi poco memori dello «stringiamci a coorte»), erano deprecati per deficit di affezione alla maglia nazionale. Ora cantano tutti, in coro. Su argomenti ben più importanti lo «sconvolgiamoci a coorte» non si elude e la mancata adesione ai lavacri collettivi delle coscienze è tollerata, paradossalmente, solo quando è polemica e sprezzante. Chi non è Garrone sia almeno Franti.

La ragazza velata aveva ovviamente tutto il diritto di passare dal ponte senza esibire manifestazioni apprezzabili di turbamento e orrore. Poteva essere, come probabilmente è, altamente pudica. Ma poteva anche avere in quel momento ragioni private per desiderare soltanto di allontanarsi da lì, non potendo oltretutto fare nulla per soccorrere le vittime. Persino la prima foto non è quella di una persona distaccata, ma i commenti sferzanti si sono sedati solo dopo la difesa da parte del fotografo e dopo che lei stessa ha dichiarato che si era appena offerta di aiutare i soccorsi Roland Barthes diceva che il fascismo non è la censura, non impedisce di dire: obbliga a dire. È certamente necessario che i dirigenti di comunità religiose, come quelli di movimenti e partiti politici, fino a quelli delle squadre di calcio, compiano esplicite e nette distinzioni dai criminali che si dicono ispirati dai loro stessi valori. È questa, la «responsabilità »: il dovere di rispondere. È inoltre possibile concordare con il Gramsci di “Odio gli indifferenti” e pensare che una diffusa noncuranza per ciò che avviene sia uno dei tanti mali che stanno cambiando il volto e il valore della nostra democrazia. Ma nulla di ciò può comportare, e per chiunque, l’obbligo di dimostrare in modalità visibili, istantanee e convincenti che indifferenti non si è.

La società dell’enfasi richiede di caso in caso le nostre lacrime o i nostri applausi. Ma il rispetto per i nostri sentimenti ci richiede, al contrario, di astenerci dal fare della loro manifestazione la partecipazione coatta a rituali collettivi di pregnanza dubbia e nulla spontaneità.
Giudicare, tanto più da una foto, sull’altrui sensibilità personale è avventato (e anche iniquo). Specie quando è collettiva, l’ipocrisia è invece assai più palese.

Le pontilimpiadi del rottamaattore

Caduta l’ipotesi Roma Renzi e i suoi fedeli paninari hanno avuto un’idea brillantissima: il team di creativi della presidenza del consiglio (laureati in twitterologia all’università di Vicchio di Rimaggio, più due specializzandi in powerpointologia) hanno partorito un’idea che coniugasse Olimpiadi, Ponte sullo Stretto e pensioni troppo basse.

«Caro premier» gli hanno detto durante la riunione di presentazione del progetto che si è tenuta a Villa San Martino ad Arcore per non dare troppo nell’occhio, «abbiamo pensato alle Pontilimpiadi. Costruiamo un ponte da Messina a Reggio Calabria (possibilmente a binario unico e senza certificazione antisismica per rispettare comunque le nostre tradizioni oltre che l’ambiente) che contenga un’apposita pista per centometri, duecento, tuttiglialtricentoecentodieci e per mezza maratona e maratona intera. Anzi, abbiamo pensato, per spersonalizzare l’opera anche a uno speciale percorso di una maratona e mezza che lei dovrebbe percorrere alla giornata di inaugurazione…»

(Il premier ha annuito. Con il pollice su, come annuisce lui alle riunioni internazionali per non cimentarsi con l’inglese)

«Poi» hanno proseguito i creativi (già licenziati dalla Lorenzin perché troppo avari di filtro seppia) «abbiamo pensato a un’associazione temporanea di impresa per dividersi il banchetto della valanga dei soldi: Impregilo che impregila, Pessina che pessina, Ilva per il controllo degli scarichi e degli scarti, Montezemolo che Montezemola in tutte le trasmissioni per magnificare l’opera, Malagò che picchetta il Campidoglio sullo zerbino della Raggi, lo Stato che al solito renzizza e Cosa Nostra alla direzione dei lavori…»

(E i gufi? Ha chiesto Matteo ormai schiavo della sua gufofobia)

«Per i gufi abbiamo pensato a un cordone sanitario di vecchietti che fissano a turno acca ventiquattro tutti i cantieri. E per evitare sterili polemiche dei signornò tutto il giorno continueranno a ciondolare in la testa in senso confermativo. Sarà un successo.»

Applausi. Tappi di champagne e l’Italia che riparte. Un tripudio.

(Ma non ci ha pensato già qualcuno? chiede Matteo)

«Assolutamente no. Quell’altro voleva solo un ponte. Il nostro invece è l’Italia che cambia. A forma di ponte» hanno risposto.

Applausi. Tappi di champagne e l’Italia che riparte. Un tripudio.

(Ma le pensioni? Che cazzo c’entrano le pensioni?)

«Beh, signor presidente, anche le cene eleganti di quell’altro non c’entravano un cazzo. Quindi le pensioni ce le buttiamo dentro così. Alla cialtrona. Anzi: alla moderna.»

(il mio buongiorno per Left continua qui)