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processo trattativa

Saverio Masi ed una storia che non possiamo permetterci di non conoscere

saverio-masiSaverio Masi non è un carabiniere qualsiasi: il maresciallo Masi è l’uomo che forse più di tutti è stato vicino alla cattura di Matteo Messina Denaro, il superboss di Cosa Nostra considerato l’ultimo vero “padrino” dopo Riina e Provenzano. Per due volte nella zona di Bagheria, Saverio Masi ha segnalato ai propri superiori, in pesantissime relazioni scritte, la possibilità di avere individuato  la sede della latitanza di Messina Denaro pedinando prima il fratello dell’amante del boss, Maria Mesi, e poi addirittura avendo la sensazione che un’auto fosse guidata dallo stesso Messina Denaro. Due relazioni inspiegabilmente mai arrivate in Procura.

Ma Saverio Masi è anche uno dei testimoni del processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano in cui depose il 21 dicembre del 2010 e sarà uno dei teste chiavi nel processo sulla trattativa per riferire come si legge nella lista testimoniale della procura, sugli “ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano”. Oggi il maresciallo Masi è il caposcorta di Nino Di Matteo, il magistrato più a rischio di questi ultimi anni. Insomma: sembra facile intuire che, come descritto nelle valutazioni, il carabiniere Masi ha alle spalle una carriera che la stessa Arma dei Carabinieri definisce eccellente. Fino a poco tempo fa.

Oggi Saverio Masi rischia di essere estromesso dal lavoro che ama per una multa. Sì, per una multa e la storia vale la pena raccontarla dall’inizio

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Processo-Trattativa parla il pentito Luigi Giuliano: “Dell’Utri minacciava Mangano per non farlo pentire”

La cronaca dell’udienza raccontata da Lorenzo Baldo:

mangano-berlusconi-dellutri“Vittorio Mangano? Qualche volta gli si accendeva la scintilla (di voler collaborare, ndr)… ma aveva paura, quasi da infarto… aveva ricevuto minacce che se si fosse pentito la sua famiglia sarebbe scomparsa e sciolta nell’acido”. La voce del collaboratore di giustizia Luigi Giuliano, “O’ rre”, arriva nitida dal sito riservato collegato in videoconferenza all’udienza odierna del processo sulla trattativa. “Ma da chi era minacciata la famiglia di Mangano?”, chiede il pm Francesco Del Bene. “Mangano mi fece il nome di Dell’Utrio (Marcello Dell’Utri, ndr)… che aveva rapporti con lui… un potente della politica”. Il riferimento è all’ex braccio destro di Berlusconi, attualmente in carcere per scontare una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’ex boss camorrista, già a capo della “Nuova Famiglia”, riaccende quindi l’attenzione sui suoi contatti con l’ex “Stalliere di Arcore” morto di cancro nel 2000. “Vittorio Mangano l’ho conosciuto nei primi anni ’70 a Milano perché era amico di un mio amico che si chiamava Nunzio Guida, legato a Michele Zaza”, racconta Giuliano. “Successivamente, intorno al ’99, sono stato detenuto nel carcere di Secondigliano al 41bis, c’era un reparto adibito all’ospedale… per pochissimi giorni siamo stati nella stessa stanza con Mangano”. Ed è in quelle condizioni che l’ex capo della “Nuova Famiglia” riceve alcune “confidenze” da parte del defunto reggente di Porta Nuova.  “Vittorio era assai preoccupato perché temeva che fuori dicessero che lui potesse accedere al pentimento…lo hanno minacciato che avrebbero fatto a pezzi la sua famiglia… anche se non prendeva questa decisione qualcuno poteva far passare la notizia che collaborava…”. Il pm riprende un verbale del 2002 nel quale lo stesso Giuliano era stato decisamente più esaustivo: “Mangano conosceva tantissime cose e più volte ha fatto riferimento a Berlusconi e Dell’Utri, Mangano mi disse che la carriera politica di Berlusconi era la prosecuzione della carriera politica di Andreotti”. L’ex boss conferma quanto dichiarato tredici anni fa aggiungendo che “quello era un motore per portare avanti un sistema criminale mafioso… si doveva far abolire il 41bis, i benefici per i pentiti… che bisognava distruggere”. Berlusconi e Dell’Utri? “Erano la stessa cosa, me lo diceva Mangano: Berlusconi-Dell’Utri-mafia… uno stesso sistema criminale. Mangano voleva farmi intendere che la mafia aveva questa potenza con loro…”. Giuliano spiega quindi di essersi pentito nel 2002 per “una conversione spirituale” legata alla figura di Gesù Cristo. “Anche se salvo una sola vita – ribadisce il collaboratore –  ho il dovere di farlo davanti alla giustizia di Dio e degli uomini. Mi hanno ammazzato tre persone care, tra queste anche mio figlio…”. Alla domanda del pm se avesse mai conosciuto Totò Riina, Giuliano replica di averlo incontrato nei primi anni ’70 “quando (Riina, ndr) frequentava i night club in via Caracciolo”. Il legale del capo di Cosa Nostra chiede in seguito in quale occasione avrebbe avuto con Riina “un contatto diretto per parlare di un argomento specifico”. “Ci siamo parlati… un discorso fugace… alla villa di Nuvoletta a Marano in piena guerra con Cutolo”, replica l’ex boss. Che non intende approfondire l’argomento in quanto a suo dire rientrerebbe all’interno di indagini in corso. Immediata la contestazione da parte dell’avv. Cianferoni fortemente dubbioso sulla spiegazione fornita dal collaborante. La questione sollevata si conclude lì.

(fonte)