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Papeete 2 la vendetta: Salvini contro il suo stesso Governo. Ma ormai nella Lega nessuno lo capisce più

È il solito Salvini, solo che non funziona più. L’uomo che fingeva contemporaneamente di essere di lotta e di governo, quello che già nel primo governo Conte faceva il ministro agli Interni e intanto picconava l’esecutivo di cui faceva parte ora riprende la stessa solfa con Mario Draghi prendendosi già una mezza porta in faccia e innervosendo non poco i suoi ministri.

Cerca di tenere in bilico le sue troppe facce, telefona a Draghi per ribadirgli fiducia ma poi ordina ai suoi ministri (piuttosto stanchi di stare al guinzaglio, come dicono anche le voci dentro al partito) di non votare le stesse decisioni che erano state prese in cabina di regia.

Solo che Draghi non casca nel trabocchetto e anzi bacchetta il leader della Lega. “Gli accordi si rispettano”, ha detto il Presidente del Consiglio, come se non fosse chiaro proprio dalla biografia di Salvini che la sua carriera politica sia tutta incentrata proprio sulle giravolte. 

Lui continua con la sua solita cantilena riscaldata, parla di “buonsenso” e finge di occuparsi davvero dei temi quando è solo piegato sulla sua visibilità e sul suo bacino di voti.

Ma intanto crolla.

Crolla nei sondaggi: l’ultimo rilevamento segna la perdita di quasi un punto percentuale (0,8% solo nell’ultima settimana) mentre Giorgia Meloni ha gioco facile nell’accogliere in Fratelli d’Italia la fetta di voti di quell’ala “dura” contraria alla strategia della precauzione e delle chiusure.

Salvini crolla nella credibilità all’interno del suo stesso partito: ieri i ministri Giorgetti e Garavaglia non hanno proferito parola durante il Consiglio dei ministri, niente di più del mettere a verbale la propria astensione con molto imbarazzo. I presidenti di regione leghisti faticano a contenere il malcontento e non si sentono appoggiati dal loro segretario. Nella Lega, Salvini non piace all’ala governativa (che lo accusa di scorrettezza istituzionale) e nemmeno all’ala più estrema che lo accusa di non avere il coraggio di uscire dal governo.

Salvini crolla con i suoi elettori che ormai lo accusano apertamente di un doppio gioco che è sotto gli occhi di tutti: l’hanno mollato prima i ristoratori e poi le altre categorie in difficoltà.

Salvini crolla nel centrodestra con Giorgia Meloni in forte ascesa e Forza Italia che non ne sopporta più le bizze.

E se ci pensate bene riesce ancora una volta a inquinare un dibattito (come quello sull’orario di coprifuoco) che meriterebbe invece di essere affrontato con serietà.

È il confusionario Salvini del Papeete, anche se le spiagge sono ancora chiuse.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste

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Non reggono la maschera

Tra le frasi ripetute dai (pochi) renziani rimasti ogni volta che devono fingere di non essere di destra (perché loro sono di un centrosinistra tutto loro, che esiste solo nella loro testa, che usa i diritti da usare come abbellimento, come l’oliva su un bicchiere per l’aperitivo) c’è la tiritera di Renzi difensore dei diritti civili. È una grancassa ripetuta allo stremo, anche alla faccia del principe saudita che le donne le usa come soprammobili, eppure per loro è un Rinascimento.

Ieri in Senato Italia viva non è però riuscita a reggere troppo la finzione della sua postura e ha dato il meglio di sé. Solo un dato, tanto per inquadrare lo spessore della sua azione politica: è riuscita a incassare gli applausi e i sorrisi di Lega e Fratelli d’Italia, basterebbe questo per capire.

Davide Faraone, senatore di Italia viva che ha il grande merito di essere molto amico di Matteo Renzi, ha detto che il ddl Zan  (quello che la destra da mesi sta cercando di boicottare in tutti i modi) è da «modificare». Avete letto bene: l’hanno votato alla Camera ma poi ci hanno ripensato, del resto loro sui ripensamenti si giocano tutta la poca credibilità elettorale per racimolare qualche voto in più della decina che hanno in tutto. In sostanza sono riusciti ad affossarlo visto che per arrivare al punto in cui siamo sono serviti più di mille giorni e visto che rimandare il tutto indietro significa di fatto non arrivare mai a una conclusione.

Ma il vero capolavoro di ipocrisia è la motivazione che hanno avanzato: il disegno di legge non va bene, dicono, per il video di Grillo e perché se Grillo sostiene questo disegno di legge allora significa che va modificato. In fondo gli serviva solo una scusa, come al solito, come quando dissero che bisognava discutere in Parlamento il Pnrr da presentare all’Europa per i soldi post Covid e ora invece stanno zitti nonostante non ci sia nessuna bozza. Loro cercano solo appigli (immaginari) per costruire propaganda. E incassano applausi da destra. Che poi non incassino nemmeno mezzo voto fanno molta fatica a comprenderlo, ma anche questa è la loro natura.

La vera domanda rimane quella che ha scritto ieri Simone Alliva, che su questa legge sta facendo da mesi un enorme lavoro di informazione: «Perché il #ddlZan che avete votato alla Camera (quindi andava bene alla Camera) adesso non vi va più bene al Senato?».

Oppure, volendo fare politica in modo intellettualmente onesto, si poteva discutere quel testo e, in assenza di accordo, affidarne la sorte al voto, come si fa in una democrazia parlamentare. Ma i renziani avrebbero avuto paura di essere scoperti. Come se non fossero già evidenti ora.

Buon giovedì.

 

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Niente padri e madri della vittima?

Nel gran rito collettivo della difesa del leader da due giorni si sta consumando un’inaspettata empatia per l’accusato nonostante da anni in molti abbiano provato a convincerci che fosse una postura immorale, sospettosa, perfino colpevole. Solo che questa volta il “padre” con cui solidarizzare è il simbolo di un partito politico e quindi molti si sentono in dovere di farlo. Quando si dice “politicizzare” le vicende giudiziarie si intende proprio questo: qualcuno con un grande seguito che usa vicende penali (che dovrebbero essere personali) come paradigma di un clima politico. È la stessa cosa di Berlusconi che si dichiara perseguitato per via giudiziaria dai suoi avversari politici, è lo stesso di Salvini che ci vorrebbe convincere che la “sinistra” lo manda a processo. Uguale uguale. Pensateci.

Poi ci sono i soliti ingredienti che intossicano tutte le volte le presunte vittime di stupro: un uomo potente (e con il potere di parlare a molti) che urlaccia e vittimizza la presunta vittima un’altra volta. Incredibile la discussione sulle ore che servono a denunciare uno stupro: una bassezza da fallocrati davanti allo spritz che viene rivenduta ancora una volta su tutti i media nazionali. Beppe Grillo è riuscito a condensare in pochi minuti tutta la cultura dello stupro: un giudizio personale che vorrebbe valere come Cassazione, una discussione spostata sulle presunte colpe della presunta vittima e noi dei presunti colpevoli e perfino quel “lo dico da padre” che ci ha fatto incazzare per mesi quando pronunciato da Salvini.

Non solo. Grillo ha pubblicamente dato della bugiarda alla vittima. Come scrive giustamente Giulia Blasi per Valigia Blu: «Ogni volta che ci domandiamo come mai in Italia sia così difficile parlare di abusi sessuali, ricordiamoci questo: che il capo di un partito politico può tentare di immischiarsi nel procedimento giudiziario a carico di suo figlio e aggredire verbalmente la donna che lo accusa, senza che ci siano conseguenze immediate, che il partito stesso se ne dissoci e lo costringa a farsi da parte (“dimettersi” sarebbe impossibile, data la natura liquida del ruolo di Grillo, che rimane tecnicamente un privato cittadino). La vita, la sicurezza e l’integrità fisica delle donne contano così poco, di fronte alla necessità di mantenere il quieto vivere».

Tutti pronti a mettersi nei panni del padre e della madre del presunto colpevole e nessuno in quelli della presunta vittima. Annusate l’aria che c’è in giro in questi giorni e avrete la dimostrazione plastica del perché per una donna sia così difficile denunciare.

È stato un gesto sconclusionato e pessimo e al Movimento 5 stelle conviene dirlo forte e chiaro per non essere invischiato. A meno che non si voglia votare in Parlamento che quella fosse la figlia di Mubarak, visto che ci sarebbero perfino i numeri per farlo.

Buon mercoledì.

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Una metafora calcistica

Immaginate un mondo dove inevitabilmente ci si sfida. Ci si sfida perché è parte del gioco, in fondo si gioca soprattutto e vincere o perdere dipende dalla forma, da ciò che si ha a disposizione, dalla fortuna e inevitabilmente dal talento ma soprattutto dai soldi. Però ci sono regole chiare e le regole stabiliscono che chi ha bravura ma anche chi ha fantasia possa raggiungere traguardi che non erano preventivati, nemmeno immaginati e alla fine accade che anche gli sfavoriti vincano. A volte vincono una partita, a volte vincono addirittura il campionato.

Quelli invece che dovrebbero vincere per censo si arrabbiano tantissimo, strillano, se la prendono con i giudici e parlano di ingiustizia. Loro, quelli che di solito sono proprio i detentori delle redini della giustizia sociale. Però in fondo ci si affeziona mica solo per le vittorie e così si rimane fedeli alla propria idea, ci si mette dentro a una roba semplice perfino un po’ di valori. E in fondo tutte le volte che si sente un po’ di profumo di poesia è proprio quando Davide batte Golia.

Immaginate poi che in un mondo così, improvvisamente i ricchi vogliano diventare ancora più ricchi, non ci stiano a dividere con quegli altri nemmeno gli spiccioli e allora provano a pensare a un nuovo mondo in cui si entri per il merito di essere ricchi e di essere buoni amici nei circoli dei ricchi che contano, ciò che conta è essere nella cerchia giusta, nel giro giusto. Immaginate anche che la propria credibilità non venga valutata dal proprio spessore ma dalla propria popolarità. La popolarità come fine, addirittura prima della vittoria. E quella popolarità non è qualcosa che ha a che fare con il cuore, ovviamente, ma viene misurata con i soldi. Il nuovo mondo di quelli che non vogliono spartire niente con gli altri tra l’altro è un mondo magico in cui l’autopreservazione è garantita per censo, mica per risultati.

Di solito quando i ricchi vogliono stringere i cordoni della borsa per ingrassare il proprio circolino la chiamano “inevitabile modernità”, dicono che è il progresso e si inventano che il mondo è cambiato, che non ci sono più i palloni cuciti a mano o che non ci sono più i telefoni a gettoni. Quindi se l’idea non ti piace è colpa tua che sei incapace di stare al passo con i tempi o perfino invidioso.

Sei squadre di calcio inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham), tre spagnole (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid) e tre italiane (Juventus, Inter e Milan) hanno annunciato l’intenzione di farsi il loro campionato. Tutti ne discutono.

Eppure è una metafora così potente che andrebbe letta con attenzione, mica solo per il calcio. Alcuni lo chiamavano capitalismo ma poi il pensiero comune ha detto che è una parola così stantia, capitalismo.

Buon martedì.

 

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E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo

Caro Beppe Grillo, ti do una notizia: tutti gli accusati, anche quelli dei crimini peggiori, anche quelli che subiscono processi che durano anni e che poi finiscono in niente, perfino quelli che vengono arrestati e subiscono detenzioni che poi si dimostrano ingiuste, tutti hanno un padre, molti sono padri, esattamente come accade a te con tuo figlio Ciro.

Caro Beppe Grillo, ti do un’altra notizia: in un Paese che avrebbe di che occuparsi per le malefatte compiute personalmente da politici e governano che (con sentenza definitiva) sono stati ritenuti colpevoli di deprecabili azioni che hanno danneggiato l’amministrazione pubblica e quindi il Paese e i cittadini, già da qualche anno si è presa l’abitudine di rovistare anche nelle colpe dei figli, dei genitori e perfino degli amici per reati che non hanno niente a che vedere con il loro ruolo.

Forse di questo te ne ricordi perché, mentre c’erano tutti gli elementi legittimi per costruire una critica (anche feroce) politica contro certi leader di partito, si è preferito invece rovistare nel casellario giudiziario dei loro congiunti.

E guarda, caro Grillo, te lo scrive uno che è tutt’altro che garantista peloso, di quel garantismo che viene troppo spesso sventolato per proteggere i colletti bianchi: eppure ho sempre creduto che ci siano evidenze giudiziarie talmente importanti su un Berlusconi (per dirne uno qualsiasi) che alla fine ho avuto la sensazione che occuparsi dei suoi presunti reati minori (come le sue abitudini sessuali) fosse un favore che gli abbiamo concesso mentre il suo braccio destro è condannato definitivo per mafia.

Io non so se tuo figlio, caro Beppe Grillo, sia innocente o colpevole. Mi auguro che sia innocente e mi auguro che possa risolversi il dolore dei presunti assassini come quello della presunta vittima.

Comprendo anche il tuo dolore da genitore, ma vivo in un Paese in cui credere nella Giustizia è elemento fondante per la tenuta democratica: lo avete ripetuto anche voi per anni, lo scrivono tutti i giorni i giornalisti che ti sono più vicini.

Forse il tema vero su cui varrebbe la pena riflettere è che, prima o poi, nella vita potrebbe capitare di essere sotto accusa o terribilmente fragili e hai ragione quando dici che fa schifo usare tutto questo come clava per fare politica.

Il tuo sfogo è comprensibile, umanissimo ma sei sicuro di non avere contribuito al clima da bastonatori irridenti degli sfoghi degli altri? Non è un’accusa, sia chiaro: è una riflessione politica. Ah, hai ragione, questa speculazione fa schifo.

Leggi anche: Beppe Grillo: “Mio figlio non è uno stupratore. Allora arrestate me”

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Sono già in campagna elettorale

Il governo dei migliori incassa le bordate di alcuni scienziati, dice il professor Galli che «Draghi non ne ha azzeccata una sul virus» e dice Andrea Crisanti che «purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica» definendo le riaperture una «stupidaggine epocale» ma su queste questioni ci si accorge di chi aveva ragione sempre dopo. E quindi tra qualche mese qualcuno potrà dire “l’avevo detto”.

Intanto però la maggioranza freme perché la politica, l’abbiamo ripetuto più volte anche qui, è una continua ricerca di consenso, più della responsabilità di governo e così Matteo Salvini (dopo essersi intestato il merito delle progressive aperture) ora spinge ancora di più sull’acceleratore chiedendo ancora di più. È normale, il suo elettorato gli chiede questo, per esistere lui deve fare questo: spingere, spingere, spingere e non dare il tempo di ragionare. Così ora la richiesta è di aprire anche i locali al chiuso e di togliere il coprifuoco. Sia chiaro: la discussione è legittima ma non chiedete a Salvini di dare delle indicazioni in base ai dati in nostro possesso. Il suo ragionamento non esiste e quindi la giustificazione è sempre quella del “buonsenso”. A ruota, ovviamente, ci sono i renziani che chiedono di riaprire le palestre (anche al chiuso) e gli impianti sportivi prima del termine di giugno fissato dal governo. È una guerra ad accalappiarsi ognuno il proprio settore. Avanti così.

Salvini intanto riesuma Berlusconi per parlarci del suo rinvio a giudizio sulla vicenda Open Arms: «Silvio ha dovuto affrontare 80 processi, io per ora solo 5-6 … Ma è evidente che la sinistra vuole vincere in tribunale le elezioni che perde nelle urne. In nessun Paese al mondo si mandano un processo gli avversari politici». Intanto ne approfitta per leccare un po’ anche Eni e Finmeccanica: «In Italia – dice – si fanno tante inchieste che poi finiscono nel nulla. Come quelle che hanno riguardato grandi società come Eni e Finmeccanica. Difendere gli interessi dell’Italia significa anche difendere le aziende italiane». Per lui difendere le aziende italiane significa non indagare. Chiaro, no?

Poi ha un’illuminazione: una commissione d’inchiesta sulla pandemia (che in effetti potrebbe fare luce su molte responsabilità che meritano di essere indagate) ma anche qui riesce a buttarla in caciara sparando sulle «responsabilità del ministro Speranza», come al solito trasformando tutto in guerriglia ad personam, la stessa di cui si lamenta. E a chi pensa per trovare i voti di un’operazione del genere? Lo dice lui stesso: il centrodestra e Italia Viva di Renzi. E intanto getta l’amo.

Vi ricordate quando si diceva che Draghi li avrebbe tenuti tutti in riga? La riga si è già spezzata e vedrete che basterà che si abbassino i numeri drammatici del contagio perché inizi subito la campagna elettorale. In testa, ovviamente, i due Mattei che stanno già muovendo le code sotto traccia.

Buon lunedì.

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Le assurde parole con cui Giorgia Meloni giustifica l’astensione di Fdi su Patrick Zaki

Sono 24 ore che mi scervello sulle giustificazioni della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, circa il voto di astensione in Senato per l’ordine del giorno che impegna il Governo “ad avviare tempestivamente le necessarie verifiche” per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna agli arresti nel carcere egiziano di Tora dal 7 febbraio del 2020.

Ho sperato anche che Giorgia Meloni o qualcuno dei suoi spendesse qualche altra parola, che a qualcuno gli scappasse almeno uno sputo di tweet o una cosa qualsiasi per capire come possa una decisione presa in così larga maggioranza essere “un’ingerenza del Parlamento italiano”.

A cosa serve, secondo Giorgia Meloni, il Parlamento, se non proprio a intervenire in fatti di propria pertinenza? Cosa c’è di più significativo, per un Parlamento, dell’occuparsi di diritti da rispettare nei confronti di uno studente che proprio in Italia è stato libero per l’ultima volta e che è illegalmente detenuto in uno Stato che ha ammazzato poco prima uno studente italiano e con cui commerciamo amabilmente armi?

Mi pare tutto così chiaro, limpido, facile. Ci sono arrivati perfino i leghisti, per dire. Poi mi chiedo come la cittadinanza italiana a Patrick Zaki potrebbe “non aiutarlo” (parole sempre buttate a caso da Giorgia Meloni): ma non è proprio lei che da anni urlaccia sulla sua “patria” che deve farsi rispettare nel mondo? Ma non è proprio lei che da anni se la prende con il governo di turno per lamentare una mollezza sulla politica nazionale che, a suo dire, svergognerebbe tutti gli italiani?

E ora che potrebbe semplicemente schiacciare un pulsante (non le si chiede nulla di eroico, sia chiaro), proprio lei che vorrebbe essere quella del partito dei patrioti senza paura, ora balbetta quattro scuse sconclusionate senza senso?

Poi mi sono detto che forse non è la stessa Giorgia Meloni che, a proposito di “ingerenze”, viaggia in giro per l’Europa e per il mondo per incontrare i peggiori paradittatori sovranisti cercando di coltivare alleanze che mettono in seria crisi la credibilità dell’Italia in Europa e nel mondo. E invece no, è proprio lei.

Eppure Giorgia Meloni si è detta “solidale”. Ma come? Ma quindi non ha nemmeno il coraggio di dire che non gliene frega niente? Almeno sarebbe stata una posizione con una sua logica, qualcosa di comprensibile.

Poi ho pensato che ha un nome l’atteggiamento di Giorgia Meloni, una parola semplice semplice: vigliaccheria politica, condita con un po’ di esigenza di farsi notare.

Leggi anche: Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo (di Giulio Cavalli)

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Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio

Il più grave danno al garantismo, quello che dovrebbe essere assicurato in uno Stato di diritto e che è sancito chiaro chiaro nella nostra Costituzione, è proprio il garantismo quando diventa peloso, quando serve per condonare i potenti e soprattutto quando viene utilizzato non come metodo universale ma solo per alcune categorie.

Il fatto che Roberto Formigoni stia pagando i suoi debiti con la giustizia è la normale conseguenza di un giusto processo che ha stabilito delle responsabilità penali. Il fatto che si pretenda l’oblio per un danno erariale di 47,5 milioni di euro di soldi pubblici per il caso Maugeri in Lombardia e che ci si aspetti che nessuno si permetta più di scrivere che la sua rete di amicizie e il suo “mercimonio della propria funzione” (lo scrive la sentenza di Cassazione) abbiano devastato la Sanità lombarda pare, invece, davvero un po’ troppo.

E allora la vicenda del suo vitalizio da 7mila euro al mese che il “Governo dei migliori” gli sta apparecchiando forse assume una prospettiva nettamente diversa: è etico che una persona condannata per reati gravissimi (che ne hanno comportato anche l’esclusione politica e che sono diventati sentenza definitiva) possa godere degli stessi benefici di chi ha svolto con moralità il proprio ruolo?

È normale e accettabile che esistano ruoli e cariche che beneficino di trattamenti diversi rispetto ai normali lavoratori? Conoscete qualcuno che, dopo essere incappato in una grave condanna che certifichi un suo danneggiamento verso l’azienda per cui lavorava, possa godere comunque di una pensione e un vitalizio?

La delibera Grasso-Boldrini fu approvata nel 2015 in Parlamento non per “punizione” ma per garantire uguaglianza tra i parlamentari e i “normali” lavoratori: qui il punto non è il garantismo ma decidere se abbia un senso che gli italiani continuino a mantenere una persona che li ha danneggiati.

E non c’è solo Formigoni: il ricorso dell’ex presidente di Regione Lombardia sblocca la situazione di Silvio Berlusconi, di Ottaviano Del Turco e perfino di Marcello Dell’Utri.

Infine, sorge un dubbio: ma Salvini e Meloni – quelli che “butterebbero le chiavi” quando si tratta di punire (per loro: vendicarsi) un povero disgraziato che commette un reato (seppur odioso) – non hanno niente da dire con i criminali grossi e potenti quando sono loro amici?

Tintinnano le manette per i ladri di polli e poi si diventa garantisti per i colletti bianchi condannati in via definitiva? Lo chiamano garantismo e invece è solo “essere amici degli amici”.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste (di Giulio Cavalli)

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Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano

Ci sono fatti che stanno uscendo in questi giorni che messi in fila fanno spavento, notizie che vengono ingegneristicamente spezzettate per non avere il quadro d’insieme mentre la prospettiva generale è qualcosa di spaventoso, un modus che meriterebbe una riflessione larga su politica e giustizia. Forse proprio per questo conviene rivenderli come singoli casi di cronaca.

Facciamo un passo indietro: è notizia di qualche giorno fa (ormai diventata “vecchia” e quindi facile da scavalcare liscia) che tra le carte della fumosissima inchiesta del 2017 della procura di Trapani che avrebbe dovuto dimostrare i legami illeciti tra Ong e scafisti ci siano centinaia di pagine di intercettazioni trascritte e depositate che riguardano giornalisti ascoltati mentre parlano con le loro fonti, mentre discutono tra di loro, addirittura mentre parlano con i loro avvocati. Una pesca a strascico che non segue nessuna logica procedurale e che sono gravissime violazioni in uno Stato di diritto. La ministra Cartabia ha deciso di inviare gli ispettori per vagliare le carte e le procedure eseguite, al fine di accertare eventuali comportamenti non consoni attuati dalla procura.

Facciamo un secondo passo. Quell’inchiesta è finita in niente, la tesi dell’accusa però è stata il copione di una narrazione politica frequentata sia dall’ex ministro dell’Interno Minniti sia da Salvini che ne fece il plot di tutta la sua campagna elettorale che l’avrebbe portato al Viminale. Anni di criminalizzazioni delle Ong che non hanno nessun riscontro giuridico, nessuna sentenza, nessuna condanna in nessun grado. E non c’è solo l’inchiesta di Trapani: in questi anni sono stati aperti ben 16 fascicoli sulle organizzazioni umanitarie e non si è mai arrivati in nessun caso al processo. Non si parla di assoluzioni, badate bene: non c’è mai stato uno straccio di prova che giustificasse nemmeno un dibattimento. Qualcuno come il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha dovuto ammettere di non essere riuscito ad andare oltre la suggestione dei suoi sospetti nonostante ne abbia parlato lungamente sui giornali, in televisione e perfino nelle sedi istituzionali della politica.

La sua inchiesta sulle Ong (la prima in ordine di tempo) è ancora oggi sventolata come “prova” nonostante sia stata chiusa dopo due anni di indagini: la confusione è talmente tanta sotto il cielo che ora basta perfino essere indagati, senza nemmeno essere accusati, per essere “sporchi”, per essere delegittimati e additati come colpevoli che sono riusciti a farla franca. In compenso in questi anni di inchieste abbiamo assistito a presunti scafisti che erano solo scambi di persona, traduzioni sbagliate che hanno incarcerato innocenti e riconoscimenti che si sono rivelati fallaci.
Facciamo un altro passo. Si scopre che tra il 2016 e il 2017 nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” che ha portato all’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano facendolo decadere da sindaco per poi riabilitarlo quando ormai il danno era fatto, 33 giornalisti siano stati intercettati (senza mai essere iscritti nel registro degli indagati), sono stati ascoltati 3 magistrati, uno degli avvocati difensori di Lucano e un viceprefetto. Nel fascicolo dell’indagine (carte praticamente pubbliche) ci sono utenze telefoniche, indirizzi mail e dati di tutti gli intercettati. Lo scopo? Sempre lo stesso: smascherare i buonisti che erano già stati condannati da certa politica.

Lo scenario quindi è questo: politica e magistratura hanno concorso per anni nell’ossessivo sostegno di una tesi che ha portato popolarità e consenso a entrambi, hanno trovato una convergenza nel dipingere una realtà che non ha ad oggi nessun riscontro e hanno usato (resta da capire se di comune accordo) metodi forse non leciti e sicuramente non etici. Una tesi politico-giudiziaria ha modificato il corso di questi anni, una tesi senza nessun riscontro. Questo è l’aspetto più spaventoso e allarmante e su questo bisognerebbe avere il coraggio di aprire una discussione. Funziona un Paese così?

L’articolo Giornalisti intercettati, dopo Trapani ne spuntano altri 33 ascoltati per il caso Mimmo Lucano proviene da Il Riformista.

Fonte

Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo

Se mancano i dati, se mancano i riscontri reali, se mancano le spiegazioni precise allora diventa facile governare e farsi governare dall’emozione. Al netto di chi in questi mesi continua a lucrare sulla disperazione della gente con vergognose operazioni di sciacallaggio si può dire che in questo anno di pandemia abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a comunicazioni contraddittorie, confuse e molto spesso lacunose.

È un tema tutto politico: se continuano a mancare informazioni precise sulle misure prese e sugli impatti attesi dalle limitazioni che vengono imposte, l’aspetto emozionale (e il lucrare sulla limitazione di libertà) riuscirà sempre a trovare terreno fertile. 

Per capirci: le scuole sono state riaperte con dati peggiori rispetto a quando erano state chiuse e il ministro Speranza ha dichiarato, riconoscendo la cosa, che la scelta è stata fatta in correlazione con le vaccinazioni fatte (vaccinazioni ad insegnanti che sono state sospese) e per “investire sui giovani”.

La risposta, legittima, però cozza con le iniziative che non sono mai state prese sui trasporti, sulla ventilazione meccanica in classe e soprattutto con un rischio in ambito scolastico che non è mai stato spiegato lucidamente. Abbiamo ascoltato tutto e il suo contrario e la scuola è solo uno dei tanti esempi possibili.

Chi per lavoro ha viaggiato in questi mesi di pandemia sa benissimo che le distanze che vengono imposte sui treni a lunga percorrenza sono molto diverse rispetto ai protocolli di un semplice volo aereo, per non parlare della drammatica situazione del trasporto locale. 

Qui non si discute, sia chiaro, dell’importanza di arginare il virus e di non mandare in tilt il sistema sanitario ma avere un chiaro e periodico flusso di dati a disposizione permette una lucida valutazione delle proporzioni delle restrizioni: se non c’è chiarezza e accesso ai dati viene difficile anche valutare la bontà delle decisioni prese dalla politica.

USA e Gran Bretagna hanno fissato date per le riaperture sulla base di dati chiari e sottoposti ai cittadini. Non si tratta di aprire tutto e subito come chiedono gli sconsiderati ma forse Draghi dovrebbe sentire il dovere di fissare un’asticella (di contagi, di pressione ospedaliera, di numero totale di infetti) sotto la quale allentare i divieti.

Non è solo una questione di virus, è questione di controllo della democrazia, di trasparenza e responsabilità: comunicare con chiarezza tiene in equilibrio il patto sociale, altrimenti diventa solo una questione di pancia.

Leggi anche: Italia, cinema chiusi: ma va bene se un parroco apre la sala per trasmettere in streaming la messa pasquale

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