Vai al contenuto

questo

Le macerie della pandemia nel mondo sono i bambini

Scusate se mi permetto di non seguire la polemica di qualche presidentessa di regione che cerca di lucrare su qualche decina di migranti, mi pare davvero troppo spendere qualche riga per una regione con un sistema sanitario completamente devastato dalla politica che si preoccupa di degli arrivi via mare mentre invoca a piene mani e senza controlli quelli via terra, ma ieri è uscito un rapporto di Save The Children che merita attenzione perché parla di un argomento che sfugge da qualsiasi discussione dei cosiddetti grandi del mondo e che rende perfettamente l’impatto della pandemia nel futuro un po’ più largo della visione del nostro semplice quartiere.

Dice il rapporto ‘Save our education – Salvate la nostra educazione’ che a oggi nel mondo sono 1,2 miliardi gli studenti colpiti dalla chiusura delle scuole e che la crisi provocata dal Covid-19 potrebbe costringere almeno 9,7 milioni di bambini a lasciare la scuola per sempre entro la fine di quest’anno, mentre milioni di altri bambini avranno gravi ritardi nell’apprendimento.

L’indice prende in considerazione in particolare tre parametri: il tasso di abbandono scolastico precedente all’emergenza, le diseguaglianze di genere e di reddito tra i bambini che lasciavano la scuola e il numero di anni di frequenza scolastica. L’analisi di questo indice mette in evidenza come in 12 paesi – Niger, Mali, Ciad, Liberia, Afghanistan, Guinea, Mauritania, Yemen, Nigeria, Pakistan, Senegal e Costa d’Avorio – il rischio di incremento di abbandono scolastico sia estremamente elevato. Anche in questo caso sono le donne quelle che rischiano di subire di più: sono 9 milioni le bambine in età di scuola primaria che rischiano di non mettere mai piede in una classe, a fronte di 3 milioni di bambini.

Ha detto Inger Ashing, ceo di Save the Children: «Circa 10 milioni di bambini potrebbero non tornare mai a scuola: si tratta di un’emergenza educativa senza precedenti. Proprio per questo i governi devono investire urgentemente nell’apprendimento, mentre al contrario siamo a rischio di impareggiabili tagli di bilancio, che vedranno esplodere le disparità esistenti tra ricchi e poveri e tra ragazzi e ragazze. Sappiamo che i bambini più poveri ed emarginati che erano già i più a rischio hanno il danno maggiore, senza accesso all’apprendimento a distanza o qualsiasi altro tipo di istruzione, per metà dell’anno accademico».

È qualcosa di spaventosamente mostruoso, una di quelle situazione di cui non ci occupiamo perché ci appare così grande rispetto ai nostri piccoli problemi locali e che poi invece torna qui, sulle nostre coste. No?

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati

Seguitemi un secondo: in Italia in questo momento ci sono 13.179 persone ufficialmente positive al Covid-19. 13.179 persone che sono potenzialmente infettive e pericolose per la salute pubblica. In Lombardia, tanto per fare un esempio partendo dalla regione più colpita, sono 8.004 di cui ben 7.813 in isolamento domiciliare. Avete letto bene: in Lombardia 7.813 persone sono a casa propria (o in una struttura messa a disposizione) a convivere con il virus e si spera che tutte le 7.813 persone rispettino l’isolamento e non scorrazzino in giro, non mettano nemmeno il naso fuori dalla porta visto che è dal naso che il Coronavirus prolifica e si moltiplica.

In Piemonte quelli in isolamento domiciliare riconosciuti positivi sono 859, in Emilia Romagna sono 1.077 e, per andare sulle regioni meno colpite, in Campania sono 233, in Sicilia 118, in Abruzzo 128 e in Calabria 53. Tutti numeri di cui la politica nazionale e la stampa parla poco o quasi niente: in effetti sono numeri risibili rispetto a quello che abbiamo passato nei mesi peggiori e del resto si spera che i controlli e il senso di responsabilità prevalgano, sempre. È bastato vedere quanto si sia arrabbiato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia quando un suo cittadino, con i sintomi Covid, ha deciso allegramente di partecipare a feste, compleanni e funerali fregandosene di tutto e di tutti e mettendo a rischio decine di persone.

La situazione è molto delicata e anche un’equilibrata narrazione (da parte dell’informazione e della politica) può evitare allarmismi e troppa leggerezza, tenendo quel sottile equilibrio che permette di non trasmettere fobie ma allo stesso tempo di tenere alta la guardia sui pericoli della pandemia.

Bene, ora andiamo a Roccella Jonica, Calabria, dove tra alcuni migranti sbarcati sono stati trovati 28 positivi al Covid che proprio in queste ore sono stati distribuiti sul territorio. Anche questa è una soluzione delicata: bisogna garantire sicurezza ai cittadini e bisogna organizzare un isolamento che garantisca sicurezza a tutti. Ora provate ad ascoltare come questi 28 (paragonati ai numeri generali) siano raccontati da certa stampa e da certa politica. Ricordatevi anche che in Italia, purtroppo, è iniziata la pandemia occidentale e ricordatevi per quante settimane siamo stati noi gli untori agli occhi del mondo. È il solito caos strumentale su alcune situazioni particolari che non tiene conto della situazione generale. È il solito sciacallaggio che riformula la realtà per un pugno di voti. E ancora una volta ci ricadiamo.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Si vergognano di essere fascisti

Non capisco quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo…

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Se la Corte Costituzionale arriva prima del Pd a bocciare i decreti sicurezza di Salvini

Alla fine è dovuta arrivare la Consulta a dire quello che tutti sapevano, che in molti ripetevano da tempo e che perfino il semplice cittadino aveva capito senza bisogno di studi costituzionali: il primo decreto sicurezza voluto dall’ex ministro Salvini, quello salutato come se fosse una rivoluzione epocale anche dall’attuale presidente del consiglio Giuseppe Conte e da Luigi Di Maio quando era capo politico del Movimento 5 Stelle, è una boiata pazzesca per impostazione, per tutela dei diritti e perfino per la sicurezza nazionale che veniva tanto decantata dalle parti in commedia.

“La Corte ne ha dichiarato l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”, scrive nella sua nota stampa la Corte Costituzionale, dando una martellata a chi davvero pensava che rendere invisibili le persone fosse un metodo valido perché non esistessero, una martellata a questa sedicente sinistra che ha dovuto aspettare i tempi biblici della giustizia prima di dare un cenno di vita e una martellata a chi è caduto nel tranello di un decreto che fingendo di garantire sicurezza in realtà non ha fatto altro che aumentare l’incertezza legislativa (e quindi proprio il controllo di cui andavano riempiendosi la bocca).

Ora, ad aggiungere pochezza a questo pochissimo spettacolo, si aggiungono anche i membri della maggioranza, quelli stessi che stanno nello stesso governo che avrebbe potuto abolire i decreti prima che si pronunciasse un tribunale, a spiegarci che loro lo sapevano, che era chiaro che fosse così e a esultare per un’iniziativa che la politica (cioè: loro) non ha avuto il coraggio di prendere in nome della vigliacca timidezza che continuano a portarsi dietro. “La Corte costituzionale conferma l’assurdità di alcune delle scelte propagandistiche volute dall’ex ministro Salvini, i cui decreti hanno prodotto molti effetti negativi per tutti”, dice il viceministro dell’Interno Matteo Mauri, il viceministro in persona, quello che avrebbe dovuto fare qualcosa e invece oggi legge comodamente la sentenza scritta dagli altri che gli ha tolto le castagne dal fuoco.

Leggi anche: “Fermate il Decreto Salvini: 18mila licenziamenti tra noi operatori dei Cas, migranti in mano alle mafie” 

L’articolo proviene da TPI.it qui

Amate smisuratamente

Cosa ci colpisce e ci affonda dei bambini quando si buttano in tutto quello che fanno, quando stritolano per il volere bene il collo di qualcuno, quando si incaponiscono su inezie che non si riescono a pesare, quando gioiscono come se soffiassero da tutti i pori, quando si lamentano con lamenti lamentosi che sembrano la fine del mondo? È il loro senso della dismisura, quel vivere ogni sensazione senza paracadute, senza nient’altro tutto intorno.

Ogni tanto mi viene da pensare che poi, con gli anni, tutti noi a quell’essere a dismisura ci aggiungiamo il controllo e la patina della paura di tutte le botte che abbiamo preso, delle ferite che ci sono rimaste addosso, dell’incriocchiarsi dei sentimenti come se dovessero essere tenuti a bada e della buona educazione che ci viene imposta come limitazione di ciò che sentiamo e di ciò che siamo in nome di una rotondità sentimentale sociale che è quasi un annilichimento.

Pensate agli adulti con la dismisura dei bambini che difendono i diritti, che lottano per ciò che è giusto, che non lesinano energie per ciò in cui credono e che non accettano la realtà smussata di chi ci racconta che le cose vadano così perché devono andare così perché non c’è alternativa di come potrebbero andare. Pensate all’amare a dismisura le ingiustizie, quelle piccole e quelle grandi, e battersi smisuratamente per curarle e smisurata,ente prendersi cura di quelli che abbiamo vicino e che abbiamo lontano.

Perché poi in fondo tutti gli eroi sono smisurati: è smisurato il modo in cui ci hanno creduto, è smisurato il modo in cui hanno tenacemente tenuto la posizione quando non conveniva e è smisurato il modo in cui poi vengono seguiti dopo essere stati derisi.

Ecco, se ci fosse un augurio da farci per questa estate che percorriamo sulle macerie e sui muri sfranti che ci ritroveremo a percorrere, l’augurio che ci farei è quello di amare smisuratamente, di scrollarci dalle spalle questa misura che è un fardello e cominciare a pensare che ci siano motivi validi per essere smisurati. E fa niente quello che ci dicono intorno.

Amate smisuratamente, vi darà nuove misure.

Buon venerdì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Decidere di non decidere

Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare

Blocchiamo subito tutti quelli che ci dicono che con quegli altri (Salvini e compagnia cantante) sarebbe stato molto peggio: lo sappiamo, lo sappiamo benissimo ma non ci basta per stare zitti e non vogliamo stare zitti. Sul ponte di Genova si consuma un errore politico che abbiamo vissuto più volte e che tutte le volte sembra che ci dimentichiamo con facilità e ci incagliamo di nuovo: promettere, parlare, dire e ridire, accusare e poi non fare.

Decidere di non decidere è comodissimo, mica solo in politica, proprio nella vita: c’è gente che decide di non decidere, di rompere amicizie che andrebbero rotte e se le trascina per anni e ogni volta che accade qualcosa ritira fuori dal cilindro tutte le colpe degli anni precedenti. Accade anche nei rapporti di coppia. È il metodo perfetto per incancrenire le relazioni e per distruggere chirurgicamente tutto quello che è stato. Non si decide di prendersi le proprie responsabilità ma si rimane comodamente nella posizione di chi può in qualsiasi momento recriminare. Bello comodo, eh?

Sul decidere di non decidere poi, se ci pensate, si gioca anche la vita di molti incompiuti: sono quelli che per non fare accadere le cose, perché non ne hanno il fegato, fanno in modo che le facciano accadere gli altri. In pratica: non faccio succedere qualcosa ma faccio di tutto perché succeda ma non se ne possa dare a me la responsabilità.

Sul ponte di Genova è accaduto lo stesso: mentre quelli costruivano il ponte si diceva che i Benetton erano sporchi e cattivi ma nel frattempo nessuno si dedicava a sistemare le carte e le regole perché le cose cambiassero.

Così ci ritroviamo qui: il ponte di Genova, il nuovo ponte, è finito e i concessionari sono ancora gli stessi ritenuti colpevoli del disastro. Sappiano i nostri politici che possono fare tutto il chiasso che vogliono ma qui da fuori tutto risulta goffo, inutile e piuttosto ridicolo.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Gli eroi sono stanchi

«Dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid, mi trovo a piangere lacrime di rabbia», ci scrive un’infermiera in una lettera-denuncia

Ricevo e pubblico la lettera di un’infermiera. C’è dentro tutto: questo tempo, quello passato e un suggerimento per il futuro.

Oggi vorrei parlarvi di quegli eroi di cui molte persone si sono riempite la bocca qualche mese fa: gli infermieri ai tempi del Covid-19.

Ho odiato il termine eroi dal primo momento in cui è stato utilizzato, perché non abbiamo fatto niente di straordinario, è il nostro lavoro. Eroico è più che altro il modo in cui l’abbiamo fatto, cioè sbattuti dai piani alti in prima linea (altro termine molto usato, ma che non amo) senza formazione e – soprattutto – senza risorse sufficienti, sia in termini di materiale che di personale. Abbiamo dovuto far fronte ad una situazione in continua evoluzione e senza l’appoggio dei superiori, avendo un coordinatore che si è eclissato misteriosamente il giorno in cui il reparto è stato adibito ai pazienti Covid.

Ma questo è il passato e speriamo che rimanga tale. Non voglio ripetere le condizioni in cui abbiamo lavorato perché ne hanno già parlato tanti altri prima di me.

Ma come stanno gli eroi oggi? Perché nessuno ne parla più, come volevasi dimostrare.

Qualcuno penserà che abbiamo tirato un sospiro di sollievo, che abbiamo ricominciato a respirare. Nì. Sicuramente siamo felici di non vedere più gente morire ogni giorno e sentirci totalmente impotenti davanti a tanto dolore e solitudine.

Ma nessuno, dall’alto, ha pensato minimamente che abbiamo bisogno di rallentare. Veniamo da un periodo di alto stress e in tutta risposta ci sono stati intensificati i turni, arrivando a 7 giorni consecutivi di lavoro, più notti consecutive, poco riposo. Ci siamo visti totalmente modificati i turni il 29 del mese per il 1° del mese dopo.

Perché per loro (quelli che io chiamo piani alti, i potenti, quelli che non hanno un contatto col paziente) non siamo persone, siamo solo numeri di matricola usati per coprire i buchi sul foglio dei turni. Non abbiamo famiglie, impegni, passioni al di fuori del lavoro. Dobbiamo essere pronti in ogni momento a rispondere alla chiamata dell’azienda. Cene con gli amici, week end al mare, visite mediche dei figli. Non esiste niente di certo per noi.

In più, nel mio reparto il lavoro si sta facendo sempre più difficile e intenso, perché il nostro coordinatore, che ha da poco ripreso a venire in reparto, è presente solo 15 ore a settimana, quindi per le restanti 153 ore passiamo buona parte del turno a dover risolvere problemi burocratici che non ci competono, sottraendo tempo necessario all’assistenza dei pazienti.

Se un collega si ammala, il responsabile che deve occuparsi di sostituirlo fa metodicamente spallucce, quindi dobbiamo telefonare a una marea di reparti facendoci dare i numeri di colleghi che sono a casa di riposo e pregarli di venire a darci il cambio. Altrimenti, si fa doppio turno. 12 ore e passa la paura.

Personalmente, dopo un mese d’inferno in reparto Covid e un mese di quarantena con polmonite da Covid (causata dalla mancanza di dpi), mi trovo a piangere lacrime di rabbia. Non abbiamo sofferto abbastanza? Ho la gastrite da stress, alti livelli di glicemia, ormoni ballerini, non dormo bene e ci sono giorni in cui la stanchezza mi fa a malapena reggere in piedi. Sono esausta, incazzata, delusa.

Ho sempre amato il mio lavoro, ora vado in reparto con la nausea. Vorrei abbandonare tutto e fare altro, ma al momento non me lo posso permettere. Mi hanno fatto odiare un lavoro che ho sempre fatto con passione, responsabilità e competenza.

E tutto ciò, dalla disorganizzazione del reparto, l’aumentato carico di lavoro, fino all’esaurimento psicofisico del personale (pardon, dei numeri di matricola) va a discapito del paziente. E ciò mi fa davvero male. Perché vorrei fare sempre del mio meglio, ma in certi momenti è dura avere un sorriso per gli altri quando non ne hai più nemmeno per te. È difficile fare bene le cose quando nello stesso tempo di sempre devi farne il doppio. Sacrifici, solo sacrifici.

E questa è solo la situazione nel mio piccolo reparto. L’argomento potrebbe andare avanti parlando di contratto nazionale, di ferie non godute, stipendi bassi, mobilità bloccate, competenze non riconosciute, eccetera.

Gli eroi sono stanchi. Gli eroi non erano quelli del Covid, siamo sempre stati eroi, se lo volete sapere. Solo che ve ne siete resi conto solo poco tempo fa (e forse ve ne siete anche già dimenticati).

Siamo stanchi.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

L’amore fino alla fine

La lettera di addio di Ennio Morricone ai suoi cari e alla moglie Maria

Non interessa qui raccontarti della grandezza artistica di Ennio Morricone di cui sono giustamente zeppi i giornali di tutto il mondo, il suo avere composto la colonna sonora del ‘900 è scritto nel registro sentimentale di questo secolo.

C’è un altro punto però che vale la pena osservare: Ennio Morricone ha scritto il proprio necrologio, come se non avesse voluto regalare a nessuno il proprio pentagramma nemmeno nella sua ultima battuta, con un perfezionismo che raccontano quelli che gli stavano vicino che avesse anche nel suo mestiere.

E il suo necrologio inizia con una frase gigantesca: «Io Ennio Morricone sono morto». Si è preso tutta fino all’ultima nota annunciando la sua partenza già da dipartito. Ditemi se non ci vuole una mente ampia a scrivere un inizio così.

«Io Ennio Morricone sono morto. Lo annuncio così a tutti gli amici che mi sono stati sempre vicino ed anche a quelli un po’ lontani che saluto con grande affetto. Impossibile nominarli tutti. Ma un ricordo particolare è per Peppuccio e Roberta, amici fraterni molto presenti in questi ultimi anni della nostra vita. C’è solo una ragione che mi spinge a salutare tutti così e ad avere un funerale in forma privata: non voglio disturbare. Saluto con tanto affetto Ines, Laura, Sara, Enzo e Norbert per aver condiviso con me e la mia famiglia gran parte della mia vita. Voglio ricordare con amore le mie sorelle Adriana, Maria e Franca e i loro cari e far sapere loro quanto gli ho voluto bene. Un saluto pieno intenso e profondo ai miei figli, Marco, Alessandra, Andrea e Giovanni, mia nuora Monica, e ai miei nipoti Francesca, Valentina, Francesco e Luca. Spero che comprendano quanto li ho amati. Per ultima Maria (ma non ultima). A Lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare. A Lei il più doloroso addio».

Per un uomo per cui sono così importante gli spazi e l’ordine delle cose l’ultima frase dell’ultimo respiro è per sua moglie Maria Travia: i due si conobbero nel 1950 e si sposarono 6 anni dopo.

«È stata bravissima lei a sopportare me. È vero, qualche volta sono stato io a sopportarla. Ma vivere con uno che fa il mio mestiere non è facile. Attenzione militare. Orari rigorosi. Giornate intere senza vedere nessuno. Sono un tipo duro, innanzitutto con me stesso e di conseguenza con chi mi sta attorno», disse in un’intervista al Corriere della Sera.

Un amore fino alla fine. Letteralmente. Letterariamente.

Buon martedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Quei migranti che il Governo e l’Europa considerano carne da macello. Proprio come Salvini

Fuori da quelle navi dovrebbero attaccarci un cartello, avere il coraggio di farlo davvero, e scriverci su “carne da maneggiare con cura”. Le persone che continuano a essere alla deriva in questo Mediterraneo così tristemente uguale a se stesso non sono persone come tutti gli altri, non sono gente con un passato e con un presente o chissà perfino un futuro, quelle persone sono carne che non è buona nemmeno da mangiare ma che torna utilissima per il carpaccio della retorica politica e per essere lanciata a fette contro l’avversario di partito.

Se arrivano in Italia, come accade da 12 giorni alla Ocean Viking con a bordo 180 persone, allora sono carne pronta per essere addentata da Salvini e dai suoi amici per raccontare la solita invasione che non c’è e che non c’è mai stata, il tutto condito anche con il terrore del Covid che intanto viaggia per tutto il Veneto nella tasca di un dirigente d’azienda che ha giocato a fare il super eroe. Ma sono carne da macello anche per i partiti di governo, per quelli che vigliaccamente hanno paura di essere considerati troppo buoni, per quelli che invece i migranti li vorrebbero usare come fa certa destra ma non possono per equilibri di governo. E sono carne da macello anche per il presidente del Consiglio, che non riesce a trovare nessuna opportunità fotografica per potersi permettere di parlarne.

Sono carne da maneggiare con cura anche per la ministra Lamorgese, quella che ha usato la ferocia invisibile sui social per contrastare il feroce che è dappertutto sui social: stessi temi, stessi modi, stesso punto di vista ma atteggiamenti diversi che vorrebbero essere rivenduti come una qualità. Che qualità vacua, invece. Sono carne da maneggiare con cura anche i 52 migranti che sono a bordo del mercantile Talia che ha avuto l’ardore di ritardare la consegna del carico per salvare le persone, pensa un po’.

Quella foto di un macchinista che sorregge sulle braccia uno scheletrico profugo molle come un orologio di Dalì è il manifesto dell’Europa che tace e acconsente, che continua a fare i conti per i soldi da sparpagliare in giro ma che non ne vuole sapere di quella carne che arriva dal mare, quella carne che, disdetta, scappa ai carnefici libici che pure paghiamo così tanto e così bene. Non sono più persone, non sono più nemmeno numeri: sono carne da conservare perché non diventi rancida e non puzzi troppo alzando lo sdegno e sono carne a cui trovare un angolo dentro il congelatore senza spostare troppo tutto il resto.

Leggi anche: 1. Salvini e i suoi poliziotti: ma mio figlio ha il coraggio delle sue idee (di Selvaggia Lucarelli) / 2. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 3. Stabilimenti balneari, il Parlamento si inventa il “condono”: concessioni a prezzi irrisori e senza gare

4. Meloni a TPI: “Mentre gli italiani muoioni di fame, il governo pensa a regolarizzare i clandestini” / 5. In Italia crolla la vendita di mascherine: “Calo di due terzi, mentre i contagi aumentano” / 6. Camici per medici forniti da ditta della moglie di Fontana: Procura indaga per turbativa d’asta

L’articolo proviene da TPI.it qui

Piccolo manuale di discontinuità

Rispetto ai disperati che stanno in mezzo al Mediterraneo e che vengono torturati in Libia, rispetto agli schiavi che lavorano nei campi, rispetto all’Egitto, non basta dire di essere discontinui, bisogna agire in modo differente (se non addirittura opposto) rispetto al governo precedente

Per essere discontinui non basta dirlo, non basta ripeterlo, non basta annunciarlo. Quello vi rende annunciatori e, alla lunga, ipocriti. Per essere discontinui bisogna agire in modo differente (se non addirittura opposto) rispetto al governo precedente. Il resto sono moine da narrazione tossica.

Essere discontinui rientra nel campo del fare e non in quello del dire: se volete tenere un atteggiamento diverso rispetto ai diritti dei disperati che stanno in mezzo al Mediterraneo e che vengono torturati in Libia non basta (vi do questa terribile notizia) trattenersi dal dire che devono essere affondati, no. Bisogna tenere un atteggiamento diverso rispetto ai diritti dei disperati che stanno in mezzo al Mediterraneo e che vengono torturati in Libia. Sembra facile ma evidentemente vi sfugge.

Per essere discontinui non si può attaccare il proprio avversario politico perché ha lasciato una barca in mezzo al mare e poi lasciare una barca in mezzo al mare. Lo capirebbe perfino un fesso. E infatti lo sta capendo benissimo anche quello che prima contestavate a gran voce, e lo sta dicendo in giro.

Per essere discontinui non bisogna andare a teatro e al cinema per mostrare la differenza rispetto a quelli che vedono come massima espressione culturale la sagra della salsiccia. Per essere discontinui bisogna aiutare il teatro e il cinema e tutte le persone che ci lavorano. Tra l’altro, a bene vedere, è un mondo che non ha proprio bisogno di testimonial, di quelli ne ha in abbondanza.

Per essere discontinui non basta dire “adesso che ci siamo noi con l’Egitto cambia tutto” ma bisogna fare in modo che cambi qualcosa, se non tutto, con l’Egitto. Anche questa sembra banale ma pare sfuggire ai piani alti del governo.

Per essere discontinui non basta dire che fanno schifo i caporali sporchi e cattivi che schiavizzano le persone nei campi ma bisogna sostenere gli schiavi che lavorano nei campi.

Per essere discontinui bisogna avere il coraggio di essere diversi, ma diversi davvero, e per essere diversi bisogna avere il coraggio di parlare a quelli che non si sono sentiti rappresentati nel governo precedente. Badate bene: fare più o meno quello che facevano gli altri ma con buone maniere vi rende al massimo educati, mica discontinui

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.