Vai al contenuto

renato brunetta

Eccoli “i migliori”

Cosa hanno fatto e detto in passato alcuni ministri del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, il cosiddetto governo dei migliori

Renato Brunetta in un Paese normale, in un Paese capace di esercitare il muscolo della memoria almeno per qualche anno, sarebbe considerato un politico “finito”, uno di quelli che incassa con dignità le sue sconfitte e silenziosamente si ritira a fare altro. In Forza Italia, nella Forza Italia che si è sgretolata in questi ultimi anni, lui ha mantenuto invece la qualità politica che più conta da quelle parti, la fedeltà al capo e ad esserne lo scherano e così ce lo ritroviamo estratto dal cilindro. Brunetta fu già ministro nel terzo governo Berlusconi, proprio alla Pubblica amministrazione, ve lo ricordate? Fu quello che si presentò additando come «fannulloni» i dipendenti pubblici (e se ci fate caso quel vento sta tornando di moda, bravissimo Draghi a fiutarlo, chapeau) e pensò bene di installare dei tornelli negli uffici (voleva metterli anche nei tribunali) per risolvere il problema dell’assenteismo. Capite vero? Il governo dei migliori che dovrebbe farci dimenticare i banchi con le rotelle ha ripescato dal cassetto dei giocattoli rotti il ministro dei tornelli. Fu il Brunetta che si scagliava contro i magistrati che «lavorano due e tre giorni alla settimana» (ma per difendere Berlusconi bisogna per forza odiare i magistrati) e che aveva definito alcuni poliziotti dei «panzoni passacarte». La sua riforma che avrebbe dovuto rivoluzionare la pubblica amministrazione non ha cambiato nulla, nulla. In compenso Brunetta fu quello che accusava le donne di usare «gli ammortizzatori sociali per fare la spesa» e che, tanto per farsi un’idea dello spessore culturale, disse: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Pae­se ed è quello che si vede in que­sti giorni alla Mostra del Cine­ma di Venezia». Un migliore, senza dubbio.

Mariastella Gelmini fu la ministra all’Istruzione che per quelli della nostra generazione ha lasciato come ricordo le macchie di un incubo. Tanto per stare sui numeri: un taglio in tre anni di 81.120 cattedre e 44.500 Ata (il personale non docente). È la sforbiciata complessiva di 125.620 posti dal 2009 al 2011 che avrebbe dovuto far risparmiare all’Erario poco più di otto miliardi di euro. Otto miliardi e 13 milioni, per la precisione, stima il Tesoro nel «Def 2011». Parte di queste risorse, il 30%, servivano a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel luglio 2010 da Giulio Tremonti. Da buona efficiantista non sognava una scuola migliore ma ambiva a tagliare “gli sprechi”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte ai tagli alla ricerca, era però dovuto intervenire a gamba tesa nel 2009 invitando la ministra a «rivedere alcuni tagli indiscriminati». Delle donne disse che sono delle «privilegiate» se scelgono di assentarsi dal lavoro dopo la gravidanza. Nel 2009 pensò anche a un tetto del 30%, per ridurre il numero degli stranieri in classe. Una migliore, applausi.

Erika Stefani è ministra alle disabilità. Già il fatto che per le disabilità venga messo in piedi un ministero senza sapere e senza capire che il tema attraversi tutte le competenze ha la forma di un’elemosina, lo ha spiegato benissimo Iacopo Melio in questo articolo per Repubblica, ma uno si aspetterebbe che in quel ministero lì ci sia una persona empatica, inclusiva, con testa e cuore larghi. Erika Stefani è stata ministra con il primo governo Conte ma se la ricorda solo Wikipedia. Fino a qualche giorno fa aveva come copertina della sua pagina Facebook la sua foto in Parlamento mentre strillava con un cartello “No ius soli”. Era una di quelli che proponevano le gabbie salariali ovvero «alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud». Una migliore, complimenti.

Poi c’è Giorgetti, sempre della Lega, come Stefani. Giorgetti è in Parlamento dal 1996 e ha il grande “pregio” di aver sempre seguito i potenti, passando indenne da Bossi a Maroni fino a Salvini. Parla poco perché quando parla dice cose che rimangono impresse a fuoco come quella volta che disse che i medici di famiglia non servono più. Infatti nella sua Lombardia i medici di famiglia sono stati disarticolati e la Covid ha preso piede con grande libertà. Un capolavoro. Giorgetti è uno di quelli stimati perché non parlano mai e rischiano di sembrare intelligenti, come Guerini nel Pd, sempre pronti ad attaccarsi alle braghe del potente giusto per risultare pontieri mentre invece sono solo camerieri. Giorgetti era uno di quelli che ci spiegò che i mercati europei attaccavano la Lega perché «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono», disse proprio così. Ora è europeista. Che migliore, davvero.

Questo è solo un assaggio. Nei prossimi giorni li raccontiamo per bene tutti. Evviva i migliori. Evviva.

Buon lunedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Renzi salva il reddito di cittadinanza. Di Brunetta.

(sembra una barzelletta, lo so, fonte)

Non serve un reddito di cittadinanza, ma un lavoro di cittadinanza. L’idea è del segretario uscente del Partito Democratico Matteo Renzi. Parla dalla California, dove ha deciso di riflettere sulla ripartenza del suo percorso politico, attraverso il Messaggero: “Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione, che parla di lavoro, non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione”. Cosa intende per “lavoro di cittadinanza” non si sa. Mentre tutti si chiedono cosa possa essere (lavori una tantum? Socialmente utili? A chiamata?), ecco che basta fare una ricerca sul web per scoprire che la proposta del lavoro di cittadinanza Renzi non l’ha scoperta in California. Bensì in Italia, leggendo la Stampa del 9 febbraio. E’ infatti un’idea lanciata dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, con tanto di dossier elaborato dal consigliere economico e capogruppo a Montecitorio Renato Brunetta, non proprio un amico di Renzi. D’altra parte, dicono i maligni, i due si dovranno pur preparare a governare insieme dopo le prossime elezioni politiche, che quasi sicuramente non daranno una maggioranza definita.

La proposta di Berlusconi (e quindi di Renzi)
Gli italiani in difficoltà, spiegava la Stampa con un pezzo di Ugo Magri, sfiorano i 14 milioni. E la sondaggista di fiducia di Berlusconi, Alessandra Ghisleri, aveva confermato che a questo giro il bacino di voti da conquistare sono i poveri. Quindi non più (o non solo) abbassamento delle tasse o ritocchi alle pensioni. Ma un “reddito minimo garantito”. Anzi, il vero nome è proprio quello buttato lì, in mezzo al colloquio con il Messaggero, da Renzi: lavoro di cittadinanza. Il leader del Pd non lo spiega cos’è quindi viene in soccorso proprio il pezzo della Stampa che cita la proposta di Berlusconi e Brunetta: garantire per legge un’occupazione di 3 mesi a tutti quanti ne faranno domanda e questi 3 mesi di lavoro daranno diritto a trascorrerne altrettanti con l’indennità di disoccupazione.

L’urgenza di Renzi di trovare “parole nuove”
Il dato politico dell’uscita di Renzi è che ha l’urgenza di trovare un segno per “farsi notare”, di utilizzare un nuovo linguaggio, nuove elementi di riconoscimento per far ripartire il suo percorso politico, dopo la sconfitta al referendum costituzionale, le dimissioni da capo del governo, la crisi nera in cui ha trascinato il suo partito. Renzi ha la fretta di individuare, insomma, le nuove parole d’ordine, dopo lo svuotamento di quelle che ha usato in questi tre anni. La sua campagna elettorale per le primarie del Pd avrà il via ufficiale con la presentazione della sua mozione congressuale a inizio marzo, al Lingotto di Torino, cioè lo stesso posto in cui fu fondato il Partito Democratico nel 2007. “Dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare che negli Usa non c’è come da noi in Europa“. Quindi, “niente rassegnazione o ripiegamenti su se stessi”, perché “il futuro prima o poi torna”, aggiunge, riproponendo un concetto usato un mese fa nel primo articolo del suo nuovo blog.

La battaglia a Orlando e (soprattutto) a Emiliano
Quindi l’operazione è stata in due mosse. Da una parte Renzi – quasi sdegnato – si è scrollato di dosso le beghe sulle primarie che hanno fatto litigare il Pd per settimane e se n’è andato in California. Dall’altra, però, vuole essere ben inserito nell’agenda del dibattito già serrato con i suoi rivali nella corsa alla segreteria del partito di maggioranza relativa. Risponde per esempio a Andrea Orlando che ieri aveva buttato lì che Renzi va in California e lui andrà a Scampia, allo Zen e a Quarto Oggiaro (nel senso che l’origine del successo del populismo va cercato nelle periferie). “Sto girando e continuerò a farlo – dice Renzi – Ora che mi sono dimesso da tutto sono un uomo libero. Sono stato a San Francisco ma anche a Scampia e lunedì andrò a Cernusco sul Naviglio“.

L’argomento reddito di cittadinanza invece sembra il campo perfetto per affrontare Michele Emiliano. La Regione Puglia, infatti, già da oltre un anno ha varato un “reddito di dignità” con 600 euro per 60mila persone. “E’ un modo di essere di sinistra in modo moderno” aveva detto il governatore. Già allora Renzi diceva che per combattere la povertà non ci vuole un reddito di cittadinanza ma un lavoro, così non sorprende che lo ripeta ancora oggi.

I redditi di cittadinanza nelle Regioni a guida Pd
Al contrario, in realtà, il Pd sperimenta già oggi in diverse Regioni d’Italia redditi di cittadinanza o simili chiamati in modi diversi e sviluppati con forme diverse. In Emilia Romagna – presidente Stefano Bonaccini, renziano – proprio quest’anno partirà una misura che distribuirà fino a 400 euro al mese in una platea di 90mila cittadini. In Friuli Venezia Giulia – presidente Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, renziana – andrà avanti fino al 2018 una misura a sostegno delle famiglie, con una quota di garanzia fino a 550 euro. Provvedimento simile lo ha provato la Regione Basilicata – presidente Marcello Pittella, renziano -, dove l’assegno per circa 8mila famiglie avrebbe come base le royalty del petrolio. Ultimo caso in ordine cronologico in Regione Toscana – presidente Enrico Rossi, uscito dal Pd, proponente Leonardo Marras, capogruppo renziano – dove la proposta in discussione in consiglio propone di dividere 35 milioni di euro in favore di 54mila famiglie in difficoltà.

Il M5s: “Si è dimenticato che ha governato per 3 anni”
Nel frattempo le opposizioni al governo rispondono a Matteo Renzi. “Lavoro di cittadinanza? Ci chiediamo come mai non ci abbia pensato negli ultimi 3 anni in cui ha governato il Paese” dichiarano i parlamentari M5S delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. “Il Jobs Act doveva creare lavoro – proseguono i Cinquestelle – ma oltre ad essersi rivelato un vero e proprio sperpero di miliardi di euro, è servito solo per rendere il mondo del lavoro più precario ed insicuro. Renzi non ha alcuna credibilità ed ha dimostrato di non aver mai avuto alcuna visione di futuro”.

Parla invece di “merce tarocca” il senatore di Forza Italia Lucio Malan. “Dopo aver messo in campo con il Jobs Act una riforma del mercato del lavoro disastrosa, i cui costi sulle tasse degli italiani sono andati in gran parte a beneficio delle aziende per assunzioni che avrebbero fatto comunque, Renzi ora lancia il vuoto slogan del lavoro di cittadinanza, cercando di pescare voti grillini con la scopiazzatura del nome. Insomma il ‘lavoro di cittadinanza’ è merce tarocca come quella che vendono abusivamente certi clandestini importati dal suo governo”.

“La proposta di Renzi sul lavoro di cittadinanza arriva fuori tempo massimo – sottolinea il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa – L’attenzione doverosa verso i soggetti più fragili doveva caratterizzare le riforme messe in campo quando Renzi era premier. Farlo ora appare un’operazione alquanto sospetta e volta a inseguire il Movimento 5 Stelle”. Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni è sarcastico: “Renzi è proprio geniale. Perché, che il lavoro è condizione di una cittadinanza degna è scritto nel primo articolo della Costituzione, quella che lui voleva demolire, e perché – sempre lui – ha fatto approvare il Jobs Act – di cui continua a cantare le lodi contro ogni ragionevole evidenza – che aveva come principale obiettivo quello di rendere più facile il licenziamento di chi un lavoro lo ha già.

L’insopportabile frustrazione degli inetti al potere

Ma quando vedi che un Sacconi, un Brunetta e naturalmente il Capo biascicano barzellette sconce, per anni, e insulti contro le donne, contro i precari, contro i magistrati, stavolta persino contro le suore, sempre gonfiando il petto, ma senza rischi, circondati come sono dalla bambagia dei guardaspalle, dei servi e protetti dalla incommensurabileottusità del denaro, ti chiedi se sia davvero il contesto ad allestire loro il testo. Se bastino le insufficienze dei loro corpi a giustificare questo surplus di deiezioni verbali che una infinità di altri maschi adulti nelle loro condizioni – uomini di Stato o Finanza o Impresa – mai si sognerebbero di pronunciare. E dunque ne concludi che la loro pubblica esibizione corrisponda a una voluttà, a un godimento per queste impudicizie che viene proprio da dentro. Da quell’indole ammaestrata dall’esperienza che gli antropologi chiamano cultura. Pino Corrias

La saga del cretino/2

La saga del cretino sta diventando una drammaturgia mozzafiato. Nella seconda puntata B. comunica che sopporta (non supporta, sopporta) Giulio solo perché lo conosce da tempo. E che bisogna fare gioco di squadra senza litigare in cortile. Poi sgrida Giulio in salotto perché è troppo amico dei mercati e troppo poco dei suoi elettori e gli confida di avere saputo del tradimento con la Lega e del successivo abbandono da parte dell’amante. Appassionante. Poco prima della sigla di coda preannuncia l’ingresso da protagonista di Angelino. A partire dalla puntata 2013. Ma si sa, nelle telenovelas cambia tutto in un minuto. Il riassunto delle puntate precedenti (che è anche lo spunto delle puntate future) è tutto qui.

E’ un cretino

Ed è un ministro. Ma è cretino ed è proprio scemo secondo Giulio Tremonti. Che è un altro nostro ministro nella stessa squadra di governo. E tutto il tavolo è la fotografia della nostra inetta classe dirigente che dovrebbe creare economia sana, lavoro e futuro per questo paese. Una tavolata dove (tra le altre cose) non siede nemmeno una donna.