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Renzi e il suo travaglio

Danneggiato dal suo narcisismo, come accade a tutti i narcisisti, Renzi ha monopolizzato l’ennesima settimana. Sarà contento, lui: i narcisisti, anche quelli consapevoli di avere imbroccato il sentiero del fallimento, non riescono a trattenere la maledetta voglia di essere al centro del dibattito (illudendosi di esserne il centro) e accettano, nella curva discendente, perfino lo scherno. Purché se ne parli, dicevano: una massima sempre in voga, senza che qualcuno, una volta per tutti spieghi, che sia una cagata pazzesca.

Questa settimana abbiamo saputo un po’ di cose. Sappiamo, ad esempio, che Matteo Renzi pensava di mettere in piedi una temibile macchina da guerra impegnata nella controinformazione e nella propaganda guidata da Fabrizio Rondolino (l’articolo potrebbe giù chiudersi qui), che considera un «ottimo giornalista», come ha detto sornione ieri dalla Gruber. Non stupisce, non è questione solo di Renzi. Il potere ama i giornalisti che supini fanno da amplificatori. Accade da sempre, ovunque. Che sia una cosa schifosa e autoritaria ogni tanto ci dimentichiamo di ricordarcelo.

La macchina della propaganda aveva l’obiettivo di schedare e infangare gli avversari

La macchina della propaganda aveva tra i suoi obiettivi quello di schedare e di infangare gli avversari, con notizie intrinsecamente diffamatorie. Dice Renzi, l’ha detto ieri ospite da Lilli Gruber – dove ha collezionato la sua figura peggiore – che quella modalità è la stessa dei suoi avversari (riferendosi al M5S e a Il Fatto Quotidiano). Facciamo che gli crediamo. La notizia, però, è che Matteo Renzi è identico nelle modalità e nell’etica a quelli che lui considera i peggiori sulla faccia della Terra. Anche solo così è una notizia: Renzi certifica la sua convinzione che i fini giustifichino i mezzi. E questa cosa fa schifo, vale la pena ricordarselo.

Dove doveva avvenire tutto questo giochetto sporco? Su server stranieri, quindi non sottoposti alla legislazione italiana. Vi ricordate quando i giornalisti strepitavano per l’interferenza straniera sulla propaganda social di alcuni partiti italiani? È lo stesso. Con una differenza sostanziale: un ex presidente del Consiglio ha nella sua pletora di consiglieri qualcuno convinto che sfuggire alla legge del proprio Paese permetta più libertà. Lasciate perdere tutto il resto, le accuse di rimbalzo e le rivendicazioni, non fa già schifo così?

Ai tempi di Berlusconi dare del ladro a qualcuno era un modo per lenire le proprie colpe

Ai tempi di Berlusconi dare del pregiudicato a qualcuno era un modo per lenire le proprie colpe. Pensateci bene: se si riesce a dimostrare che tutti sono ladri, il ladro diventa meno colpevole, perché la colpa è generalizzata. Roba da terza media o giù di lì, solo che sentirla ancora come giustificazione fa schifo. Straordinario il passaggio in cui Matteo Renzi ci dice che ciò che conta è solo una condanna passata giudicato e non l’inopportunità. Per carità, è un’opinione legittima, così facendo Al Capone sarebbe solo un criminaluncolo. Ma, vabbè. Peccato che a Renzi non sia mai scappato «un pregiudicato!» Infilzato con posa da moschettiere a Berlusconi, al suo amico Verdini e a altri compagnucci della cerchia. Ripetere «pregiudicato» a un giornalista, in una trasmissione televisiva, ossessivo come un misero bot è garantista? Essere seriamente garantisti è un compito difficile: bisogna avere le spalle abbastanza larghe, perché poi si risulta incoerenti. E l’incoerenza, come la falsità o la piccolezza umana o l’insopportabile egocentrismo o l’abitudine a frequentare pessime persone, non sono un reato. Eppure fanno schifo.

Non è un reato nemmeno raccontare un balla in televisione (altrimenti il Parlamento sarebbe decimato) eppure Renzi che dice di avere creato «1 milione e 300mila posti di lavoro» è bugiardo. Durante il suo governo i nuovi occupati sono stati 540mila che si sono ritrovati a dover firmare e poi riformare microcontratti con meno tutele e diritti. Fingere di non saperlo fa schifo.

Renzi ha finto di voler parlare di vaccini, tirato fuori Prodi mentre gli si chiedeva di Bin Salman

Poi c’è il mancato collegamento con la realtà. Andare in una trasmissione, per chiarire cose scritte sul proprio conto e rigirare una puntata per parlare dei propri accusatori è una berlusconata del periodo peggiore. Renzi, che ieri fingeva di voler parlare di vaccini, è riprovevole. Riuscire a tirare fuori Prodi, mentre gli si chiede del tagliagole Bin Salman che fa a pezzi i giornalisti che non gli piacciono in un Arabia Saudita, è una mossa miserabile. A proposito: che pensa Renzi del regime saudita che taglia a pezzi i giornalisti? Perché questa cosa fa terribilmente schifo. E che pensa del fatto che la più grande autorizzazione per forniture all’Arabia Saudita di bombe, quasi 20.000, prodotte in Italia fu approvata quando Matteo Renzi era presidente del Consiglio? Non è bastata una trasmissione per saperlo. Forse a Renzi sfugge che dal suo amichetto saudita la trasmissione di ieri non sarebbe nemmeno andata in onda. Questo è il punto focale: possiamo permetterci di giudicare un politico dalle sue frequentazioni? Certo che sì. Se a Renzi non sta bene se ne faccia una ragione.

Renzi con il 2 per cento ha riportato Salvini al governo

A proposito: dice Renzi che loro con il 2 per cento hanno fatto fuori Salvini. Falso anche questo: con il loro 2 per cento hanno riportato Salvini al governo e perfino quel 2 per cento è un’illusione ottica, dovuta a una mossa parlamentare che non ha niente a che vedere con la politica. Il partito di Renzi esiste solo in Parlamento, perché Renzi (l’incoerente per natura, che contestava chi lasciava il PD senza dimettersi e chi si faceva il suo partito personale) ha fatto esattamente ciò che condannava, riuscendo ad aver un partito che ha più senatori che elettori.

Dice Renzi che fa il conferenziere e nessuna legge glielo vieta. Nessuna legge vieta nemmeno di giudicare la moralità di un politico che fa conferenze per un regime. Pari, patta. Renzi aggiunge che paga le tasse in Italia. Ci mancherebbe, dobbiamo ringraziarlo? Infine, l’amico del criminale riesce a chiamare «reddito di criminalità» una misura (giusta o sbagliata che sia) per combattere la povertà. Ha fatto bene a svelare le carte: Renzi odia i poveri, perché non hanno niente da offrirgli. Bene così.

Renzi e la metafora della rana e lo scorpione

Eppure gli sarebbe bastato poco. Gli sarebbe bastato prendere le distanze da quello che fa schifo e che è ronzato intorno a lui. Ma Renzi è così, come lo scorpione che uccide la rana, mentre gli sta facendo attraversare il fiume. È la sua natura. Ora attenti, sotto questo pezzo si scatenerà l’orda di «ce l’avete sempre con Renzi». Perché questi non si accorgono nemmeno che il dileggio sia l’unica arma (effimera, durerà ancora poco) per restare a galla. E che ciò su cui vale la pena riflettere è il Renzi che è in noi, ancora più di Renzi. E se l’avete già sentita applicata a Berlusconi, avete ragione: è esattamente quella.

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Ennesima giravolta di Renzi: chiedeva ai suoi avversari di rinunciare all’immunità ma ora è lui a volerla

Ora davvero sarebbe curioso ascoltare cosa dicono i fan più sfegatati di Matteo Renzi, quelli che hanno inteso Italia Viva come un fan club a forma di partito, qualcosa che non c’entra niente con la politica ma rientra nella sfrenata idolatria, dove la coerenza non è minimamente percepita.

Sarebbe curioso sentire cosa ne pensino delle parole di Renzi già dieci anni fa, il 22 febbraio 2011 quando ospite di Otto e Mezzo su La7, era ancora sindaco e fingeva bene la parte dell’innovatore per puntare ancora più in alto, all’ipotesi di reintrodurre l’immunità parlamentare ripristinando l’autorizzazione a procedere abrogata nell’ottobre 1993 in piena tempesta Tangentopoli e quindi aumentare le garanzie per i membri del Parlamento Renzi rispose deciso «No, oggi mi sembra più o meno una barzelletta. Sono contrario. Se vogliamo cambiare gli articoli della Costituzione che parlano dei parlamentari bisognerebbe avere il coraggio di dire che i parlamentari andrebbero dimezzati e che andrebbe dimezzata anche l’indennità» aggiungendo serafico che «la logica” dell’immunità parlamentare “è stata messa in Costituzione, quindi è una cosa seria, aveva un valore, ma in un altro momento, in un altro contesto».

O quando nel 2016 sfidò i grillini dicendo «rinunciate all’immunità, io non ce l’ho» e poi a Di Maio «se Di Maio è un uomo rinunci all’immunità». Piacerebbe sapere cosa ne pensano i suoi sostenitori oggi che Renzi decide invece di avvalersi dell’immunità parlamentare, tra l’altro questa volta senza nemmeno gridare ai quattrocento come è abituato a fare tutti i giorni per qualsiasi inezia, quatto quatto in un giorno di fine estate presentando all Procure di Firenze “formale intimazione di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa dall’art. 68 della Costituzione e dell’articolo 4 della legge 140/2003, nonché nell’utilizzare conversazioni e corrispondenza casualmente captate senza previa autorizzazione della Camera di appartenenza” come i peones parlamentari che si trincerano dietro all’immunità per non rischiare nemmeno di rischiare. Perché qui in ballo c’è un piano politico e di credibilità.

Sul piano politico tocca sottolineare che il senatore Renzi decide di usare l’immunità non per un nobile reato di opinione nel libero esercizio del suo ruolo di senatore ma per un’inchiesta di traffico d’influenze illecite, di riciclaggio e di finanziamento illecito ai partiti: si sta cercando di capire quali siano i movimenti e le motivazioni dello spostamento di soldi, niente a che vedere con il legittimo esercizio di ideali.

Dal punto di vista politico è curioso anche che Renzi richieda l’immunità per un’inchiesta che per ora interessa undici persone (tra cui i suoi più stretti collaboratori ma non lui): Renzi rivede il corso di un processo che ha sempre definito sbagliato? Un’incredibile preveggenza, non c’è che dire. Poi c’è la questione della credibilità e coerenza ma su questo capitolo il senatore fiorentino ha già dimostrato di essere quello che è, mica per niente i sondaggi danno Italia Viva in una picchiata che assomiglia a una sparizione. Il tarlo è sempre lo stesso: ma come si può difendere in una roba così?

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Da traditori a traditi: Renzi e Calenda hanno lasciato il Pd, ma continuano a essere ossessionati dai dem

La giornata successiva alle elezioni amministrative è una babele di vincitori che si esercitano in acrobatici ragionamenti per convincerci che hanno vinto. Accade sempre così, vincono tutti, vincono quelli che hanno vinto sul serio e vincono perfino quelli che fino a qualche ora fa ci avevano promesso che avrebbero “asfaltato tutti” e ora se ne stanno con le loro risibili percentuali a battersi le pacche sulle spalle.

Quelli che vincono sempre e che è sempre merito loro sono ovviamente gli adepti di Italia Viva (che è una cosa ben diversa dai stimabilissimi elettori del partito) che riescono addirittura a gonfiare il petto dopo un’elezione in cui il presidente del partito Ettore Rosato rivendica l’elezione del sindaco di Terzorio, unico candidato ovviamente eletto con il 100% dei voti che sono 124 in tutto.

In realtà Rosato si è dimenticato di dire che con il 70% dei voti è stato eletto anche il loro sindaco di Garda Davide Bendinelli ma avrebbe dovuto anche raccontarci che il loro sindaco è uno dei tanti prodotti di “Forza Italia Viva”, ex berlusconiani fulminati sulla strada di Renzi e dalle loro parti, si sa, insistono per sembrare di centrosinistra.

Stessa cosa accade per Calenda che incassa un ottimo risultato a Roma ma come al solito non riesce a trattenere il suo machismo politico: confronta i risultati della sua unica lista che lo sosteneva come candidato sindaco con quello del PD che era solo una delle tante liste a sostegno di Gualtieri (che è un po’ come fare la somma dei litri con i chili), confessa di avere preso voti da destra e da sinistra ma vorrebbe essere il federatore del centrosinistra (con la solita presunzione di essere lo spin doctor di tutto l’arco parlamentare) e poi finge di avere fatto una campagna elettorale “senza appoggi e senza media” (fa già ridere così). 

Il punto sostanziale però rimane sempre l’ossessione di Renzi e di Calenda per il PD. I calendiani e i renziani più agguerriti addirittura si spingono ad accusare il Partito Democratico di non avere appoggiato Calenda: “se avessero sostenuto lui sarebbe già sindaco” scrivono con il solito vizio di sommare le percentuali com se fosse un travaso di liquidi (come se gli elettori di entrambi non ragionassero ma barrassero semplicemente un nome).

A nessuno viene il dubbio che Calenda (come Renzi) sia lo stesso che ha deciso di lasciare il PD (dopo essere stato comodamente “creato” politicamente dal PD) sbattendo la porta e urlacciando le peggio cose, scappando come se fossero degli appestati e poi costruendo tutta sua campagna elettorale a demonizzare i suoi ex compagni di partito (mentre nel frattempo normalizzava i singulti fascisti che arrivavano da destra).

Qui siamo al capolavoro della presunzione: lasciano il proprio partito e pretendono di essere amati ancora, accusando i democratici di essere troppo scarsi per poter essere amati a lungo e incolpandoli della fine della relazione. Il ragionamento è piuttosto contorto ma viene riproposto in ogni dove: Renzi e Calenda ripetono ossessivamente che il PD fa schifo e indicano come unica possibilità di salvezza del PD il cominciare a fare esattamente quello che vorrebbero loro. Non è un po’ infantile come ragionamento politico, sinceramente?

Il fatto è che in politica le situazioni assumono contorni diversi in base a come vengono raccontate: Calenda, per dire, ha vinto di pochissimo su Virginia Raggi (che avrebbe dovuto essere la sindaca più catastrofica della storia di Roma, proprio secondo la narrazione di Renzi e Calenda) e ha preso qualche voto in più del precedente “candidato civico” Alfio Marchini (ve lo ricordate? Ecco, ricordatevelo, per avere un po’ il senso delle proporzioni). 

Che in Italia ci sia uno spazio per i liberali e che i liberali in Italia possano trovare un degno leader in Calenda (per molti aspetti molto più presentabile di Renzi che infatti ha capito benissimo l’aria che tira dopo queste amministrative) è sicuramente un buona notizia. Ma che Calenda e compagnia cantante vogliano convincere che il liberismo sia l’unica via della sinistra è qualcosa che lascia più che perplessi.

E forse sarebbe il caso di smetterla di menar calci e essere seri, sul serio (come diceva la campagna di Calenda) e dire chiaramente cosa si intende fare nel secondo turno senza dilungarsi in bizze da traditori che vorrebbero rivendersi come traditi. Altrimenti c’è sempre una via d’uscita: che gli scontenti cronici si trasferiranno a Terzorio.

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La trasformazione è avvenuta: Renzi come Berlusconi anche nel ruolo di perseguitato dalla magistratura

La trasformazione lemme lemme sta arrivando a compimento, ormai i segnali ci sono tutti e risulta perfino grottesco assistere al goffo tentativo di mimetizzazione o addirittura di negazione.

Matteo Renzi risulta indagato per finanziamento illecito e false fatturazioni insieme al manager dei vip Lucio Presta in un’inchiesta che riguarderebbe bonifici da quasi 750mila euro versati dall’agente delle star all’ex premier per il documentario Firenze secondo me e alcuni contratti per la cessione di diritti d’immagine.

In sostanza ai magistrati risulta strano che qualcuno dia così tanto credito all’immagine di Renzi che poi nei fatti risulta risibile e fallimentare (quel progetto televisivo è diventato un alambicco per pochi): su questo non possiamo che concordare. Del resto fa parte della naturale parabola del personaggio.

Noi però siamo garantisti (ma mica solo con gli amici degli amici come i garantisti pelosi che rivendono l’impunità per garantismo) e ci interessa sfogliare i commenti della giornata: tutti i giornali di centrodestra (quelli che contro Renzi a capo del PD hanno sparato cannonate) oggi titolano in sua strenua difesa: Il Giornale scrive “Attacca le toghe / Renzi indagato”, Libero “La vendetta dei Pm: Renzi indagato” e via così, tutti a incoronare Renzi come nuovo Berlusconi (anche) nel ruolo di perseguitato dalla magistratura e di agnello sacrificale nella lotta tra i buoni (gli indagati) e il male (i magistrati).

Ti aspetteresti che Renzi, almeno per la sua provenienza politica e per i suoi trascorsi, prendesse le distanze da questa tossica e ventennale narrazione e invece Matteo pubblica lesto lesto un video sui social (ma come? Ma mica la politica non si faceva sui social?) e come un influencer di provincia con il suo ultimo libro in bella vista eccolo che comincia a ridiventare “il Bomba” di sempre: dice di non saperne nulla e di aspettare “gli atti e non i tweet dei giornalisti” (eppure i legali di Presta sapevano tutto, poveretto, potevano almeno fargli una telefonata) e poi via con i “non mi fermeranno”, la retorica degli “avvertimenti” e tutto il vocabolario berlusconiano.

Intanto oggi in Senato i suoi hanno applaudito convintamente Salvini nel suo discorso con cui voleva affossare il Ddl Zan. Buon lavoro ai magistrati – dice Renzi – io non ho paura di nessuno e di niente”, ripetendo il copione che fu di Berlusconi nel 2013 nel processo sui diritti Mediaset.

La trasformazione ormai è così chiara, così nuda che viene facile immaginare che nel prossimo governo di centrodestra Italia Viva possa finalmente trovare un altro pertugio per continuare ad avere più senatori che elettori. Ancora una volta.

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Conte, ddl Zan, reddito di cittadinanza: per contare qualcosa Renzi ha deciso di distruggere gli altri

Matteo Renzi galoppa felice nella sua guerra contro i poveri e annuncia di voler proporre un referendum per abolire il reddito di cittadinanza. In un Paese normale Matteo Renzi che parla di referendum farebbe già accapponare la pelle se la coerenza non fosse un inutile suppellettile.

Ma Matteo Renzi è questo: un uomo di destra ammantato di credibilità che ha scippato in saldo al centrosinistra con un manipolo di guastatori sempre pronti ad avvelenare i pozzi. C’è un primo punto politico che salta all’occhio: dopo i suoi pochi fugaci mesi di popolarità le energie di Renzi sono tutte concentrate nella pars destruens, come nella migliore tradizione dei populisti.

Renzi contro il ddl Zan, Renzi contro Conte, Renzi contro il M5S, Renzi contro il reddito di cittadinanza: incapace di costruire e di progettare l’egoriferito più veloce del West ha scelto di essere il granello di sabbia che incaglia gli ingranaggi degli altri. Del resto le proporzioni elettorali sono più o meno quelle.

Normale quindi che il reddito di cittadinanza sia un nemico giurato: la sua attenzione morbosa al reddito di cittadinanza (misura analoga a quelle in uso in tutta Europa) non è nient’altro che l’identico atteggiamento di quella destra che vede dappertutto disoccupati che fingono di disoccuparsi, poveri che in realtà sono stati solo scialacquatori e fragili che vengono bollati semplicemente come sconfitti e quindi inetti.

Per Renzi e per i suoi scherani i poveri del nostro Paese non si stanno vergognando abbastanza, si permettono addirittura di voler controbattere ai moralisti censori e sono talmente tutelati che si possono permettere perfino il lusso di non diventare schiavi e di non trasformarsi in agnelli sacrificali sull’altare del fatturato di pochi.

Dice Renzi che il reddito di cittadinanza sarebbe diseducativo e su questo ha perfettamente ragione: i poveri non sono quasi mai educati, non riescono a governare la rabbia per la perdita della dignità, sono troppo cenciosi e sporcano la narrazione fasulla di questo Paese (a quando una legge che multi i poveri per il reato di povertà?) e soprattutto i poveri sono lo specchio di una politica inetta, tutta intenta a essere esercizio di potere e cinismo.

E invece le masse servono affamate per essere pronte a cedere un voto in cambio di un contratto di poche settimane e per diventare mandrie per una “ripresa bellissima” che ha l’odore di un’orgia di soldi per i soliti noti. Non riuscendo ad abolire la povertà alla fine hanno deciso di abolire i poveri. Come la destra di cui Renzi è agente infiltrato (malissimo).

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Al Saudita non bastano più le visite in Arabia: adesso Renzi è editorialista di Arab News

Quando Matteo Renzi (senatore eletto e capo politico di un partito al governo, vale la pena ricordarlo per spazzare via i “ma anche” che arrivano subito appena si scrive di lui) è stato pizzicato per la prima volta in Arabia Saudita qualcuno ci disse che era lì semplicemente per “coordinare un’intervista” con il principe bin Salman. Sminuire, sminuire, sminuire era la strategia pensata per alleggerire la questione. Missione evidentemente fallita visto che quella partecipazione ha fatto discutere tutto il Paese ed è riuscita perfino a irretire la vedova di Kashoggi, il giornalista ucciso a cui sarebbe stato utilissimo chiedere cosa ne pensasse del “Nuovo Rinascimento” saudita sventolato da Renzi lutante quell’intervista piuttosto inzerbinata.

Più di qualcuno fece notare che ciò che era moralmente sgradevole e politicamente inopportuno era l’utilizzo da parte del regima saudita di un nostro ex presidente del Consiglio (tutt’ora attivo in politica con ruoli istituzionali) come megafono del proprio governo. Il rischio che quella “consulenza” si trasformasse nell’essere megafono del potere è una materia delicata e su cui lo stesso Renzi, se smettesse i panni dell’assediato da tutti, potrebbe concordare: quanto è opportuno che un politico (attivo) italiano che ha rivestito ruoli di prim’ordine diventi testimonial di un altro governo? Quanto sarebbe facile per i sauditi rivendere nell’opinione pubblica le posizioni di Renzi come posizioni del nostro Paese, scambiando un ruolo professionale per il risultato di un’attività diplomatica istituzionale di cui Renzi invece non è mai stato investito? Questo era e rimane il punto critico fondamentale.

Ci ha spiegato il senatore fiorentino che i suoi impegni professionali non intralciano il suo ruolo politico. Benissimo. Ora Renzi diventa editorialista di Arab News, il quotidiano con sede a Riyad molto vicino al regime, e inizia la sua nuova ennesima carriera (da politico in carica, vale la pena ripeterlo all’infinito) con un pezzo di sfegatato elogio della città di AlUla al centro di un progetto urbanistico della Royal Commission (di cui Renzi fa parte).

C’è dentro il solito Renzi: il paragone con Matera, la bellezza che salverà il mondo e tutta la retorica del futuro. Insomma, è il Nuovo Rinascimento sotto altra forma, l’ennesimo spot per il regime, la sua incisività sociale e la sua attenzione per la cultura. Renzi, in sostanza, di lavoro tiene comizi per un principe saudita ora anche su carta. E il dubbio è che il marchio, senza volerlo, siamo un po’ anche noi. Sicuro che vada tutto bene?

Leggi anche: 1. Conflitto d’interenzi (di Giulio Gambino) / 2. Quel rapporto con il principe d’Arabia Saudita: la crociata di Renzi sui servizi ora diventa sospetta (di Luca Telese) / 3. Se Renzi vivesse in Arabia Saudita (di Selvaggia Lucarelli) 4. 5 domande a cui Matteo Renzi deve rispondere (a un giornalista) / 5. Decapitazioni in piazza, attivisti frustati, civili bombardati: ecco l’Arabia Saudita di Renzi “culla del Rinascimento” / 6. Omicidio Khashoggi, la fidanzata Hatice Cengiz a TPI: “Pensavo che l’Occidente si sarebbe battuto, invece ho trovato reticenza”

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Insozzare la Liberazione

Ci sono molti modi di insozzare il 25 aprile, ognuno con il proprio stile ma tutti tesi (come un braccio teso) per svilire e in fondo per provare a non scontentare i fascisti. Siamo ancora al punto in cui almeno si vergognano di leccare spudoratamente i fascisti e quindi provano ad accarezzarli di sponda. Almeno questo.

Giorgia Meloni se la gioca (come era immaginabile) trasfigurando la libertà di andare al ristorante e mette in mezzo partigiani (senza citarli, sia mai) e lavoratori provando a innescare la solita guerra tra disperazioni: “La libertà, mentre la celebriamo, non è più scontata – scrive – a oltre 70 anni dall’inizio della nostra Repubblica democratica, e ad oltre un anno dall’inizio della pandemia, il governo ancora pensa di potersi arrogare il diritto di decidere se e quando gli italiani possano uscire di casa. Appello a tutti coloro che credono nel valore della libertà: aiutateci ad abolire il coprifuoco“. Insomma: il coprifuoco è il nuovo fascismo, dice Giorgia Meloni. Complimenti.

A ruota arriva Salvini, che ormai è una Meloni in versione analcolica. Pubblica un video sui suoi social e urla: “Noi, donne e uomini liberi d’Italia, chiediamo la cancellazione dell’insensato COPRIFUOCO e la riapertura di TUTTE le attività nelle zone (gialle o bianche) in cui il virus sia sotto controllo’. Al momento le adesioni sono 7.750. Nel video pubblicato sul web, Salvini aggiunge: “Se saremo 10mila è un conto, se saremo 100mila o un milione… Oggi è la giornata della Liberazione. Io e la Lega daremo l’anima dentro al governo, perché le le battaglie si combattono stando dentro e non uscendo o scappando, cercando di limitare la prepotenza di chi vede solo rosso, divieti, chiusure e coprifuoco”. Insomma, una Giorgia Meloni al maschile con la differenza che lui sta al governo con quelli che vorrebbe pugnacemente combattere. Un eroe.

Pietro Ichino prova a allargare il campo riuscendoci male: “La Festa della Liberazione non può ridursi a un’acritica celebrazione dell’epopea partigiana: deve essere anche occasione per riflettere sulle responsabilità delle forze antifasciste nell’avvento della dittatura”. Benissimo: poi scriviamo un saggio sulla colpa degli ebrei che la Shoah se la sono andata a cercare.

Il sindaco di Codogno Francesco Passerini dimostra di essere più pandemico della pandemia rifiutando di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini con motivazioni che fanno spavento: “Codogno diede l’onoreficenza a Mussolini nel 1924, fu una iniziativa nazionale dell’Anci del tempo. E’ un atto storico, come quando Napoleone ha dormito a Codogno e poi andò a Lodi a far guerra. Non è che poi è venuto giù il palazzo dove dormì. Abbiamo anche alcune strutture che ricordano il periodo fascista, come Villa Biancardi che è ancora lì. E per fortuna. Non si può pensare di cancellare e demolire tutto perché costruito da una parte della storia ‘particolare’”. Insomma erano particolari, mica fascisti.

Fenomenale anche il sindaco di Salò: “Dopo la caduta del Fascismo – dice all’opposizione che chiedeva simbolicamente di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini – sui banchi dove state ora accomodati, si sono seduti uomini che di antifascismo e lotta partigiana potevano sicuramente fregiarsi di sapere tanto, tanto più di Voi, e di Noi, avendo fatto parte personalmente di quella lotta, avendoci messo la faccia e, avendo spesso, rischiato la vita per gli ideali in cui credevano. Eppure queste persone non si posero, allora, il problema della Cittadinanza onoraria”. Insomma: se non l’hanno fatto gli altri io mi sento assolto.

Sceglie la linea del banalissimo e goffo provocatore anche il professore universitario Riccardo Puglisi, star presso se stesso su Twitter, che ci butta un po’ di liberismo d’accatto: “Mi sembra di capire che parecchi partigiani comunisti volessero passare direttamente dalla liberazione alla dittatura del proletariato”. Che spessore, ma dai.

Infine lui, Renzi: “Oggi è festa di libertà. Memoria di chi ha combattuto per salvarci, impegno per il futuro. Rileggere oggi le lettere dei condannati a morte della resistenza commuove e spalanca l’anima”. Non è festa di libertà ma festa della Liberazione dal nazifascismo, ma figurati se riesce a dirlo. E scrive “resistenza” in minuscolo, genio. Però la festa della libertà, se gli può interessare, si festeggia proprio domani in Sudafrica. Sempre che non abbia impegni dal principe saudita.

Buon lunedì.

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Non reggono la maschera

Tra le frasi ripetute dai (pochi) renziani rimasti ogni volta che devono fingere di non essere di destra (perché loro sono di un centrosinistra tutto loro, che esiste solo nella loro testa, che usa i diritti da usare come abbellimento, come l’oliva su un bicchiere per l’aperitivo) c’è la tiritera di Renzi difensore dei diritti civili. È una grancassa ripetuta allo stremo, anche alla faccia del principe saudita che le donne le usa come soprammobili, eppure per loro è un Rinascimento.

Ieri in Senato Italia viva non è però riuscita a reggere troppo la finzione della sua postura e ha dato il meglio di sé. Solo un dato, tanto per inquadrare lo spessore della sua azione politica: è riuscita a incassare gli applausi e i sorrisi di Lega e Fratelli d’Italia, basterebbe questo per capire.

Davide Faraone, senatore di Italia viva che ha il grande merito di essere molto amico di Matteo Renzi, ha detto che il ddl Zan  (quello che la destra da mesi sta cercando di boicottare in tutti i modi) è da «modificare». Avete letto bene: l’hanno votato alla Camera ma poi ci hanno ripensato, del resto loro sui ripensamenti si giocano tutta la poca credibilità elettorale per racimolare qualche voto in più della decina che hanno in tutto. In sostanza sono riusciti ad affossarlo visto che per arrivare al punto in cui siamo sono serviti più di mille giorni e visto che rimandare il tutto indietro significa di fatto non arrivare mai a una conclusione.

Ma il vero capolavoro di ipocrisia è la motivazione che hanno avanzato: il disegno di legge non va bene, dicono, per il video di Grillo e perché se Grillo sostiene questo disegno di legge allora significa che va modificato. In fondo gli serviva solo una scusa, come al solito, come quando dissero che bisognava discutere in Parlamento il Pnrr da presentare all’Europa per i soldi post Covid e ora invece stanno zitti nonostante non ci sia nessuna bozza. Loro cercano solo appigli (immaginari) per costruire propaganda. E incassano applausi da destra. Che poi non incassino nemmeno mezzo voto fanno molta fatica a comprenderlo, ma anche questa è la loro natura.

La vera domanda rimane quella che ha scritto ieri Simone Alliva, che su questa legge sta facendo da mesi un enorme lavoro di informazione: «Perché il #ddlZan che avete votato alla Camera (quindi andava bene alla Camera) adesso non vi va più bene al Senato?».

Oppure, volendo fare politica in modo intellettualmente onesto, si poteva discutere quel testo e, in assenza di accordo, affidarne la sorte al voto, come si fa in una democrazia parlamentare. Ma i renziani avrebbero avuto paura di essere scoperti. Come se non fossero già evidenti ora.

Buon giovedì.

 

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Conte massacrato perché “non si discuteva del Recovery”. Ma il piano di Draghi nessuno l’ha visto

Eravamo in ritardo già due mesi fa, quasi tre. Lo dicevano a gran voce tutti, lo ribattevano i giornali, lo dicevano quasi tutti i partiti e i renziani ci avevano detto che la mancata discussione del Pnrr “con un dibattito aperto e franco in Parlamento” era uno dei principali motivi della crisi di governo.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19: il piano va presentato il prossimo 30 aprile, tra pochi giorni, ma non l’ha ancora visto nessuno.

I sindacati che hanno incontrato ieri Draghi hanno raccontato di non avere visto nulla di scritto, nonostante si siano presentati pieni di speranze. “Noi riconosciamo solo a Omero la possibilità di una descrizione orale” ha detto ieri Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, ma qui tocca fidarsi delle buone intenzioni, visto che anche gli stessi partiti non hanno ancora visto nulla.

Ieri c’è stato l’ultimo incontro con le forze politiche, la delegazione di Leu, e anche in quel caso nulla di scritto. Perfino Carlo Bonomi, presidente di Confindustria sempre piuttosto tenero con Draghi, ha dovuto specificare che si riserva una valutazione “perché non è stato visto alcun documento”.

Ultima versione del piano? Quella del 12 gennaio, ritenuta “insufficiente” dagli stessi partiti che ora si sono meravigliosamente ammansiti. 34 associazioni tra cui Libera, Transparency International Italia, Lipu, Cittadinanzattiva, Cittadini reattivi, Re-Act, Fondazione Etica hanno scritto una lettera ai Ministri Franco, Giovannini, Colao, Cingolani e al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Garofoli per chiedere di pubblicare con urgenza le bozze del piano: “A pochi giorni dalla data che sancisce l’obbligo di consegna di Piano definitivo a Bruxelles e in previsione di una spesa pari a 220 miliardi di euro di risorse comunitarie e nazionali, ci è ancora impossibile pronunciarci sui contenuti del PNRR perché l’ultima bozza non è stata resa disponibile”, scrivono.

In Parlamento probabilmente verranno fatte delle “comunicazioni”, sottoposte al voto, che saranno molto generiche. E pensare che fino a qualche giorno fa si pensava semplicemente a delle “informative”. “Sarebbe utile leggere il piano” dicono tutti composti in Parlamento quelli che prima si strappavano i capelli e intanto sperano che non si colga l’incoerenza. Un altro punto nella lista delle urgenze che si sono spente.

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