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Letta Continua

Siamo nell’epoca Letta. Lo so, siamo in un momento politico strano, talmente nauseati che anche i cavalli di ritorno ci provocano sussulti, del resto già da un po’ ci siamo ridotti a rimpiangere la Prima Repubblica vista la consistenza di quelle venute dopo. Politicamente la notizia è questa: Enrico Letta è stato votato segretario da quelli che nel 2014 lo cacciarono. E, badate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi, travestiti o mimetizzati o nella parte dei convertiti, sempre loro.

Però nel momento storico in cui tutti i leader di partito si accodano allo smussamento rivenduto come buona educazione (quando invece è solo insana pavidità politica) Enrico Letta ha deciso, nonostante lo dipingano come annacquato, di essere smodato e di porre questioni che gli altri hanno finto di dimenticare. I punti che ha posto all’assemblea del Partito democratico sono comunque aria fresca rispetto allo stantio parlare a cui eravamo abituati e avere il coraggio in un momento come questo di parlare di ius soli spazza via molte delle giustificazioni che sono sempre state adottate, quando c’era altro a cui pensare, quando si aveva paura di prendere posizione, quando sembrava addirittura una bestemmia prendere di petto Salvini e le sue politiche. Nella nazione in cui si celebrano le arance perché italiane, le auto perché italiane, le magliette perché italiane gli unici italiani non italiani sembrano essere rimasti i bambini nati in Italia.

Anche il voto ai giovani di 16 anni è un tema che ha attraversato l’Europa e che solo qui da noi ci ha sfiorato da lontano solo qualche volta. Eccolo, è arrivato. Si può essere d’accordo o meno ma aprire un dibattito è doveroso. Anche sui giovani, come spesso accade, si ascoltano gli adulti dare lezioni e poco altro.

In una democrazia matura che i partiti (di qualsiasi colore) riescano a trovare una leadership all’altezza è l’auspicio di tutti, no? Quindi nella fase delle parole, che è la fase più facile, c’è da dire che Letta ha avuto il coraggio di osare.

C’è un piccolo particolare, però, tanto per non cadere in facili entusiasmi e l’ha raccontato benissimo ieri Civati in un’intervista a Repubblica. Dice Civati: «Sono almeno 10 anni che tutti i leader del Pd parlano di ius soli. Lo abbiamo fatto? No. La verità è che la sinistra nel Pd non c’è più, sono tutti democristiani. Non c’è la sostanza, non c’è il conflitto, è un partito di sistema. Io spero tantissimo che Letta l’abbia imparato e che riesca a rompere gli schemi».

Ecco, appunto.

Buon lunedì.

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La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più

La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più

Scusate se insisto ma c’è una pandemia parallela, figlia di quell’altra, che infesta tutto il territorio nazionale ma che non ha bollettini quotidiani a puntellare il dibattito e l’informazione, che non crea allarmi pruriginosi convenienti per vendere la paura e che viene declinata al massimo in qualche singola storia per coprire qualche ospitata.

Qualche giorno fa sono state rese pubbliche le stime preliminari Istat sulla povertà per il 2020 e sono numeri che sanguinano: ci sono 2 milioni di nuclei famigliari in povertà, 5,6 milioni di individui, 1 milione in più di contagiati dall’indigenza rispetto all’anno precedente.

Visto che vanno di moda le percentuali si potrebbe scrivere così: nel 2019 il 7,7 per cento della popolazione era “povero” e ora siamo al 9,4 per cento. Nel Nord Italia ci sono 720 mila nuovi poveri e 184 mila al Sud. A pagare lo scotto sono le famiglie più numerose, quelle con almeno cinque componenti nel nucleo famigliare in cui l’incidenza è aumentata di quattro punti arrivando al 20,7 per cento.

E poiché va di moda parlare, spesso con vanveristiche banalizzazioni, di futuro allora vale la pena ricordare che le più colpite sono persone tra i 35 e i 44 anni, per la metà operai o assimilati, un quinto sono lavoratori in proprio. Sempre a proposito di giovani: i bambini e i minorenni in povertà assoluta sono aumentati in maniera drammatica toccando quota 1,3 milioni, sono 209 mila in più rispetto all’anno precedente.

Questi numeri, anche questo vale la pena ricordarlo, sono limitati dal reddito di cittadinanza e dal Rom (il reddito di emergenza introdotto a maggio), quelle misure che più di qualcuno al governo sta mettendo sotto accusa dimenticandosi però molto spesso di dirci come abbia intenzione di risolvere un problema che sta assumendo proporzioni che avranno bisogno di soluzioni tempestive e urgenti.

Per rimanere sui numeri vale la pena anche sottolineare come la spesa media delle famiglie sia diminuito del 9,1 per cento rispetto al 2019, rimangono stabili solo le spese alimentari e per la casa mentre diluiscono del 19,2 per cento quelle per tutti gli altri beni e servizi. Qui non si tratta solo di riaprire le attività, c’è da mettere in condizione le persone di poter spendere e sopravvivere.

C’è un tema enorme che qualcuno vorrebbe fare passare come priorità della futura ripresa e invece è presente e straziante qui, ora, subito e che ha bisogno della stessa tempestività che si adopera per l’emergenza. La pandemia economica è già qui e miete le sue vittime.

Leggi anche: L’allarme dell’Fmi: “Col Covid bruciati 22mila miliardi di dollari, 90 milioni di persone verso la povertà estrema”

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I ristori ancora non si vedono, ma c’è Draghi e va tutto bene

Per ora hanno cambiato il nome: non si chiamano più “ristori”, ora si devono dire “sostegni” e, quando si è saputo in giro, la pletora di adoratori di Draghi e del Governo dei Migliori ha lanciato gridolini di gioia. A volte basta poco, evidentemente.

Però, che siano ristori o sostegni, la realtà dei fatti dice che di soldi per ora non ne siano arrivati: la crisi politica ha bloccato gli aiuti alle attività e alle imprese e da due mesi e mezzo (gli ultimi aiuti sono stati varati a dicembre) gli imprenditori si ritrovano senza aiuti nonostante le chiusure e, soprattutto, con la previsione di un’ulteriore stretta nei prossimi giorni.

Sui ritardi, tra l’ao, si registra un curioso silenzio della Lega (e infatti molti elettori sono infuriati con Salvini per questo improvviso cambio di rotta), interrotto solo dalle parole del ministro al Turismo Massimo Garavaglia che annuncia (ma non era il governo “del fare” senza annunci?) una prossima “misura importante per la montagna”.

Anche Fratelli d’Italia, pur essendo all’opposizione e nonostante per mesi abbia gridato allo scandalo per i ritardi degli aiuti di Stato, tace. Le voci (timide) di protesta si sono levate dal capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, che parla di “ritardo accumulato” dicendo che “è urgente, urgentissimo, approvare il decreto sui ristori. “È passato del tempo ormai dallo scostamento di bilancio che approvammo in Parlamento con 32 miliardi previsti per le imprese”, fa notare il senatore dem.

Anche il capogruppo al Senato del M5S, Ettore Licheri, prova a porre il punto: “Adesso però un governo c’è, ed è bene che i ministeri competenti si attivino con maggiore decisione”, ha detto in una nota.

Poi c’è un ao aspetto curioso: da qualche settimana non si vedono più in televisione e sui giornali ristoratori e partite Iva che protestano, eppure proprio in queste ore si stanno preparando nuove manifestazioni. Forse ha ragione lo chef Gianfranco Vissani, che racconta di non essere più chiamato “in tv per parlare del problema, come avveniva invece durante il governo Conte”.

Fermi anche i congedi parentali e i bonus baby sitter per chi ha figli in Dad, aiuti non ancora rinnovati nonostante la chiusura di molte scuole sul territorio nazionale a causa della cosiddetta “terza ondata”.

Tra pochi giorni è un mese di Governo Draghi. Quello che doveva essere un fulmineo cambio di passo per ora è fermo al palo: per ora il piano vaccini è ancora quello di prima, le Regioni vanno in ordine sparso e i soldi non arrivano. Però c’è entusiasmo, finché dura.

Leggi anche: Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente? (di G. Cavalli) 

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Commissariate la Lombardia

La sentite intorno quest’aria tutta concorde? Sembra una pacificazione e invece è lo stallo che si crea quando partiti e poteri si allineano, lo fanno spesso in nome di una non meglio precisata “unità nazionale”, quando tutti insieme si deve uscire da una “crisi” e questa volta funziona perfettamente in nome dell’epidemia. Accade che partiti lontanissimi tra loro si trovino seduti nello stesso governo, quelli che si erano sputati addosso fino a qualche minuto prima e quelli che hanno spergiurato un milione di volte “mai con quelli là” e accade che anche l’osservazione di ciò che non funziona improvvisamente si ottunda.

La Lombardia, ad esempio. La campagna delle vaccinazioni anti Covid in Lombardia è una drammatica sequela di errori e di ritardi, di incomprensibili scelte e di gravi inadempienze. Qualcosa che grida vendetta ma che soprattutto meriterebbe un dibattito politico nazionale, una parola, un ammonimento, almeno uno sprono, qualcosa qualsiasi.

In Lombardia accade che alcune persone che non hanno diritto al vaccino riescano a prenotarlo e a farlo tranquillamente per un link del sistema regionale che presenta un’evidente falla. L’ha scoperto Radio Popolare e lo confermano lombardi che raccontano di averlo ricevuto nei gruppi di watshapp. «Ho fissato l’orario – racconta una testimone – e dopo dieci minuti ho avuto la mail di conferma per andare lunedì 8 marzo alle 12.05 all’ospedale militare di Baggio. Non ci credevo fino in fondo, ma quando sono arrivata lì incredibilmente ho verificato che ero davvero in lista». I direttori sociosanitari dicono che non hanno nessun modo per controllare le liste che sarebbero tutte in mano all’Asst. Tutto bene, insomma.

Il magico software regionale tra l’altro convoca i cittadini (vale la pena ricordare: quasi tutti anziani) con un preavviso di poche ore, la sera precedente. Alcuni sono costretti a fare chilometri e chilometri nonostante abbiano punti vaccinali molto più vicini. Alcuni addirittura hanno ricevuto invece due messaggi: «Ho ricevuto la convocazione dopo pochissimi giorni dall’iscrizione – racconta Maria Grazia alla consigliera regionale (Lombardi Civici Europeisti) Elisabetta Strada – ahimè però ho ricevuto due sms, a distanza di qualche ora, il primo mi convocava in piazza Principessa Clotilde alle ore 11 e il secondo ad Affori alle 16. Non sapevo quale dei due messaggi fosse corretto e al numero verde mi hanno risposto che non lo sapevano nemmeno loro. Sono andata dove mi era più comodo». Ovvio che se la gente non si presenta all’appuntamento i vaccini poi a fine giornata vadano buttati. In Regione giacciono interrogazioni che chiedono conto di quante dosi siano state sprecate finora: nessuna risposta, ovviamente.

All’8 marzo su oltre 720mila over 80 lombardi circa 575mila hanno aderito alla campagna e ne sono stati vaccinati 150mila. Dei 140mila che non hanno aderito non si sa nulla: non sono riusciti a prenotarsi? Non sono informati? Rifiutano il vaccino?

Poi ci sono gli errori di gestione degli spazi: ad Antegnate, provincia di Bergamo, è stato previsto un punto vaccinale nel centro commerciale del paese. Per un errore di pianificazione domenica 28 febbraio c’erano in coda quasi duemila persone. Sempre anziani, ovviamente assembrati. A Chiuduno, sempre nella bergamasca, il punto vaccinale è invece in un centro congressi che potrebbe gestire 2600 vaccinazioni al giorno e si viaggia a un ritmo di 800.

Perfino Bertolaso ha dovuto ammetterlo: «Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha dichiarato. Addirittura Salvini: «Problemi nella campagna vaccinale della Lombardia? Se qualcuno ha sbagliato paga, e quindi anche della macchina tecnica di Regione Lombardia evidentemente c’è qualcuno che non è all’altezza del compito richiesto». Ora la Regione Lombardia ha deciso di appoggiarsi al portale delle Poste, scaricando di fatto il gestore Aria, un carrozzone voluto da Fontana e soci per “guidare la trasformazione digitale della Lombardia”. Ottimo, eh?

Stiamo parlando della regione che ha collezionato un terzo dei morti per Covid di tutta Italia, della regione che ancora oggi sta vedendo i suoi dati peggiorare più di tutti. Serve una testimonianza? Eccomi qui: padre dializzato, invalido al 100%, ovviamente ultraottantenne e per ora l’unico segno di vita è un sms di scuse per il ritardo.

Tutto questo dopo un anno di sfaceli politici e organizzativi. Ma davvero, ma cosa serve di più per commissariare la Lombardia?

Buon mercoledì.

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Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

Ma ve la ricordate la “dittatura sanitaria”? Dico, vi ricordate tutto il baccano che si accendeva ogni volta che nell’aria si annusava il bisogno di un nuovo lockdown o anche semplicemente si ventilava l’ipotesi di nuove restrizioni?

C’era Salvini, era lui l’agitatore degli aperturisti, che strillava come un matto per convincerci che ogni nuova limitazione non fosse altro che la conferma dell’incapacità di quelli che governavano. Altri gli andavano dietro a scia, i suoi parlamentari e gli alleati di Fratelli d’Italia e anche qualche berlusconiano. Che vergogna, che schifo, ci dicevano, ora non si sentono più.

Ve le ricordate le prese per i fondelli per i colori delle regioni? Vi ricordate gli schiamazzi di chi ci spiegava che era un metodo punitivo che uccideva gli italiani e che veniva usato come arma politica? Ora i colori sono aumentati, c’è l’arancio scuro, il rosso rossissimo, il bianco con toni di grigio. Ma non si sente più nessuno strillare.

Vi ricordate le grandi battaglie di Salvini e dei suoi compagnucci aperturisti contro il coprifuoco? Vi ricordate tutte le ciance per la libertà e i vaneggiamenti sul diritto di pisciare il cane alle 4 del mattino? Che tempi: tutti esperti di Costituzione. Ora il coprifuoco potrebbe addirittura allargarsi e quelli, al solito, tutti zitti, spariti.

Vi ricordate le critiche ai Dpcm? Vi ricordate costituzionalisti, Renzi e Salvini, quelli che lamentavano la presenza di un governo autoritario? Sono gli stessi che criticavano la pletora di esperti che esautorava la politica e il Parlamento delle loro funzioni, quelli che chiamavano i tecnici “amichetti” e i consulenti li chiamavano “compagni”. Ora continuano i Dpcm, si allarga la schiera di esperti, eppure non s’ode una protesta manco a pagarla, niente.

E le scuole? Che vergogna, dicevano, le scuole chiuse e le famiglie in difficoltà che non sanno come tenere i propri figli. Ci risiamo, ma quelli che strillavano ora hanno perso il dono della protesta.

E vi ricordate quando dicevano di dare notizie certe, di smetterla di bisbigliare? Da giorni si discute di un lockdown senza fonti certi, retroscena dappertutto ma quelli tacciono, niente di niente.

E i ristori che arrivavano in ritardo? Ora è cambiato il nome, ma comunque si chiamino continuano a non arrivare, la sostanza non cambia, solo gli sfegatati oppositori tacciono. Insomma, il trucco era semplice semplice: bastava fare entrare i contestatori nel governo e continuare come prima. Intorno s’è fatto tutto accondiscendenza.

Leggi anche: Dagli oppioidi all’Arabia Suadita, le ombre su McKinsey: ecco a chi si è affidata l’Italia per il Recovery

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Fa uccidere l’ex moglie e usa la figlia come alibi: l’orrore del femminicidio di Ilenia Fabbri a Faenza

Contiene tutti i caratteri che ci sono in tanti ex mariti assassini e per questo la storia di Ilenia Fabbri, l’ennesimo femminicidio avvenuto a Faenza lo scorso 6 febbraio, va raccontata. Ieri le forze dell’ordine hanno arrestato Claudio Nanni, 53 anni, ex marito di Ilenia ritenuto mandante dell’omicidio e Perluigi Barbieri, 51 anni, un picchiatore conosciuto lì in zona, un professionista di spedizioni punitive e di vigliaccheria che è già stato condannato per atti di violenza contro un disabile.

Negli atti del gip c’è il solito uomo che ritiene sua moglie, anche se ex, una proprietà privata che non ha nessun diritto di sopravvivere alla fine di un rapporto e che deve essere annientata per espiare la sua colpa di essere libera: Nanni dal 2017 aveva continuato a minacciare e aggredire l’ex moglie, era preoccupato per una causa che lei gli aveva intentato per il lavoro che aveva svolto nella sua officina di famiglia senza mai essere pagata, non versava i 500 euro mensili per la figlia Arianna e aveva deciso che l’omicidio sarebbe stato il modo migliore per risolvere il problema.

“Avido, paranoico del controllo, privo di scrupoli”, scrive di lui il gip Corrado Schiaretti che ha ripercorso le tappe dell’omicidio: il 10 dicembre Nanni è rinchiuso in casa per Covid e contatta Barbieri per fare “tutte le cose che bisogna fare”, il 20 e il 29 dicembre i due si incontrano, si scambiano le chiavi di casa, pianificano il percorso del killer nell’abitazione e probabilmente fanno un sopralluogo.

All’alba del 6 febbraio Claudio Nanni passa a prendere la figlia Arianna, 21 anni, al mattino presto, ha intenzione di usarla come alibi mentre il killer le uccide la madre. Barbieri entra in camera da letto ma Ilenia combatte, scappa per le scale, lui la massacra di botte e infine la sgozza.

In casa però c’è la fidanzata di Arianna che sente il trambusto, chiama Arianna, padre e figlia tornano indietro, Arianna chiama la polizia e urla al padre di accelerare. Nanni a quel punto, scrive il gip, piange in maniera incontrollata, consapevole di ciò che sta accadendo invita la fidanzata della figlia a non uscire dalla stanza e nascondersi.

Quando arrivano davanti alla casa, Nanni non scende dall’auto, non ha bisogno di vedere, sa già tutto. Manda la figlia. Un uomo che ha usato la figlia come alibi e che l’ha delegata a vedere il corpo morto di sua madre. La sua messinscena di una rapina andata male è fallita. Ora è in carcere e ancora una volta noi siamo qui a scrivere di una donna che prima di Natale aveva confidato alla sua avvocatessa di volere fare testamento. Ed è finita proprio come temeva. Perché l’assassino delle donne, qui in Italia, ha quasi sempre le chiavi di casa della sua vittima.

Leggi anche: 1. Violenza sulle donne, le scarpe rosse di Loredana Bertè a Sanremo non bastano più /2. Massacrata dall’ex, Clara si era pagata il funerale da sola: già sapeva di morire e nessuno ha fatto niente /3. Tremavo, ero un corpo vuoto: vi racconto cosa si prova durante uno stupro” | VIDEO TPI 

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A volte ritorna

Siamo passati dall’avere un governo con il centrosinistra e il M5s all’avere 2/3 di centrodestra al governo con figure apicali nei ministeri e tra i sottosegretari. E Salvini che si muove di nuovo da capo politico concedendo all’alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare dalla comoda posizione dell’opposizione

C’è in giro una barzelletta spassosissima eppure tragica, fomentata soprattutto dagli ultrà renziani, per cui nel “capolavoro” del governo Draghi rientrerebbe anche l’avere danneggiato o comunque tarpato Matteo Salvini e il suo partito. È la barzelletta di riserva che arriva subito dopo “il governo dei migliori”, un’altra enorme bugia che è stata utilizzata giusto il tempo di leggere con un certo affanno la lista dei ministri e soprattutto dei viceministri e soprattutto dei sottosegretari: non potendo più insistere sulla qualità dei componenti di governo, sarebbe stato troppo persino per loro, il nuovo messaggio da veicolare in massa è quello di un Salvini che uscirebbe “depotenziato” da questo governo per chissà quali strani alchimie. La politica però, per la fortuna di chi si ritrova a commentarla, è fatta di numeri e quegli stessi numeri dicono che (ma dai?) la Lega di Salvini in questi primi di giorni abbia già cominciato ad aumentare i consensi. Allora forse converrebbe fare qualche passo indietro, alla caduta del primo governo Conte, quando Salvini e i suoi fans imperversavano su tutti i giornali (e alle direzioni dei telegiornali) rimanendo al centro del dibattito praticamente su qualsiasi punto politico si sollevasse quotidianamente. Erano i tempi in cui sembrava praticamente impossibile riuscire ad abbattere il muro della Bestia leghista sui social network e in cui Salvini dettava l’agenda politica ad ogni passo, perfino pubblicando foto con l’ultimo piatto del suo ultimo pranzo. Forse converrebbe ripartire da quel periodo per rendersi conto che gli errori successivi del leader leghista, a partire dalle sue presuntuose follie nell’estate del Papeete, hanno permesso al Paese di uscire dal terrificante reality show in cui era caduto e di ripristinare perlomeno una discussione politica che fosse qualcosa di più alto dell’odio sparso contro i fragili, che fossero migranti o qualsiasi altra categoria.

Il secondo governo Conte in fondo nasce proprio con quella missione: Partito democratico, Leu e persino Renzi hanno accettato la mediazione di un governo che sicuramente non è mai stato il governo dei sogni per riuscire ad arginare una decadenza umanitaria e una tossicità del dibattito che ha partorito obbrobri giuridici (a partire dai cosiddetti decreti Sicurezza) che hanno riportato indietro il Paese di decenni. Ora, al di là delle speranze politiche che qualcuno può riporre nella figura di Mario Draghi nuovo presidente del Consiglio, è un fatto sotto gli occhi di tutti che non solo Salvini sia prepotentemente rientrato nella compagine di governo e quindi nell’alveo della visibilità che governare concede, ma che addirittura ci sia riuscito non rompendo l’alleanza di centrodestra di cui continua a proporsi come capo politico, per di più concedendo alla sua alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare il governo dalla comoda posizione dell’opposizione e quindi presumibilmente riuscendo anche a “mantenere” i malpancisti. Per questo…

L’articolo prosegue su Left del 5-11 marzo 2021

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L’ispettore Bertolaso

Chiamato dalla signora Moratti a risolvere i problemi della Lombardia nell’emergenza sanitaria, Guido Bertolaso ha detto in conferenza stampa che forse le cose non stanno andando molto bene. E se l’è presa con i giovani specializzandi

Guido Bertolaso, il signor Wolf dei turboliberisti, il risolviproblemi che ha solo il piccolo difetto di non riuscire a risolvere i problemi, quello che se fosse giudicato dai voti in pagelle sarebbe da un decennio dietro la lavagna con le orecchie d’asino di cartone, il superPippo in salsa lombarda investito dalla signora Moratti, ieri ha tenuto una mesta conferenza stampa in cui ha indossato la maschera del dimesso e ci ha detto che forse le cose in Lombardia non stanno andando molto bene, riuscendo a partorire una faticosa analisi a cui erano arrivati già tutti da mesi mentre erano in fila dal panettiere.

«Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha detto Bertolaso. Incredibile. A me, tanto perché va di moda sempre lo storytelling del giornalista che srotola la sua esperienza personale, capita di essere lombardo con padre lombardo dializzato e ultraottantenne e di avere prenotato sull’apposito sito la prenotazione per la vaccinazione: mi sono detto che un ultrottantenne con i reni ormai saltati e con un’invalidità al 100% sarebbe stata una priorità. Niente di niente. Per dire: non mi è arrivato nemmeno il messaggio di scuse per il ritardo. Chissà, forse Fontana ha riconosciuto il numero, mi sono detto.

Comunque ieri Bertolaso ha anche dato una grande lezione di sociologia dicendo, leggete e tremate:

«La legge dice che gli specializzandi sono chiamati a fare vaccinazioni. Non è facoltativo, è un obbligo. La pandemia di covid è un problema di profilassi internazionale – ricorda Bertolaso – e quindi è compito dello Stato in primis di intervenire. Scriverò al prefetto e gli chiederò di richiedere per la seconda volta, l’elenco degli specializzandi. La prima volta ha risposto un solo rettore».

Non vi basta? Ha anche aggiunto: «Mi basterebbe fare un appello a tutti quelli della mia età e il numero dei medici lo troveremmo subito ma non sarebbe giusto perché per un medico vaccinare è la cosa più nobile da fare. Solo vaccinando risolviamo questa emergenza».

Quindi il prode Bertolaso non è riuscito a risolvere i problemi della Lombardia ma ha trovato i colpevoli: i giovani. A posto così. L’ispettore Bertolaso ha chiuso le indagini. Saluti e baci.

Buon giovedì.

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Ora i Dpcm sono fighi

Draghi utilizza lo stesso strumento adottato da Conte per emanare le misure anti Covid, ma non si levano più voci di protesta: del resto molti dei critici di prima ora sono al governo

Per le strane alchimie figlie di questo governo, in conferenza stampa, a presentare il nuovo Dpcm firmato da Mario Draghi, c’era l’inimmaginabile coppia Gelmini-Speranza, roba che sembrava fantascienza fino a qualche settimana fa e che invece improvvisamente è diventata digeribilissima se non addirittura godibilissima per alcuni commentatori.

A proposito, vale anche la pena ricordare cosa si diceva circa l’utilizzo dello strumento del Dpcm da parte del governo precedente. Matteo Renzi una volta disse: «L’ultimo Dpcm è uno scandalo costituzionale. Non possiamo calpestare i diritti costituzionali. Trasformiamolo in decreto». Sui Dpcm protestavano Salvini, protestava proprio Gelmini e il centrodestra (per voce di Giorgia Meloni) diceva: «Il Parlamento non decide più nulla, ci sono quattro persone che si chiudono in una stanza e decidono del futuro di milioni di persone. E che decisioni poi… questo non è più tollerabile». Perfino la neo ministra Cartabia quando non era ministra ci andò giù dura: «La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per gli stati di emergenza ed anzi la nostra Repubblica ha attraversato varie situazioni di crisi, a partire dagli anni della lotta armata, senza mai sospendere l’ordine costituzionale». Sabino Cassese fu ancora più pesante: «Prima o poi anche la Consulta boccerà le misure anti Covid del governo Conte … allora si riconoscerà che i Dpcm e i decreti sono illegali».

Draghi utilizza lo stesso strumento ma non si levano voci di protesta, del resto molti dei critici di prima ora sono al governo quindi va bene così. E anche le misure restrittive indicate come “dittatura sanitaria” rimangono più o meno le stesse eppure questa volta tutti si sentono magnificamente liberi e soddisfatti. Magie della propaganda, evidentemente. Il fatto che il primo Dpcm di Draghi sia di fatto la prosecuzione dei Dpcm precedenti con in più una stretta sulla scuola non infiamma nessuno. Tutto bene.

In compenso molti commentatori hanno sottolineato come il presidente del Consiglio abbia deciso di non presenziare alla conferenza stampa facendo notare come questo atteggiamento indichi la rinuncia a personalismi. E infatti ieri c’erano Speranza e Gelmini. Ieri la ministra Gelmini ha parlato di scuola, lei proprio lei, quella che la scuola l’ha affossata a colpi di tagli ieri ha parlato alla nazione, impunita, inaspettata, di nuovo, nel 2021, di scuola. Ma non solo: la berlusconiana, con uno stile di cui faremmo anche volentieri a meno, ha trasformato la conferenza stampa in un piccolo comizietto politico (non ce la fanno a trattenersi, da quelle parti) continuando a rivendicare una presunta “discontinuità” (la parola magica per accarezzare i suoi elettori), spiegandoci che questa volta non si è arrivati all’ultimo momento ma che il Dpcm fosse già pronto da venerdì (quindi gli altri quattro giorni sono serviti ad apparecchiare la conferenza stampa, probabilmente) e soprattutto rivendicando una maggiore collaborazione con gli enti locali. Sarà per questo che l’Anci e alcune regioni hanno criticato il Dpcm un minuto dopo.

È il solito trucco di cambiare la lente per convincerci che sia cambiato il paesaggio. Bene così.

Buon mercoledì.

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Ma la soddisfazione del repulisti è breve

Siamo ancora in quel momento in cui l’eliminazione delle pedine precedenti viene considerata una vittoria, dove ad esempio le dimissioni forzate di Domenico Arcuri bastano per fare esultare elettori e per infervorare capi di partito che si appuntano la medaglia il merito della cacciata (su Arcuri sono Renzi e Salvini, curioso nevvero?) e dove “basta non vedere più certe facce” per sentirsi già meglio, secondo alcuni. Il governo Draghi è all’inizio della sua opera, sentimentalmente è ancora acerbo e il profumo della vendetta continua a spirare. Però alcuni fatti incontestabili si scorgono.

Innanzitutto in meno di una settimana Mario Draghi ha cambiato le persone apicali a cui è affidata la missione contro la pandemia. Non è una scelta di poco conto, soprattutto in un Paese che piuttosto avrebbe mediato, spacchettato e mischiato le competenze per tenere in bilico assetti nuovi e quelli passati. Di questo gli va dato atto: si è preso la responsabilità di imprimere una svolta (per ora almeno sui nomi e poi naturalmente anche sulle dinamiche) della distribuzione del vaccino e della gestione dell’emergenza. Ieri ha preteso le dimissioni del commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri, prima aveva sostituito il capo della Protezione civile Angelo Borrelli richiamando Francesco Curcio e al coordinamento dei servizi segreti ha messo il capo della polizia Franco Gabrielli, al posto del diplomatico Piero Benassi.

Qualcuno in queste ore ci dice che la dipartita di Arcuri (che per ora cade perfettamente in piedi visto che è e rimane a capo di Invitalia) sarebbe “una vittoria della destra”: falso. Arcuri è, forse sì, uomo molto stretto a Giuseppe Conte ma le osservazioni sul suo operato sono arrivate da più parti. È l’Arcuri che ha fallito su tutta la linea con l’app Immuni, è l’Arcuri dei banchi a rotelle tra l’altro arrivati persino troppo tardi, è l’Arcuri delle costose e inutili primule come centri vaccinali, è l’Arcuri sempre tronfio in conferenza stampa che non rispondeva ai giornalisti o se rispondeva lo faceva con una querela, è l’Arcuri soprattutto che c’entra con l’inchiesta della procura di Roma per traffico di influenze illecito nell’acquisto di 1,25 miliardi di euro in mascherine cinesi intermediato da un giornalista Rai in aspettativa, Mauro Benotti, che ha ottenuto 12 milioni di euro per la mediazione che ha avuto 1282 contatti con Arcuri tra gennaio e maggio 2020. Insomma Arcuri ha molto da spiegare e molto da farsi perdonare e anche su queste pagine ne abbiamo scritto spesso.

Ieri sui social girava una card di pessimo gusto di PiùEuropa (quelli che dovrebbero essere seri) che diceva “ciao #Arcuri” con la scritta “Liberisti da divano te salutant”. Salviniani e renziani hanno esultato sbracciandosi. Siamo ancora nel tempo del rancore. E intanto ci ritroviamo pezzi di esercito a gestire la pandemia, con l’aria di un’idea militarizzante che ricorda tanto ciò che fa Bolsonaro in Brasile. E a nessuno viene il dubbio che per quel compito ci sarebbe, proprio per sua natura, ad esempio anche la Protezione civile. Ma quando finirà la voglia di rottamazione, finalmente, osserveremo e giudicheremo i risultati.

Buon martedì.

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