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sabina guzzanti

I pusillanimi hanno da tempo preso il sopravvento. (di Sabina Guzzanti)

(di Sabina Guzzanti)

Ieri una conoscente di vecchia data che in qualche modo è rimasta a lavorare in Rai, mi ha raccontato che è stata cazziata perché ha pubblicato la foto di un buffet particolarmente tristanzuolo. Una foto senza nemmeno dire di cosa si trattava. Così per ridere.
Sei pazza? le hanno detto, terrorizzati.

Me lo raccontava per commentare il fatto che per l’ennesima volta mi hanno sbattuto fuori dalla tv.
Non è che non si può parlare di politica. Non si può parlare punto. Dobbiamo attendere la fine in silenzio.
I pusillanimi hanno da tempo preso il sopravvento. Ma non in gruppo. Singolarmente. Ognuno di loro è convinto in segreto di conoscere il segreto per cavarsela. Tacere. Non esistere. Non farsi notare. Racimolare quello che si può, sperando di riuscire a nascondersi fino alla fine.

Secondo i più questa è la risposta concreta al fatto che l’Europa sta crollando, che in Francia o vince l’estremissima destra o una destra estremissimissima, che l’Italia ha bisogno di altri 20 miliardi per salvare le banche, che saranno ancora lacrime e sangue, che la terza guerra mondiale è già iniziata.
Che l’impero è in mano a un pazzo scocciato tutto arancione e la città eterna sta per finire in mano alla Meloni.

I capò dei campi di concentramento oggi fanno gli opinionisti e hanno cinque stipendi. Il patrimonio culturale dei Nazzi è stato spolpato dai pubblicitari e con quello hanno plasmato la politica, i nostri desideri e i nostri affetti.
Hitler ce l’ha fatta. E’ tornato. E come nella barzelletta si rivolge ai suoi: “ragazzi, stavolta mi raccomando cattivi”.

(fonte)

Evviva evviva! Non interessa la trattativa!

C’è in giro questa biliosa soddisfazione per il deludente risultato di spettatori del film di Sabina Guzzanti “La trattativa”. Ne scrivono i giornalai di destra ma anche di sinistra tutti tronfi tra le comode scrivanie da saccenti minimizzatori della tranquillizzazione come linea editoriale. Verrebbe da dire che Sabina non si sia impegnata in tutti questi anni per essere simpatica a tutti, sempre infilata tre gli orrori più colpevoli e turpi della nostra classe dirigente che sbava pur di ottenere piuttosto una complice distrazione dalle proprie malefatte ma l’aspetto più preoccupante di questa generalizzata esultanza per il flop è la ripetizione dei soliti meccanismi che mirano (riuscendoci) a confinare i contatti tra Stato e mafia dagli anni ’90 ad oggi tra le visioni apocalittiche di pochi esagitati. Creare o coltivare il disinteresse verso i rapporti non convenzionali tra pezzi di Stato e la criminalità organizzata significa normalizzare la mafia così come progettato da Bernardo Provenzano qualche decennio fa oltre che calpestare la vivacità civile che è la garanzia migliore per la democrazia del nostro Stato. Non so perché anche molti intellettuali e notabili antimafiosi siano ultimamente molto tiepidi sui fatti (perché ci sono già i fatti, eh) che sono agli atti di un processo che al di là della verità giudiziaria possiede già tutti gli elementi per formulare una sentenza etica sulla storia degli ultimi vent’anni di questo Paese e non so davvero se a qualcuno sia bastato l’arresto di Dell’Utri come ceralacca per chiudere definitivamente quell’epoca.

Oggi il Governo sta preparando la riforma della giustizia con alcuni degli interpreti di quegli anni bui, ad esempio, e nonostante i propositi di “rottamazione” molti torbidi personaggi sono ancora saldi al loro posto. Continuando a ripeterlo e continuando a chiedere verità e giustizia qualcuno vorrebbe farci credere che siamo solo coristi di un trita litania ma poi verrà un giorno che gli immobili di oggi si fregeranno del titolo di salvatori della patria. E noi saremo qui a ricordarli tutti, i pavidamente timidi sulle trattativa. Ce li ricorderemo tutti.