Vai al contenuto

Salvini

Salvini voleva “prendersi il Paese”, ma non è riuscito a conquistare neanche Varese

È tutto fumo e niente arrosto il petto in fuori che per mesi Salvini ha mostrato all’opinione pubblica e ha sfoggiato nelle sue interviste che brulicavano sicumera. È la proiezione di un centrodestra che nei risultati rimane impastato in una coalizione che non trova una “matrice” (cit. Giorgia Meloni) e che esce malissimo dalle elezioni amministrative.

Capiamoci: che le elezioni amministrative sarebbero state il primo passo per una grande cavalcata che li avrebbe portati a “prendersi il Paese” (parole testuali di Matteo Salvini). E ne esce male anche Giorgia Meloni, forse ora finalmente consapevole che la sua crescita di consenso è frutto soprattutto di un travaso di voti tutti interni alla coalizione, figli di una mancata durezza imputata al segretario della Lega (che intanto al suo interno invece viene accusato di essere troppo poco diplomatico) che lei è riuscita a strappare restando fuori dal governo.

E forse sarebbe il caso di rendersi conto che no, che Salvini non ha già in mano il prossimo governo e anche Giorgia Meloni si può battere scrollandosi di dosso quel senso di prevista confitta che troppe volte si è annusato in giro.

Le parole di Salvini in questi minuti poi dimostrano perfettamente come il continuo spostare il baricentro della discussione senza mai affrontare gli argomenti ma semplicemente sorpassandoli di striscio risultati ripetitivo e sciocco: alla fine di una tornata elettorale che ha eletto il sindaco della capitale, di Torino, di Milano e di molte altre importanti città in Italia trovare il modo e il tempo per attaccare la ministra Lamorgese in conferenza stampa è un segnale di evidente debolezza che dimostra una volta di più il suo imbarazzo.

Del resto stiamo parlando dello stesso Salvini che proprio oggi in mattinata ha riconosciuto che la matrice degli scontri a Roma fu fascista (sì, incredibile, ha usato proprio questo termine) e che i lavoratori non devono essere pestati dalle forze dell’ordine mentre manifestano. C’è un aspetto curioso in tutto questo: Salvini ha lanciato il suo tweet per attaccare Lamorgese (ma va?) Ma si è dimenticato che la repressione del dissenso e la sua criminalizzazione è frutto di quei Decreti sicurezza che lui sventola tutt’ora come vittoria. Del resto gli è sempre stato difficile capire che comprimere i diritti degli altri finisce sempre per comprimere i propri diritti, nel corso delle cose.

La Lega che perde a Varese del resto è una notizia che sarebbe stata inimmaginabile fino a pochi mesi fa (a Varese in molti pensava che fosse arrivato il tempo di riuscire a strappare la città al centrosinistra e Varese tra le altre cose è il fortino elettorale di Roberto Maroni che nella Lega cominciano a rimpiangere in molti) e che il feudo di Durigon, Latina, sia rimasto al centrosinistra nonostante nella Lega si sentisse futuri padroni della città.

Se Salvini piange anche Giorgia Meloni non sorride: la crescita di Fratelli d’Italia (prevista da tutti) non ha cambiato gli equilibri delle coalizioni in campo e ora sarà molto più difficile rivendicare una leadership automatica che lei e i suoi fedelissimi ritenevano automatica. Giorgia Meloni infatti a differenza degli altri cui di partito non è uscita con nessuna dichiarazione immediata.

Infine c’è la questione dei destrorsi più esagitati che fino a qualche mese fa credevano in Salvini e Meloni e che oggi si sentono abbandonati: i no vax sono solo una parte di chi vedeva nei due i possibili liberatori dalla “dittatura sanitaria” e oggi ormai si sentono traditi.

Al di là di tutte le considerazioni di rito la partita delle amministrative finisce otto a uno per il centrosinistra. I candidati sindaci di centrosinistra alle amministrative hanno battuto quelli di centrodestra in 8 sui 10 capoluoghi richiamati a votare al secondo turno. Rivendere la conferma del sindaco a Trieste come una vittoria è troppo anche per chi per mesi ha dopato la proiezione di se stesso.

Meloni e Salvini hanno occupato per mesi i media da vincitori ma sono molto meno di quello che temono i loro avversari. Queste elezioni cambiano le proporzioni.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Non Morisi: il problema di Salvini è Giorgetti

Il ministro dello Sviluppo economico del governo Draghi è uscito allo scoperto lanciando accuse circostanziate al suo segretario. Dalla scelta delle candidature per le comunali a Roma e Milano a quella per il Quirinale

Mentre si discute (giustamente) della mendacia di chi ha messo in piedi un’infernale macchina di odio contro gli stessi atteggiamenti che di nascosto in privato esercitava dentro la Lega e nel centrodestra sta accadendo qualcosa di più rilevante dal punto di vista politico. Sia chiaro: la questione Morisi pesa e peserà moltissimo su Salvini e sulla Lega, soprattutto a ridosso di elezioni amministrative che già difficilmente avrebbero potuto essere un trionfo ma mentre nelle ultime settimane si raccontava degli scontri interni nella Lega recuperando informazioni dai retroscena e da leghisti che hanno sempre voluto rimanere anonimi (anche su queste colonne, con buona pace di chi ci ha sbraitato contro accusandoci di inventarci le notizie) ormai Giorgetti (e con lui tutti quelli che sono sulla stessa linea) è uscito allo scoperto e ormai l’attacco a Matteo Salvini è ufficialmente partito.

In una lunga intervista a La Stampa il ministro dello Sviluppo economico nel governo Draghi e vicesegretario federale della Lega ha reso pubblici ragionamenti che da tempo fa in privato, lanciando accuse circostanziate al suo segretario. Giorgetti ci tiene a dire che è sbagliata la candidatura di Michetti per il centrodestra a Roma rivelando di preferire Calenda (che piace sempre molto a destra e sempre molto poco a sinistra, questo dovrebbe bastargli per tirare le sue conclusioni), confessa che a Milano il candidato Bernardo rischia addirittura di non arrivare al ballottaggio e prende le distanze precisando «i candidati non li ho scelti io che faccio il ministro e mi occupo d’altro».

L’affondo contro Salvini arriva però sul Quirinale. Mentre il leader (ancora per poco) leghista insiste sulla candidatura di Silvio Berlusconi Giorgetti precisa che Silvio ha «poche» possibilità e che Salvini rilancia la sua candidatura solo per «evitare di parlare di altre cose serie». Non male come inizio. Sul tema però poi Giorgetti decide di di schiacciare sull’acceleratore confessando che la partita per il presidente della Repubblica «a dire il vero farei ancora gestire» ad Umberto Bossi visto che «il 99% di quello che so l’ho imparato da lui». Chi sta dentro la Lega sa bene che proprio Salvini (consigliato da Morisi) aveva emesso l’ordine di non nominare mai il Senatur. Giorgetti aggiunge che né lui né Meloni voterebbero un Mattarella bis e che quindi preferirebbe Draghi anche se, dice Giorgetti, senza di lui a Palazzo Chigi i soldi in arrivo dall’Europa sarebbero destinati a fare una brutta fine. «Li butteranno via. Oppure non li sapranno spendere», dice Giorgetti stando ben attento ad usare il «loro», come a lasciare intendere che la sua permanenza al governo è legata a doppio filo a Draghi.

La notizia è enorme: Giorgetti ha cambiato passo e la strategia per logorare Salvini ormai avviene alla luce del sole. E con Giorgetti ci sono anche pezzi grossi come Zaia e Fedriga, tutta gente che a differenza del segretario ha ancora connessione con gli elettori e non verrà sfiorata dall’affare Morisi. Lunedì arriveranno i risultati per la Lega e (soprattutto al Sud) non saranno buoni. L’avanzata della linea di Giorgetti potrebbe mettere a rischio anche la leadership nel centrodestra di Giorgia Meloni. Il tema, insomma, è grosso.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Salvini ha spaccato la Lega cercando di rincorrere FdI senza capire che la Meloni ha già preso il suo posto

Ha ragione Massimiliano Fedriga quando dice che Francesca Donato non è certo “una colonna della Lega che ha abbandonato il partito” ma Fedriga (come il suo gran capo Salvini) omette di dire che sono proprio i Donato, Bagnai, Borghi, Siri e Pillon che tengono il partito con un piede fuori dal governo che sta svuotando il partito di voti.

È vero, l’europarlamentare Donato probabilmente finirà in qualche partito laterale (si parla di Italexit di Gianluigi Paragone) oppure sparirà nella schiera di Fratelli d’Italia ma che la Lega di Salvini si stia spaccando e esaurendo è un fatto politico che ormai più nessuno riesce a nascondere.

Non bisogna essere fini analisti politici per capire che lo spazio occupato da Salvini (quello dell’opposizione urlata, muscolare e dura disponibile perfino ad accarezzare i complotti per continuare a partorire nuovi nemici immaginare) non sia compatibile con la presenza nei banchi di un governo che dell’equilibrio, della misura (e perfino della sbiaditezza) fa la propria cifra politica.

Gli errori inanellati da Salvini del resto ormai cominciano ad accumularsi: dopo avere costruito il proprio bacino di voti sulla sfrontatezza e sul mito dell’uomo forte Salvini è riuscito ad apparire tonto e debolissimo facendosi bastonare nel primo governo Conte, è apparso poco credibile mentre urlacciava contro i grillini suoi ex compagni di governo (mentre erano ancora fresche le foto in cui apparivano abbracciati e sorridenti) e ora paga lo scotto di essere elemento dell’ammucchiata di maggioranza.

Ovvio che se decidi di capitalizzare il tuo essere “ferocemente contro” paghi pegno nel momento in cui ti ammorbidisci. Altrettanto ovvio è che Salvini abbia dovuto ammorbidirsi per tentare di ammantarsi di quel minimo di credibilità che voleva utilizzare per proporsi come futuro leader del centrodestra e di governo.

Entrambe le missioni sono fallite: nella posizione politica occupata oggi dalla Lega è inevitabile che la linea di Giorgetti e compagnia cantante (che godono non poco mentre assistono all’erosione del loro segretario) sia la più efficace, forse perfino inevitabile. Ed è una naturale conseguenza che sia proprio Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia l’unica ad apparire opportuna in quello spazio precedentemente occupato da Salvini.

A proposito di Giorgia Meloni: per un vizio tutto italiano di combattere le persone piuttosto che i modi e contenuti forse sarebbe il caso (lo ripetiamo da tempo su queste pagine) di capire che il nuovo Salvini è già da un pezzo Giorgia Meloni, è lei ad avere ereditato il velato razzismo, la carezzevole vicinanza agli ambienti estremisti e il piglio ai limiti del negazionismo che piace tanto ai No vax e ai No qualsiasi cosa.

Se la battaglia politica è quella di combattere un certo sovranismo nazionalista che attraversa l’Europa forse conviene lasciare Salvini a sbriciolarsi per conto suo e cominciare ad ascoltare con attenzione le pericolose valutazioni di quella che potrebbe essere a capo della coalizione di centrodestra data per favorita alle prossime elezioni politiche. L’hanno capito perfino i transfughi leghisti che si spostano in massa verso Fratelli d’Italia. Chissà quando lo capiranno certi editorialisti.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il capolavoro politico di Salvini: sul Green Pass non ha toccato palla ed è riuscito a scontentare tutti

Finge di avere una strategia ma non gli crede più nessuno. Non ci credono i suoi detrattori (ovvio, sono lì per quello) ma non ci credono nemmeno i suoi “amici” interni che a dire la verità da un po’ di mesi non vedono l’ora che il leader si sbricioli per poterlo mettere da parte: ieri Matteo Salvini si è incartato sul primo decreto Green Pass (che prevede il certificato nei ristoranti al chiuso, negli spettacoli al chiuso e allaperto, nelle palestre e nelle piscine) annunciando prima il ritiro degli emendamenti della Lega per dimostrarsi collaborativo (mai affidarsi alle promesse di collaborazione di un turbo-individualista) e per chiedere al governo di togliere la fiducia poi in aula la Lega ha votato quegli stessi emendamenti però proposti da Giorgia Meloni.

Ricapitolando, per semplificare: la Lega aveva vergato emendamenti per affossare una decisione che lei stessa aveva avvallato in Consiglio dei ministri, poi ci ha ripensato e poi ci ha ripensato ancora votandoli a firma di Fratelli d’Italia: una contraddizione al cubo che, nella sostanza, è semplicemente il vuoto cosmico politico.

Per rendersi conto della cifra politica vale la pena rileggere l’intervento di Borghi (diventato in questi mesi un idolo trascurabile dei no Green Pass): “In un primo momento cera stato un rifiuto totale da parte del governo verso tutte le nostre istanze e allora era stata votata la soppressione (in commissione, ndr). Ma noi vogliamo cercare di procedere in un clima costruttivo: anche a seguito di quellatto politico forte sono stati già riconosciuti miglioramenti e altri sono allo studio. Arrivare a un dialogo e a compromessi è esattamente quello che un Parlamento dovrebbe fare, invece che il muro contro muro”.

Quindi, ha concluso Borghi, “sarebbe offensivo da parte nostra chiudere la porta prima di vedere lesito della discussione: noi confidiamo che il governo accolga alcune modifiche di buon senso e in attesa di vedere cosa avverrà, la Lega si asterrà sullemendamento soppressivo dellarticolo 3″.

Risultato? Emendamenti bocciati, figura piuttosto molle (e intanto Giorgia Meloni continua ad apparire sempre più dura e convincente) e il capolavoro politico di scontentare tutti, sia da una parte che dall’altra. 

Partono ovviamente gli attacchi. Matteo Salvini tenta di salvare il salvabile e oggi si fa intervistare dal Corriere della Sera dicendo di avere “garantito un equilibrio tra il diritto alla salute e quello al lavoro.” (Non si capisce bene come non avendo ottenuto nulla in aula, al di là della figura barbina) e poi buttandola in caciara parlando di “tamponi gratuiti” (che nulla avevano a che vedere con la discussione).

Poi balbetta di avere avvisato Draghi (come se notificare a qualcuno che si sta facendo una cazzata renda meno scemi) e infine rivendica di avere “portato a casa lestensione di validità del Green Pass da 9 a 12 mesi” e di avere “messo in sicurezza gli albergatori che rischiavano di perdere clienti a pranzo e cena”: tutte decisioni prese collegialmente dal governo.

Insomma, il disturbatore interno non disturba più nessuno e l’oppositore non riesce a fare opposizione: ben fatto, Matteo.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Elogi a Salvini, critiche al Ddl Zan, nessun mea culpa sui dl sicurezza: caro segretario Letta, tutto bene?

Che giornata storta per il Partito Democratico e, soprattutto, che giornata storta per le sorti del centrosinistra (e ci mettiamo dentro anche il Movimento 5 Stelle visto che dalle parti del centrosinistra l’asse con il Movimento guidato da Conte viene dato per scontato): nel giro di qualche ora accade che il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano (uno che tenta sempre di apparire “altro” dal PD perché ha scambiato l’estraneità con l’indipendenza) riesca a intravedere “una visione di Paese” nell’azione politica di Matteo Salvini, poi accade che il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca (un leghista che poiché sa usare i congiuntivi è stato dirottato tra i democratici) prenda a cannonate il Ddl Zan e infine accade che il leader del Movimento 5 Stelle che in un’intervista critichi Salvini attaccando i decreti sicurezza che lui stesso ha avallato da Presidente del Consiglio.

Michele Emiliano durante l’evento “La Piazza”, la kermesse organizzata a Ceglie da Affaritaliani.it, ci tiene a dirci che Salvini sta facendo un grande sforzo per delineare una visione di Paese, ed è uno sforzo che ha dei costi politici”. Aggiungendo: Salvini è un politico che ha una sua onestà intellettuale.

Che la “visione del Paese” di Salvini sia qualcosa che puzza di ferocia e della peggiore destra di sempre sembra un particolare di poco conto per Emiliano che mica per niente qualche settimana fa spese parole di elogio per il sindaco di Nardò Pippi Mellone, da sempre vicino a Casapound, parlando di “politica e amicizia che non possono essere disgiunte”.

Forse anche per questo spesso il presidente pugliese ha dimostrato di intendere il suo partito come una compagnia di giro. Sull’onestà intellettuale di Salvini (che oggi rilancia indignato l’uccisione di un cane con colpi di arma da fuoco dopo avere sommariamente già assolto un suo assessore che invece spara alle persone) l’uscita di Emiliano è qualcosa che ha a che fare più con il teatro dell’assurdo che con la cronaca politica. Viene difficile perfino scrivere un commento.

Vincenzo De Luca, ospite della festa dell’Unità nazionale di Bologna, dice con la solita pacatezza dell’Erdogan alla pummarola che il “decreto Zan” (che poi sarebbe un disegno di legge, provi a studiare un po’ di più caro De Luca) così com’è non lo avrebbe votato: “Ma davvero pensate che alle elementari facciamo la giornata di riflessione sull’omotransfobia? Ma andate al diavolo”, ha tuonato.

Del resto lo scrivo De Luca pensa probabilmente che i diritti si conquistino con i lanciafiamme, coma al solito. Peccato che ora la macchietta non faccia più ridere nessuno. Poi c’è un altro piccolo capolavoro: Noi siamo narcotizzati, – dice De Luca – quando sento parlare tanti dirigenti nazionali io dopo 30 secondi devo cambiare canale. Non ce la faccio più. Ti viene veramente langoscia, sono anime morte”.

Del resto che la politica per qualcuno sia uno strapagato show quotidiano sembra evidente. Un piccolo dettaglio: De Luca è in politica dal 1975, sentirlo superficialmente agitare il feticcio del “rinnovamento” (lui che si è rinnovato facendo eleggere il figlio in Parlamento) è qualcosa di tragicamente comico. Alla De Luca, insomma.

Infine c’è Giuseppe Conte che attacca Salvini attaccando i decreti sicurezza emanati durante il suo primo governo. Conte si è accorto che “I decreti sicurezza hanno messo per strada decine di migliaia di migranti dispersi per periferie e campagne.

Leliminazione della protezione umanitaria ha impedito a molti migranti di entrare nel sistema di accoglienza e ad altri di farli uscire in quanto non aventi più titolo, con il risultato che migliaia di migranti sono diventati invisibili”.

Erano esattamente l critiche che scrivemmo sommessamente da più parti e che vennero tacciate di buonismo (anche da Conte e anche dal M5S). Felice che abbia cambiato idea, peccato intanto che siano passati altri due governi. Un po’ di tempo s’è perso, insomma.

Forse sarebbe il caso che, oltre ad attaccare Salvini, Conte trovi il coraggio di chiedere personalmente scusa e soprattutto che ci dica quali politiche intenderebbe mettere in campo in tema di accoglienza e immigrazione. Sarebbe più utile, francamente. Caro segretario Enrico Letta, tutto bene? Davvero?

L’articolo proviene da TPI.it qui

Salvini finge di non essere al Governo: sbraita contro Lamorgese senza proporre nessuna soluzione

Matteo Salvini si è incagliato. Come un giradischi rotto che insiste ossessivo a suonare la solita canzone da mesi ripete sempre le stesse cose, cambia solo qualche aggettivo e l’immagine a corredo dei suoi post, non riesce a trovare un guizzo, non trova un nuovo concetto, nemmeno mezzo straccio di slogan, niente di niente.

E così dopo avere fotografato la sua bilancia per dirci che è ingrassato di tre chili durante la sua permanenza in Calabria e quindi si metterà a dieta (sempre sull’onda dei politici che avrebbero voluto essere influencer e che ci informano delle loro attività intestinali ) oggi prova a fare un po’ di rumore con un tweet che è la sindone del suo essersi arenato: “Rave party con morti e feriti che durano giorni – scrive Salvini – orde di baby gang che terrorizzano da tempo la riviera romagnola e non solo, dopo navi francesi e tedesche, oggi una nave con bandiera norvegese lascerà 322 immigrati in Italia. Lamorgese, dove sei?”. 

Vale la pena spulciarlo: l’ex ministro dell’Interno mette insieme una questione di ordine pubblico (il rave), una questione culturale che ha a che fare con l’infanzia e l’educazione (le presunte “baby gang”) e una questione umanitaria (i salvataggi nel Mediterraneo) tutti sotto l’ombrello della “sicurezza” dimostrando ancora una volta di non avere nessuna contezza politica (oltre che empatia, ma quella rientra nel suo personaggio di “cattivissimo me” che ormai non fa più nemmeno sorridere i bambini) dei temi di cui vorrebbe trattare.

La sua retorica ormai è stantia, zoppicante, prevedibile e la sua propaganda sembra non volere tenere conto della contemporaneità rendendolo terribilmente sgraziato.

Solo che Salvini continua a fingere di dimenticare che questa volta al governo c’è seduto anche lui, lui e tutta la sua truppa di salviniani che si stanno ottenendo nell’entusiasmo e sembra funzionare poco o niente la narrazione della Lega al governo per “pungolare” Draghi: il sottosegretario della ministra Lamorgese, solo per fare un esempio, è il leghista Molteni e perfino gli elettori salviniani si chiedono perché il Capitano non chiami il suo compagni di partito piuttosto che sputare qualche tweet.

La profezia di Giorgia Meloni si avvera ogni giorno di più: Salvini all’angolo che si consuma mentre lei con le mani libere che cresce nei sondaggi. Resta da capire quanto questa sia una buona notizia per il Paese poiché i due sembrano sovrapponibili nelle idee, differenti solo per i contesti che si trovano ad affrontare. E forse ci stiamo occupando del Salvini sbagliato.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Salvini, la famiglia prima di tutto ma non se sono profughi: la proposta senza senso di accogliere solo donne e bambini

Ci sono molti modi per cannibalizzare un territorio che è spolpato da 20 anni di guerra feroce e inutile, poi caduto nelle mani di quegli stessi per cui 20 anni fa ci si era mossi e che ora sono tornati riaccendendo le stesse paure e l’odore degli stessi errori di vent’anni prima: anche l’Afghanistan entra nella centrifuga paradossale e cretina di Matteo Salvini, ovviamente con nessun interesse reale per la vicenda ma banalmente per accarezzare gli sfinteri del proprio elettorato senza stordirlo con troppa complessità.

Corridoi umanitari per donne e bambini in pericolo certamente sì. Porte aperte per migliaia di uomini, fra cui potenziali terroristi, assolutamente no”, ha detto Matteo Salvini con la faccia tronfia di chi si illude di essere riuscito ad apparire compassionevole ma duro, difensore della propria Patria simulando un minimo interesse per le patrie degli altri.

Peccato che basta metterci un secondo di testa, accendere un minimo di logica per accorgersi che la frase non ha nessun senso. Una “cagata pazzesca” come la definirebbe Fantozzi. Dentro c’è l’assurda idea di considerare donne e bambini elementi separati dagli uomini, di fatto proponendo una classificazione per genere e per età delle persone da salvare dimenticandosi totalmente che le famiglie solitamente invece siano composte da tutti e tre gli elementi. Ed è piuttosto curioso che lo strenuo difensore della “famiglia tradizionale” immagini invece famiglie spaccate in giro per l’Europa senza nessuna possibilità di coinvolgimento.

Ma non solo: Salvini parte dall’assunto che tutti gli uomini afghani siano evidentemente pericolosi e “terroristi”, dimenticando di fatto (o ignorando per troppa pochezza storica e culturale) che i terroristi a cui si riferisce (cioè quelli dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001) siano del Paese con cui va a braccetto il suo amico Renzi. Pregiudizio e ignoranza: il mix perfetto per il razzismo, ovviamente.

Ma il capolavoro dell’idiozia è questo: “E mentre a Kabul i talebani riportano in vigore la sharia, la violenta legge islamica, in Italia stanno per sbarcare 166 e 322 clandestini da due navi di ONG con bandiera tedesca e norvegese. Io il 15 settembre andrò a processo perché ho difeso il mio Paese, qualcun altro dorme…”, scrive Salvini.

Qui dentro c’è tutto il sottovuoto spinto della sua propaganda: mischiare argomenti diversi ed erroneamente descritti facendo un giro largo per parlare di sé. L’uomo che giudica i colpevoli solo leggendo i titoli di Libero si rivende come eroe perché rinviato a giudizio (lui che sputa di solito perfino sugli indagati) e in un tweet mette dentro sharia (chiamandola erroneamente “violenta legge islamica”), bandiere tedesche e norvegesi, clandestini che non lo sono (anche in questo caso lo decide un percorso giuridico) e un processo di cui lui stesso ha già deciso la sentenza. Badate bene: è il Salvini che banchetta in giro per l’Italia raccogliendo firme per un referendum sulla giustizia. Fate un po’ voi.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Salvini torna a concimare odio e raccogliere consenso raffazzonato: “Difficile sostenere chi accetta gli sbarchi”

L’avevamo detto ed è successo. Per carità, non era troppo difficile prevedere che Salvini avrebbe svoltato presto sulla sua solita retorica degli sbarchi e dei migranti: negli ultimi mesi qualsiasi sua uscita (anche le più irresponsabili che servono per tenere dritti i peli dei No Vax, dei complottisti e dei negazionismi) è stata rispedita al mittente dal governo, se non da Draghi in persona, e al leader leghista è toccato tornare al suo posto. I migranti invece, pandemia o non pandemia, funzionano sempre come testosterone di una sua parte di elettorato e tornano utili alla bisogna. A questo aggiungeteci l’estate che rende meno pericolose le traversate e avrete il mix perfetto per tornare alla feroce propaganda: «Sostenere un governo che accetta gli sbarchi è un problema» strepita Salvini contro la ministra Lamorgese e di colpo i suoi vecchi fan possono infiammarsi di nuovo. Ovviamente sono pochissimi quelli che gli fanno notare la cretineria tecnica, oltre che politica, dello slogan “fermare gli sbarchi”: Salvini se la prende con le navi delle Ong fingendo di non sapere che stiamo parlando solo del 14% del totale (erano il 12% con Salvini ministro dell’interno). L’86% degli sbarchi avvengono in modo autonomo o con soccorsi di altri e sarebbe davvero utile sentire da Salvini come pensa di risolvere la questione. Ma a lui interessa concimare l’odio e raccogliere un po’ di consenso raffazzonato, come sempre.

Poi ci sarebbe anche la questione vera, ovvero che la gente in mare continua a morire e se non muore in mare è lì in Libia illegalmente detenuta vittima di violenze. Questo punto ovviamente non sembra interessare a nessuno, nemmeno all’Europa che si finge così morigerata e che invece continua ad appaltare (con l’Italia in prima fila) la morte e la sofferenza subappaltando le sue frontiere a gruppi criminali raccontati come credibili interlocutori.

Così alla fine tocca a monsignor Corrado Lorefice, vescovo di Palermo alzare la voce «nel chiedere a istituzioni, nazionali e sovranazionali, di non perdere altro tempo». Sarebbe la stessa Chiesa che viene usata a piacimento, proprio da Salvini, per giustificare l’affossamento delle leggi che non gli piacciono come il ddl Zan ma ogni volta che la Chiesa parla di migranti, chissà perché, dalle parti della Lega nessuna sembra avere orecchie per sentire. Mentre tutti fanno finta di non vedere e di non capire il vescovo Lorefice ricorda che «oltre 400 vite nel cuore del Mediterraneo aspettano la nostra decisione, aspettano di essere salvate». Si tratta di cinque imbarcazioni, con oltre 450 migranti a bordo, per le quali il rischio di naufragio nella zona Sar di Malta è già stato lanciato molte ore fa e viene adesso ribadito con insistenza dalle Ong che operano nel Mediterraneo senza raccogliere alcuna risposta. Per l’arcivescovo di Palermo, «non decidere in questa direzione significa ammettere che l’omissione di soccorso fa parte a tutti gli effetti della strategia che i nostri Governi stanno adottando per gestire il tema delle migrazioni, continuando a rendere plausibile lo straziante genocidio a cui molti ancora si rifiutano di assistere, voltando lo sguardo dall’altra parte». «Da esseri umani prima ancora che da cristiani – conclude mons. Lorefice – non possiamo non condividere l’impossibilità di tacere dinanzi al perpetuarsi di questo male». E ha ragione il vescovo a ricordare che si tratta «di diritti umani internazionali, della Costituzione italiana e del Vangelo».

Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ribadisce: «La situazione del Mediterraneo va affrontata con tempestiva risolutezza e mettendo al centro diritti umani e dignità dei naufraghi. Si tratta di un numero che fa gridare all’emergenza e all’invasione solo chi fa della paura e della demagogia gli unici strumenti da usare nel dibattito politico e mediatico». Ed è vero, come dice Ripamonti, che «è necessario un nuovo patto sociale in cui autorità nazionali, enti locali e cittadini insieme decidano di porre fine all’ecatombe di uomini, donne e bambini in cerca di salvezza e accolgano in maniera diffusa in tutti i territori i migranti. In questo modo l’impatto che si avrebbe sulle comunità locali sarebbe minimo e non rappresenterebbe un onore o un’emergenza per nessuno». «Salvare chi rischia la vita in mare, in assenza di alternative legali per entrare in Europa, è dovere umanitario non derogabile», evidenzia il Centro Astalli, ricordando che «i dati del Ministero dell’Interno ci dicono che nel 2021 sono arrivati via mare in Italia 30mila migranti».

Insomma: mentre Salvini ricomincia a lucrare sui migranti (ma anche Giorgia Meloni è riuscita a mettere in un confuso ragionamento la presunta libertà privata agli italiani dal Green Pass con la presunta libertà regalata ai migranti colpevoli di voler essere liberi di sopravvivere) si ripete nel Mediterraneo la solita feroce estate europea: morti, salvataggi negati, tifosi della morte e nemmeno un plissé di fronte a tanto dolore.

L’articolo Salvini torna a concimare odio e raccogliere consenso raffazzonato: “Difficile sostenere chi accetta gli sbarchi” proviene da Il Riformista.

Fonte

Il processo breve (secondo Salvini)

L’assessore leghista alla Sicurezza di Voghera ha sparato a un uomo di origini marocchine e lo ha ucciso. Salvini parla subito di legittima difesa, punta sul fatto che il presunto aggressore fosse straniero e riesce a rivittimizzare la vittima descrivendolo come un violento…

Volete spiare dal buco della serratura che Paese sarebbe questo con Salvini al governo? Eccolo qua: l’assessore leghista Massimo Adriatici che a Voghera ha la delega alla “sicurezza” ieri ha sparato e ucciso Youns El Boussetaoui, un 39enne marocchino. La nazionalità ci tocca metterla perché quando si tratta di leghisti purtroppo ci tocca sempre insozzarci del loro mondo diviso tra italiani e stranieri. Me ne scuso subito con i lettori.

«Stavo passeggiando in piazza Meardi quando ho notato quell’uomo infastidire i clienti di un bar», ha dichiarato Adriatici, ex funzionario di polizia, parlando al magistrato. «Mi sono avvicinato, l’ho redarguito invitandolo ad andarsene e a quel punto ho chiamato la polizia – ha aggiunto – Sentendo la mia telefonata, mi ha spinto facendomi cadere. È stato a quel punto che dalla pistola già impugnata è partito il colpo».

I fatti finora accertati dicono che l’uomo ucciso fosse probabilmente alterato dall’alcol e che sia stato colpito in pieno petto.

«Lo chiamavamo sceriffo per l’atteggiamento, che non era quello di un assessore. Il primo atto che ha fatto in comune è stato il Daspo a una persona che chiedeva l’elemosina», ha detto ieri il coordinatore del partito La buona destra di Voghera, Giampiero Santamaria. Tra le voci raccolte in paese c’è chi descrive la vittima come “non certo un delinquente, non era pericoloso. Era seguito dai servizi sociali e dalla Caritas”, “una persona problematica, non un aggressore. Era più da manicomio”. Poi c’è anche chi racconta che l’assessore leghista fosse abituato “a scendere per strada con la pistola”.

Ora arriva lo schifo vero. Matteo Salvini riesce a superarsi pubblicando un video in cui descrive Adriatici come la «vittima di una aggressione» che «ha risposto e accidentalmente è partito un colpo». Punta sul fatto che il presunto aggressore fosse straniero e riesce a rivittimizzare la vittima descrivendolo come un violento. Sul suo assessore invece dice che bisogna aspettare. Capito? Lo straniero è sicuramente colpevole perché “lo dicono gli abitanti di Voghera” mentre il suo assessore è un povero aggredito. Ma il vero capolavoro è la legittima difesa avvenuta con un colpo accidentale: un ragionamento talmente stupido che tremano le dita anche solo a riportarlo. Del resto, dai, diciamocelo, chi di noi non va al bar con in tasca una pistola con un colpo in canna e senza sicura che cadendo fa partire un colpo? È sempre la schifosa legittima difesa di Salvini: se sei bianco (meglio ancora settentrionale) e di fronte hai un disperato (meglio ancora straniero) hai sempre ragione. L’idea di giustizia è questa cosa qui. Sotto sotto c’è il messaggio che Salvini non dice ma che molti leghisti mettono nei commenti: “Il mio assessore è un figo e quell’altro è solo un marocchino in meno”. Un razzismo incondizionato che sta dietro a qualsiasi tentativo di ragionamento.

Eppure dovrebbe fare schifo anche solo un uomo delle istituzioni che spara durante una lite. Ma anche questo è esattamente il pensiero leghista: libera arma in libero Stato con libera impunità per il più forte. Ora chiudete gli occhi e immaginate il video di Salvini se a sparare “accidentalmente” fosse stato il marocchino: ecco spiegato tutto. Se volete provare ancora più nausea potete rileggervi le parole dell’eurodeputato leghista Angelo Ciocca: «Se non fosse stato per un assessore leghista, intervenuto a difesa di una donna molestata, ora staremmo parlando di violenza su una donna innocente. La morte è sempre da scongiurare, ma la dinamica è di #legittimadifesa».

Rimangono in sospeso alcune domande: come possono Pd e Leu continuare a restare al governo con uno così? Come può uno storico partito come i Radicali promuovere una raccolta firme per un referendum sulla giustizia con uno così?

Ieri avete assistito al “processo breve” secondo Salvini: “se è uno dei nostri è sicuramente innocente e ha fatto bene”.

Buon giovedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.