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scelte

La democrazia secondo Confindustria

Carlo Bonomi si è lanciato perfino in un neologismo: “democrazia negoziale”. Quando mi è capitato di leggerlo ho pensato che la democrazia è democrazia, ed è contendibile per natura altrimenti non lo sarebbe poi ho letto ancora di più e mi sono accorto che sarebbe “una grande alleanza pubblico-privato” in cui “il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale” ma dialoga “incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. È un fighissimo esercizio retorico ma in realtà, grattando grattando, significa che secondo Bonomi Confindustria dovrebbe essere la terza Camera dell’iter parlamentare. I cittadini votano un governo ma il governo deve essere avallato da loro. Forte, eh?

Peccato che proprio sulla rappresentanza di Confindustria ci sarebbe qualcosa da ridire visto che la Confindustria di oggi rappresenta quel bel capitalismo fatto con i soldi degli altri (Eni, Enel, Leonardo, Poste, tanto per citare qualcuno) che ha consigli d’amministrazione decisi dal governo e ha perso parecchia rappresentanza di quel capitalismo privato che ormai dalle nostre parti è diventato una rarità.

Ma non è tutto, no. Confindustria per bocca del suo presidente Bonomi ha criticato (legittimamente) le scelte del governo definendo (legittimamente) assistenzialismo le iniziative prese come i bonus e la cassa integrazione: peccato che proprio Confindustria abbia usato la cassa integrazione per i giornalisti del suo quotidiano Il Sole 24 Ore. Curioso, no?

E poi c’è la ricetta per ripartire, questo è il vero capolavoro: meno regole per gli appalti, più cemento per tutti e soldi alle imprese e possibilmente più possibilità di precarizzare i lavoratori. Sono le stesse ricette di tutti questi stessi anni. Sempre.

Sarebbe bastato dire invece: «caro Conte sappiamo che arriverà una montagna di soldi dall’Europa e vogliamo la nostra fetta». Un po’ crudo, molto più apprezzabile. Senza nemmeno troppo sforzo nell’inventare nuove parole.

Buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Ieri gli infermieri erano “eroi”. Ora chiedono stipendi decenti e vengono presi a manganellate

Ve li ricordate gli infermieri in prima linea tutti belli, tutti giovani, tutti forti? Ve la ricordate, non è passato molto tempo, la romanticizzazione del lavoro negli ospedali nel momento di punta del virus, quando circolavano le fotografie di personale distrutto dalle mascherine, segnato dal dolore, provato dalla stanchezza e svuotato alla fine di turni che duravano perfino un giorno intero? Si diceva che forse sarebbe stato il caso di trarne una lezione, di essere meno poetici e di considerare la straordinarietà dell’impegno come lezione per il futuro, per riconoscere di più e meglio il lavoro di una sanità che un po’ dappertutto è stata sempre punita dalle scelte della politica, abbandonata a calcoli di bottega più che a preoccupazioni sanitarie.

In Francia da giorni gli operatori sanitari protestano per le strade chiedendo una migliore retribuzioni e maggiori investimenti nella sanità pubblica, per strada ci sono le stesse facce che venivano celebrate e incoraggiate, per strada c’era anche Farida, un’infermiera che è stata fotografata, questa volta senza celebrazioni facili come didascalia, ma circondata da poliziotti antisommossa che la trascinano con la faccia sporca e insanguinata come se fosse una pericolosa criminale. “Questa donna è mia madre – ha poi twittato la figlia – ha 50 anni, è infermiera, per tre mesi ha lavorato fra le 12 e le 14 ore al giorno. Ha avuto il Covid. Manifestava perché rivalutino il suo salario, perché riconoscano il suo lavoro. E’ asmatica. Aveva il camice. E’ alta 1,55 metri”·

Dietro un semplice episodio c’è molto: c’è la violenza della polizia (accade in Francia come accade negli Usa e come accade un po’ dappertutto perché il problema è molto più contagioso di quello che sembra), c’è il declino veloce di chi torna utile ai governi nella veste di eroe ma che poi deve fare il bravo e tornare buono al suo posto senza alzare troppo la voce e c’è la pandemia che ha scoperto bisogni che qualcuno finge ancora di non vedere. L’eroe moderno a disposizione del potere funziona così: pronto per mettersi in posa per essere l’angelo custode a disposizione della narrazione battagliera e poi il muto consapevole di chi non si permette di alzare la voce. Non è che i nostri eroi sono stati utili solo come statuine di un presepe che doveva sconfiggere il virus e poi andava messo in soffitta fino alla prossima celebrazione? Perché così sarebbe tutto terribilmente poco etico, poco serio, poco credibile.

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L’articolo proviene da TPI.it qui

L’antipatico adagio della “sinistra”

Mi chiedono cosa ho intenzione di fare, in politica. Sì, bello, bravo, mi dicono, sei stato bravo e bello ma cosa sei e ancora meglio cosa vuoi essere? La politica è una cosa seria quando serve ad alleggerire l’oppressione degli oppressi ma diventa un esercizio dialettico nei salotti romani. Un reality dove l’isola è il parlamento e le facce vendono sempre più delle idee. E poi sbuca sempre prima o poi (appena un secondo prima della proposta dell’aperitivo) la “sinistra”. Dici “sinistra” di questi tempi e sei già stimabile di tuo perché hai il coraggio di pronunciarla senza eccezioni di parte. Tempi bui questi in cui una parola si porta con sè un bagaglio intero di pregiudizi.

C’è stata la sinistra responsabile che voleva dimostrare di avere la maturità di stare al governo. E ne è uscita (mio dio con che eleganza però, eh) un secondo dopo il governo appena impastato e fatto.

C’è la sinistra dura e pura che a forza di essere puramente dura e duramente pura ha finito per allearsi con quei quattro aspiranti confindustriali che stavano nel partito a forma di piscina gonfiabile insieme a Tonino Di Pietro.

Poi c’è la sinistra di Ingroia che ha voluto essere apartitico con tutti i segretari di partito capilista. Non sarebbe nemmeno servita un’indagine dei vigili urbani per capire che il ricambio era un’ispirazione rimasta bloccata come un nodo in gola e alla fine aveva la forma e l’odore di uno sputo minoritario per sintesi organica.

Poi c’è la sinistra extraparlamentare, extrapotentati che ha finito per essere anche extrasociale come un barricadero intriso di rhum ma simpaticissimo, per carità, come affascina seduti al bancone nessuno mai, mai.

Poi c’è la sinistra del centrcentrocentrosinistra che non vuole cambiare la partita ma vuole cambiare il partito e alla fine vorrebbe convincerci che la loro battaglia sia totalizzante nonostante il recinto. Perché per costruire una sinistra in Italia, ci dicono, bisogna fare che il PD diventi di sinistra. E poi giù con le risate finte come nelle commedie in pellicola incrostata e incerottata degli anni ’50.

Rimane di sinistra qualcuno, sì. Rimangono di sinistra gli anziani seduti al bar che vorrebbero far pagare in modo direttamente proporzionale le tasse come avevano scritto quei tali nella Costituzione parlando di “ognuno secondo la propria capacità contributiva”. Vorresti far pagare quindi i ricchi? Chiedono sdegnati i responsabili del bar ACLI la giù nella bassa provincia di qualsiasi provincia qualsiasi e quelli, responsabilmente alcolici come erano alcolici i compagni qualche decennio fa, dicono che sì, che dovrebbero pagare la crisi quelli che non l’hanno sentita che spesso sono quelli che l’hanno provocata per una disuguaglianza che costa troppo ormai. Ma nessuno li prende sul serio, nessuno.

Poi ci sono i “cantori della sinistra”. Meravigliosi. Aprono un cantiere al giorno e intanto dentro le proprie mutande nominano anche il segretario di circolo. Perché il controllo è tutto, dicono, e poi da lì credono che passi la potenza mentre spariscono nelle percentuali.

Vincono tutti lì dentro il recinto e sono preoccupatissimi di quello che si potrebbe preparare fuori. Mi telefonano allarmati e allarmanti. Perché a lavorare normali, senza commissioni e strategie da caffè, ma lavorare normali con un lavoro che sia di scadenze e cliente e impegni presi non riescono a concepirlo. Proprio no.

Cosa stai facendo? mi chiedono. Cosa hai intenzione di fare, intendo politicamente? Osservo il teatrino della sinistra più mendace e borghese di questi ultimi anni. Poi si vedrà. Come in “via col vento” perché mi vergogno anche solo a citarlo, Berlinguer.