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scioglimento

Cosa possiamo fare?

Mi scrive un lettore, Carlo Festa:

Ho dedicato buona parte di questa stagione estiva alla visione di innumerevoli documentari riguardanti i danni derivanti dal cambiamento climatico, oltreché le cause e le ragioni del suo avvento. Un povero stronzo come me, che scrive canzoni all’interno delle quali cerca d’incastrare un messaggio preciso per i posteri, non può che lasciarsi trascinare dalle sfumature disastrose che avvolgono il nostro intero pianeta; nella sempre vana ricerca di una curva verbale che prenda vita nel cuore di chi ascolta e si propaghi in maniera endemica nelle coscienze di ognuno.

Solo che accade che il disastro del quale vorrei parlare in  dodecasillabi mi ha totalmente ammutolito.

E il problema non è tanto il silenzio; quanto il senso d’impotenza che in questo periodo ho nutrito fatalmente.

Risparmio i soliti sermoni sulle conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e delle elevatissime temperature registrate in Antartide, sullo sbiancamento della barriera corallina, del processo inesorabile di desertificazione di innumerevoli aree del pianeta un tempo fertili e rigogliose; e delle sempre verdi isole di plastica sugli oceani. E li risparmio non tanto perché non li leggereste – molti di voi avranno già scrollato questo post alle prime due righe -, quanto perché infondo lo ritengo, sostanzialmente e particolarmente, inutile.

L’ultimo documentario che ho visto (il terzo trattante lo stesso argomento) riguardava lo sbiancamento progressivo delle varie barriere coralline. I volti della gente impegnata nella salvaguardia del pianeta, non riescono più a simulare una smorfia serena dinanzi una telecamera; né riescono a mentire riguardo il possesso di una minima speranza verso il futuro. Il loro viso è sfigurato dal dolore.

E io non so che cavolo fare.

Sempre durante la visione di quest’ultimo documentario, sono stato come pugnalato dall’affermazione di uno degli ennesimi zucconi ostinati che pensano di poter salvare il mondo con una telecamera e qualche testimonianza scientifica, il quale disse “Sono anni che si discute di questa emergenza; ma ogni volta è come se le nostre parole fossero spazzate dal vento”. D’accordo, questa cosa è sulla bocca di tutti ormai. Ma non esibiva la tipica espressone rassegnata da boomer, sempre indirizzato al giovane spensierato/incosciente/deficiente. Aveva quella risatina nervosa tipica di chi, a telecamere spente, avrebbe spaccato l’intero mobilio entro il quale era stato invitato, forse stanco per l’ulteriore testimonianza concessa all’ennesimo, inutile, documentario.

E io non sapevo ancora che cavolo fare, seriamente.

Come alcuni di voi – confesso – anche io credo di poter diventare qualcuno che possa offrire un certo contributo alla collettività. Ma il senso d’impotenza dal quale vengo investito, ogniqualvolta realizzo nella mia mente questo disastro, è infinitamente più potente di qualsiasi altro senso di riscatto che serbo. L’abulia dei più è sproporzionalmente più violenta della solerzia dei pochi alimentati da questa comunanza di destino. E l’arroganza dei molti è infinitamente più schiacciante della conoscenza scientifica dei pochi.

Qualcuno mi chiede “come stai?”, ovviamente la mia risposta è sempre “bene”: la salute (ancora) non manca, il lavoro (anche se poco) nemmeno, gli affetti ci sono sempre. Ma quando la conversazione si fa insidiosa, cado preda di una sorta di mutismo religioso. Mi esibisco in smorfie fataliste; approssimo luoghi comuni che cauterizzino l’entità di una discussione, possibilmente interessante; evado dalle possibilità di enucleare in maniera approfondita una mia proposizione sulle cose. Perché penso quanto sia assolutamente inutile, a tratti fastidioso, parlare di massimi sistemi dinanzi un aperitivo. “E cosa dovremmo fare!?” ecco: non lo so; e non vorrei che qualcuno pensasse che stia cercando colpevoli tra i tavolini di un pub.

Mi sento soltanto smarrito, senza barca, senza remi, senza bussola e lontano dalla speranza di un pronto soccorso metafisico. Sorrido all’idea di pensarmi in un consultorio psicologico ed esordire con “Buonasera, soffro molto a causa dei cambiamenti climatici e della crisi storica che stiamo attraversando”, ma, comunque, vi sembra poco?

Non voglio dire che sto male, né voglio far credere di aver vinto un concorso pubblico come emissario comunale del malaugurio.

Soltanto che, ad oggi, non so che fare.

E ho scritto a vanvera proprio per testimoniarlo.

Cosa possiamo fare?

Come giustamente dice Carlo, cosa dobbiamo fare?

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

“Ecco cosa succede a Vittoria, il mix perfetto di mafia e politica” (di Paolo Borrometi)

(un articolo di Paolo Borrometi sul recente scioglimento per mafia di Vittoria, fonte)

Vittoria è la nona città per popolazione della Sicilia e ospita il Mercato ortofrutticolo più importante del Sud Italia, il secondo d’Italia. Una polveriera, l’ho più volte definita. Baricentrica per molteplici interessi che abbracciano l’intero Paese.

Da qui, da questo splendido lembo di terra, vengono immesse nella filiera nazionale frutta e verdura che poi arrivano sulle nostre tavole, tramite il “triangolo dell’ortofrutta” dei mercati, Milano, Fondi e Vittoria.

Grazie a questa “triangolazione” arriva un pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente.

Provengono dal lavoro e dal sudore della fronte di imprenditori e di braccianti agricoli che, per la stragrande maggioranza, sono onesti lavoratori, ma la contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin dalla raccolta, con i caporali.

Il patto che reggeva la pax mafiosa

Le mafie fanno “squadra” e non si fanno la guerra. Così nel ragusano – ed a Vittoria in particolare – si è passati da centinaia di morti ammazzati negli anni novanta, agli accordi di ferro dei nostri anni. Sono diventate una vera e propria holding: stidda e cosa nostra si dividono gli affari locali, la ‘ndrangheta gestisce la cocaina e la camorra (sarebbe più giusto parlare dei casalesi) gestiscono i trasporti (come dimostrano le recenti operazioni di polizia.

L’attenzione delle istituzioni per questo territorio è stata ad “ondate”, così si è passati dal negazionismo o, ancor peggio, dal riduzionismo, fino alla grande attenzione a seguito della strage di San Basilio (2 gennaio 1999). Poi, passati quegli anni, nuovamente poco o nulla. Negli ultimi tre anni, dopo le condanne a morte dei clan vittoriesi nei miei confronti, una nuova ondata di arresti. Ogni operazione aveva sempre come protagonisti i mafiosi inseriti fra la filiera del mercato e la politica, un bubbone che tardava ad esplodere.

La pace viene rotta. Dalla Dia

Tutto cambia nel bel mezzo delle ultime elezioni Amministrative del 2017 quando, dopo il primo turno e prima del ballottaggio, la Finanza di Catania irrompe nella tranquillità del ragusano. Ad essere interessati dagli avvisi di garanzia l’ex sindaco Giuseppe Nicosia, il fratello Fabio (già consigliere provinciale e primo degli eletti al Comune), i due candidati alla carica di primo cittadino, Francesco Aiello (che poi verrà archiviato dalle accuse) e l’attuale sindaco, Giovanni Moscato. Oltre a loro i boss Giovambattista Puccio e Venerando Lauretta, entrambi già condannati per associazione mafiosa, e due pluripregiudicati considerati “vicini al clan” dagli inquirenti.

I pentiti raccontano: c’è un accordo con la politica

Dal lavoro dei finanzieri, per delega della Distrettuale Antimafia di Catania, è emerso con chiarezza l’intreccio affaristico-politico-mafioso. “Ha condizionato e orientato le scelte elettorali anche prima delle elezioni amministrative del 2016”. Si leggeva nel decreto del Giudice delle Indagini Preliminari. A suffragare il quadro, le parole di alcuni collaboratori di giustizia.

I fratelli Nicosia avrebbero ricevuto a Vittoria il sostegno elettorale della “Stidda” sia nelle amministrative del 2006 e 2011, sia nelle regionali e nazionali del 2008 e 2012. Il convogliamento dei voti, secondo quanto venne accertato dalle indagini, sarebbe stato ricompensato con l’assegnazione di appalti e posti di lavoro. Soprattutto negli affari della nettezza urbana e nella filiera del Mercato.

A volte sbagliano. Ma avviene di rado

Un “patto scellerato”. Così che venne definito dagli inquirenti quello con la politica. Mafia che, negli ultimi anni, ha sempre favorito le elezioni dei diversi candidati: prima con Giambattista Ventura e Venerando Lauretta (i due reggenti del clan che mi volevano morto e per questo condannati), poi con Giambattista Puccio (detto “Puccio u ballarinu”). In elezioni in cui venivano candidati proprio i pregiudicati, come il caso di Raffaele Giunta che si ritirò dall’ultima contesa per il consiglio comunale dopo una mia inchiesta giornalistica. Eppure nelle intercettazioni Giunta, nonostante il ritiro, tranquillizzava l’ex sindaco che non avrebbero perso i suoi voti: “per votare a Nicosia io gli do anche il culo… e te lo dico ora… e lo dico sempre”. E Nicosia, indirizzandolo verso il fratello candidato in una lista civica, gli spiegava “dillo che devono votare Nuove idee, no Partito democratico… a volte sbagliano”. A volte sbagliavano, appunto. Ma non sbagliarono.

Il primo sindaco di destra

Vinse il primo sindaco di destra della storia della città, Giovanni Moscato, che per telefono rassicurava gli “amici” dei Nicosia. “Tu gli puoi dire ai picciotti che in questo momento votare me non è tradire i Nicosia è solo stare tranquilli con la famiglia punto e basta”. Con la famiglia, appunto.

Ed infatti i Nicosia, secondo l’accusa, “avrebbero appoggiato Moscato in virtù di un accordo politico con lo stesso, al fine di mantenere la propria egemonia sulle decisioni amministrative”.

Lo scambio politico-mafioso

Tutto fino a giugno di quest’anno quando arrivò l’avviso di conclusione indagine per gli indagati: confermata l’ipotesi di reato relativa allo scambio elettorale politico-mafioso per tre degli indagati fra cui il fratello dell’ex sindaco della città.

Per gli altri politici coinvolti, ovvero l’ex sindaco Nicosia, l’attuale sindaco Giovanni Moscato e due dirigenti del Pd locale, furono contestati episodi di corruzione elettorale. E con l’avviso di conclusione indagini si concluse anche il lavoro della commissione d’accesso al Comune che, nella relazione finale, chiese lo scioglimento per l’ente.

Oggi arriva una risposta

Troppo forti le collusioni con politici che avevano fatto patti con il diavolo, cioè i clan mafiosi. Quei politici che spesso hanno attaccato il lavoro giornalistico di chi cercava di fare solo il proprio dovere. Troppo spesso in solitaria.

Si, perché la mafia in quella zona della Sicilia, la più ricca, non esiste. Quindi come può fare accordi con la politica?
Una domanda che trova la risposta oggi, con la notizia dello scioglimento del Comune, “in ragione delle riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata”. Così come recita il comunicato stampa ufficiale del Consiglio dei Ministri.

‘Ndrangheta: il comune di Lavagna sciolto per mafia

(Ne scrive Chiara Pracchi. A Lavagna, proprio lì, ne avevamo parlato, in piazza, mentre qualcuno come sempre ci bollava come “allarmisti”)

Lavagna, atto terzo. Così potrebbe essere definita la decisione del Consiglio dei ministri di sciogliere per mafia il comune del Levante ligure, in provincia di Genova, dopo che nel giugno scorso l’operazione “Conti di Lavagna” impose ai domiciliari l’allora sindaco Giuseppe Sanguineti, l’ex parlamentare Gabriella Mondello e l’ex consigliere comunale Massimo Talerico, oltre a portare in carcere 8 presunti affiliati della ‘ndrina Rodà- Casile di Condofuri, in Calabria. Al centro delle accuse, la gestione dei rifiuti in mano alla famiglia mafiosa e lo scambio elettorale.

Il terremoto politico portò subito al commissariamento del comune, che lo scorso 15 marzo ha visto il secondo atto dell’inchiesta, con altre 4 misure cautelari , questa volta per usura, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti.

Nella conclusione delle indagini, depositate il 17 marzo scorso, il pm Alberto Lari contesta il reato di associazione mafiosa per i fratelli Paolo, Antonio e Francesco Nocera, i fratelli Francescantonio e Antonio Rodà e per Paolo Paltrinieri, accusati di far parte della locale di Lavagna, capeggiata dallo stesso Paolo Nucera.

Articolo 7, ovvero aggravante mafiosa, per i politici coinvolti nell’inchiesta. Secondo l’accusa la Mondello (storico sindaco di Lavagna ed ex parlamentare), i fratelli Nucera e altri avrebbero procurato 500 voti alla lista dell’ex sindaco Sanguineti in cambio della delega al demanio al loro eletto di riferimentoMassimo Talerico. Alla proroga dell’appalto per la raccolta rifiuti solidi urbani, della gestione Eco-centro, della locazione della stazione di trasbordo rifiuti e del trasporto affidato alla autotrasporti Nucera.

Inoltre, si legge nella conclusione delle indagini, l’ex sindaco Sanguineti, in concorso con l’allora vice sindaco Luigi Barbieri “omettevano di assumere i provvedimenti amministrativi di loro competenza per interrompere le gravi irregolarità riscontrate”. Ed ancora il sindaco Sanguineti, in occasione dell’alluvione che colpì Lavagna nel novembre del 2014, “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso intenzionalmente procurava alla ditta di Autotrasporti Nucera snd un ingiusto vantaggio patrimoniale, avendo affidato in maniera diretta il trasporto di rifiuti”. Dall’indagine, durata oltre due anni, accanto alla mafia imprenditoriale emerge anche quella criminale fatta di droga, usura, intimidazioni e armi, rapporti con gli altri affiliati e con la “casa madre”, aiuti ai detenuti e ospitalità ai latitanti.

(fonte)

Ma i 180 milioni di euro che la Lega ha preso (e speso indebitamente) da Roma ladrona?

(Un pezzo di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per Il Fatto Quotidiano)

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.

RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.

ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.

CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.

FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD

(1988-2013)

1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78

Il pensierino della sera, poi Sedriano e poi Ester

Torno da due giorni intensi e bellissimi, tra Napoli e Locri, per respirare la lezione di Giancarlo Siani e l’esempio di Francesco Fortugno. La parola funziona, sì e di fronte abbiamo una sfida bellissima: decidere da che parte stare.

L’ora non è delle migliori per commentare e disquisire di quello che è stato (su Napoli abbiamo messo un po’ di rassegna stampa qui per farsi un’idea) ma non posso non scrivere due righe sullo scioglimento per mafia del comune di Sedriano. In Lombardia. Dove la mafia non esiste e se c’è stata è stata sconfitta. Le gesta del patetico, rissoso, egocentrico e prepotente sindaco Alfredo Celeste ci erano note grazie agli articoli di cronaca.

Ma questa sera, prima di rimettermi a scrivere il mio libro, mi viene da pensare ad Ester, Ester Castano che quando ha cominciato a scrivere di Sedriano è stata trattata come una bambina petulante e allarmista. Mi viene da pensare a quando abbiamo avuto modo di scambiarci due parole sulle sue paure, sul dubbio di essere sbagliata lei in un paese che la viveva con fastidio per quel suo essere giornalista sempre allenata nella curiosità. Mi viene da pensare alle volte che il comandante di stazione dei carabinieri di Sedriano l’ha convocata in caserma con gli articoli fotocopiati dal sindaco mentre si sentiva dire che “era meglio non scrivere”, sgridata come qualche sindaco e qualche maresciallo pensano ancora di potere sgridare questi giovani che non sopportano le mafie, i silenzi e gli asserviti (e un abbraccio enorme questa sera va anche ai ragazzi di StampoAntimafioso).

Mi viene da pensare a lei mentre oggi tutte le televisioni stavano in fila davanti al sindaco che ancora oggi arrogante si permetteva di offrire ai giornalisti aperitivi e caffè parlando con tutti (con il vanto disperato di quelli che capiscono di essere in un cul de sac) tranne che con lei, Ester.

C’è gioventù profumata, in Lombardia.

Domani ne parliamo nella nuova puntata di RadioMafiopoli.