Vai al contenuto

senatore

Banalizzare, criminalizzare, purché non se ne parli: il metodo No Tav applicato ai No Tap

Accade così: si alza la polvere facendo in modo di convincerci che la polvere sia il lascito dei violenti, si formano le squadriglie di picchiatori politici contro “quelli che dicono no a tutto”, si scialacqua solidarietà un po’ a caso in favore delle forze dell’ordine anche quando non ci sono disordini e si sventola il feticcio del progresso inevitabile (o del thatcheriano “non c’è alternativa”) per chiudere il discorso.

Ma il discorso, quello vero, quello che parte delle analisi e che per svilupparsi dovrebbe comprendere anche la possibilità che i decisori diano risposte convincenti, quel discorso in realtà non avviene mai. Ora ci manca solo che si faccia male qualcuno e poi anche i “No Tap” sono cotti a puntino per diventare la forma contemporanea dei “No Tav” in salsa pugliese. Le mosse piano piano si stanno incastrando tutte e anche l’ultimo tweet del senatore del PD Stefano Esposito (“Ogni giorno che passa i #NOTAP assomigliano drammaticamente ai #notav un grazie alle nostre #FFOO”) certifica che il processo si avvia a dare i suoi frutti.

Negli ultimi due giorni risuona soprattutto la barzelletta degli ulivi: “i no Tap? ambientalisti preoccupati per qualche manciata di alberi che verranno prontamente rimessi al loro posto” dicono più o meno i banalizzatori di partito. E fa niente se le ragioni della preoccupazione siano tutte scritte in un parere del 2014 di ben 37 pagine dell’Arpa protocollato dalla Regione Puglia (lo trovate qui); non importa che l’Espresso abbia raccontato come (ma va?) gli interessi particolari delle mafie abbiano messo qualcosa in più degli occhi sul progetto (è tutto qui) e non importa nemmeno che le motivazioni della protesta non siano contro il progetto in toto ma sulla località di approdo che era la peggiore delle soluzioni possibili: l’importante è che la protesta No Tap possa essere messa velocemente nel cassetto dei signornò e si divida subito tra le solite fazioni.

A questo aggiungeteci l’italica inclinazione alla servitù (come nel caso della viceministra Bellanova, PD, che si diceva contraria da candidata e ora seduta sulla poltrona da viceministro se la prende con Michele Emiliano perché si occupa più della sua regione piuttosto che della fedeltà agli ordini del capo) e vi accorgerete che di tutto si parla tranne che dell’analisi del dissenso.

 

(continua su Left)

Per chi suona la Campanella (del Senatore,eh)

francesco-campanellaAllora:

– Francesco Campanella è un libero cittadino e un (meno libero) senatore del Movimento 5 Stelle che disobbedisce a Grillo: vota altro in Senato rispetto agli ordini di scuderia e vota Grasso per la Presidenza del Senato.

– Viene massacrato in quelle strane assemblee online che ormai sono diventate facebook e twitter dai “suoi” elettori che non gli perdonano il tradimento (a chi?).

– Si riscatta (sempre su facebook, eh) dichiarando di avere eroicamente e stoicamente rifiutato un offerta (economica, verrebbe da intendere tra le sue righe) nientepopòdimenoche da Nichi Vendola che con una telefonata gli avrebbe offerto un rifugio e un ristoro in SEL (che, per noi qui in SEL, viene da ridere sentendo il freddo che fa…).

– Ottiene un grande giubilo dagli elettori grillini che lo ringraziano per la coerenza, il coraggio e l’integrità d’animo. E forse gli perdonano (con memoria breve) il grande tradimento con il voto a Grasso. Sta per finire nel migliore dei modi: tutti vissero felici e contenti.

Poi c’è il fulmen in clausola (niente di spaventoso, eh: il finale a sorpresa):

Vendola non ha mai telefonato a Campanella. Tutto inventato. La grande rivincita contro la partitocrazia è una scoreggina nell’universo dei bugiardi. 2.0 però, eh.