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Siete nudi e applaudite?

La Rai lottizzata dalla politica fa schifo. La repressione del diritto di espressione di un artista fa schifo, soprattutto quando non ci si prende nemmeno la responsabilità di farlo alla luce del sole ma si usano parole oblique come “contesto”, come “sistema” e come “opportunità” senza nemmeno avere il coraggio di dire “noi preferiremmo non esporci”. Almeno sarebbe stato coraggioso da parte della Rai, almeno quello, almeno riconoscere che in Rai il primo grande talento E mica solo in Rai, anche in certi ambienti, in certe aziende, in certe fabbriche perfino nel mondo editoriale e teatrale, posso confermarvi.

Però questo centrosinistra che applaude Fedez senza accorgersi che è stato smutandato anche lui un po’ mi lascia perplesso. Posso scriverlo o si offende qualcuno? Perché sulla legge Zan sono molti che per non disturbare il proprio elettorato moderato (nel centrosinistra ci sono vagonate di politici convinti di avere vagonate di voti moderati) hanno preso la strada della tiepidezza senza mai dirci esattamente come la pensino. E accade per tutti le leggi che questi reputano “divisive” (e nel corso degli anni è diventato perfino divisiva la Liberazione, tanto per dire quanto sia pericoloso questo giochetto) che quelli che dovrebbero combattere i bigotti, gli omofobi, i razzisti in realtà non riescono a essere più che tiepidi.

È la politica che dovrebbe assumersi la responsabilità di un servizio televisivo pubblico che sia libero, è la politica che dovrebbe avere la responsabilità di condannare la marcia e intollerabile campagna omofoba che circola contro gli oppositori della legge Zan, è la politica che dovrebbe fare diventare “pop” gli argomenti di Fedez. Se Fedez non è un semplice testimonial ma diventa addirittura un apripista significa che qualcuno quella strada non l’ha segnata e avrebbe dovuto farlo, no?

Applaudire senza accorgersi di essere tra gli scoperchiati è piuttosto comodo e facile. Siete nudi e applaudite? Dai, su, rivestitevi e fate il vostro dovere. In Parlamento e fuori.

Buona domenica.

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Draghi, Lega, ddl Zan: il male non è fare politica al Primo Maggio ma i partiti che controllano la Rai

Le domande giuste e le domande sbagliate, a prima vista, sembrano sempre più o meno la stessa cosa. La differenza è che le domande sbagliate di solito vengono poste per non ottenere risposte, ma per aumentare la polvere e la schiuma e inevitabilmente per ottenere più coinvolgimento. Più dibattito confuso, più viralità, più clic, più introiti pubblicitari e più popolarità.

Le domande sbagliate sono quelle che oggi si attorciglieranno su Fedez, come in una guerra tra galli in cui si chiede di parteggiare per il cantante o per Salvini, con Fedez o con la Rai, e infatti già scivolano le battute sulla Lamborghini, sui soldi, perfino sulla pubblicità visibile del marchio del suo cappellino.


Le domande giuste, invece, sarebbero da porre alla politica tutta, a destra e a sinistra, su un sistema che ottunde, ammortizza, diluisce tutto quello che deve passare in televisione, sulla televisione pubblica italiana, non tanto per censura ma più per una sorta di autocensura che tiene in piedi il carrozzone dell’informazione italiana in cui il primo obiettivo è quello di non incrinare relazioni che valgono molto più delle competenze per la propria carriera in Rai.

Qualcuno fa notare che non c’è stata censura poiché Fedez ha potuto comunque parlare [qui il testo integrale del suo discorso] ma si dimentica di osservare la cappa che sta sulla testa di quelli che, senza i mezzi e senza la potenza di fuoco, invece, non arrivano nemmeno allo scontro e si allineano.

Uscendo dalla diatriba tra Fedez e gli altri, allora, rimangono due punti fondamentali. Primo: che la televisione pubblica e la politica si siano adagiati su questa abitudine vigliacca di credere che i diritti vadano celebrati senza essere esercitati è la fotografia perfetta di un Paese senza coraggio.


Il Primo Maggio è la festa dei diritti ed è doveroso, ognuno secondo le proprie idee, esercitare e reclamare diritti. Altrimenti chiamatelo concerto e non ammantatelo di altri significati.

Secondo: che la politica ogni volta, ciclicamente, faccia finti di stupirsi di quel mostro che è la Rai, che la politica stessa ha creato, è un’ipocrisia intollerabile. Quello che accade a Fedez accade ai conduttori, ai giornalisti, ai collaboratori (ancora di più).

Un’azienda che ha dirigenti il cui merito è sempre quello di essere “diligenti” più che capaci è ovvio che vada a finire così e la responsabilità è tutta politica, è tutta della politica. Questa scena dei piromani che si disperano per l’incendio ce la potreste anche risparmiare, almeno per il gusto della verità e della dignità.

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Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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Chiedere aperture è diventato “di destra”, affidarsi alle chiusure “di sinistra”: ma è un errore pericoloso

Piccola nota iniziale: qui non si discute dell’effettiva utilità del coprifuoco alle 22 o alle 23. Si potrebbero riportare le parole di Crisanti che dice “stare a discutere di un’ora è pazzesco, ridicolo” poiché “un’ora, dalle 22 o dalle 23 non fa nessuna differenza. Hanno aperto i ristoranti a cena, che senso ha? Epidemiologicamente un’ora in più o meno non cambia, a quel punto era meglio farli contenti” oppure lo studio dell’epidemiologo Samir Bhatt secondo cui un coprifuoco notturno da solo aiuterebbe a ridurre di circa il 13 per cento l’indice Rt del coronavirus: la letteratura scientifica sul tema è piuttosto limitata e riconosce che il coprifuoco abbia un’efficacia limitata soprattutto se abbinata a diversi provvedimenti.

Qui si discute piuttosto della pericolosa e sconfortante polarizzazione che nel corso dei mesi è riuscita a dividere un dibattito necessario trasformando ogni riflessione in un banale esercizio di appartenenza politica. Se un leader politico da cui ci sentiamo rappresentati propone un’apertura o una chiusura allora la cavalchiamo senza se e senza ma e al contrario rifiutiamo qualsiasi proposta dei politici che avversiamo. Così in una graduale discesa dalla complessità al tifo oggi chiedere aperture è diventato “di destra” e affidarsi alle chiusure “di sinistra”, come se in mezzo non ci siano un centinaio di infinte sfumature, come se non fosse segno di una democrazia matura pretendere di conoscere i dati, i reali risultati di ogni iniziativa, i riscontri delle varie limitazioni.

Si scappa a gambe levate dalla complessità, ci si affida a una banalizzazione che vorrebbe applicare perfino a un virus il modello delle opposte tifoserie. Eppure la scienza in questi mesi insiste nel ripeterci che il valore primario sia proprio quelli di avere dubbi, di coltivarli, di verificarli e sperimentarli.

Sia chiaro: che su questa pandemia si giochi la propaganda di chi parla a vanvera di “libertà” come se non ci fosse un evidente problema sanitario è sotto gli occhi di tutti ma che la giusta reazione sia quella di pesare le proposte in base alla provenienza politica risulta quantomeno semplicistico e forse perfino pericoloso.

Se “voler valutare l’efficacia del coprifuoco” significa essere additati come sostenitori di Salvini allora abbiamo un altro virus da combattere in fretta: la disabitudine alla complessità necessaria per un dibattito sano, maturo e probabilmente più efficace. È un argomento troppo serio per lasciarlo ai capibastone politici e ai tifosi.

Leggi anche: 1. Decreto anti-Covid, salta la riapertura dei centri commerciali nel weekend, ira della Lega: “Così non va” /2. Retroscena TPI, telefonata Draghi-Salvini: “La Lega sta col governo”, “Allora rispettate le decisioni”

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Non reggono la maschera

Tra le frasi ripetute dai (pochi) renziani rimasti ogni volta che devono fingere di non essere di destra (perché loro sono di un centrosinistra tutto loro, che esiste solo nella loro testa, che usa i diritti da usare come abbellimento, come l’oliva su un bicchiere per l’aperitivo) c’è la tiritera di Renzi difensore dei diritti civili. È una grancassa ripetuta allo stremo, anche alla faccia del principe saudita che le donne le usa come soprammobili, eppure per loro è un Rinascimento.

Ieri in Senato Italia viva non è però riuscita a reggere troppo la finzione della sua postura e ha dato il meglio di sé. Solo un dato, tanto per inquadrare lo spessore della sua azione politica: è riuscita a incassare gli applausi e i sorrisi di Lega e Fratelli d’Italia, basterebbe questo per capire.

Davide Faraone, senatore di Italia viva che ha il grande merito di essere molto amico di Matteo Renzi, ha detto che il ddl Zan  (quello che la destra da mesi sta cercando di boicottare in tutti i modi) è da «modificare». Avete letto bene: l’hanno votato alla Camera ma poi ci hanno ripensato, del resto loro sui ripensamenti si giocano tutta la poca credibilità elettorale per racimolare qualche voto in più della decina che hanno in tutto. In sostanza sono riusciti ad affossarlo visto che per arrivare al punto in cui siamo sono serviti più di mille giorni e visto che rimandare il tutto indietro significa di fatto non arrivare mai a una conclusione.

Ma il vero capolavoro di ipocrisia è la motivazione che hanno avanzato: il disegno di legge non va bene, dicono, per il video di Grillo e perché se Grillo sostiene questo disegno di legge allora significa che va modificato. In fondo gli serviva solo una scusa, come al solito, come quando dissero che bisognava discutere in Parlamento il Pnrr da presentare all’Europa per i soldi post Covid e ora invece stanno zitti nonostante non ci sia nessuna bozza. Loro cercano solo appigli (immaginari) per costruire propaganda. E incassano applausi da destra. Che poi non incassino nemmeno mezzo voto fanno molta fatica a comprenderlo, ma anche questa è la loro natura.

La vera domanda rimane quella che ha scritto ieri Simone Alliva, che su questa legge sta facendo da mesi un enorme lavoro di informazione: «Perché il #ddlZan che avete votato alla Camera (quindi andava bene alla Camera) adesso non vi va più bene al Senato?».

Oppure, volendo fare politica in modo intellettualmente onesto, si poteva discutere quel testo e, in assenza di accordo, affidarne la sorte al voto, come si fa in una democrazia parlamentare. Ma i renziani avrebbero avuto paura di essere scoperti. Come se non fossero già evidenti ora.

Buon giovedì.

 

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Sono già in campagna elettorale

Il governo dei migliori incassa le bordate di alcuni scienziati, dice il professor Galli che «Draghi non ne ha azzeccata una sul virus» e dice Andrea Crisanti che «purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica» definendo le riaperture una «stupidaggine epocale» ma su queste questioni ci si accorge di chi aveva ragione sempre dopo. E quindi tra qualche mese qualcuno potrà dire “l’avevo detto”.

Intanto però la maggioranza freme perché la politica, l’abbiamo ripetuto più volte anche qui, è una continua ricerca di consenso, più della responsabilità di governo e così Matteo Salvini (dopo essersi intestato il merito delle progressive aperture) ora spinge ancora di più sull’acceleratore chiedendo ancora di più. È normale, il suo elettorato gli chiede questo, per esistere lui deve fare questo: spingere, spingere, spingere e non dare il tempo di ragionare. Così ora la richiesta è di aprire anche i locali al chiuso e di togliere il coprifuoco. Sia chiaro: la discussione è legittima ma non chiedete a Salvini di dare delle indicazioni in base ai dati in nostro possesso. Il suo ragionamento non esiste e quindi la giustificazione è sempre quella del “buonsenso”. A ruota, ovviamente, ci sono i renziani che chiedono di riaprire le palestre (anche al chiuso) e gli impianti sportivi prima del termine di giugno fissato dal governo. È una guerra ad accalappiarsi ognuno il proprio settore. Avanti così.

Salvini intanto riesuma Berlusconi per parlarci del suo rinvio a giudizio sulla vicenda Open Arms: «Silvio ha dovuto affrontare 80 processi, io per ora solo 5-6 … Ma è evidente che la sinistra vuole vincere in tribunale le elezioni che perde nelle urne. In nessun Paese al mondo si mandano un processo gli avversari politici». Intanto ne approfitta per leccare un po’ anche Eni e Finmeccanica: «In Italia – dice – si fanno tante inchieste che poi finiscono nel nulla. Come quelle che hanno riguardato grandi società come Eni e Finmeccanica. Difendere gli interessi dell’Italia significa anche difendere le aziende italiane». Per lui difendere le aziende italiane significa non indagare. Chiaro, no?

Poi ha un’illuminazione: una commissione d’inchiesta sulla pandemia (che in effetti potrebbe fare luce su molte responsabilità che meritano di essere indagate) ma anche qui riesce a buttarla in caciara sparando sulle «responsabilità del ministro Speranza», come al solito trasformando tutto in guerriglia ad personam, la stessa di cui si lamenta. E a chi pensa per trovare i voti di un’operazione del genere? Lo dice lui stesso: il centrodestra e Italia Viva di Renzi. E intanto getta l’amo.

Vi ricordate quando si diceva che Draghi li avrebbe tenuti tutti in riga? La riga si è già spezzata e vedrete che basterà che si abbassino i numeri drammatici del contagio perché inizi subito la campagna elettorale. In testa, ovviamente, i due Mattei che stanno già muovendo le code sotto traccia.

Buon lunedì.

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Aria fritta in Lombardia: persino la Corte dei Conti certifica il fallimento della Giunta di Fontana

Avviso a tutti quelli che si ritengono vittime di un non meglio precisato “spirito anti-lombardo” ogni volta che si scrive del disastroso stato di Regione Lombardia in campo sanitario e delle enormi falle in questo anno di pandemia (Fontana e Moratti in testa): c’è un documento di 331 pagine della Corte dei conti (Sezione regionale di controllo per la Lombardia) che mette nero su bianco il disastro della cricca leghista certificando il fallimento di Aria, la società per l’innovazione e gli acquisti del Pirellone, che proprio Fontana insisteva nel presentare come “fiore all’occhiello” di questa amministrazione.

Aria nasce nel 2019 fortemente voluta dalla Lega per “ridurre gli sprechi” e per provare a cancellare gli scandali che da anni travolgono la sanità lombarda. La Corte dei conti la descrive come un consulentificio per il “continuo ricorso ad incarichi esterni, con particolare riferimento a quelli legali, nonché una non significativa rotazione degli stessi”, una società con poco staff, che spende troppi soldi in consulenti spesso troppo ben pagati e che ha mancato il proprio scopo primario perché non partecipa “alla programmazione degli acquisti degli enti del Sistema sanitario regionale” e neppure “dispone dei loro piani biennali”. Per questo gli ospedali continuano il loro “sistematico ricorso a richieste di acquisto ‘estemporanee’”.

Tutto questo mentre la Giunta non ha “piena consapevolezza” della distanza tra la realtà e il traguardo, visto che non è stato adottato “alcun intervento correttivo”.

Forse adesso a qualcuno potrà risultare più chiaro perché in Lombardia la gestione del contenimento della pandemia prima e la gestione dei vaccini poi sia stata un’imperdonabile sequela di errori che poco hanno a che vedere con Gallera: la sanità lombarda era un coacervo di amici degli amici sotto la guida di Formigoni e continua ad esserlo nonostante la riverniciata leghista. Come avrebbe potuto Aria gestire i vaccini se non riesce nemmeno a gestire l’attività ordinaria per cui è stata creata?

E cosa serve d’altro per rendersi conto che siamo di fronte a un fallimento sistemico che non si risolve con gli annunci di Bertolaso o con le promesse di Letizia Moratti? Anche perché si sta parlando di un malfunzionamento che non ha provocato disagi o ritardi: si continua a contare gli infetti, i morti e i vaccini che stanno andando sparsi e a rilento.

Cosa altro serve per certificare il fallimento di una classe dirigente incompetente, inconsapevole e pericolosa?

Leggi anche: Vaccini, Regione Lombardia poteva usare gratis il portale di Poste ma ha deciso di spendere 22 milioni per Aria Spa (di L. Zacchetti) // Prima ha depredato la Sanità lombarda, ora gli restituiscono anche il vitalizio (di G. Cavalli)

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Le assurde parole con cui Giorgia Meloni giustifica l’astensione di Fdi su Patrick Zaki

Sono 24 ore che mi scervello sulle giustificazioni della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, circa il voto di astensione in Senato per l’ordine del giorno che impegna il Governo “ad avviare tempestivamente le necessarie verifiche” per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna agli arresti nel carcere egiziano di Tora dal 7 febbraio del 2020.

Ho sperato anche che Giorgia Meloni o qualcuno dei suoi spendesse qualche altra parola, che a qualcuno gli scappasse almeno uno sputo di tweet o una cosa qualsiasi per capire come possa una decisione presa in così larga maggioranza essere “un’ingerenza del Parlamento italiano”.

A cosa serve, secondo Giorgia Meloni, il Parlamento, se non proprio a intervenire in fatti di propria pertinenza? Cosa c’è di più significativo, per un Parlamento, dell’occuparsi di diritti da rispettare nei confronti di uno studente che proprio in Italia è stato libero per l’ultima volta e che è illegalmente detenuto in uno Stato che ha ammazzato poco prima uno studente italiano e con cui commerciamo amabilmente armi?

Mi pare tutto così chiaro, limpido, facile. Ci sono arrivati perfino i leghisti, per dire. Poi mi chiedo come la cittadinanza italiana a Patrick Zaki potrebbe “non aiutarlo” (parole sempre buttate a caso da Giorgia Meloni): ma non è proprio lei che da anni urlaccia sulla sua “patria” che deve farsi rispettare nel mondo? Ma non è proprio lei che da anni se la prende con il governo di turno per lamentare una mollezza sulla politica nazionale che, a suo dire, svergognerebbe tutti gli italiani?

E ora che potrebbe semplicemente schiacciare un pulsante (non le si chiede nulla di eroico, sia chiaro), proprio lei che vorrebbe essere quella del partito dei patrioti senza paura, ora balbetta quattro scuse sconclusionate senza senso?

Poi mi sono detto che forse non è la stessa Giorgia Meloni che, a proposito di “ingerenze”, viaggia in giro per l’Europa e per il mondo per incontrare i peggiori paradittatori sovranisti cercando di coltivare alleanze che mettono in seria crisi la credibilità dell’Italia in Europa e nel mondo. E invece no, è proprio lei.

Eppure Giorgia Meloni si è detta “solidale”. Ma come? Ma quindi non ha nemmeno il coraggio di dire che non gliene frega niente? Almeno sarebbe stata una posizione con una sua logica, qualcosa di comprensibile.

Poi ho pensato che ha un nome l’atteggiamento di Giorgia Meloni, una parola semplice semplice: vigliaccheria politica, condita con un po’ di esigenza di farsi notare.

Leggi anche: Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo (di Giulio Cavalli)

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Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea

Fa ancora discutere la sedia non concessa alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen mentre il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel invece si godeva il suo posto d’onore con il sultano turco Recep Tayyip Erdoğan. Quello sgarbo è stata anche l’occasione di ricordare al mondo come il leader turco stia progressivamente fiaccando i diritti delle donne nel suo Paese, partendo da quel 2016 in cui disse che le donne fossero “da considerarsi prima di tutto delle madri”, relegandole al loro medievale scopo riproduttivo e poi fino ai giorni scorsi in cui il suo governo ha annunciato tronfio il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

In Turchia tra l’altro si contano in media circa due femminicidi al giorno e le donne, complice anche la pandemia, hanno sempre minor accesso al mondo del lavoro e alla politica. Insomma, quello sgarbo ha radici profonde e ben venga quella sedia che è mancata per ricordarcelo. Nella discussione generale però sembra scomparso il motivo per cui l’Ue ha scelto di incontrare Erdoğan e il fatto non è secondario perché il sultano turco evidentemente può permettersi certi atteggiamenti, forte del suo ruolo internazionale. Allora bisognerebbe avere il coraggio di dirlo, di scriverlo che Erdoğan altro non è che l’esecutore materiale della folle politica europea che ha delegato alla Turchia l’esternalizzazione delle frontiere europee per controllare il flusso migratorio in modi anche poco leciti.

Nel 2016, in piena crisi migratoria, Bruxelles, su spinta soprattutto della Germania, ha firmato un accordo che garantiva 6 miliardi di euro alla Turchia per trattenere i migranti nei propri confini (si stima che siano almeno 4 milioni di persone) e grazie a quell’accordo tutti i migranti irregolari che arrivavano sulle isole greche attraverso il confine turco sono stati riportati in Turchia. Quei soldi hanno lo stesso odore di quelli che arrivano alla cosiddetta Guardia costiera libica (sì, proprio quella che Draghi ha blandito pochi giorni fa) per fare da tappo in Africa. Soldi che rendono ancora più forti governi che non hanno nulla di democratico e che non hanno nulla da spartire con i valori europei eppure tornano utili per essere i sicari dell’Unione europea. C’è qualcosa di più di quella sedia che manca. Giusto un anno fa, a marzo del 2020, Erdoğan ha ricattato l’Europa sulla gestione dei flussi per alcune partite geopolitiche come quella siriana e per reclamare altri soldi.

La Grecia aveva denunciato la Turchia di “spingere” verso la sua frontiera i migranti e alla fine l’Ue per garantire la propria “fortezza” ha deciso di continuare a foraggiare la Turchia: la presidente garantisce «la continuità dei fondi. E se la Turchia rispetta gli impegni, previene le partenze, prevede i rientri dalla Grecia, i fondi Ue garantiranno ancor più opportunità», dice la nota ufficiale. Del resto già a settembre Bruxelles aveva inserito un passaggio significativo nella sua proposta su asilo e immigrazione scrivendo nero su bianco che lo stanziamento di fondi alla Turchia «continua a rispondere a bisogni essenziali. Essenziale sarà perciò che l’Ue dia alla Turchia un sostegno finanziario continuativo». Su quella stessa linea si è assestato anche Mario Draghi che fin dal suo primo discorso pubblico a febbraio disse che gli accordi per esternalizzare le frontiere (che tradotto significa pagare anche Erdoğan) erano fondamentali per controllare l’immigrazione.

Da tempo diverse organizzazioni umanitarie, tra cui anche Amnesty International, giudicano la politica europea sulle frontiere disumana oltre che totalmente fallimentare eppure nessuno è mai riuscito a mettere in discussione questo modello che si annuncia valido anche per il futuro. Ad Ankara l’Ue ha manifestato anzi la volontà di rafforzare i legami economici con la Turchia, ha concesso la revisione del sistema di visti in ingresso nell’Ue e un’unione doganale per favorire il passaggio delle merci. Quando a von der Leyen è stato chiesto dei diritti calpestati in Turchia la presidente ha risposto: «I diritti umani non sono negoziabili. Vorremmo che la Turchia rivedesse la decisione di uscire dalla convenzione di Istanbul e che rispettasse i diritti umani». Insomma, siamo alle raccomandazioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti e ai soldi fumanti invece per contenere i disperati. Forse se Erdoğan fa il bullo non è solo colpa sua.

L’articolo Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea proviene da Il Riformista.

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