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stipendio

Intanto, in Sardegna…

Nel pieno della pandemia, con una campagna vaccinale da spingere il più possibile per provare a ripartire, con i ristori che sono pochi e che non arrivano e con le attività che non riusciranno più a riaprire la politica decide quali sono le priorità. In Sardegna, ad esempio, il presidente Solinas (fiore all’occhiello del centrodestra nazionale) ha pensato bene di concentrarsi sul disegno di legge 107 che che pensa a un nuovo staff di 65 persone assunte su nomina squisitamente politica, come avveniva in tempi di vacche grasse e di favori elettorali.

La stragrande maggioranza dei 65 nuovi collaboratori sarebbe direttamente alle dipendenze di Solinas (curioso, eh?) e immagina al vertice un segretario generale della Regione che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto guadagnare 285mila euro lordi all’anno, circa 100mila euro in più di quanto guadagna il Presidente della Repubblica, tanto per dare un’idea. Spesa totale della brillante idea di Solinas? 6 milioni di euro all’anno, in tempo di Covid, in questo tempo. Ognuno ne può trarre le sue conclusioni.

Il disegno di legge tra l’altro è stato scritto talmente male che si sono dimenticati della norma che fissa un tetto di 240mila euro annui come massimo stipendio per un incarico pubblico e così Solinas, proprio lui in persona, si è impegnato in un’intervista all’Ansa di presentare un emendamento per correggere una sua legge. Roba da avanspettacolo.

Sempre a proposito di stipendi ci sono tre capi Dipartimento che fanno riferimento alla presidenza (733mila euro annui lordi), tre consulenti (402mila) e sei esperti (805mila) per l’ufficio di staff, cinque esperti per il Comitato per la legislazione (671mila), quindi tre addetti di Gabinetto (180mila), due addetti al cerimoniale (120mila), un nuovo autista (60mila) mentre per gli assessorati sono previsti cinque consulenti (671mila) e la bellezza di trentasei addetti di gabinetto (per una spesa annua lorda di 2,1 milioni) destinati agli assessorati. Facendo la somma si contano 6 milioni e 90mila euro in tutto.

A chi serve tutto questo? Il consigliere regionale Massimo Zedda dice: «Serve all’apparato digerente, non dirigente, del centrodestra per soddisfare appetiti di poltrone e di posti di sottogoverno. Con uno spreco di oltre 6 milioni di euro l’anno mentre imprese, famiglie, lavoratrici e lavoratori sono in gravissima difficoltà».

Buon venerdì.

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È che ci vorrebbero felici di essere schiavi

Il “rider felice”: un articolo de La Stampa – che si è basato su una notizia falsa – rivela una narrazione che colpevolizza i disoccupati alimentando pregiudizi

Ieri ha fatto molto discutere un articolo pubblicato da La Stampa, a firma di Antonella Boralevi, che racconta di tale Emiliano Zappalà, un rider felicissimo di essere rider, secondo Boralevi, che pedala per 100 km al giorno e guadagna come un manager dopo avere dovuto chiudere il suo studio da commercialista a causa dell’epidemia. Il sottotesto dell’articolo (in cui si attacca anche il reddito di cittadinanza) è in sostanza questo: se siete poveri è colpa vostra che non avete voglia di fare un cazzo perché il mondo del lavoro è pieno di grandi opportunità. Insomma, il solito articolo da libberisti (con due b) che vedono in giro un mondo perfetto e che tacciano coloro che rivendicano diritti come fastidiosi lagnosi.

“Si chiama Emiliano Zappalà, ha 35 anni. Aveva aperto uno studio di commercialista, il Covid gliel’ha fatto chiudere. E lui, invece di chiedere il reddito di cittadinanza, si è messo a lavorare. Dove? In uno dei settori che il Covid ha reso vincenti: la consegna a domicilio. Business raddoppiato in 10 mesi, come il numero degli addetti”, si legge nel pezzo di Boralevi. E già l’incipit è roba da orticaria. E poi: “Come racconta in un’intervista al Messaggero, da quasi un anno il Dottor Zappalà è un rider di Deliveroo. Cioè fa circa 100 chilometri al giorno in bicicletta, con un borsone giallo sulle spalle e consegna pizze e pranzi e spesa. Guadagna 2000 euro netti al mese e, certi mesi, anche 4000. Uno stipendio da manager. Ed è felice”. Felice, capito?

Il pezzo ovviamente è diventato subito combustibile per infiammare gli stomaci contro gli sfaticati che si lamentano e che non producono. Tutto perfettamente in linea con una certa narrazione che vorrebbe risolvere il problema della povertà e dei diritti del lavoro semplicemente negando. Se è felice Emiliano Zappalà dovremmo essere felici tutti. Ovvio. Ah, il grande sogno americano.

Peccato però che Emiliano Zappalà non esista e che quell’articolo sia completamente falso. E c’è da scommettere che tutti quelli che l’hanno rilanciato siano gli stessi che inorridiscono per le fake news in internet, ci metto la firma.

Emiliano Zappalà si chiama Emanuele (vabbè, ha solo sbagliato il nome, una giornalista, a proposito di meritocrazia e di cura nel proprio lavoro), ha studiato da commercialista ma non lo è mai diventato e quindi non ha mai aperto uno studio che quindi non è mai stato costretto a chiudere per la pandemia. Anzi i chilometri che percorre li macina su un motorino. Quindi si perde anche il culto dell’attività fisica, che peccato. Raggiunto da un giornalista de La fionda racconta di avere avuto mesi positivi, di lavorare molte ore al giorno e di guadagnare in media 1.600 euro al mese. Niente stipendio da manager, insomma. Anzi a voler indagare per bene si vede che proprio un Emiliano Zappalà risulta tra i firmatari del contratto siglato da Assodelivery e Ugl, un contratto che introdusse un “cottimo mascherato” e per questo è stato sconfessato e ritenuto illegittimo dallo stesso ministero del Lavoro. Tra l’altro, denunciano molti rider, “la sottoscrizione del contratto è stata utilizzata dalle aziende per ricattare più o meno velatamente i lavoratori: chi non firma, viene estromesso dalle piattaforme”. Insomma Zappalà è molto aziendalista, senza dubbio. E infatti dal suo profilo Linkedin rilancia con molto entusiasmo le comunicazioni aziendali di Deliveroo.

Quindi per l’ennesima volta la favola che avrebbe dovuto colpevolizzare i disoccupati si rivela semplice fuffa buona solo ad alimentare pregiudizi. Un bell’editoriale che si basa tutto su una notizia falsa e su una pregiudiziale narrazione a favore dello schiavismo felice. Perché loro ci vorrebbero così: mica solo schiavi, addirittura anche felici.

A proposito: “è un fatto o no?” chiedeva Antonella Boralevi in chiusura del suo saccente articolo. No, signora Boralevi. No.

Buon martedì.

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Fratoianni a TPI: “Una patrimoniale per combattere le disuguaglianze. Altro che mazzata, così il ceto medio risparmia”

In un emendamento alla Legge di Bilancio firmato da deputati di Leu e del Pd si chiede l’abolizione dell’Imu e dell’imposta di bollo sui conti correnti e di deposito titoli, per sostituirle con un’aliquota progressiva minima dello 0,2% “sui grandi patrimoni la cui base imponibile è costituita da una ricchezza netta superiore a 500 mila euro”. I primi firmatari sono Nicola Fratoianni, che fa parte della componente di Sinistra Italiana in Leu, e Matteo Orfini, della minoranza Pd. Le opposizioni insorgono ma anche nella maggioranza in molti storcono il naso. Per TPI abbiamo intervistato Nicola Fratoianni.

Onorevole Fratoianni, sulla cosiddetta “patrimoniale” si sono sollevate subito le reazioni. Se le aspettava?
“Reazioni peraltro un po’ scontate. Come ha osservato più di qualcuno ‘patrimoniale’ è parola impronunciabile nella scena politica italiana. Tutto contro ogni ragionevolezza e perfino contro le idee di molti supermiliardari: Forbes nel luglio di quest’anno ha pubblicato la lettera di 83 miliardari che chiedono ai loro Paesi di introdurre tassazioni stabili e significative sulle loro grandi ricchezze. Tutto sulla base di un argomento molto chiaro e molto semplice: noi non possiamo fare chissà cosa ma abbiamo molti soldi e quei soldi possono risolvere molti problemi, non solo le emergenze drammatiche di questa fase della pandemia ma anche le crescenti disuguaglianze che costituiscono un problema non solo per chi le subisce ma anche per chi ha grandi ricchezze”.

Qualcuno dice che fissare un limite di 500mila euro è un azzardo. “Basta avere ereditato una casa in una grande città”, si legge in giro. Come risponde?
“Non è così. Non ne faccio colpa ai cittadini che non conoscono la norma. Primo: riguardo la questione immobiliare che viene usata contro questa norma occorre non confondere il valore commerciale con il valore catastale dell’abitazione. La nostra proposta, come tutte quelle che intervengono sulle questioni patrimoniali, si riferisce al valore catastale, quindi a chi dice che in alcune città il valore al metro quadro supera i 3mila euro basta rispondere spiegando questo punto. Se qualcuno ha una casa con un valore catastale superiore ai 500mila euro è difficile che abbia particolari difficoltà. In ogni caso le nostra proposte sono progressive, partendo dallo 0,2% da 500mila a 1 milione di euro e poi via via crescendo fino ad arrivare al 3% per patrimoni superiori al miliardo di euro. E poi ci si riferisce a persone fisiche, per cui se marito e moglie sono comproprietari di una casa quel valore si divide”.

E il secondo punto?
“Secondo: oltre a introdurre aliquote progressive, facciamo l’operazione di riordino di quella giungla di micro interventi patrimoniali, come l’Imu anche sulla seconda casa e la famosa imposta Monti (lo 0,2% sui depositi finanziari e sui titoli che non era progressivo). Quindi il ceto medio – ammesso che esista ancora – potrebbe perfino risparmiare”.

L’hanno stupita le reazioni all’interno del Partito Democratico, Zingaretti incluso?
“Sono molto contento che diversi parlamentari del PD abbiano appoggiato questa proposta, ma non mi stupisce la reazione complessiva del PD come quella del Movimento 5 Stelle. Questo è un momento in cui c’è una subalternità culturale sul tema delle tasse e dei patrimoni e sulla disuguale distribuzione della ricchezza. Il mantra ripetuto in ogni occasione è che le tasse sono troppe e vanno abbassate ma le tasse non sono troppe in sé: sono troppe su chi le paga e sono poche sulle grandissime ricchezze. Sono distribuite in modo diseguale. Faccio osservare che nei decenni la tassazione sui redditi ha conosciuto una brusca contrazione delle aliquote diminuendo la progressività. Questo significa favorire i redditi altissimi e penalizzare quelli più bassi. Bisogna proteggere i piccoli patrimoni e chi ha acquistato una casa dopo anni di lavoro o chi ha ereditato una casa (non certo a Roma o a Milano) che ha uno scarso valore commerciale e pesa sullo stipendio. Bisogna uscire da questa stagione di subalternità culturale: se uno usa sempre le parole dell’avversario è difficile poi sconfiggere il suo racconto pubblico”.

Nel pieno della pandemia è un buon momento per affrontare questo tema?
“Il momento buono è da molto tempo, oggi ancora di più. La pandemia ha messo in risalto la fragilità di un sistema di organizzare il lavoro, le vite, l’economia e del nostro welfare. Ha disvelato l’imbroglio del primato della privatizzazione nella tutela della salute. E la pandemia, come ogni grande crisi, ha evidenziato l’aumento della disuguaglianza: c’è chi ha visto crescere ancora e significativamente i propri patrimoni e chi si è trovato in difficoltà. Quindi questo è il momento della discontinuità nelle scelte e nel linguaggio per immaginare un mondo diverso da quello a cui siamo abituati, che spesso ci è stato presentato come l’unico mondo possibile”.

Sui giornali e sulle televisione la proposta è diventata “la proposta di Orfini”…
“Va benissimo così. Sono il primo firmatario ma non ho problemi di primogenitura, mi interessa aprire una discussione”.

Leggi anche: Il linguaggio dei banchieri centrali: come è cambiato negli anni e quanto è capace di influenzare i mercati

L’articolo proviene da TPI.it qui

San Raffaele, visite Covid a pagamento? Peggio di come sembra

Ha fatto molto discutere ieri la notizia che il San Raffaele di Milano ha un vero e proprio servizio, a pagamento, per i pazienti positivi al Covid-19 in isolamento a casa. Il costo di una visita specialistica a domicilio è di 450 euro, mentre per un più semplice e immediato consulto video o telefonico da parte del medico il costo è di 90 euro. 90 euro per un consulto telefonico, avete letto bene.

Ha centrato il punto il consigliere regionale Matteo Piloni che dice: «Sei positivo al Covid e in isolamento? Le Usca non funzionano come dovrebbero? Tranquilli, ci pensa il privato. Se Ats o il vostro medico non vi chiamano o non rispondono, ci pensa il San Raffaele. Con un consulto video o telefonico a 90 euro e, se il medico lo riterrà, con 450 euro per un servizio di diagnostica a domicilio. Il pubblico arranca e il privato ingrassa».

Vale la pena rileggere anche quello che disse Alberto Zangrillo, primario guarda caso proprio al San Raffaele: «È indubbio che la diga del terrorismo ha ceduto e le persone sono disorientate e spaventate. Il malato va seguito a domicilio dall’esordio della prima sintomatologia». La frase, di per sé giusta, risulta un po’ risibile se detta da chi il Covid questa estate lo giudicava “clinicamente morto”, da quello del “sono tutti asintomatici” e dallo stesso che lavora nell’ospedale che lucra proprio sulla paura.

Per inciso l’Ospedale San Raffaele fa parte del Gruppo San Donato, sì sì proprio quello dove lavora Angelino Alfano e dove lavora Roberto Maroni. Incredibile, vero?

Per capire sempre del Gruppo San Donato conviene anche rileggersi una nota del consigliere regionale in Lombardia del M5S Fumagalli che l’8 agosto scrisse: «In data 5 agosto, la Giunta Regionale (con la delibera 3518 dall’anonimo oggetto: (‘Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario e sociosanitario per l’esercizio 2020-1°provvedimento’) stabilisce di farsi carico del 50% dei costi del rinnovo contrattuale della sanità privata con interventi relativi alle tariffe e ai budget nei limiti delle risorse disponibili. Questo significa (come già segnalato sul sito di Business Insider Italia) che, ad esempio, un ospedale come il San Donato che nel 2019 ha fatto un fatturato di 170 milioni di euro con un utile netto di quasi 34 milioni di euro, riceverà dei fondi extra per pagare i propri dipendenti. 5 milioni di euro solo per i mesi restanti del 2020. Se Regione Lombardia ha così a cuore i dipendenti degli Ospedali privati, perché non impone a questi imprenditori (il San Donato è guidato da Angelino Alfano) di applicare il Ccnl della sanità pubblica? Perché non impone di assumere i medici anziché tenerli a partita Iva? Il San Donato ha solo un medico assunto. Perché impegnarsi ad aumenti di tariffa e di budget nei confronti di chi fa già enormi utili per pagare i dipendenti? Non possono usare i margini che hanno per pagare i dipendenti e diminuire gli utili? Ma ai lavoratori delle cooperative che stanno nella sanità con uno sfruttamento enorme, i soldi dell’aumento di stipendio lo passa Regione Lombardia? No, perché in queste cooperative, non ci sono Alfano e Maroni a fare i presidenti».

Insomma, è molto peggio di come sembra.

Buon martedì.

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Ve lo buco, ‘sto Natale

Che Paese straordinario che siamo. Ci dicono che non è il tempo di riflettere sugli errori compiuti (e guardate che trattandosi di sanità sono sopratutto delle regioni) perché vorrebbe dire mortificare i morti, ci propinano virologi che dicono cose opposte sui media, virologi assolutamente incauti nella comunicazione (per dirla in modo buono), ci fanno ascoltare le canzoni di quella diventata famosa perché in spiaggia disse che non ce n’è di Coviddi e intanto tutta la discussione si concentra sul Natale.

Badate bene: non si concentra sul Natale per il valore eventualmente religioso, ci si concentra sul fatto che il Natale forse sì o forse no lo possiamo passare con i parenti. E intanto muoiono 600 persone al giorno quasi. E il cenone di Natale occupa tutte le conversazioni. Che poi non hanno nemmeno il coraggio di dirci che il tema non è mica il Natale, no, no, figurati, non hanno mica il coraggio di dirci che devono lasciare una parentesi per i consumi, che vorrebbero trovare la formula algebrica per farci uscire solo giusto il tempo per riempire il carrello che non sia mai che si rimane fuori solo al costo di uno spritz, no, no, ci vogliono fare intendere che la preoccupazione sia tutta sentimentale come in una brutta sit-com sentimentale ce la buttano su parentele. Che poi anche sulle parentele ci sarebbe da discutere, poiché noi siamo un Paese in cui i congiunti sentimentali sono quelli certificati, decine di parenti ma guai a voler vedere qualcuno a cui confessiamo tutti i nostri peccati da anni ma che ha la sfortuna di non essere descritto da un Decreto.

Intanto c’è chi strappa uno stipendio da fame, se ci riesce, c’è chi si ammala e non riesce a farsi curare e c’è chi muore. Mentre si parla di Natale senza avere il coraggio di fare un cenno all’economia. Una lunga, interminabile, paternale. Che strano Paese che siamo, che Paese incredibile: il presidente del consiglio introduce il Natale con una lettera improponibile di un bambino e ieri un giornalista del Corriere della Sera parla addirittura di “dittatura”, scrive proprio così Pierluigi Battista e chi gli risponde su Twitter? Il portavoce di Conte che per certificare l’esistenza del bambino posta un video di Barbara D’Urso.

E lì ho pensato che tutto era compiuto, che il cerchio si era chiuso, che stiamo a posto così. Mentre De Luca in sottofondo chiede un giorno “tutto chiuso” e il giorno dopo “tutto aperto”. In attesa del Natale. Buona fortuna a noi.

Buon lunedì.

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Un errore madornale

Il caso dello stipendio raddoppiato del presidente Inps, Pasquale Tridico non può essere considerata semplicemente una “svista” derubricata come un incidente di percorso e non un enorme errore della maggioranza in un delicato momento politico. Che Conte dica che non sapeva e che Di Maio ora prometta accertamenti è troppo poco per pensare che tutto si dissolva nel giro di poche ore.

Il presidente dell’Inps, sulla cui gestione ci sarebbe più di qualcosa da ridire a partire dall’attacco hacker al sito che poi non c’è mai stato, ha ottenuto un aumento di stipendio (che Repubblica definisce anche retroattivo ma su questo Tridico ha smentito) in piena estate un decreto interministeriale che porta la firma della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (che vigila istituzionalmente sull’Inps) e quella del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Una decisione che ha interessato anche gli altri compensi dei consiglieri e quelli dell’intero consiglio di amministrazione dell’Inail (compreso il presidente Bettoni).

Il tema non è tanto lo stipendio di Tridico (il suo predecessore Boeri guadagnava 103mila euro mentre Tridico è fermo a quota 62mila) ma ciò che turba, e non poco, è che Tridico, uomo da sempre vicino al Movimento 5 Stelle, è stato ricompensato in un momento sciagurato, mentre il Paese annaspa in un mare di cassa integrazione e con tanti lavoratori ancora in attesa e proprio l’Inps ne dovrebbe saper qualcosa. E pure sulla giustificazione che il blitz sia stato fatto ad agosto perché l’istituto ha compiuto dei tagli significativi risulta piuttosto risibile poiché i revisori la pensano diversamente.

Il problema è che se tu riduci la politica a una mera questione di costi (ed è il giochetto che si è utilizzato durante la campagna del referendum) poi trovi sempre uno più puro che ti epura e ora sarebbe curioso cosa ne dice Di Maio (visto che era lui ministro quando partì la proposta). Quello stesso Di Maio che ora promette di “chiedere chiarimenti”.

Perché a forza di coltivare populismo poi di populismo si muore. Evidentemente.

Buon lunedì.

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Lo Ius Soldi

C’è chi deve aspettare anni per ottenere la cittadinanza italiana, e chi 10 minuti

Il calciatore del Barcellona Luis Suarez, l’avrete sentito ieri sicuramente, aveva bisogno della cittadinanza italiana per brigare il suo trasferimento a un’altra squadra e per facilitare la propria carriera. Aveva la parentela giusta ma avrebbe dovuto sostenere l’esame di italiano. Si presenta all’Università per Stranieri di Perugia e ovviamente è un trionfo.

Peccato che secondo la Procura di Perugia l’esame sia stato concordato e addirittura il voto finale fosse stato stabilito prima ancora di sostenere l’esame. Dalle carte dell’inchiesta si legge che «quello non spiaccica ‘na parola, coniuga i verbi all’infinito, ma te pare che lo bocciamo», si dicono i professori, anche perché dicono sempre loro «con 10 milioni a stagione di stipendio, non glieli puoi far saltare perché non ha il B1». Sui social i professori si sono fotografati tutti sorridenti con il celebre studente.

E dov’è lo scandalo?, direte voi. Semplice. In Italia per prendere la cittadinanza ci vogliono fino a quattro anni, normalmente. Merito, neanche a dirlo, anche del decreto sicurezza del fu Salvini che ha allungato da due a quattro anni i tempi del procedimento. Suarez in 15 giorni ha fatto quello che una persona normale riesce, se riesce, a fare in quattro anni con pratiche molto macchinose che spesso richiedono l’ausilio perfino di un avvocato.

Scrive una professoressa: «In qualità di docente di italiano L2 conosco le lungaggini burocratiche, legate alla richiesta della cittadinanza, le quali inducono spesso molti stranieri a evitare di farne richiesta; fatto salvo il caso di taluni che pare godano di corsie preferenziali».

Poi c’è l’esame: quello di Suarez è durato qualche decina di minuti. Un mostro, in pratica. Scrive Gavin Jones, corrispondente Reuters in Italia che l’ha sostenuto: «Leggo che #Suarez ha ottenuto il certificato B1 di conoscenza dell’italiano ieri in mezz’ora. Per caso anch’io ho dato lo stesso esame ieri (per ottenere la cittadinanza). Dura 2 ore e 45’. Farlo in mezz’ora è impossibile – anche per Dante, ma sicuramente per Suarez».

E quindi cosa è successo con Suarez? Semplice: l’attaccante del Barcellona ha ottenuto lo Ius Soldi, ovvero un diritto che, come troppo spesso accade, non viene attribuito per merito ma per interesse economico. E non capita solo agli stranieri, e non capita solo nelle questioni di cittadinanza. E sarebbe interessante aprire un dibattito sulla ricchezza (e la notorietà) che unge i gangli della burocrazia. Siamo sempre lì. Siamo sempre qui.

Buon mercoledì.

(la geniale definizione di Ius Soldi è di Matteo Grandi)

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Il caso Suarez ci dice che in Italia gli immigrati ricchi si accolgono e quelli poveri si odiano

È la fotografia della distorsione di un paese e, per questo, la vicenda del calciatore del Barcellona Luis Suarez va raccontata per bene e va tenuta a memoria. Non tanto per le dimensione di un’indagine, quella della Procura di Perugia, che forse ha scovato i soliti furbi fare i furbi per mettersi a disposizione del luccicante mondo dei ricchi, ma perché le disuguaglianze sono talmente evidenti che basta mettere in fila i fatti per comprendere come in Italia ci siano diverse velocità (e forse anche regolarità) di procedura per ottenere un diritto.

E cosa c’è di più schifoso di un diritto che dovrebbe universale e invece è accessibile solo a chi può permetterselo? Un calciatore del Barcellona nato in Uruguay briga per ottenere la cittadinanza italiana (ha sposato un’italiana) in poche settimane. È la stessa cittadinanza che, lo dicono le statistiche, tanti attendono in media in quattro anni. Anni contro settimane, tanto per rendere l’idea.

Suarez doveva ottenere la cittadinanza per firmare per venire a giocare in Italia e sostiene, come tutti, un esame di italiano. Secondo le intercettazioni Suarez “non coniuga i verbi”, “parla all’infinito” e quindi concordano l’esame “perché con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare”, dicono gli esaminatori e quindi il calciatore “sta memorizzando le varie parti d’esame” e addirittura il voto finale è stato comunicato in anticipo al candidato. Prima di un esame che è durato una manciata di minuti quando di solito dura circa due ore e mezza.

Così ora la Procura di Perugia indaga, tra gli altri, il Rettore dell’Università per Stranieri di Perugia, Giuliana Grego Bolli, e il direttore Generale dell’università, Simone Olivieri. Ma in fondo, se ci pensate bene, Suarez ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per diventare un italiano, un italiano di quelli che sono convinti che questo Paese appartenga ai furbi, ai ricchi, agli amici degli amici, alle raccomandazioni, al servilismo di certi funzionari, al seguire gli interessi prima ancora delle regole e alla prepotenza di chi può permettersi di comprare risultati che andrebbero conseguiti per merito.

In questa sua predisposizione Suarez ha dimostrato di essere perfetto per diventare un italiano di quelli. Resta solo da spiegare ai tanti che sono italiani di fatto, ma che lottano per anni per vedersi riconosciuti, che gli immigrati qui pesano in base al loro reddito. Si accolgono i ricchi e si odiano i poveri, semplice semplice. E così quella che era già una farsa ora diventa ancora più vergognosa.

Leggi anche: Suarez, cittadinanza italiana ottenuta con truffa: il punteggio attribuito prima della prova

L’articolo proviene da TPI.it qui

“Il Parlamento è inutile”

7 giugno 2013. Beppe Grillo scriveva sul suo blog: “Il Parlamento ha ancora un senso? Va riformato, abolito? Una cosa è certa, oggi non serve praticamente a nulla. Il Parlamento, luogo centrale della nostra democrazia, è stato spossessato dal suo ruolo di voce dei cittadini. Emette sussurri, rantoli, gemiti come un corpo in agonia che sono raccolti da volenterosi giornalisti per il gossip quotidiano. Chi rappresenta ormai questo luogo? Deputati e senatori sono nominati dai dirigenti della “ditta” del pdmenoelle (così si dice la chiami Gargamella Bersani in privato) e di un condannato in secondo grado per evasione fiscale che altrove sarebbe in fuga in lidi lontani. I parlamentari nominati dai partiti non rappresentano nessun elettore, neppure sé stessi. Sono solo impiegati con un ottimo stipendio adibiti a pigiare bottoni a comando. Qualcuno, scelto tra i più fedeli, viene utilizzato alla bisogna per raccontare frottole in televisione su canali lottizzati”.

E poi: “Fare leggi è il suo compito, ma le leggi, al suo posto, le fa il Governo sotto forma di decreti a pioggia, quasi sempre approvati in aula. Il Governo, in teoria, ha il compito di governare, non di sostituirsi al Parlamento”.

“Il Parlamento potrebbe chiudere domani, nessuno se accorgerebbe. È un simulacro, un monumento ai caduti, la tomba maleodorante della Seconda Repubblica. O lo seppelliamo o lo rifondiamo. La scatola di tonno è vuota. Ripeto: la scatola di tonno è vuota”.

Poi, luglio 2018. Dice Grillo nel corso di una intervista rilasciata alla trasmissione americana Gzero Word: “Io penso –  ha proseguito – che potremmo scegliere una delle due camere del Parlamento casualmente, in maniera proporzionata per età, sesso, reddito, provenienza geografica sud/nord. Solo così l’assemblea potrebbe essere veramente rappresentativa del Paese”.

Sempre in quei giorni Davide Casaleggio in un’intervista a La Verità diceva: “Il Parlamento continuerebbe ad esistere con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Ma tra qualche lustro è possibile che la sua esistenza non sia più necessaria nemmeno in questa sua forma. Anche perché c’è una democrazia diretta che è già una realtà grazie a Rousseau che per il momento è adottato solo dal M5s ma che potrebbe essere adottato in molti altri ambiti”. Per inciso: Rosseau è quella piattaforma che proprio ieri Casaleggio ha minacciato di chiudere, essendo una sua proprietà privata.

Ieri Grillo ha detto: “In Parlamento ci occupiamo di cose inutili, paradosso che le dittature funzionino meglio delle democrazie”.

Ora, ognuno la pensi come vuole, per carità, ma vi rassicurano queste parole che sono un certo impianto culturale che sta dietro al taglio dei parlamentari? Così, per sapere.

Buon giovedì.

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Castra la Casta

Il governo del fare ha risolto tutti i nostri problemi. Finalmente. C’è voluto tempo ma hanno trovato finalmente la soluzione a tutti i nostri mali. Per risollevare il Paese bastava tagliare i parlamentari. E in effetti il risparmio è notevole e ora davvero le casse dello Stato possono stare tranquille: parliamo dello 0,0000258% del Pil nazionale. Su uno stipendio di mille euro da domani tutti avranno in tasca 2 euro e 58 centesimi in più. Si prevedono ingenti investimenti e un appuntito rilancio dei consumi e delle assunzioni. Era ora.

Certo ora rimane semplicemente da studiare una riforma elettorale che garantisca la rappresentatività di tutti i cittadini, di tutte le zone d’Italia. Bisogna semplicemente ridisegnare l’architettura parlamentare perché tutte le opinioni possano avere la possibilità di avere voce. Ma è una cosa da poco: questi hanno dimostrato di essere dei geni di leggi elettorali e di contrappesi democratici. Niente di cui preoccuparsi, quindi.

Poi ci sarebbe da capire come assicurare le pensioni a una generazione che le vede come una chimera, senza mandare in fallimento lo Stato. Ma ci penseremo con calma.

C’è da ristrutturare il mondo della scuola che chiede la carta igienica da casa. Ma con due euro in tasca in più per ognuno di noi vedrete che in giro si troverà qualche buona offerta.

Ci sarebbe da rimpinguare una sanità pubblica ormai allo sbando e senza abbastanza medici per coprire il fabbisogno futuro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di ammalarti con il Parlamento dimezzato?

Ci sarebbe anche da discutere del fatto che di questo passo nel pianeta Terra non ci sarà più il clima per avere un Parlamento. Ma non ha senso inseguire gli allarmi della scienza. Dai, su.

Ci sarebbe anche un mondo del lavoro che diventa sempre più stretto, sempre più povero e sempre assassino. Ma non è elegante parlare di soldi, no.

Comunque abbiamo risparmiato 2 euro a testa. Per chi dice che l’importante è iniziare da qualche parte: vero, tipo dimezzare gli stipendi dei parlamentari, ad esempio solo per non citare corruzione, mafie, malaffare e evasione fiscale delle multinazionali, che diventa troppo complicato.

Solo che di questi argomenti non è il caso di parlarne ora che c’è in ballo il referendum. La soddisfazione di colpire la casta è un’occasione imperdibile, e chi ce lo dice? Loro, loro stessi. Come se ammettessero di essere in troppi troppo incapaci e chiedessero a noi di intervenire riducendo il coefficiente di probabilità che vengano eletti degli idioti. Qualcuno potrebbe sommessamente fare notare che dovrebbero essere loro, quelli che ci dicono sì, a occuparsi di selezione della classe dirigente. Ma è un discorso troppo lungo, troppo difficile, troppo da professoroni.

E allora via: un bel referendum per tagliare il Parlamento e al resto ci penseremo dopo. Un po’ come quelli che tolgono l’ascensore prima di avere pensato di costruire le scale. Ma vuoi mettere che risparmio, non avere l’ascensore.

Noi qui a Left abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con un ebook che trovate qui.

Buon mercoledì.

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