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Il vero allarme sicurezza

Pensateci bene, non avete la sensazione che il problema degli omicidi sia il primo problema della sicurezza in Italia? Non vi è capitato ogni volta, tutte le volte, di vedere rilanciato, di sentire dibattuto un delitto qualsiasi soprattutto se torna utile alle esigenze televisive (quindi con qualche efferatezza di cui disquisire in studio) o se torna utile alle esigenze della propaganda (e qui lo straniero viene perfetto)?

Se dovessimo disegnare il Paese come esce raccontato dai giornali e dalla televisione verrebbe da dire che gli omicidi siano moltissimi. Pensate ai morti sul lavoro e ai morti di lavoro: da 24 ore si parla (e per fortuna) della morte di Luana D’Orazio risucchiata da un macchinario tessile a Prato. D’Orazio è perfetta per la narrazione perché era giovane (22 anni), mamma da appena un anno e bella.

Eppure si muore più di lavoro che di omicidio: l’anno scorso 1.270 persone hanno perso la vita sul lavoro e gli omicidi sono stati 271. Se le emergenze devono essere pesate con i numeri l’allarme sicurezza che dovrebbe far strepitare la classe politica e su cui si dovrebbero accapigliare dovrebbero essere questi morti. Attenzione, quest’anno sta andando tutto molto peggio: le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail entro il mese di marzo sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 registrate nel primo trimestre del 2020 con un incremento dell’11,4%. Per capirsi: lo scorso 29 aprile una trave aveva ceduto nel deposito Amazon di Alessandria causando un morto e 5 feriti, a Taranto un gruista di 49 anni è morto precipitando sulla banchina e a Montebelluna (Treviso) un operaio di 23 anni era stato investito da un’impalcatura, morendo sul colpo. Tre morti in un giorno.

Parlare dei morti sul lavoro è molto meno redditizio dell’altra “sicurezza” di cui si ciancia un po’ dappertutto: c’è da mettere mano a una normativa che risale al 1965 e il Decreto 81 del 2008 che ha ampiamente superato i 10 anni non ha mai visto il completamento di alcuni articoli che attendono ancora la firma di una ventina di decreti attuativi che avrebbero dovuto renderli operativi.

E se qualcuno pensa che sia inaccettabile morire a 22 anni sul lavoro allora vale la pena rileggere la dichiarazione di ieri della madre di Luana D’Orazio: «Sul lavoro non devono morire né ventenni, né trentenni, né più anziani, sono tutte vite umane».

Buon mercoledì.

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Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa

“Prima gli italiani” ripete Matteo Salvini e tutti in coro i suoi fedelissimi. “Prima gli italiani” perché bisogna difendersi dagli interessi “altri”, quelli degli stranieri, che a detta dei leghisti depaupererebbero gli onesti. Poi accade che a Opera in provincia di Milano il sindaco leghista Antonino Nucera venga arrestato insieme alla sua compagna (capo dell’ufficio tecnico dello stesso comune di cui è sindaco) insieme a tre imprenditori.

Tra le accuse ci sono le mascherine che sarebbero servite agli anziani nelle Rsa, alla farmacia comunale per la distribuzioni ai suoi concittadini e che invece sono state tenute nascoste per l’ex moglie, gli amici, gli amici degli amici, i famigliari, i dipendenti comunali e gli agenti della polizia locale. Qualcosa come 2.800 dispositivi di protezione che il prode leghista, uno di quelli che dovrebbe difenderci dal pericolo “straniero”, ha deciso di intascarsi, secondo le accuse.

Eppure il sindaco Nucera è il prototipo del perfetto salviniano: sulla sua bacheca Facebook urlacciava contro il governo Conte scrivendo che “mentre loro concordano come spartire le poltrone” lui pensava a “lavorare per le nostre comunità, come abbiamo sempre fatto”. Poi ovviamente ci sono tutte le sue arrabbiature per “i criminali”: alcuni che hanno strappato i sigilli per attraversare un ponte in costruzione, complimenti ai carabinieri che hanno tolto la patente a un ubriaco al volante, indignazione per degli uccelli avvelenati, strali contro il reddito di cittadinanza, l’immancabile post sul presepe e sulla Sacra Famiglia e così via.

La retorica, la solita retorica, di chi usa il populismo per fottere gli elettori. Imperdibile il post in cui chiede ai cittadini di restare a casa: “In qualità di Sindaco e di padre di famiglia vi chiedo vivamente di uscire solo per motivi importanti! Stiamo attraversando un periodo molto particolare… è richiesto un comportamento responsabile ad ognuno di noi..”.

Del resto è proprio il manifesto del leghismo: quel “prima gli italiani” diventa un sovranismo in cui l’unica Patria è l’io e gli interessi personali. Fregarsene degli altri rivendicando l’egoismo come diritto. Se ci pensate bene il sindaco Nucera ha eseguito il suo manifesto politico alla lettera: si è occupato solo di quelli che lui considera “prima” degli altri solo che “gli altri” alla fine diventano anche i cittadini perché a forza di disinteressarsi di più gente possibile è inevitabile che finisca così. E chissà cosa ha da dirci il prode Salvini.

Leggi anche: Salvini cambia linea per placare i malumori della Lega: “Draghi non è Conte, non stacco la spina”

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Se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa

Invece di rispondere in conferenza stampa sui suoi rapporti con l’Arabia Saudita (come aveva promesso), Matteo Renzi si è inventato l’autointervista. E che fa? Mischia le carte e naturalmente si dimentica di farsi domande importanti

«È così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa, a un funerale il morto». Rubo le parole che Longanesi dedicò a Malaparte per provare a raccontare come Matteo Renzi abbia pensato di risolvere la questione dei suoi rapporti a pagamento con il principe ereditario Mohammed bin Salman.

Ricapitoliamo. Nel pieno della crisi di governo (da lui provocata) Matteo Renzi conduce un’intervista con il principe saudita in cui magnifica il regime, magnifica il principe (lo chiama più volte “amico mio” e “grande” principe), basta guardarsi il video dell’intervista, parla di un «nuovo Rinascimento» e addirittura ammette di invidiare “il costo della lavoro” dei sauditi. Tutto questo alla modica cifra di 80mila euro (o dollari, Renzi non ricorda esattamente) all’anno.

Quando esce la notizia del suo essere al soldo del principe saudita lui si difende, piuttosto goffamente, dicendo che rientra tutto nella sua normale attività di “conferenziere”: falso. Conferenziere non significa essere pagato per contribuire alla ricostruzione di una credibilità che i sauditi faticano a mantenere: molti grandi gruppi dei media – come New York Times e Cnn – dopo l’omicidio di Khashoggi, editorialista del Washington Post, hanno boicottato la Future Investment Initiative del principe bin Salman. L’ingaggio di Renzi evidentemente è tornato molto utile per coprire un buco che altri non erano disposti a coprire. È legale? Sì, purtroppo, perché in Italia (e solo in pochi altri Paesi) c’è un evidente buco legislativo. È legittimo? Ognuno ha la sua idea.

Poi accade che Renzi, incalzato, affermi letteralmente: «Prendo l’impegno di discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull’Arabia saudita, di tutto; ma lo facciamo la settimana dopo la fine della crisi di governo».

La crisi di governo si è risolta e intanto Biden ha reso pubblico il rapporto dell’intelligence Usa che conferma la diretta responsabilità del principe saudita nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Una brutta botta per il leader di Italia Viva.

Arriviamo finalmente a questi ultimi giorni, Renzi risponde, bene, e come risponde? Intervistandosi da solo. Badate bene: aveva parlato di «discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa» ma furbescamente si inventa l’autointervista per avere a che fare con l’unica persona di cui è interessato e che stima davvero: se stesso. E che fa? Mischia le carte, come molti dei suoi fan sui social in queste ore, confondendo attività politica e attività professionale personale. Il trucco è quello di equiparare l’attività politica di rappresentanti politici in carica (su cui poi ci sarebbe parecchio da scrivere) con il suo lavorare per la propaganda di regime di un Paese straniero mentre è senatore pagato dai cittadini italiani. Peccato che su questo punto il Renzi giornalista non abbia avuto la prontezza di interrogare il Renzi intervistato. Scrive Renzi che è «giusto e anche necessario» avere rapporti con l’Arabia Saudita, Paese «baluardo contro l’estremismo islamico e uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni» confondendo il lavoro diplomatico con l’attività di un privato cittadino. Insomma, il solito Renzi.

Nella sua risposta ovviamente non cita mai il principe (non sia mai, che non si irriti “amico mio”), spende ancora parole d’elogio per la famiglia reale saudita ma si dimentica di farsi la domanda sugli interessi economici dei sauditi in Italia e in Europa. Che distratto. Sarebbe stata una bella domanda. In compenso si fregia di pagare le tasse, come se fosse una cosa straordinaria. Grandioso.

E infine, come sempre, la butta sul vittimismo politico: questo però è sempre un classico. Renzi infine rivendica di essere sempre pronto a parlare di diritti umani ovunque sia necessario: benissimo, ma ci faccia sapere su mandato di chi e se poi emette fattura. Così ci viene più facile.

Buon lunedì.

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Sottosegretari horror: la “cultura” leghista e quella classe politica che ci meritiamo 

C’è una frase di Matteo Salvini che ieri è sfuggita ai più: un giornalista gli chiede, mentre stava presentando i suoi sottosegretari appena nominati, se questo di Draghi sia davvero il “governo dei migliori”, Salvini sorride tutto soddisfatto e dice che sì, che “questi (riferendosi alla squadra di governo leghista nda) sono sicuramente i migliori, ma noi della Lega ne avremmo altri trenta se servono”.

Non ha torto: i nomi che in queste ore vengono derisi per le loro pessime referenze sono davvero considerati l’eccellenza leghista dal segretario e dai loro elettori, sono le facce più presentabili di un Parlamento che è infarcito di ignoranti fieri, complottisti spregiudicati, mentitori seriali, inadeguati senza coscienza, ripetitori ossessivi di slogan vuoti, servitori del proprio leader, gente senza arte né parte che non troverebbe mai uno sbocco professionale.

Perché è vero che fa schifo avere come sottosegretaria alla Cultura una Borgonzoni che fiera ci ha raccontato di avere letto un libro in tre anni, ma è anche vero che Lucia Borgonzoni ha preso 1.01.672 voti alle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna con il 43,63% e, volendo ben vedere, è vero che un italiano su due non legge nemmeno un libro all’anno.

È vero che Borgonzoni non sapeva che la sua regione non confinasse con il Trentino ma è anche vero che una buona fetta di italiani non ritiene la cultura (nemmeno quella di base, quella generale) un requisito per un buon politico.

Così com’è vero che fa schifo che la sottosegretaria alla Difesa Stefania Pucciarelli abbia appoggiato l’idea di mettere i migranti nei forni ma è vero che troppi italiani, di cui molti suoi elettori, sono d’accordo con lei e lo scrivono sui propri profili. Ed è vero che fa schifo che un sottosegretario all’Istruzione come Rossano Sasso abbia ingiustamente accusato uno straniero che poi si è rivelato innocente, ma lo stesso atteggiamento lo ritroviamo in autorevoli editoriali di quotidiani nazionali.

Anche l’ignoranza con cui Sasso ha scambiato Topolino per Dante è qualcosa che spesso suscita addirittura “simpatia”, tra molti. E se qualcuno si stupisce che il nuovo sottosegretario dell’Interno Molteni rivendichi i decreti sicurezza del primo governo Conte, beh, la pensano così tutti gli elettori della Lega, e non solo.

Insomma, non stiamo parlando di casi sporadici ma di genuini interpreti del salvinismo concimato in tutti questi anni e questi sono i frutti. A proposito: non “li hanno votati”, con questa legge elettorale li hanno nominati le segreterie di partito.

Leggi anche: 1. Parla il padre di Lucia Borgonzoni: “Deve ricordare che la cultura è il contrario della xenofobia” / 2. Ruspe ai rom, forni per i migranti: la nuova sottosegretaria alla Difesa è la leghista Stefania Pucciarelli / 3. Crede di citare Dante, in realtà è Topolino: la gaffe del neo sottosegretario leghista all’Istruzione

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Eccoli i migliori /3

La sottosegretaria alla Cultura che non legge libri, quello all’Interno che rivendica i decreti Sicurezza e quello all’Istruzione che scambia Topolino per Dante. Ecco a voi la pattuglia delle nuove nomine leghiste

Ormai frugare tra l’elenco dei migliori nel governo dei migliori rischia di diventare una rubrica quotidiana ma ci tocca e lo facciamo. Ieri c’è stata una sorta di presentazione alla stampa dei sottosegretari leghisti, capeggiati da un Salvini euforico che nel frattempo continua indisturbato a fare opposizione al governo di cui fa parte, come se nulla fosse, portando avanti la sua prevedibilissima strategia che continuerà irresponsabilmente a usurare il governo per non farsi usurare troppo da Giorgia Meloni. Anche questo purtroppo è uno dei tanti nodi di un governo che tiene dentro quasi tutti e quindi lascia la libertà di non tenere dentro praticamente nessuno a livello di responsabilità.

C’era ovviamente Lucia Borgonzoni, di cui tanto si sta scrivendo e si sta parlando in queste ore, quella che è diventata sottosegretaria alla Cultura e che candidamente ammette di non leggere libri. Meglio: nel luglio 2018 ammise di averne letto uno in tre anni e probabilmente con questa media è risultata la più assidua lettrice di tutto il suo partito e per questo è stata messa lì. Del resto il mondo della cultura, già in sofferenza acuta per la pandemia, ormai è pronto a tutto: per loro la prima ondata non è mai finita.

C’era Stefania Pucciarelli, andata al ministero della Difesa, già presidente della commissione Diritti umani del Senato, già travolta dalle polemiche per un like lasciato a un commento pubblicato sulle sue pagine social e nel quale si inneggiava ai forni crematori per i migranti che richiedevano una casa popolare. Ieri ha detto di non avere fatto altri errori facendo intendere di sentirsi assolta. A posto così. Del resto per loro il razzismo è un problema solo se sbrodola in giro, mica se si porta con fierezza.

Viceministro delle Infrastrutture e trasporti è Alessandro Morelli, quello che si definisce “aperturista” perché vuole riaprire tutto ma non si capisce bene come vorrebbe fermare il contagio, ex direttore de La Padania e de Il Populista: si ritroverà a lavorare a fianco a fianco con Teresa Bellanova (un’altra grande esperta di infrastrutture, immagino) e ha già rilanciato l’idea del ponte sullo stretto di Messina. «Noi abbiamo utilizzato per tanto tempo lo slogan delle ruspe, oggi le ruspe servono per costruire», ha detto ieri. Che ridere, eh?

Nicola Molteni è sottosegretario al ministero dell’Interno. Ieri ha detto: «Rivendico i decreti Sicurezza con orgoglio e dignità perché sono stati strumenti di legalità e di civiltà». Vedrete che (brutte) sorprese in tema di solidarietà.

Sottosegretario all’Istruzione è Rossano Sasso. Sasso nel 2018 partecipò a un flash mob contro i migranti a Castellaneta Marina. Una ragazza era stata violentata e il nuovo sottosegretario aveva già trovato il colpevole, uno straniero definito un «bastardo irregolare sul nostro territorio». Peccato che sia stato assolto con formula piena. Per non farsi mancare niente pochi giorni fa era convinto di citare Dante scrivendo una frase di una versione della Divina Commedia a fumetti apparsa su Topolino. All’istruzione, per capirsi. «Può capitare, è stato uno scivolone, sono sincero non sapevo che si trattasse di Topolino – ha detto ieri – vorrà dire che dovrò approfondire i miei studi classici e se mi sentisse il mio professore del liceo mi tirerebbe le orecchie».

Sottosegretario all’Economia è Claudio Durigon, il padre di Quota 100 nonché il cantore della Flat tax, a proposito di equità fiscale, che quando serve diventa addirittura “progressiva”. «Sappiamo che questo è un governo tecnico e non politico», ha detto ieri. Chissà come se la rideva intanto sotto i baffi.

Buona fortuna e buon venerdì.

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La stalla e il verme

Dormivano in alloggi umidi e malsani che sarebbero sporchi anche per delle bestie. Una storia disumana di sfruttamento scoperta in provincia di Viterbo dopo la morte di un bracciante

Ci sono stalle fuori dai presepi che si portano addosso delle storie che sanguinano. Nel piccolo comune di Ischia di Castro, in provincia di Viterbo, dentro la stalla ci stavano uomini, braccianti. Solo che non erano uomini, no, erano cani, vermi, servi, li chiamavano così i loro “datori di lavoro” che li pagavano 1 euro all’ora per giornate che potevano durare fino a 17 ore nei campi.

Dormivano nelle stalle, in alloggi umidi e malsani che sarebbero sporchi anche per delle bestie. Non esistevano nemmeno i giorni: festivi, straordinari, turni notturni erano compresi nel prezzo, porzioni di lavoro da regalare al proprio padrone. Gli investigatori scrivono che «lo sfruttamento della manodopera è stato reso possibile dalla determinazione con cui la famiglia imprenditrice ha sfruttato le condizioni delle vittime, spesso quasi ai limiti dell’indigenza, fino ad assoggettarli completamente, poiché cittadini stranieri per lo più soli, con le famiglie da mantenere nei loro luoghi di origine, bisognosi della paga che veniva loro elargita come unica forma di sostentamento ed isolati dal resto della comunità, poiché di fatto impossibilitati per mancanza di tempo e di mezzi con cui muoversi ad uscire dall’azienda in cui vivevano e lavoravano».

Qui non c’è nessun bambinello. C’era un 44enne albanese, che si chiamava Petrit Ndreca e che avrebbe dovuto essere morto in auto con alcuni suoi famigliari. Questa è stata la versione dei fatti riportata ai carabinieri dopo la chiamata, solo che le forze dell’ordine si sono insospettite per la presenza sul posto anche dei due imprenditori agricoli e hanno avviato le indagini. Così alla fine la verità è venuta fuori: Petrit è morto in modo indegno all’interno dell’azienda dopo avere accusato un malore e i suoi datori di lavoro con le minacce sono riusciti a convincere i suoi famigliari a trasportarlo lontano da lì avvolto in una coperta. «Il corpo di Petrit è stato trattato come quello di una pecora», ha raccontato il cognato quando è crollato di fronte ai carabinieri. E così si è scoperto che nelle stesse condizioni di Petrit lavoravano altre 17 persone.

Quella stalla è il presepe della schiavitù che si consuma e della vita umana cha non vale niente. Se poi lo schiavo è straniero e senza documenti allora il gioco viene fin troppo facile. Auguri, a tutti.

Buon giovedì.

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L’ex senatrice leghista e quell’idea malsana di una mafia “coraggiosa e sensibile”

Sapete chi da sempre porta avanti la narrazione della mafia “buona” e che “aiuta i più deboli” e che “non fa male ai bambini” e tutta quella serie di cretinate che ogni tanto ci vengono propinate per romanticizzare un fenomeno che non è nient’altro che una montagna di merda? I mafiosi. Sono i mafiosi che si sono inventati la mafia “per bene” e sono i colletti bianchi che spesso nel corso della storia si sono ingegnati per farcela passare come qualcosa che sostituisse lo Stato in mancanza di Stato.

Perché la mafia, tutte le mafie, è per natura la contraddizione di una democrazia: nelle mafie conta l’appartenenza, nelle mafie l’essere soggiogati a qualcuno di più potente è una condizione naturale, nelle mafie si usano i bisogni per trarne profitto e per stringere nuove servita.

Una mafia coraggiosa e sensibile è un’idea talmente malsana che si potrebbe trovare trascritta solo nelle intercettazioni di qualche banda di picciotti che chiacchierano tra loro. Per questo la frase dell’ex parlamentare leghista che dal palco della manifestazione “Io sto con Salvini” è particolarmente grave ma è anche la sindone di un certo modo di intendere le cose. Ha detto Angela Maraventano: “La nostra mafia che ormai non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima. Dove sono? Non esiste più. Perché noi la stiamo completamente eliminando… Perché nessuno ha più il coraggio di difendere il proprio territorio”.

E basterebbe solo soffermarsi sulle parole iniziali: quel “nostra mafia” che dovrebbe indicare una mafia di appartenenza e una mafia contraria, come se ci fossero mafie con cui si è avuto a che fare. E che l’assoggettamento di un intero territorio (che è quello che fanno le mafie) venga considerato un modello di difesa mostra in tutta la sua sconcertante naturalezza come l’autorità per Maraventano sia qualcosa che cuce le bocche, che uccide le persone e che controlla le economie.

Questa, segnatevelo, è la stessa che ha urlato contro il governo “abusivo” e contro “l’invasione del Paese”. Roba da pelle d’oca. Come tutti gli altri leghisti mentre interveniva dal palco Angela Maraventano indossava una maglietta con scritto “processate anche me” e dopo averla ascoltata viene da pensare che se esistesse il reato di favoreggiamento culturale alla mafia di sicuro ci sarebbe da istruire un processo. Chissà che ne pensano i famigliari delle vittime di mafia di una mafia “coraggiosa e sensibile”. Perché il prossimo comizio non lo fanno davanti a loro? E intanto continuiamo così, scivolando verso l’abisso.

Leggi anche: 1. Catania, ex senatrice shock sul palco di Salvini: “La vecchia mafia difendeva il nostro territorio” /2. Salvini e quei follower sospetti su Facebook: uno su 5 ha nome straniero e non risponde ai messaggi

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Si vergognano di essere fascisti

Non capisco quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo…

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.

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Tante promesse per nulla

Niente, gli è andata male anche questa: Salvini ci teneva così tanto a fare il martire per il suo processo che avrebbe dovuto cominciare il prossimo 4 luglio, quello che lo vede imputato per sequestro di persona per il cosiddetto “caso Gregoretti” quando 131 migranti rimasero per quattro giorni su una nave militare italiana prima dello sbarco ad Augusta il 31 luglio del 2019. Ci teneva moltissimo Salvini perché avrebbe potuto mettere in scena la trama del povero perseguitato che viene messo all’angolo dalla magistratura cercando un legame (che non c’è) con la vicenda delle orrende intercettazioni del magistrato Palamara. E invece niente. «C’è mezza Italia ferma però mi è arrivata una convocazione a Catania per il 4 luglio», aveva dichiarato il leader leghista e invece il presidente dell’ufficio del giudice dell’udienza preliminare Nunzio Sarpietro è stato costretto al rinvio: «I nostri ruoli sono stati travolti dallo stop per l’emergenza coronavirus, ci sono migliaia di processi rinviati che hanno precedenza e ho dovuto spostare l’inizio del processo che vede imputato il senatore Salvini ad ottobre», spiega. E anche sui dubbi di un processo ingiusto Sarpietro tranquillizza l’ex ministro: «Stia tranquillo il senatore Salvini, avrà un processo equo, giusto e imparziale come tutti i cittadini. Né io né nessun giudice che si è occupato di questo fascicolo abbiamo nulla a che spartire con Palamara. E sono d’accordo con lui: quelle intercettazioni tra magistrati sono una vergogna».

Tutto fermo, quindi e niente scontro giudiziario come quelli che piacciono così tanto al centrodestra eppure l’ombra di Salvini, al di là delle vicende processuali, continua a pesare su questo governo e a essere un macigno per questo centro sinistra che si ritrova alleato con gli stessi alleati che furono di Salvini, con lo stesso presidente del Consiglio che celebrò proprio i decreti sicurezza e con un’aria stagnante per quello che riguarda il futuro prossimo sul tema. “Discontinuità”, avevano promesso proprio all’inizio del Conte bis. In molti si ricordano che le due leggi estremamente restrittive sull’immigrazione furono ampiamente contestate da buona parte del Partito democratico, in molti si ricordano le promesse che furono fatte e poi ripetute e in molti si ricordano che furono proprio i maggiorenti democratici a dirci di stare tranquilli che sarebbe cambiato tutto e che si sarebbe cancellato presto quell’abominio. Niente di niente. I decreti sicurezza sono lì e dopo otto mesi non sono stati cambiati. Non sono nemmeno state apportate le modifiche che addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva chiesto in una sua comunicazione ufficiale. E se è vero che il numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo è diminuito in questi primi mesi dell’anno è altresì vero che dopo la pandemia sicuramente ci si ritroverà di fronte allo stesso identico problema, con le stesse identiche strumentalizzazioni di Salvini (e della ringalluzzita Meloni) e ancora una volta si assisterà al cortocircuito del governo che tiene insieme quelli che andavano a visitare le barche tenute alla deriva di Salvini e quegli stessi che con Salvini definivano «taxi del mare» le navi delle Ong. Sono diverse le proposte di modifica depositate nei mesi: la riduzione delle multe che i decreti prevedono per le navi Ong impegnate nei salvataggi in mare (su cui anche Mattarella aveva avuto da ridire), il ripristino di alcune forme di protezione internazionale per rendere più facile la regolarizzazione delle persone sbarcate nonché maggiori investimenti nel sistema di accoglienza diffusa, quella che ha sempre funzionato meglio coinvolgendo piccoli gruppi in piccole strutture sparse sul territorio italiano. Niente di niente. Rimane solo qualche parola delle poche interviste rilasciate dalla ministra dell’Interno Lamorgese, l’ultima all’inizio di questa settimana, che ha più volte ripetuto di non essere favorevole allo stravolgimento delle leggi. A posto così. Figuratevi, tra l’altro, se in un contesto del genere si possa anche solo lontanamente parlare di ius soli o di ius culturae che erano altri capisaldi di una certa sinistra progressista che urlava ad alto volume contro Salvini e che ora si è inabissata in un penoso silenzio.

Ma è rimasto tutto fermo? No, no, è andata addirittura peggio di così: all’inizio di aprile il governo ha stabilito che i porti italiani non possono più essere definiti “porti sicuri” per le persone soccorse in mare e di nazionalità diversa da quella italiana, di fatto impedendo l’accesso delle navi delle Ong, riuscendo nel capolavoro di fare ciò che nemmeno Salvini era riuscito a fare con tutte le carte a posto. Nonostante la sanatoria approvata dal Consiglio dei ministri per rimpinzare di braccia i campi dell’ortofrutticolo e per garantire l’ingrasso della grande distribuzione il governo non ha nemmeno trovato il tempo di rivedere la legge Bossi-Fini del 2002 che di fatto rende impossibile trovare lavoro regolare per qualsiasi straniero extra comunitario. A metà dello scorso aprile dodici persone sono morte per sete e per annegamento (mentre altre cinquantuno sono state riportate nei lager libici) e anche l’indignazione per i morti sembra ormai essersi rarefatta. Il giornalista Francesco Cundari il 18 aprile ha colto perfettamente il punto: «Il governo ha abbandonato anche quel minimo di ipocrisia che ancora consentiva di accreditare una qualche differenza, almeno di principio, tra le parole d’ordine di Matteo Salvini e la linea della nuova maggioranza in tema di immigrazione, sicurezza e diritti umani», ha scritto per Linkiesta. Ed è proprio così: ormai la sinistra non finge nemmeno più di essere sinistra e spera solo che non si sollevi troppa polemica. Tutto si trascina in un desolante silenzio spezzato solo dalle inascoltate parole di qualche associazione umanitaria e dalla interrogazione parlamentare di Rossella Muroni sui respingimenti illegali, di cui leggerete nell’inchiesta di Leonardo Filippi che apre questo numero. Mentre in Parlamento ci si inginocchia in memoria di George Floyd qui ci si dimentica di quelli che senza ginocchio si riempiono i polmoni d’acqua per i criminali accordi che l’Italia continua a sostenere con la Libia e ci si dimentica di quelli che muoiono nelle baracche di qualche borgo di fortuna per schiavi.

Poi, in tutto questo, vedrete che arriverà il tempo in cui Salvini tornerà a fare il Salvini e tutti si mostreranno stupiti, ci diranno che vogliono fare tutto e che vogliono farlo presto e intanto sarà troppo tardi, intanto la gente muore, intanto gli elettori si allontanano e si ricomincia di nuovo daccapo.

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 19 giugno

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