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Il condono di Draghi non serve a niente: è solo uno spot per la Lega di Salvini

Se esistesse un corso di laurea sull’inquinamento lessicale ci sarebbe sicuramente l’esame di narrazione del condono. C’è già una sterminata bibliografia a disposizione nel corso di tutti i governi della nostra Repubblica: ogni volta a spremere la fantasia per trovare un sinonimo morbido, qualcosa che ne faccia sentire il profumo senza mostrarne le forme, panegirici goffi per ammorbarlo addirittura di etica, condimenti per porgerlo come doveroso e necessario.

Il condono del governo dei migliori non poteva essere altrimenti, “una misura per uscire dalla crisi della pandemia” è il refrain che si sono appuntati sula mano i parlamentari che sgusciano le interviste. E fa niente che infilare un condono fiscale in un decreto che dovrebbe sostenere l’economia sia qualcosa che non ha niente a che vedere con la ripartenza, e fa niente che un condono che interessi il periodo che va dal 2000 al 2010 non abbia niente a che vedere con questi ultimi 12 mesi di sofferenza (vera) dei lavoratori italiani inghiottiti dal singhiozzo inevitabile delle attività lavorative.

Chi ha pagato normalmente le tasse negli anni passati e si ritrova ora in crisi economica a causa della crisi che si spande sul Paese di questo condono non può farsene niente se non maledirsi (e maledire il proprio commercialista) per avere incautamente pensato di seguire le regole fiscali negli anni scorsi quando l’italica furbizia gli avrebbe dovuto consigliare di mettere da parti soldi evasi prevedendo “tempi peggiori”.

Curioso anche che tra i condoni narrativi che vengono usati per condonare il condono Mario Draghi ci spieghi che la macchina pubblica sia talmente inefficiente da non riuscire mai a recuperare quelle somme: in sostanza non rimane nemmeno in piedi l’abusata scusa di incassare pochi soldi ma subito (come avveniva nelle altre occasione) visto che semplicemente si certificano come “persi” dei soldi che sono considerati “persi”.

Questa volta non esiste nemmeno un beneficio immediato, c’è solo il costo sociale di incentivare (e giustificare) l’evasione fiscale: 666 milioni di gettito in meno che non portano sostanzialmente nessun vantaggio. E allora a chi serve il condono? Facile: è un ottimo spot di Salvini per dire ai suoi elettori che loro della Lega si propongono come affidabile parte politica per questo genere di operazioni, apprezzate da una fetta dell’elettorato che è sempre stata ritenuta molto appetibile per i partiti. “Siamo noi, siamo questa cosa qui, dateci mano libera e faremo ancora meglio”: messaggio ricevuto.

Leggi anche: 1. Il governo Draghi approva il condono della Lega per le cartelle esattoriali / 2. Perché condonare le tasse del 2010 non è una buona strategia per la crescita di oggi (di Elisa Serafini)

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Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

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Draghi, sullo stop ad AstraZeneca non puoi tacere: è stata una decisione politica, e va spiegata 

Alla fine viene il dubbio davvero che il silenzio sia una strategia, suggerita da qualche presunto esperto di marketing che probabilmente ne sa un po’ pochino di comunicazione istituzionale, di responsabilità di governo e soprattutto del fatto che la comunicazione è essa stessa politica, che il dovere di spiegare non è qualcosa che ha a che vedere con la morbosa curiosità ma che rientra nei doveri di un’affidabile classe dirigente.

Così siamo passati da un eccesso all’altro, usciamo da un reality show applicato alla politica che ogni giorno ci proponeva una nuova puntata di una storia anche piuttosto artefatta al silenzio totale in questa situazione di confusionario stallo che nessuno si sente chiamato a governare.

Qualcuno ripete che anche in Germania hanno sospeso le amministrazioni AstraZeneca e quindi questo dovrebbe bastare come spiegazione. Va bene, proviamo a partire proprio da qui: in Germania la comunicazione è stata data dai canali ufficiali del governo e il ministro alla Salute è apparso poco dopo in conferenza stampa. Incredibile, eh? Qui da ieri si naviga a vista nel tentativo di rivendere come decisione sanitaria una decisione che è sostanzialmente politica (Ema e OMS invitano a non sospendere le somministrazioni) ma non si vedono politici in giro che si prendano la responsabilità di dirci qualcosa.

Non si sente il presidente Draghi, non si vede il ministro Speranza, si scorgono in lontananza alcuni fragili ambasciatori che non riescono nemmeno a farsi notare. Allora forse conviene fare qualche piccola valutazione.

Ad esempio, non è che questa enorme risonanza che nelle ultime ore stanno avendo i social e la stampa sia dovuta anche al silenzio del governo che c’è tutto intorno? Non è “politica” proporre un’interpretazione dei fatti che accadono e delle decisioni che si prendono? E poi: si invita alla fiducia, e si fa benissimo, ma non è la fiducia qualcosa che va nutrita mettendo in gioco la propria credibilità? Perché qui il sospetto è che per non ripetere alcuni errori di “quelli di prima” si decida di scomparire seguendo il comodo imperativo di non dire niente per non sbagliare a dire qualcosa.

Non funziona come sui social, chi governa non può sperare in un tasto “ignora” per evitare il dibattito. Ci hanno detto “facciamo prima di parlare”, e va benissimo, ora hanno fatto e stiamo aspettando che ci dicano qualcosa. Fino a qualche mese fa qui eravamo tutti innamorati di domande scomode alla politica, pensa te, e ora sono sparite le domande.

Leggi anche: 1. “L’Italia non doveva sospendere il vaccino AstraZeneca, abbiamo agito per emotività o politica”. Intervista all’ex direttore generale dell’Aifa Luca Pani / 2. Invece di allarmarvi, chiedetevi a chi conviene se il vaccino AstraZeneca viene sospeso (di Luca Telese)

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Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza?

Tenetevi forte perché manca poco al ritorno dello spettro dei migranti clandestini, degli sbarchi sconsiderati e di tutta quell’orrenda narrazione contro le Ong nel Mediterraneo lasciato sguarnito in modo criminale dall’Europa. E preparatevi perché se è vero che conosciamo già perfettamente alcuni personaggi in commedia, a partire da quel Salvini che già da qualche giorno è tornato sull’argomento per provare a frenare lo scontento tra quei suoi elettori affamati di cattivismo e ancora di più incattiviti dalla pandemia, e a ruota ovviamente Giorgia Meloni per occupare quello spazio politico, soprattutto tornerà alle origini quel Movimento 5 Stelle che si è ammantato di solidarietà per incastrarsi nel secondo governo Conte ma che ora è pronto al ritorno delle sue radici peggiori.

La tromba della carica l’ha suonata ovviamente Marco Travaglio in uno dei suoi editoriali che sostituiscono da soli le assemblee di partito e che ha usato tutto l’armamentario del razzismo con il colletto bianco per puntare il dito contro le Ong, per irridere le “anime belle” (che per Travaglio sono la categoria di tutti quelli che non la pensano come lui ma che non possono essere manganellati con qualche indagine trovata in giro) e mischiando come al solito le accuse con le sentenze, gli indagati con i colpevoli, le ipotesi dei magistrati come “fatti” e gli stantii pregiudizi come acute analisi. Così la chiusura delle indagini della procura di Trapani per un presunto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel caso Iuventa basta al suggeritore dei grillini per richiamare tutti alle armi: picchiamo sui migranti, bastoniamo le Ong e chissà che non si riesca spremere qualche voto anche da qui.

E fa niente che sia dimostrato dai dati (e da anni) che “gli angeli delle Ong” (come li chiama Travaglio per mungere un po’ dalla vecchia accusa di “buonismo”) non “attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani”: Travaglio trova terribilmente sospetto che delle organizzazioni dedite al soccorso in uno spicchio di mare conoscano perfettamente quel mare e i luoghi dei naufragi. La competenza del resto da quelle parti è vista con diffidente apprensione. Ma agli osservatori più attenti, quelli che semplicemente non si sono fatti infinocchiare dallo storytelling del Conte bis, forse non sarà sfuggito che Di Maio sia proprio quel Di Maio che discettava allegramente delle Ong come “taxi del mare” quando c’era da accarezzare l’alleato Salvini e Giuseppe Conte sia proprio quel Giuseppe Conte, nessuna omonimia, che partecipava allegramente alla televendita dei Decreti Sicurezza che andarono alla grande durante la stagione della Paura.

Ovviamente nessuna parola sull’omesso soccorso in violazione del Diritto internazionale del Mare che è un crimine di cui il governo italiano e l’Europa si macchiano almeno dal lontano 2014 quando il governo Renzi decise di stoppare l’operazione Mare Nostrum della nostra Marina militare e niente di niente su quella Libia (e qui invece ci sono tutte le prove e tutte le condanne per farci una decina di numeri di giornale) che è un enorme campo di concentramento a forma di Stato, così amico del governo italiano. Ma la domanda vera è chissà cosa ne pensa il Pd, questo Pd che ci promette tutti i giorni che domattina si risveglierà più umano e attento ai diritti e che è sempre pronto (giustamente) per opporsi sul tema a Salvini ma che è stato così terribilmente distratto con i tanti Salvini travestiti che ci sono qui intorno.

Il Pd che ci ha indicato come “punto di riferimento riformista” il presidente del Consiglio che fece di Salvini il più splendente Salvini, il Pd che ancora fatica a riconoscere le responsabilità del “suo” ministro Minniti, il Pd che con il precedente governo prometteva “un cambio di passo” sui diritti dei migranti fermandosi solo alla sua declamazione, mentre la ministra dell’Interno del Conte bis, lo racconta il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, bloccava contemporaneamente ben sette barche delle Ong tra il 9 ottobre e il 21 dicembre 2020 riuscendo a fare meglio perfino di Salvini, rispettando in tutto e per tutto la linea d’azione del leader leghista stando con la semplice differenza di non rivendicarla sui social insieme a pranzi e gattini.

Se il nuovo Pd di Letta vuole recuperare credibilità forse è il caso che ci dica parole chiare su questa irrefrenabile inclinazione dei suoi irrinunciabili alleati perché alla fine Salvini rischia di risultare onestamente feroce in mezzo a tutti questi feroci malamente travestiti.

L’articolo Lamorgese peggio di Salvini, il Pd scelga: Travaglio o accoglienza? proviene da Il Riformista.

Fonte

A pochi metri dalla solita manfrina

Che Matteo Salvini sia terribilmente scomodo in questo governo allargato è un’evidenza negata solo da quelli che per convenienza hanno voluto rivenderci la svolta del leader leghista, tanto per magnificare preventivamente le doti di Draghi nel mondare salvificamente una politica che invece (purtroppo) rimane sempre uguale a se stessa. Che la base di Salvini sia in subbuglio, soprattutto quella più estrema ai limiti del negazionismo che ha accarezzato di sponda in tutti i mesi di questa pandemia è un fatto che basta verificare scorrendo i commenti ai suoi post su uno qualsiasi dei social che il segretario leghista utilizza con veemente frequenza. Anche i molti imprenditori che confidavano in lui per un fulmineo ritorno alle aperture e a una presunta normalità (perfino sfidando i ragionevoli rischi del virus) sono parecchio incazzati.

A questo aggiungeteci che all’interno del partito Salvini comincia a perdere appoggi importanti e a soffrire figure come quella di Giorgetti che viene considerato molto più affidabile dai ceti produttivi del nord, senza dimenticare Zaia che da tempo aspetta solo il momento giusto per provare a tirare la sua zampata e prendersi il partito. Se non bastasse là fuori c’è anche Giorgia Meloni che nella più comoda posizione di oppositrice al governo ha le mani libere per sparare a palle incatenate contro le decisioni di Draghi e dei ministri senza doversi prendere la responsabilità di proporre per forza delle alternative.

E che farà Salvini? Tornerà a essere il solito Salvini. Anzi, ha già cominciato. Nella distrazione generale ha cominciato a spargere un po’ di messaggi di odio e di razzismo: l’8 marzo ha commentato la notizia del referendum in Svizzera sul burqa mischiando un po’ le carte e parlando di «una decisione dei cittadini a difesa dei valori della civiltà occidentale ed europea, contro ogni violenza, discriminazione e sopraffazione»; lo stesso giorno ha scritto che «serve più rigore nel controllo degli sbarchi, anche alla luce del recente allarme dei Servizi di intelligence sui rischi di infiltrazione terroristica: i confini dell’Italia sono confini europei»; il 9 marzo è tornato ai fasti di un tempo annunciando l’intenzione di «confrontarmi al più presto con il Presidente Draghi e il ministro Lamorgese per trovare soluzioni. L’Italia soprattutto in pandemia – e con molti cittadini costretti a casa – non può permettersi sbarchi a raffica, clandestini a spasso e illegalità»; ieri è partito con le solite menzogne sbraitando «che il traffico di esseri umani sia un business per la malavita organizzata e che alcune Ong siano complici era una mia convinzione ed ora lo è anche di diverse procure» e dicendo chiaramente «continuo a pensare che, anche in un momento di pandemia, tornare a difendere i confini sia una necessità».

Come al solito, quando si trova in difficoltà, estrae dal cilindro migranti e confini che gli hanno fruttato tanta fortuna. Solo che il difficile momento nazionale (e la conformazione di questo governo) renderanno ancora più difficile la sua propaganda e allora urlerà ancora più forte, ancora più feroce, ancora più violento. E tornerà il solito Salvini, la sua conversione si dimostrerà una semplice posa e si ricomincia tutto da capo.

Segnatevelo.

Buon venerdì.

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San Fatturato

La sentite l’aria che tira? A volte basta mettere insieme un po’ di pezzi, provare a ricomporre le tessere per farsi un’idea del punto in cui siamo, anche perché la preoccupante uniformità di pensiero che si respira ottunde le sensazioni e non c’è niente di meglio delle sensazioni ottuse per inseguire interessi particolari che così sfuggono più facilmente.

Ricapitoliamo: a inizio pandemia si sviluppa un pericoloso focolaio nella bergamasca che provoca una strage di cui abbiamo memoria per i camion militari costretti a trasportare le bare. Ci si interroga (anche la magistratura) sul perché non sia stata istituita per tempo una “zona rossa” che avrebbe potuto limitare i danni e Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, rilasciò una sconcertante intervista in cui disse testualmente che erano «contrari a fare una chiusura tout court così senza senso» e di averne parlato direttamente con la Regione: «Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione», disse.

Poi, pensateci: in un anno di pandemia abbiamo visto puntare il dito un po’ contro tutti, siamo passati dagli anziani che pisciano il cane ai corridori agli spiaggiati agli aperitivisti alle scuole – presumibilmente saremmo passati anche ai cinema e ai teatri, ma sono chiusi da un’eternità – e chi poi ne ha più ne metta. Niente su fabbriche e pochissimo sui pendolari. Il mondo del lavoro (soprattutto quello produttivo) sembra immune al virus, se fate la rassegna stampa di quest’anno.

In compenso certa stampa si è lanciata in un piuttosto ridicolo sforzo per dirci che fare il rider è un lavoro bellissimo: ve li ricordate quei giorni in cui si leggevano articoli che favoleggiavano di ciclisti che guadagnavano 4mila euro al mese (poi si scoprì che non era vero) tanto per convincerci che chi non trova lavoro è uno sfaticato e chi è povero è un fallito? Ecco, tenetelo a mente.

Poi. Qualche giorno fa Bonomi ha rilasciato un’intervista da brividi in cui ha chiesto di avere più possibilità di licenziare per rilanciare il lavoro. E nessuno che gli ha riso in faccia, pensa te.

Poi ve la ricordate Letizia Moratti che chiedeva di vaccinare in base al Pil? Prese gli applausi dei soliti turboliberisti ma poi fece un po’ marcia indietro. Bene: ieri Regione Lombardia (la disastrosa regione che non riesce a vaccinare poco più di qualche manciata di anziani che dovrebbero essere una priorità) ha annunciato in pompa magna di avere stretto un accordo con Confindustria (questa volta alla luce del sole) per vaccinare i dipendenti nelle aziende. Qualcuno ha fatto notare che forse ci sono altri problemi a cui dedicarsi e loro hanno risposto che sì, sì ma hanno fatto la conferenza stampa solo così per dire.

Tutto questo mentre ci si prepara per l’ennesima volta al lockdown che ci permetterà di uscire per andare a lavorare, di respirare aria aperta per tornare indietro e addirittura di avere una libera uscita per andare a comprare cibo.

Straordinario.

Buon giovedì.

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Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente?

L’argomento è terribilmente scivoloso e si gioca su un filo poiché la tossica presenza di no vax e di strillatori che vedono “dittatura sanitaria” dappertutto rende difficile avventurarsi in questa selva però ci provo, perché appiattirsi in nome della paura è uno stato sociale che dovremmo comunque cercare di evitare, perché se per cautela e protezione ci sono limitati i movimenti non si vede perché dovrebbero essere smussate anche le opinioni.

Da un anno abbiamo imparato a nostre spese che il virus che sta condizionando il mondo si combatte modificando i nostri comportamenti, usando dispositivi e cautele e adottando distanze fisiche (perché “distanziamento sociale” era e continua a essere una pessima definizione) che aiutano nella prevenzione del contagio.

Un anno fa abbiamo scelto che la nostra vita sociale e professionale venisse messa in pausa confidando che venissero prese tutte le iniziative utili per predisporre il contrasto: tamponi, tracciamento, trattamento sanitario, potenziamento del trasporto pubblico, rafforzamento della medicina di base, approntamento della campagna vaccinale, messa in sicurezza di scuole e di uffici, controllo serrato dei protocolli negli ambienti di svago e di lavoro.

Alcuni di questi punti sono stati disattesi o affrontati con forze inadeguate. Ma non è questo il punto, ora non si discute delle responsabilità. Un anno dopo ci ritroviamo in una situazione non molto dissimile dal primo lockdown: ospedali in sofferenza, i vaccini mancano, i contagi crescono e le nuove varianti colpiscono nuove fasce di popolazione.

La strategia del governo però appare sempre la stessa: libertà di movimento per quel movimento che serve appena per spostarsi nei luoghi di lavoro e per gli approvvigionamenti che servono per sopravvivere. Le ultime voci parlano di un lockdown “morbido” durante la settimana e di un pugno più duro durante il week-end. Per semplificare: lavorate, consumate e poi, solo poi, proteggetevi. Il modello è “produci, consuma, crepa”.

Decidere cosa chiudere e cosa tenere aperto significa comunque proporre un modello di priorità. Siamo sicuri che queste priorità non possano essere messe in discussione? C’è qualcuno che abbia l’autorità politica di aprire una riflessione sul disegno di Paese in piena pandemia? È possibile contestarne il modello? Davvero vogliamo lasciare tutto lo spazio delle critiche ai populisti destrorsi e ai complottisti? Perché forse ci farebbe bene a tutti pensare alle priorità di un Paese, anche in piena pandemia.

Leggi anche: Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di G. Cavalli)

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Commissariate la Lombardia

La sentite intorno quest’aria tutta concorde? Sembra una pacificazione e invece è lo stallo che si crea quando partiti e poteri si allineano, lo fanno spesso in nome di una non meglio precisata “unità nazionale”, quando tutti insieme si deve uscire da una “crisi” e questa volta funziona perfettamente in nome dell’epidemia. Accade che partiti lontanissimi tra loro si trovino seduti nello stesso governo, quelli che si erano sputati addosso fino a qualche minuto prima e quelli che hanno spergiurato un milione di volte “mai con quelli là” e accade che anche l’osservazione di ciò che non funziona improvvisamente si ottunda.

La Lombardia, ad esempio. La campagna delle vaccinazioni anti Covid in Lombardia è una drammatica sequela di errori e di ritardi, di incomprensibili scelte e di gravi inadempienze. Qualcosa che grida vendetta ma che soprattutto meriterebbe un dibattito politico nazionale, una parola, un ammonimento, almeno uno sprono, qualcosa qualsiasi.

In Lombardia accade che alcune persone che non hanno diritto al vaccino riescano a prenotarlo e a farlo tranquillamente per un link del sistema regionale che presenta un’evidente falla. L’ha scoperto Radio Popolare e lo confermano lombardi che raccontano di averlo ricevuto nei gruppi di watshapp. «Ho fissato l’orario – racconta una testimone – e dopo dieci minuti ho avuto la mail di conferma per andare lunedì 8 marzo alle 12.05 all’ospedale militare di Baggio. Non ci credevo fino in fondo, ma quando sono arrivata lì incredibilmente ho verificato che ero davvero in lista». I direttori sociosanitari dicono che non hanno nessun modo per controllare le liste che sarebbero tutte in mano all’Asst. Tutto bene, insomma.

Il magico software regionale tra l’altro convoca i cittadini (vale la pena ricordare: quasi tutti anziani) con un preavviso di poche ore, la sera precedente. Alcuni sono costretti a fare chilometri e chilometri nonostante abbiano punti vaccinali molto più vicini. Alcuni addirittura hanno ricevuto invece due messaggi: «Ho ricevuto la convocazione dopo pochissimi giorni dall’iscrizione – racconta Maria Grazia alla consigliera regionale (Lombardi Civici Europeisti) Elisabetta Strada – ahimè però ho ricevuto due sms, a distanza di qualche ora, il primo mi convocava in piazza Principessa Clotilde alle ore 11 e il secondo ad Affori alle 16. Non sapevo quale dei due messaggi fosse corretto e al numero verde mi hanno risposto che non lo sapevano nemmeno loro. Sono andata dove mi era più comodo». Ovvio che se la gente non si presenta all’appuntamento i vaccini poi a fine giornata vadano buttati. In Regione giacciono interrogazioni che chiedono conto di quante dosi siano state sprecate finora: nessuna risposta, ovviamente.

All’8 marzo su oltre 720mila over 80 lombardi circa 575mila hanno aderito alla campagna e ne sono stati vaccinati 150mila. Dei 140mila che non hanno aderito non si sa nulla: non sono riusciti a prenotarsi? Non sono informati? Rifiutano il vaccino?

Poi ci sono gli errori di gestione degli spazi: ad Antegnate, provincia di Bergamo, è stato previsto un punto vaccinale nel centro commerciale del paese. Per un errore di pianificazione domenica 28 febbraio c’erano in coda quasi duemila persone. Sempre anziani, ovviamente assembrati. A Chiuduno, sempre nella bergamasca, il punto vaccinale è invece in un centro congressi che potrebbe gestire 2600 vaccinazioni al giorno e si viaggia a un ritmo di 800.

Perfino Bertolaso ha dovuto ammetterlo: «Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha dichiarato. Addirittura Salvini: «Problemi nella campagna vaccinale della Lombardia? Se qualcuno ha sbagliato paga, e quindi anche della macchina tecnica di Regione Lombardia evidentemente c’è qualcuno che non è all’altezza del compito richiesto». Ora la Regione Lombardia ha deciso di appoggiarsi al portale delle Poste, scaricando di fatto il gestore Aria, un carrozzone voluto da Fontana e soci per “guidare la trasformazione digitale della Lombardia”. Ottimo, eh?

Stiamo parlando della regione che ha collezionato un terzo dei morti per Covid di tutta Italia, della regione che ancora oggi sta vedendo i suoi dati peggiorare più di tutti. Serve una testimonianza? Eccomi qui: padre dializzato, invalido al 100%, ovviamente ultraottantenne e per ora l’unico segno di vita è un sms di scuse per il ritardo.

Tutto questo dopo un anno di sfaceli politici e organizzativi. Ma davvero, ma cosa serve di più per commissariare la Lombardia?

Buon mercoledì.

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A volte ritorna

Siamo passati dall’avere un governo con il centrosinistra e il M5s all’avere 2/3 di centrodestra al governo con figure apicali nei ministeri e tra i sottosegretari. E Salvini che si muove di nuovo da capo politico concedendo all’alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare dalla comoda posizione dell’opposizione

C’è in giro una barzelletta spassosissima eppure tragica, fomentata soprattutto dagli ultrà renziani, per cui nel “capolavoro” del governo Draghi rientrerebbe anche l’avere danneggiato o comunque tarpato Matteo Salvini e il suo partito. È la barzelletta di riserva che arriva subito dopo “il governo dei migliori”, un’altra enorme bugia che è stata utilizzata giusto il tempo di leggere con un certo affanno la lista dei ministri e soprattutto dei viceministri e soprattutto dei sottosegretari: non potendo più insistere sulla qualità dei componenti di governo, sarebbe stato troppo persino per loro, il nuovo messaggio da veicolare in massa è quello di un Salvini che uscirebbe “depotenziato” da questo governo per chissà quali strani alchimie. La politica però, per la fortuna di chi si ritrova a commentarla, è fatta di numeri e quegli stessi numeri dicono che (ma dai?) la Lega di Salvini in questi primi di giorni abbia già cominciato ad aumentare i consensi. Allora forse converrebbe fare qualche passo indietro, alla caduta del primo governo Conte, quando Salvini e i suoi fans imperversavano su tutti i giornali (e alle direzioni dei telegiornali) rimanendo al centro del dibattito praticamente su qualsiasi punto politico si sollevasse quotidianamente. Erano i tempi in cui sembrava praticamente impossibile riuscire ad abbattere il muro della Bestia leghista sui social network e in cui Salvini dettava l’agenda politica ad ogni passo, perfino pubblicando foto con l’ultimo piatto del suo ultimo pranzo. Forse converrebbe ripartire da quel periodo per rendersi conto che gli errori successivi del leader leghista, a partire dalle sue presuntuose follie nell’estate del Papeete, hanno permesso al Paese di uscire dal terrificante reality show in cui era caduto e di ripristinare perlomeno una discussione politica che fosse qualcosa di più alto dell’odio sparso contro i fragili, che fossero migranti o qualsiasi altra categoria.

Il secondo governo Conte in fondo nasce proprio con quella missione: Partito democratico, Leu e persino Renzi hanno accettato la mediazione di un governo che sicuramente non è mai stato il governo dei sogni per riuscire ad arginare una decadenza umanitaria e una tossicità del dibattito che ha partorito obbrobri giuridici (a partire dai cosiddetti decreti Sicurezza) che hanno riportato indietro il Paese di decenni. Ora, al di là delle speranze politiche che qualcuno può riporre nella figura di Mario Draghi nuovo presidente del Consiglio, è un fatto sotto gli occhi di tutti che non solo Salvini sia prepotentemente rientrato nella compagine di governo e quindi nell’alveo della visibilità che governare concede, ma che addirittura ci sia riuscito non rompendo l’alleanza di centrodestra di cui continua a proporsi come capo politico, per di più concedendo alla sua alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare il governo dalla comoda posizione dell’opposizione e quindi presumibilmente riuscendo anche a “mantenere” i malpancisti. Per questo…

L’articolo prosegue su Left del 5-11 marzo 2021

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Ora i Dpcm sono fighi

Draghi utilizza lo stesso strumento adottato da Conte per emanare le misure anti Covid, ma non si levano più voci di protesta: del resto molti dei critici di prima ora sono al governo

Per le strane alchimie figlie di questo governo, in conferenza stampa, a presentare il nuovo Dpcm firmato da Mario Draghi, c’era l’inimmaginabile coppia Gelmini-Speranza, roba che sembrava fantascienza fino a qualche settimana fa e che invece improvvisamente è diventata digeribilissima se non addirittura godibilissima per alcuni commentatori.

A proposito, vale anche la pena ricordare cosa si diceva circa l’utilizzo dello strumento del Dpcm da parte del governo precedente. Matteo Renzi una volta disse: «L’ultimo Dpcm è uno scandalo costituzionale. Non possiamo calpestare i diritti costituzionali. Trasformiamolo in decreto». Sui Dpcm protestavano Salvini, protestava proprio Gelmini e il centrodestra (per voce di Giorgia Meloni) diceva: «Il Parlamento non decide più nulla, ci sono quattro persone che si chiudono in una stanza e decidono del futuro di milioni di persone. E che decisioni poi… questo non è più tollerabile». Perfino la neo ministra Cartabia quando non era ministra ci andò giù dura: «La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per gli stati di emergenza ed anzi la nostra Repubblica ha attraversato varie situazioni di crisi, a partire dagli anni della lotta armata, senza mai sospendere l’ordine costituzionale». Sabino Cassese fu ancora più pesante: «Prima o poi anche la Consulta boccerà le misure anti Covid del governo Conte … allora si riconoscerà che i Dpcm e i decreti sono illegali».

Draghi utilizza lo stesso strumento ma non si levano voci di protesta, del resto molti dei critici di prima ora sono al governo quindi va bene così. E anche le misure restrittive indicate come “dittatura sanitaria” rimangono più o meno le stesse eppure questa volta tutti si sentono magnificamente liberi e soddisfatti. Magie della propaganda, evidentemente. Il fatto che il primo Dpcm di Draghi sia di fatto la prosecuzione dei Dpcm precedenti con in più una stretta sulla scuola non infiamma nessuno. Tutto bene.

In compenso molti commentatori hanno sottolineato come il presidente del Consiglio abbia deciso di non presenziare alla conferenza stampa facendo notare come questo atteggiamento indichi la rinuncia a personalismi. E infatti ieri c’erano Speranza e Gelmini. Ieri la ministra Gelmini ha parlato di scuola, lei proprio lei, quella che la scuola l’ha affossata a colpi di tagli ieri ha parlato alla nazione, impunita, inaspettata, di nuovo, nel 2021, di scuola. Ma non solo: la berlusconiana, con uno stile di cui faremmo anche volentieri a meno, ha trasformato la conferenza stampa in un piccolo comizietto politico (non ce la fanno a trattenersi, da quelle parti) continuando a rivendicare una presunta “discontinuità” (la parola magica per accarezzare i suoi elettori), spiegandoci che questa volta non si è arrivati all’ultimo momento ma che il Dpcm fosse già pronto da venerdì (quindi gli altri quattro giorni sono serviti ad apparecchiare la conferenza stampa, probabilmente) e soprattutto rivendicando una maggiore collaborazione con gli enti locali. Sarà per questo che l’Anci e alcune regioni hanno criticato il Dpcm un minuto dopo.

È il solito trucco di cambiare la lente per convincerci che sia cambiato il paesaggio. Bene così.

Buon mercoledì.

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